Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 13 aprile 2011, n. 15000 - Responsabilità di un appaltatore per infortunio ad un dipendente di fatto della ditta subappaltatrice


 

 

Responsabilità del titolare di una ditta appaltatrice per la edificazione di una casa di civile abitazione (Z.) che aveva affidato in subappalto alla ditta E.  i lavori per la realizzazione delle opere murarie e dei solai: un dipendente di fatto di quest'ultima infatti si trovava al terzo piano del ponteggio esterno allorchè aveva lasciato cadere verso il basso un tubo di ferro di quella struttura; il tubo recava un morsetto, che si era impigliato nel guanto dell'operaio il quale era stato trascinato nella caduta al suolo, avvenuta da una altezza di circa sei metri: secondo la contestazione, l'evento si era verificato per l'assenza di protezioni di sorta.

Il Tribunale riteneva lo Z. responsabile perchè, parimenti destinatario della normativa antinfortunistica, quale appaltatore con direzione dei lavori anche della ditta subappaltatrice, aveva omesso: di cooperare nell'apprestamento di protezioni individuali anticaduta; di coordinare interventi di protezione e prevenzione; di redigere un POS adeguato alla natura dei rischi presenti in quel cantiere, con riguardo al montaggio e smontaggio dei ponteggi ed alle procedure di sicurezza da osservare. Il Tribunale evidenziava altresì che l'infortunio era stato di difficile accertamento perchè inizialmente si era cercato di far passare l'accaduto come un incidente fuori cantiere, anche svestendo e rivestendo diversamente l'infortunato.

Confermava la condanna la Corte di Appello di Trento - Ricorso in Cassazione - Rigetto.

 

La Corte afferma che, in relazione alla doglianza concernente "l'obbligo di garanzia, non ravvisabile, secondo la tesi difensiva, a carico dello Z. nei confronti dei dipendenti della ditta E., l'assunto del ricorrente risulta infondato alla luce del seguente, condivisibile, principio di diritto enunciato da questa Corte, posto che lo Z., il quale aveva ricevuto i lavori in appalto, rivestiva a sua volta sostanzialmente, nei confronti della ditta subappaltatrice E., il ruolo di appaltante: "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, nel prevedere l'obbligo del datore di lavoro di fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici, e nel prevedere altresì l'obbligo per i datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei lavoratori dai rischi di incidenti connessi all'attività oggetto dell'appalto, determina a carico del datore di lavoro medesimo una posizione di garanzia e di controllo dell'integrità fisica anche del lavoratore dipendente dell'appaltatore" (Sez. 4, n. 45068/04, imp. Aloi, RV. 230279).

Lo Z. era il titolare della ditta che gestiva il cantiere ed aveva assunto la direzione dei lavori anche della ditta subappaltatrice E.; egli, quale titolare di autonoma posizione di garanzia - rivestendo, per quanto sopra detto, la veste di datore di lavoro anche verso i dipendenti della ditta subappaltatrice - aveva quindi l'obbligo di vigilare che i lavoratori adottassero in concreto le misure di sicurezza" ....


"Nè rileva che nella concreta fattispecie possano esservi state anche responsabilità di altri soggetti, in aggiunta alla colpevole condotta omissiva quale contestata allo Z..

La prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorchè chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo".

E ancora: "l'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte di terzi, o dello stesso lavoratore, non è invocabile, non solo per la illiceità della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l'evento, imputabile a colpa altrui, quando si è, come nel caso "de quo", nella possibilità in concreto di impedirlo: basti pensare che l'evento sarebbe stato evitato se solo lo Z. si fosse preoccupato di far rispettare le pur codificate previsioni di sicurezza, prima tra tutte quella relativa alla cintura, con imbracatura, da ancorarsi ad una guida rigida orizzontale. E' il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui. "


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente
Dott. ROMIS Vincenzo - rel. Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
1) Z.T. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 27/2010 CORTE APPELLO di TRENTO, del 18/06/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO ROMIS;
udito il P.G. in persona del Dott. D'Ambrosio Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto 

Il Tribunale Monocratico di Trento, all'esito di giudizio abbreviato, condannava Z.T. alla pena (condonata) di mesi due e giorni venti di reclusione, per il reato di lesioni colpose gravi in danno di C.F., commesso in (OMISSIS), in relazione ad un infortunio sul lavoro verificatosi presso il cantiere (OMISSIS), gestito dall'impresa Z. s.r.l., quale ditta appaltatrice per la edificazione di una casa di civile abitazione; detta impresa aveva affidato in subappalto alla ditta E. DI G. NICOLA - della quale l'operaio infortunato era un dipendente di fatto - i lavori per la realizzazione delle opere murarie e dei solai. Quel giorno c'era da smontare il ponteggio esterno sul versante di Nord-Ovest; l'operaio si trovava al terzo piano di esso allorchè aveva lasciato cadere verso il basso un tubo di ferro di quella struttura; il tubo recava un morsetto, che si era impigliato nel guanto dell'operaio il quale era stato trascinato nella caduta al suolo, avvenuta da una altezza di circa sei metri: secondo la contestazione, l'evento si era verificato per l'assenza di protezioni di sorta.

Il Tribunale riteneva lo Z. responsabile perchè, parimenti destinatario della normativa antinfortunistica, quale appaltatore con direzione dei lavori anche della ditta subappaltatrice, aveva omesso: di cooperare nell'apprestamento di protezioni individuali anticaduta; di coordinare interventi di protezione e prevenzione; di redigere un POS adeguato alla natura dei rischi presenti in quel cantiere, con riguardo al montaggio e smontaggio dei ponteggi ed alle procedure di sicurezza da osservare. Il Tribunale evidenziava altresì che l'infortunio era stato di difficile accertamento perchè inizialmente si era cercato di far passare l'accaduto come un incidente fuori cantiere, anche svestendo e rivestendo diversamente l'infortunato.

A seguito di gravame ritualmente proposto dall'imputato, la Corte d'appello di Trento confermava l'impugnata decisione e, in risposta a quanto dedotto dall'appellante, dava conto del proprio convincimento con argomentazioni che possono cosi riassumersi:

A) la copia del POS (in realtà PSC, essendo esso nomenclato come Piano di Sicurezza e Coordinamento) esistente in atti non conteneva alcuna menzione dei ponteggi metallici e delle attività di loro montaggio e smontaggio, di cui pure la difesa aveva parlato nei motivi d'appello e nell'arringa finale; una volta constatato che la copia in possesso dell'ufficio mancava delle pagine da 6 a 9, nelle quali specificamente era preso in considerazione il tema delle opere provvisionali e dei ponteggi metallici fissi, sull'accordo delle parti, quindi, era stata acquisita copia del documento di cui aveva disponibilità il difensore; effettivamente il Piano di Sicurezza e di Coordinamento predisposto dal coordinatore per la progettazione e l'esecuzione, Geom. B.D., sottoscritto e fatto proprio dalle ditte appaltatici, conteneva la previsione dei rischi per i lavoratori nell'allestimento e nella rimozione dei ponteggi metallici, con specifica indicazione di fare uso, nelle fasi di montaggio e smontaggio, di "cintura di sicurezza con bretelle e cosciali e fune di trattenuta scorrevole su di una guida ridda orizzontale applicata ai montanti interni, casco, scarpe di sicurezza senza suola imperforabile, guanti"; ciò consentiva di far ritenere superata la parte del capo di accusa che ravvisava un profilo di colpa nella mancata predisposizione di un POS adeguato alla valutazione dei rischi;

B) peraltro, le prescrizioni operative puntualmente dettate dal piano di sicurezza "non erano state fatte osservare da alcuno dei responsabili del cantiere ed, in primis, dall'imputato, appaltatore, principale disponitore al suo interno, proprietario dei ponteggi e soggetto che aveva dato l'ordine al subappaltatore di smantellare le impalcature" (cosi testualmente a pag. 5 della sentenza della Corte d'appello;

C) in base ai princìpi enunciati in materia nella giurisprudenza di legittimità, risultava destituita di fondamento la tesi difensiva secondo cui, essendo stato assunto il C. dalla subappaltatrice E., solo il responsabile di tale ditta sarebbe stato il destinatario delle norme di sicurezza poste dalla legge a salvaguardia del dipendente;

D) la parte lesa aveva riferito agli Ispettori del Lavoro quanto segue: 1) aveva iniziato a lavorare in quel cantiere ai primi di maggio del 2005; 2) lui e gli altri lavoratori avevano fornito i propri documenti allo Z. il quale aveva detto essergli necessari per metterli in regola (ma senza esiti tangibili); 3) lo Z. passava giornalmente in cantiere ed organizzava il lavoro suo e dei suoi compagni, anche parlando direttamente con lui che conosceva bene l'italiano; 4) in assenza dello Z., il G. controllava il loro lavoro; 5) l'attrezzatura del cantiere era tutta dello Z.;

E) tali affermazioni erano state ribadite dal teste nell'audizione del 13-6-2007, curata dalla p.g. presso la Procura, e, in aggiunta, il C. aveva precisato che la sera prima dell'incidente tutti erano stati invitati a cena dallo Z. (che festeggiava il suo nuovo matrimonio) il quale nell'occasione aveva dato l'ordine, insieme con G., di smontare il ponteggio l'indomani;

F) testimonianza significativa aveva reso anche il coordinatore per la sicurezza B.D., il quale aveva attestato di essere passato per il cantiere la mattina del 12 giugno e di aver visto gli operai i quali, sotto la direzione del G., smontavano i ponteggi senza osservare alcuna delle prescrizioni previste dal PSC, tanto che egli aveva scattato alcune fotografie, poi anche prodotte in atti, ed aveva vibratamente redarguito il G. medesimo;

G) erano state proprio le dichiarazioni del B. a consentire di sventare la "manovra" posta in essere per cercare di accreditare la versione secondo cui l'operaio non si sarebbe ferito nel cantiere, ma altrove: egli, infatti, aveva riconosciuto nella fotografia da lui stesso mostrata, il C., così permettendo di svelare quale era stata quella mattina la vera attività dell'operaio, poco prima dell'incidente;

H) siffatti rilievi dimostravano quale fosse la condizione di precarietà del dipendente, in rapporto di fatto con le imprese operanti sul campo, ed esposto, in quel cantiere, ad ogni sorta di pericoli, senza che alcuno si preoccupasse di far rispettare le pur codificate previsioni di sicurezza, prima tra tutte quella relativa alla cintura, con imbracatura, da ancorarsi ad una guida rigida orizzontale;

I) posizione di garanzia verso il C. aveva assunto il G., che nell'immediatezza lo dirigeva, ed anche lo Z. che primariamente gestiva il cantiere e che, dopo aver dato l'ordine di smontare le impalcature, non si era preoccupato (quale codestinatario della normativa antinfortunistica) di assicurarsi che le misure di salvaguardia venissero adottate;

L) i non pochi precedenti penali dell'imputato e la gravità del fatto in contestazione non consentivano la concessione delle attenuanti generiche; di tal che, risultava congrua la misura della pena fissata dal primo giudice.

 

Ricorre per cassazione lo Z., per mezzo dei difensori, deducendo censure che possono riassumersi come segue:
1) Vizio motivazionale e violazione del principio di correlazione: la Corte di merito, fondando l'affermazione di colpevolezza dell'imputato sul rilievo che le prescrizioni operative puntualmente dettate dal piano di sicurezza, "non erano state fatte osservare da alcuno dei responsabili del cantiere ed in primis dall'imputato appaltatore", avrebbe introdotto una contestazione nuova, diversa e distinta rispetto a quella in precedenza contestata, posto che, mentre nel capo di imputazione era stato contestato allo Z. di non aver redatto il piano di sicurezza e quindi di non avere neppure coordinato e cooperato nell'attività di protezione e prevenzione, nella motivazione della sentenza era stato addebitato all'imputato di "non avere fatto osservare le prescrizioni operative contenute nel piano di sicurezza": si tratterebbe di una ontologica diversità delle condotte, con conseguente violazione dell'art. 522 codice di rito;

2) Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, relativamente alla ritenuta colpevolezza dello Z.: la Corte distrettuale ha dato atto che il coordinatore per la sicurezza aveva attestato di essere passato per il cantiere la mattina del 12 giugno e di aver visto gli operata quali, sotto la direzione del G. - titolare della E. - smontavano i ponteggi senza osservare alcuna delle prescrizioni previste dal PSC, tanto che egli aveva scattato alcune fotografie, poi prodotte (e visibili agli atti) ed aveva vibratamente redarguito il G.;
orbene, il fatto che il coordinatore per la sicurezza, nominato dall'imputato, sia passato sul cantiere anche la mattina dell'incidente ed abbia richiamato il subappaltatore ai suoi doveri, renderebbe evidente che l'imputato si era preoccupato di assicurare che le misure di salvaguardia venissero adottate anche durante la fase finale di smontaggio dei ponteggi; ad avviso del ricorrente, essendo state quelle misure di salvaguardia, previste e concordate nel piano di sicurezza, chiaramente deliberatamente disattese dalla E. il giorno dell'infortunio (nonostante i richiami del coordinatore per la sicurezza), nulla avrebbe potuto fare lo Z. per evitare l'evento; l'infortunio sarebbe da addebitare a responsabilità esclusiva del titolare e dei preposti della E. che, disattendendo deliberatamente ed in modo gravemente colpevole, le prescrizione previste nel piano di sicurezza, avrebbero cagionato in via autonoma il sinistro: tale responsabilità esclusiva della ditta E. troverebbe piena conferma anche nel contenuto dello stesso capo di imputazione relativo a G.N. e G. S., rispettivamente titolare e preposto della impresa individuale E., i quali hanno definito la loro posizione processuale con il patteggiamento.

 

Diritto

 

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni di seguito indicate.
Nella concreta fattispecie la decisione impugnata si presenta dunque formalmente e sostanzialmente legittima ed i suoi contenuti motivazionali - quali sopra riportati (nella parte relativa allo "svolgimento del processo") e da intendersi qui integralmente richiamati onde evitare superflue ripetizioni - forniscono, con argomentazioni basate su una corretta utilizzazione e valutazione delle risultanze probatorie, esauriente e persuasiva risposta ai quesiti concernenti l'infortunio oggetto del processo: la Corte distrettuale, dopo aver analizzato tutti gli aspetti della vicenda (dinamica dell'infortunio e posizione di garanzia dell'imputato) ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistente la penale responsabilità del C.. Non sono pertanto ravvisabili i profili di violazione di legge e vizio di motivazione prospettati dal ricorrente, posto che, avuto riguardo al testo della sentenza impugnata, si rileva che la Corte distrettuale, attraverso il percorso motivazionale sopra ricordato ha analizzato - mediante la rivisitazione della sentenza di primo grado ed il richiamo ai suoi contenuti, ed all'esito dell'esame dei motivi di appello - tutti gli aspetti concernenti le problematiche relative alla dinamica del grave infortunio oggetto del procedimento ed ai profili di colpa ravvisabili nella specifica condotta dell'imputato. Deve sottolinearsi che, con il gravame -attraverso la denunzia di asseriti vizi di violazione di legge e di motivazione - sono state in parte riproposte questioni, anche di fatto, già ampiamente dibattute in sede di merito. Orbene i vizi denunciati non sono riscontrabili nella sentenza impugnata, con la quale la Corte territoriale ha dimostrato, come detto, di aver analizzato ogni aspetto essenziale della vicenda, pervenendo, all'esito di un approfondito vaglio di tutta la materia del giudizio, a conclusioni sorrette da argomentazioni adeguate e logicamente concatenate. La Corte territoriale ha puntualmente ragguagliato il giudizio di fondatezza dell'accusa al compendio probatorio acquisito, a fronte del quale non possono trovare spazio le deduzioni difensive, per lo più finalizzate a sollecitare una lettura del materiale probatorio diversa da quella operata dalla Corte distrettuale, ed in quanto tale non proponibile in questa sede.


Per completezza argomentativa si impongono talune ulteriori precisazioni in relazione alle questioni più specificamente sollevate dal ricorrente.

Per quel che riguarda la censura relativa all'asserita violazione del principio di correlazione (artt. 521 e 522 c.p.p.), va sottolineato che le modalità del fatto e la condotta omissiva ritenuta addebitabile allo Z. sono state ampiamente dibattute nelle fasi di merito, per cui deve escludersi la configurabilità della eccepita nullità non essendo stata, dunque, in alcun modo compromessa la difesa dell'imputato: nella giurisprudenza di legittimità è stato invero affermato che "il precetto dell'art. 521 c.p.p., comma 1, che enuncia il principio della correlazione tra accusa e sentenza, va inteso non in senso "meccanicistico formale", ma in funzione della finalità cui è ispirato, quella cioè della tutela del diritto di difesa; ne consegue che la verifica dell'osservanza di detto principio non può esaurirsi in un mero confronto letterale tra imputazione e sentenza, occorrendo che ogni indagine in proposito venga condotta attraverso l'accertamento della possibilità per l'imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto" (in termini, "ex plurimis", Sez. 6, n. 618/96 - ud 8/11/95 - RV. 20337). "Ad abundantiam", va posto ancora in rilievo che, nel caso di specie, il reato era stato addebitato all'imputato con una formulazione in cui risultavano contestati anche profili di colpa generica (cfr, in proposito: Sez. 4, n. 4968/96, imp. Bonetti, RV. 205266; Sez. 4, n. 7704/97, ud. 27/6/1997, RV. 208556).


Quanto alla doglianza concernente l'obbligo di garanzia - non ravvisabile, secondo la tesi difensiva, a carico dello Z. nei confronti dei dipendenti della ditta E. - l'assunto del ricorrente risulta infondato alla luce del seguente, condivisibile, principio di diritto enunciato da questa Corte, posto che lo Z., il quale aveva ricevuto i lavori in appalto, rivestiva a sua volta sostanzialmente, nei confronti della ditta subappaltatrice E., il ruolo di appaltante: "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, nel prevedere l'obbligo del datore di lavoro di fornire alle imprese appaltatrici ed ai lavoratori autonomi dettagliate informazioni sui rischi specifici, e nel prevedere altresì l'obbligo per i datori di lavoro di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dei lavoratori dai rischi di incidenti connessi all'attività oggetto dell'appalto, determina a carico del datore di lavoro medesimo una posizione di garanzia e di controllo dell'integrità fisica anche del lavoratore dipendente dell'appaltatore" (Sez. 4, n. 45068/04, imp. Aloi, RV. 230279). Lo Z. era il titolare della ditta che gestiva il cantiere ed aveva assunto la direzione dei lavori anche della ditta subappaltatrice E.; egli, quale titolare di autonoma posizione di garanzia - rivestendo, per quanto sopra detto, la veste di datore di lavoro anche verso i dipendenti della ditta subappaltatrice - aveva quindi l'obbligo di vigilare che i lavoratori adottassero in concreto le misure di sicurezza, secondo un pacifico e condivisibile principio enunciato nella giurisprudenza di questa Corte: "In tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la "sicurezza del lavoro", è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alle misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l'imprenditore, deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi ad assolvere normalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro......" (Cass. 4^ 3 marzo 1995, Grassi). Sul punto ebbero modo di intervenire anche le Sezioni Unite di questa Corte enunciando il principio secondo cui "al fine di escludere la responsabilità per reati colposi dei soggetti obbligati del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, ex art. 4 a garantire la sicurezza dello svolgimento del lavoro, non è sufficiente che tali soggetti impartiscano le direttive da seguire a tale scopo, ma è necessario che ne controllino con prudente e continua diligenza la puntuale osservanza (Cass. SU 21 maggio 1988, lori, RV. 181121; conforme Cass. 4^ 25.9.1995, Morganti, secondo cui le norme antinfortunistiche impongono al datore di lavoro una continua sorveglianza dei lavoratori allo scopo di prevenire gli infortuni e di evitare che si verifichino imprudenze da parte dei lavoratori dipendenti).
Nè rileva che nella concreta fattispecie possano esservi state anche responsabilità di altri soggetti, in aggiunta alla colpevole condotta omissiva quale contestata allo Z..

La prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorchè chi la invoca versa in re illicita, per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo;
giova ricordare al riguardo che le Sezioni Unite di questa Corte ebbero modo di precisare che il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi che l'ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera (Sez. Un., n. 5 del 25/11/1998 Ud. - dep. 11/03/1999 -Rv. 212577). Tanto meno la causa esimente è invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perchè si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perchè vi sarebbe stata, da parte di altri soggetti, una condotta anomala ed inopinata; chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui, così come condivisibilmente precisato nella giurisprudenza di legittimità: "In tema d'infortuni sul lavoro, il principio d'affidamento va contemperato con il principio di salvaguardia degli interessi del lavoratore "garantito" dal rispetto della normativa antinfortunistica; ne consegue che il datore di lavoro, garante dell'incolumità personale dei suoi dipendenti, è tenuto a valutare i rischi ed a prevenirli, e non può invocare a sua discolpa, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, eventuali responsabilità altrui" (in termini, Sez. 4, n. 22622 del 29/04/2008 Ud. - dep. 05/06/2008 - Rv. 240161).

L'errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte di terzi, o dello stesso lavoratore, non è invocabile, non solo per la illiceità della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l'evento, imputabile a colpa altrui, quando si è, come nel caso "de quo", nella possibilità in concreto di impedirlo: basti pensare che l'evento sarebbe stato evitato se solo lo Z. si fosse preoccupato di far rispettare le pur codificate previsioni di sicurezza, prima tra tutte quella relativa alla cintura, con imbracatura, da ancorarsi ad una guida rigida orizzontale. E' il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui.


Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.