Cassazione Penale, Sez. 3, 24 maggio 2011, n. 20502 - Doppio turno e infortunio mortale: non c'è responsabilità del dirigente se non viene provato con assoluta certezza il nesso causale
Responsabilità del dirigente di una srl, preposto alla sicurezza, per infortunio mortale di un autista che, in seguito a malore, aveva sbandato ed era precipitato lungo una scarpata con il proprio camion.
L'iter processuale inizia con un'assoluzione in primo grado e una condanna in secondo grado; successivamente la Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino che assolve l'imputato.
Ricorrono in Cassazione contro quest'ultima decisione le parti civili - Rigetto.
Afferma la Suprema Corte che la corte di merito - in sede di rinvio - si è correttamente adeguata ai principi dettati all'atto dell'annullamento della prima decisione di appello.
Il problema era quello di verificare sul piano probatorio in sede di rinvio la sussistenza o meno di cause o concause decisive nel decesso della vittima riconducibili con certezza alle mansioni espletate per conto dell'azienda per la quale lavorava.
Ora i giudici di appello hanno riesaminato la questione escludendo, con argomentazioni corrette ed incensurabili sul piano logico, di poter risalire alla causa del decesso ritenendo non esservi prova in atti certa per attribuire il decesso del dipendente ad iniziative censurabili sul piano colposo della ditta per la quale il (...) stava lavorando.
Le parti civili, insistendo sulla astratta possibilità di ipotizzare comportamenti colposi della ditta mostrano quindi, di non tenere conto del rilievo centrale di questa Corte all'atto dell'annullamento della precedente decisione e, cioè, della necessità di prova certa della sussistenza di eventuali profili di colpa.
In conclusione dunque ad un'affermazione di colpevolezza si sarebbe potuti pervenire solo nel caso di dimostrazione, al di là di ogni ragionevole dubbio, del nesso causale fra la morte e lo stress dovuto al sovraffaticamento del doppio turno.
Fatto
Con sentenza in data 21 ottobre 2005, il Tribunale di Mondovì assolveva, perché il fatto non sussiste, (...). "dirigente preposto per la normativa di sicurezza" della S.r.l. (...) dall'accusa di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in Paroldo il 16 novembre 1999 in danno di (...)
Quel giorno, (...) stava percorrendo la strada provinciale n. 54 in direzione di Ceva alla guida di un autoarticolato di proprietà della S.r.l. (...) che trainava un semirimorchio a cisterna di proprietà della (...). Giunto in Comune di Paroldo, in un tratto di strada in discesa, il (...) per cause imprecisate, aveva perso il controllo del veicolo e, alla velocità di 80 chilometri orari (rilevata dal disco del cronotachigrafo), aveva percorso circa 50 metri "in frenata" ed era "fuoriuscito sul lato destro della carreggiata", finendo la propria corsa, ribaltato, in una scarpata di oltre 70 metri dal piano viabile.
Si ipotizzava, pertanto, che il (...) (che aveva, poco prima, effettuato due soste nel giro di pochi minuti) fosse stato colto da un malore, attribuibile alla circostanza che quel giorno era stato assegnato dal (...) in contrasto con specifiche disposizioni aziendali, ad un doppio turno lavorativo.
Si addebitava, quindi, al (...) di "non avere ottemperato alle procedure di sicurezza aziendale riguardanti i turni di lavoro degli autisti".
Il primo giudice non aveva comunque ritenuto fondata l'ipotesi accusatoria, assumendo che non poteva escludersi che l'evento lesivo fosse stato determinato da cause diverse da quella indicata in imputazione.
La Corte di appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado, dichiarava (...) colpevole del reato ipotizzato e lo condannava, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla circostanza aggravante contestata, alla pena di mesi otto di reclusione, nonché a risarcire il danno alla parte civile (rimessione delle parti, ai sensi dell'art. 539 c.p.p., davanti al giudice civile per la liquidazione) ed a pagare alla stessa, a titolo di provvisionale, immediatamente esecutiva, la somma di Euro 250.000,00 sul rilievo che i responsabili della (...) pur avendo imposto limitazioni degli orari perché consapevoli del rischio derivante dal sovraffaticamento e “dall’usura psico-fisica", consapevolmente violavano dette auto-limitazioni, richiedendo agli autisti faticosi doppi turni.
Nell'affrontare il problema del rapporto di causalità tra l'anzidetta condotta colposa e l'evento, la corte di merito precisava che i periti non avevano potuto sciogliere i dubbi in ordine "alle ragioni ultime della fuoriuscita di strada dell'autocisterna" essendo certo soltanto che il veicolo avesse raggiunto, in discesa, la velocità di 80 chilometri orari, "del tutto eccessiva in quella situazione", e che il (...) avesse frenato per circa 50 metri, riuscendo soltanto ad effettuare una semicurva a sinistra (senza perdere il controllo del mezzo) ma non a ridurne la velocità. Tuttavia -secondo la Corte - non poteva essere questa la sola causa determinatrice dell'evento.
Neppure il malore o il colpo di sonno potevano escludere la sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta inosservante dell'imputato e l'evento. Anche a proposito del guasto all'impianto frenante o dei problemi di innesto delle marce poteva soltanto darsi spazio a congetture, inidonee a "recidere il nesso causale tra il colposo affidamento del veicolo al (...) ed il suo decesso".
Avverso la predetta decisione ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo del difensore, chiedendone l'annullamento sul rilievo che la Corte di appello aveva errato "nella ricostruzione del nesso causale, dando per accertati fatti assolutamente privi di qualsivoglia riscontro probatorio" e che pretese difficoltà di prova non potevano legittimare un'attenuazione del rigore nell'accertamento del nesso di causalità.
La Sezione IV di questa Corte accoglieva il ricorso ritenendo in particolare fondati i motivi del ricorso che censuravano l'affermata sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta colposa addebitata all'imputato e la morte di (...)
Nell'occasione la Corte, dopo avere ribadito che la verifica della causalità dell'azione postula il ricorso al cd. giudizio controfattuale, nel senso che:
a) l'azione umana è condizione necessaria dell'evento se, eliminata materialmente dal novero dei fatti realmente accaduti, l'evento non si sarebbe verificato;
b) l'azione umana "non è condizione necessaria dell'evento se, eliminata materialmente mediante il medesimo procedimento, l'evento si sarebbe egualmente verificato; affermava che il problema della causalità penalmente rilevante non era stato adeguatamente affrontato dalla sentenza impugnata.
Si rilevava, infatti, che benché le ragioni dell'accaduto potessero essere molteplici ed una sola di esse (la stanchezza, quindi il colpo di sonno o il malore) avrebbe potuto essere causalmente ricollegabile alla violazione addebitata all'imputato, la corte di merito si era mostrata appagata nell'affermare che la condotta addebitata al (...) indubbiamente connotata da grave colpa, avesse comunque avuto un ruolo concausale e non potesse, in altre parole, non aver contribuito, almeno in parte, a cagionare l'evento. E si sottolineava anche che il richiamo alla nozione di concausa non può prestarsi ad aggirare le difficoltà probatorie sul punto della sussistenza del nesso causale.
La decisione impugnata veniva, pertanto, annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino per rinnovare la valutazione degli elementi probatori alla luce dei principi affermati, avvertendo che se, all'esito del rinnovato ragionamento indiziario, non fosse risultata giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta dell'imputato era stata, nei termini sopra indicati, condizione necessaria dell'evento lesivo, la Corte territoriale avrebbe dovuto trarne le inevitabili conseguenze, alla luce dell'insegnamento secondo cui l'incertezza, o comunque l'insufficienza, del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all'evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta dell'imputato rispetto ad altri possibili fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell'ipotesi prospettata dall'accusa e l'esito assolutorio del giudizio (v. Cass. S.U. 10 luglio 2002, Franzese).
In sede di rinvio la Corte di appello di Torino confermava la decisione del tribunale di Mondovì evidenziando come l'istruttoria avesse consentito tra l'altro di accertare che il numero di ore di guida era ancora inferiore al limite stabilito dalla normativa vigente che vi erano state anche due soste ravvicinate del (...); che le modalità di frenata non erano di univoca lettura; che non era possibile stabilire se le difficoltà di continuo controllo del mezzo erano legate a un fattore fisico del (...) o a un fattore tecnico; che non vi era stata perizia sul veicolo né autopsia; che il veicolo sembrava munito di pneumatici in ottimo stato; che non erano emersi rilievi circa il non funzionamento del veicolo e dell'impianto frenante.
Si rilevava nell'occasione che il dato saliente era comunque che non si disponeva di accertamenti tecnici sul veicolo né di perizia medica sulla vittima e dunque non si era in grado di stabilire con certezza nel contesto di fatto già ricostituito dal tribunale la causa della condotta di guida del (...) che aveva originato l'uscita del veicolo di strada e la morte del conducente.
E, dunque, non essendo le circostanze oggettive suscettibili di suffragare l'affermazione in termini di certezza della derivazione causale del sinistro da stanchezza e, in particolare, dalla violazione della regola cautelare contestata, l'imputato doveva essere assolto, potendo le cause del sinistro essere state molteplici.
Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione le parti civili (...), (...), (...), (...) asserendo che il giudice del rinvio avrebbe travisato le indicazioni fornite dalla Suprema Corte, omettendo di rispondere adeguatamente sui temi sollevati; che il (...) era stato formalmente istruito e che, i casi erano due:
a) o il (...) come seriamente ipotizzato dei periti e dai CT di parte aveva avuto un momentaneo abbandono del mezzo per un malore o un colpo di sonno imputabile razionalmente ed oggettivamente alle 18 ore al giorno trascorse fuori casa a lavorare con impegno lavorativo costante nelle ultime settimane,
b) oppure che avesse tenuto in quel tratto di strada una velocità non consona ed avesse perso il controllo del mezzo. Era allora su questo specifico tema che avrebbe dovuto concentrarsi l'analisi del giudice di merito e non poteva confermarsi né sostenersi, come fatto dal giudice di primo grado che il (...) potesse essere deceduto anche per infarto e/o ictus ovvero per un'altra patologia contratto congenita, ovvero per un guasto del mezzo.
Il (...) tramite il proprio difensore, ha replicato con memoria ex articolo 121 c.p.p. evidenziando tra l'altro come rivalutando con estremo rigore ed attenzione le risultanze istruttorie processuali, si rilevava che tanto il malore quanto il colpo di sonno erano rimasti semplici ipotesi; che il giorno precedente al sinistro il I \l non aveva nemmeno guidato e che correttamente la Suprema Corte aveva richiesto rigore nell'accertamento causale ed ha concluso che, non essendo possibile escludere con assoluta certezza processuale che altre cause potessero avere cagionato l'evento, non si poteva ritenere oltre ogni ragionevole dubbio che il decesso del (...) fosse da ricondurre al comportamento tenuto dal (...)
Diritto
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
In realtà la corte di merito - in sede di rinvio - si è correttamente adeguata ai principi dettati all'atto dell'annullamento della prima decisione di appello.
Il problema era quello di verificare sul piano probatorio in sede di rinvio la sussistenza o meno di cause o concause decisive nel decesso della vittima riconducibili con certezza alle mansioni espletate per conto dell'azienda per la quale lavorava.
Ora i giudici di appello hanno riesaminato la questione escludendo, con argomentazioni corrette ed incensurabili sul piano logico, di poter risalire alla causa del decesso ritenendo non esservi prova in atti certa per attribuire il decesso del dipendente ad iniziative censurabili sul piano colposo della ditta per la quale il (...) stava lavorando.
E' incensurabile sul piano logico, infatti, l'affermazione della Corte di appello di Torino che in sede di rinvio ha ritenuto insuperabile l'assenza di autopsia o di altra perizia medica sulla vittima nonché di perizia sul mezzo per addivenire a certezze probatorie sulla eziologia dell'evento.
Ed è senz'altro convincente sul medesimo piano la considerazione secondo cui tali accertamenti si sarebbero resi a maggior ragione necessari in presenza di elementi privi di valenza accusatoria per il (...) essendo emerso che il numero di ore di guida fosse in realtà ancora inferiore al limite stabilito dalla normativa vigente per effetto di due soste ravvicinate dell'automezzo; che le modalità di frenata non erano di univoca lettura; che il veicolo sembrava munito di pneumatici in ottimo stato e che nulla era emerso circa il cattivo funzionamento del veicolo o dell'impianto frenante.
Le parti civili, insistendo sulla astratta possibilità di ipotizzare comportamenti colposi della ditta mostrano quindi, di non tenere conto del rilievo centrale di questa Corte all'atto dell'annullamento della precedente decisione e, cioè, della necessità di prova certa della sussistenza di eventuali profili di colpa.
Soprattutto, finiscono per sostanziarsi in una contestazione implicita e generica circa la necessità degli accertamenti peritali ritenuti indispensabili dalla corte di appello, laddove invece è notoriamente precluso in questa sede l'esame del merito della valutazione, né vengono indicati elementi di valutazione decisivi indebitamente trascurati dai giudici di appello in sede di rinvio o accertamenti vanamente a questi ultimi sollecitati per colmare il vuoto probatorio.
Nei termini descritti il ricorso deve essere pertanto respinto, con conseguente condanna alle spese per le parti ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.