Corte di Appello di Trieste, Sez. 1, 29 marzo 2011 - Utilizzo di una scala a pioli invece di un ponteggio


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE
PRIMA SEZIONE PENALE


La Corte d'Appello di Trieste, I Sezione penale, composta dai Magistrati:
1. dr. Francesca Morelli - Presidente
2. dr. Donatella Solinas - Consigliere
3. dr. Paolo Vascotto - Consigliere


Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dalla dott.ssa Donatella Solinas sentiti il Pubblico Ministero e il difensore dell'appellante non comparso, ha pronunciato il 23 marzo 2011 la seguente
 

sentenza

 


nella causa penale contro
Mo.Lu.Gi., nato il (...) a Cividale al Piano (BG), (...)
- libero contumace -
IMPUTATO
Per il reato di cui all'art.:
590 c.p. perché, in qualità di datore di lavoro di Gr.AI. quale procuratore generale della C.M: Co. di Ma.Ca., cagionava al predetto lesioni personali gravi - malattia della durata di 124 giorni; in particolare per negligenza, imprudenza, imperizia e con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 36 bis co. 3 D.L.vo 626/94), operando nel cantiere di Trieste - Campo San Giacomo - per la realizzazione di un parcheggio interrato a quattro livelli, ometteva di disporre e garantire che per l'esecuzione del lavoro in quota affidato a Gr.AL, (livellamento di un muro alto m. 2,50 ed eliminazione delle sbavature di cemento, mediante utilizzo di mazzetta e scalpello, in vista del successivo innalzamento del muretto) venisse utilizzato un idoneo ponteggio anziché una scala a pioli, con la conseguenza che in data 06.07.2006 Gr. iniziava a salire sul muro utilizzando una scala a pioli e poggiava il piede sulla sommità del muro facendo presa con le mani sui ferri di ripresa, quando improvvisamente il piede scivolava e Gr. cadeva verticalmente sui ferri di ripresa uno dei quali gli trapassava il torace, provocandogli le lesioni sopra indicate (ferita da punta in sede emitoracica sinistra, trauma commotivo al capo, trauma contusivo alla spalla sinistra, ed al rachide lombare nonché contusioni escoriate multiple). Con l'aggravante delle lesioni gravi commesse con violazione delle norme perla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

APPELLANTE:
l'imputato avverso la sentenza del Tribunale di Trieste dd. 26,06.2009 che, visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. lo dichiarava colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
CONCLUSIONI DEL P.M. Conferma della sentenza di primo grado
CONCLUSIONI DELLA DIFESA: Accoglimento dei motivi di appello.

 

FattoDiritto

 


1. Con sentenza in data 26/6/2009 il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, affermava la penale responsabilità di Mo.Lu.Gi. con riferimento al reato di cui al capo di imputazione ed esclusa per i numerosi e gravi precedenti penali la concessione delle attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.


Il giudice di primo grado perveniva alla dichiarazione di colpevolezza sulla base delle testimonianze assunte e della documentazione acquisita.

2. Avverso tale sentenza proponeva rituale appello l'imputato per il tramite del difensore fiduciario, formulando le seguenti doglianze:
1) omessa valutazione di fatti obiettivi e rilevanti; al proposito, si evidenziava come il Tribunale, dopo aver premesso che la dinamica dell'infortunio sarebbe in certa misura controversa, avrebbe concluso, basandosi essenzialmente sulle diverse, contraddittorie ed interessate dichiarazioni della persona offesa Gr., per la sussistenza di un nesso di causalità tra il fatto occorso al lavoratore e la violazione attribuibile al datore di lavoro Mo., consistita nel fare utilizzare una scala a pioli anziché un ponteggio; si richiamava la prodotta sentenza del tribunale di Trieste numero 279/09, di data 5/6/2009, resa nei confronti di Mo.Lu., imputato di una serie di violazioni accertate nell'ambito dello stesso fatto del 6/7/2006, poste in essere nel medesimo cantiere di Trieste e consistite nell'avere l'imputato disposto l'utilizzo di una scala a pioli per l'esecuzione di un lavoro in quota a rischio di caduta; nell'ambito di tale processo, il Pubblico Ministero avrebbe concluso per l'assoluzione perché il fatto non sussiste ed il tribunale, visto l'articolo 531 c.p.p. pronunciava sentenza di non doversi procedere, passata in giudicato, accertando, peraltro, che le violazioni sarebbero state rilevate all'interno di un cantiere edile predisposto e gestito dalla Ci. Costruzioni S.p.A. mentre la ditta Mo. vi si sarebbe trovata unicamente per eseguire delle lavorazioni oggetto di subappalto con solo cinque operai;
tale sentenza, a dire dell'appellante, avrebbe ritenuto che "tutte le strutture del cantiere compresa la scala a pioli da cui era caduto il lavoratore infortunatosi Gr.AI. erano nella disponibilità della Ci. Costruzioni alla quale l'Ass notificò tutte le prescrizioni relative alla messa in sicurezza del cantiere", alle quali sarebbe seguitoli regolare pagamento delle penali relative da parte della Ci,;
secondo la sentenza citata, testualmente, "la ditta rappresentata dal Mo. venne estromessa il giorno successivo all'accertamento del fatto", mentre, nella sentenza impugnata, con decisione non coerente e su richiesta conforme dello stesso P.M. (inteso quale medesima persona fisica), il Mo., quale rappresentante della C.M. sarebbe stato condannato, sul presupposto nesso di causalità tra la violazione dell'articolo 36 bis del D.L.vo 626/1994 ed il fatto;
inoltre, il tribunale, con la sentenza impugnata, avrebbe omesso di considerare che, nel caso specifico, pur avendo affermato, credendo al Gr., che sarebbe stato il Lo. a commissionargli l'esecuzione del lavoro durante il quale si era infortunato, sia il Gr. che gli altri quattro lavoratori della C.M. - procuratore Mo. - sarebbero passati nell'organizzazione ed alle dipendenze della ditta Ci. che li dirigeva a mezzo del geometra Lo.Wa., responsabile, altresì, del cantiere;
pertanto, il fatto lesivo del 6/7/2006, avrebbe dovuto essere riferito solo alla Ci. S.p.A, e non già al Mo., non più suo diretto datore di lavoro, atteso, peraltro, che l'imputato sarebbe andato soltanto sporadicamente in cantiere e che la ditta dal medesimo rappresentata sarebbe stata estromessa il giorno successivo al fatto; il difensore dell'appellante, evidenziava, riservandosi di fornirne prova, come sarebbe stata proprio la Ci. Co. S.p.A. a risarcire il danno subito dal lavoratore Gr.;
inoltre, secondo l'appellante, il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare la c.t.u. medica nonché lo stesso decreto di citazione a giudizio nel quale si contesta all'imputato che il Gr. "cadeva verticalmente sui ferri di ripresa, uno dei quali gli trapassava il torace"; si evidenziava l'inattendibilità ditale ricostruzione dei fatti, come prospettata dalla vittima nonché nella sentenza impugnata, atteso che, secondo l'appellante, l'operazione del salire sul muro, poggiando il piede sulla sommità, sarebbe una azione incompatibile con la pulitura e con quanto ritenuto dal giudice di primo grado, atteso che la azione di salire sulla scala -peraltro sufficientemente lunga, a dire dell'appellante - il mettere il piede, facendo presa con le mani sui ferri ed il cadere verticalmente su detti ferri implicherebbero una operazione taciuta, cioè il salire ed il trovarsi in piedi sul muro, per poi perdere l'equilibrio e cadere; l'ipotesi, prospettata dalla difesa del Mo., secondo la quale il Gr. avrebbe preso la scala per scavalcare il muro, al fine di recarsi a pranzo, sarebbe compatibile con l'orario del sinistro, la strada da seguire più lunga per uscire dal cantiere e costeggiarlo dal di fuori, la auto parcheggiata proprio dalla parte dove il lavoratore avrebbe scavalcato il muro;


2) Le conclusioni della sentenza appellata sarebbero contraddette dalle deposizioni scritte o verbalizzate ma erroneamente interpretate dal Tribunale;
in particolare, si richiamava la dichiarazione di richiesta di visita medica e certificazione per l'infortunio del lavoro firmata dal Gr., nella quale si legge, testualmente: "mentre usciva dal cantiere per recarsi alla pausa di pranzo cade da un muro di circa 3 m e si procura trauma trafitto emitorace sinistro";
la ricostruzione dei fatti prospettata dalla giudice di primo grado sarebbe incompatibile anche con le immagini fotografiche, in quanto nelle medesime non sarebbe visibile la feritoia praticata nella rete, sufficiente per consentire il passaggio di una persona; non sussisterebbe alcuna prova in ordine alla ritenuta sostituzione della scala utilizzata dal lavoratore in occasione del sinistro con altra idonea, più lunga, la quale, peraltro, avrebbe consentito il passaggio più comodo oltre il muro ma non la pulitura dello stesso che avrebbe dovuto interessare un lato od entrambi;
si richiamava la deposizione del teste Ma., secondo cui l'infortunato sarebbe stato all'interno del vano scala, ove "stava facendo la rete sul muro....stava inchiodando i pannelli", svolgendosi l'azione in un unico contesto e non, come, invece, ritenuto dal Tribunale, "all'inizio della giornata lavorativa";
inoltre, secondo quanto riferito dallo stesso Gr., sarebbe stato il Lo. a commissionargli, in un momento successivo, ma in giornata, l'esecuzione del lavoro durante il quale sarebbe avvenuto l'infortunio; le deposizioni testimoniali del Ma. e del Lo. avrebbero consentito di ritenere il passaggio dei lavoratori della C.M. nell'organizzazione della Ci.;

3) il Tribunale avrebbe, poi, respinto due istanze istruttorie formulate dalla difesa, alle quali si sarebbe opposto il Pubblico Ministero e concernenti l'audizione di tale Ai.Mo. e l'espletamento di una CTU sulla rete e sul muro dove è avvenuto l'incidente al fine di accertare le caratteristiche e la specifica funzione del manufatto nonché l'effettiva necessità di eseguire operazioni di pulitura sullo stesso;
in definitiva, il difensore dell'appellante chiedeva che la Corte d'appello, in riforma della sentenza impugnata, assolvesse l'imputato dal reato ascrittogli, ai sensi dell'articolo 530 n. 1 ed in subordine n. 2 c.p.p.;
in via subordinata ed istruttoria, ammettersi la c.t.u. sopra di carta e procedersi alla audizione del teste AI.Mo., individuabile dal fascicolo del P.M. del Tribunale di Trieste pag.169, allegato 4.

3. All'udienza del 23/3/2011, procedutosi nella contumacia dell'imputato, effettuata la relazione, il Procuratore Generale concludeva chiedendo la conferma dell'impugnata sentenza, mentre il difensore dell'imputato chiedeva l'accoglimento del proposto appello.


4. L'appello non può essere accolto.

Invero appare corretta - anche agli effetti della valutazione di palese insussistenza delle condizioni per la pronuncia di una sentenza ai sensi dell'art. 129 c.p.p. - l'affermazione di responsabilità, operata dal primo Giudice a seguito di un'esatta ricostruzione dei fatti e dei principi giuridici applicabili, sicché a quella decisione la Corte può fare tranquillante rinvio per tutte le parti appresso non specificatamente trattate.
Per quanto concerne le doglianze dell'appellante, valgono le seguenti considerazioni:
Circa la dinamica del fatto, si condividono e richiamano integralmente, in questa sede, le argomentazioni espresse nella sentenza impugnata;
infatti, alla luce delle sostanzialmente concordi dichiarazioni della parte offesa (la quale ha costantemente fornito identica versione sin dalla proposizione della denuncia querela in atti) e dei testi Pi. Nu., collega di lavoro del Gr., e Ba.Da., Funzionario dell'Unità Operativa di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro dell'A.S.S. n. 1 di Trieste, può ritenersi provato, con sufficiente margine di certezza, che il lavoratore si è procurato le lesioni mentre si trovava a fare delle misurazioni e delle pulizie al muro di cemento armato locato di fronte alla Farmacia di Campo S. Giacomo: "per fare questo tipo di lavoro, prima salivo su una scala da ponteggio, non in alluminio e poi rimanevo in piedi sopra una parte di muro. Ad un certo punto avevo, ponevo una gamba sulla scala e l'altra sul muro, praticamente ero in bilico. Per un motivo che adesso non so riferire mi sbilanciavo, scivolavo andando ad infilzarmi su un ferro ... che sporgeva dal muro sottostante. Dopo la caduta non riuscivo comunque a togliermi dal ferro e subito dopo cadevo indietro perdendo conoscenza"; tale dinamica trova ulteriori elementi di riscontro nel tipo di lesioni subite dal Gr., provocate da una caduta verticale sui ferri di ripresa, uno dei quali gli trapassava il torace: infatti, contrariamente rispetto a quanto prospettato dalla difesa dell'appellante, il cadere verticalmente su detti ferri non implica che il lavoratore si trovasse in piedi sul muro, atteso che, invece, per effettuare le operazioni di pulitura del muro, al momento del sinistro, il Gr. si trovava come a cavallo del muro in oggetto, cioè in posizione sopraelevata rispetto allo stesso e con un piede appoggiato sull'ultimo piolo della scala troppo corta e l'altro sopra il muro, posizione, pertanto compatibile con le modalità di caduta sui ferri di ripresa e con il posizionamento del corpo della vittima;
l'utilizzo di una scala troppo corta, con caratteristiche differenti rispetto a quella più lunga rinvenuta sul posto da ai funzionari dell'A.s.s, appare comprovato dalla descrizione della posizione specifica al momento del verificarsi dell'infortunio, come fornita dalla stessa vittima; circa, poi, l'irrilevanza sostanziale - al fine di smentire la predetta ricostruzione dell'evento lesivo - delle ulteriori deposizioni testimoniali assunte nonché del documento INAIL concernente la richiesta di visita medica e certificazione per l'infortunio sul lavoro sottoscritto dal Gr., si richiamano, specificamente, le esaurienti e logiche motivazioni al proposito contenute nella sentenza di primo grado; non possono condividersi le argomentazioni prospettate dalla difesa del Mo. in ordine ad una pretesa inconfigurabilità in capo al prevenuto della penale responsabilità per l'infortunio in oggetto, attribuibile, invece, a dire dell'appellante, alla Ci.Co.: al proposito, si richiamano, infatti, i prevalenti ed anche recentemente ribaditi orientamenti della giurisprudenza, secondo i quali "In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di osservanza delle norme antinfortunistiche, con specifico riferimento all'esecuzione di lavori in subappalto all'interno di un unico cantiere edile predisposto dall'appaltatore, grava su tutti coloro che esercitano i lavori, quindi anche sul subappaltatore interessato all'esecuzione di un'opera parziale e specialistica, che ha l'onere di riscontrare ed accertare la sicurezza dei luoghi di lavoro, pur se la sua attività si svolga contestualmente ad altra, prestata da altri soggetti, e sebbene l'organizzazione del cantiere sia direttamente riconducibile all'appaltatore, che non cessa di essere titolare dei poteri direttivi generali" (Sez. 4, Sentenza n. 42477 del 16/07/2009 Rv. 245786; Massime precedenti Conformi: n. 14429 del 1990 Rv. 185668, n. 1992 del 1994 Rv. 197555, n. 2748 del 1998
Rv. 210174, n. 32943 del 2004 Rv. 229084, n. 5977 del 2006 Rv. 233245, n. 21471 del 2006 Rv. 234149).

 
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, appare irrilevante la mera circostanza che il risarcimento al lavoratore infortunato sia stato effettuato dalla Ci. e che la A.s.s. abbia notificato tutte le prescrizioni relative alle strutture di cantiere alla ditta medesima, nella cui disponibilità sarebbero state tali strutture;
neppure è fornita di rilevanza decisiva la sentenza del Tribunale di Trieste di data 2/3/2009, richiamata dalla difesa dell'appellante, atteso che tale pronuncia si è limitata a dichiarare non doversi procedere nei confronti del Mo. per essere i reati estinti ex artt. 19 e segg. D.L.vo n. 758/95, evidenziandosi, altresì, specificamente, che tale sentenza non ha, comunque, escluso ma ha dichiarato "incerta" la eventuale responsabilità del Mo..
I sufficienti elementi in atti rendono superfluo l'espletamento dell'ulteriore attività istruttoria prospettata dalla difesa dell'appellante, con conseguente rigetto del gravame condanna dell'appellante al pagamento delle spese inerenti il presente grado di giudizio.

 

P.Q.M.

 


la Corte d'Appello di Trieste Prima Sezione penale visti gli artt. 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza del Tribunale di Trieste di data 26.6.09, appellata da Mo.Lu.Gi. che
condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Trieste, il 23 marzo 2011.
Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2011.