Categoria: Cassazione penale
Visite: 12655

Cassazione Penale, Sez. 4, 18 maggio 2011, n. 19553 - Infortunio e nozione di luogo di lavoro


 

 

Responsabilità del legale rappresentante di una s.n.c. per il delitto di lesioni colpose aggravate commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente N. G.

 

 

 

Era accaduto che N., incaricato dall'imputato di recarsi presso la sede di altra società allo scopo di valutare i lavori da eseguire per lo smontaggio di alcune strutture (celle frigorifere ed altri impianti) site presso uno stabilimento non più in uso, al fine di formulare un preventivo alla ditta committente, durante il sopralluogo, salito, utilizzando una scala metallica, sulla copertura di una cella frigorifera alta cinque metri, era scivolato, pur avendo indossato delle scarpe antiscivolo, ed era precipitato per terra riportando la frattura del calcagno.

Condannato in primo grado, viene assolto in appello perchè il fatto non costituisce reato.

 

 

 

La parte civile N. ricorre in Cassazione - La Corte annulla la sentenza impugnata ai fini civili, con rinvio al giudice civile competente.

Osserva la Corte che le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del gravame sono incoerenti e non rispettose di specifiche norme prevenzionali.

La Suprema Corte afferma che a nulla rileva, ai fini della verifica delle responsabilità dell'odierno imputato in relazione alla contestata violazione di norme antinfortunistiche, che il manufatto nei confronti del quale è stato disposto l'intervento del N. fosse di pertinenza di terzi; così come nulla rileva la ragione per la quale allo stesso lavoratore è stato dato incarico di portarsi nello stabilimento della società possibile committente. Ciò che rileva è che il lavoratore si è recato presso lo stabilimento di detta società su ordine impartitogli da chi evidentemente ricopriva, all'interno dell'azienda, un ruolo che gliene dava facoltà e che egli si sia infortunato mentre era intento a svolgere il compito assegnatogli.

Nè può sostenersi, con il giudice del gravame, che le norme poste a tutela dei lavoratori dai rischi di caduta dall'alto - laddove i lavori si svolgano ad altezza dal suolo superiore ai due metri - riguardino solo il luogo ove usualmente si svolge l'attività aziendale. In realtà, per luogo di lavoro, tutelato dalla normativa antinfortunistica, deve intendersi qualsiasi posto in cui il lavoratore acceda, anche solo occasionalmente, per svolgervi le mansioni affidategli, e che nella ratio della normativa antinfortunistica, il riferimento ai "luoghi di lavoro" ed ai "posti di lavoro" non puo' che riguardare qualsiasi posto nel quale concretamente si svolga l'attività lavorativa.

"Nel caso di specie, non v'è dubbio che lo stabilimento ed i manufatti della " Ga. To. " fossero divenuti per il N. "luogo di lavoro", sia pure per il breve lasso di tempo necessario per eseguirvi gli accertamenti commissionatigli dal datore di lavoro, nel senso inteso dalla richiamata normativa, e che allo stesso, nello svolgimento di tale incarico, avrebbe dovuto esser assicurata la disponibilità delle misure di sicurezza necessarie ad evitare che rimanesse vittima di infortuni. In particolare, di quelle misure dirette ad evitare cadute dall'alto". "Misure che, peraltro, non necessariamente avrebbero dovuto essere rappresentate da impalcature o da altre tra le strutture indicate nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1995, articolo 27 ma che ben avrebbero potuto esser di diversa natura, purchè idonee ad evitare cadute. Si sarebbe, ad esempio, potuto ricorrere, in un contesto di doverosa verifica dei rischi connessi con il richiamato incarico e di aggiornamento delle conseguenti misure di protezione (cui si fa anche corretto riferimento nel capo d'imputazione attraverso il richiamo all'articolo 4, comma 5, lettera b), all'uso di piattaforme mobili autotrasportate o di cinture di sicurezza; misure di carattere generale ed imperativo che devono obbligatoriamente essere adottate in tutti i casi i cui il lavoratore sia esposto ai rischi di caduta dall'alto."

Quanto infine alla non riconosciuta, da parte del giudice del gravame, posizione di garanzia ricoperta nella vicenda in esame dall'imputato, osserva la Corte che condivisibili sono, anche sul punto, le censure proposte dalla parte civile ricorrente.

In realtà, ove anche erroneamente fosse stato indicato l'imputato quale rappresentante legale, cio' non varrebbe ad escluderne la responsabilità per l'infortunio occorso al N. , posto che, in tema di infortuni sul lavoro, l'accertamento della qualità di destinatario delle norme antinfortunistiche va condotto con riferimento alle mansioni in concreto svolte e alla specifica sfera di responsabilità attribuita; e dunque, prescindendo dalla riconducibilità al soggetto di una veste istituzionale all'interno dell'impresa, tale qualità non può non essergli riconosciuta allorchè egli si comporti, di fatto, come se l'avesse, impartendo disposizioni nell'esecuzione di quali il lavoratore subisca danni per il mancato rispetto di norme prevenzionali.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

 

Dott. FOTI Giaco - rel. Consigliere

 

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

 

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere

 

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

 

1) N. G. N. IL (Omissis);

 

avverso la sentenza n. 1957/2008 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 09/11/2009;

 

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

 

udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

 

udito il P.G. in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per l'annullamento con rinvio al giudice civile;

 

udito, per la parte civile, l'avv. Gattai che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.

 

 

Fatto

 

-1- Con sentenza del 7 febbraio 2008 il giudice monocratico del Tribunale di Prato, procedendo nelle forme del rito abbreviato, ha dichiarato L. G. colpevole, quale legale rappresentante della " Au. Pr. Re. s.n.c.", del delitto di lesioni colpose aggravate commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente N. G. , e lo ha condannato, applicata la diminuente del rito, alla pena di otto mesi di reclusione e 600,00 euro di multa, nonchè al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore della parte civile costituita, alla quale ha assegnato una provvisionale di 70.000,00 euro.

 

In fatto, era accaduto che il N., incaricato dal L. di recarsi presso la sede della " Ga. To. s.r.l." allo scopo di valutare i lavori da eseguire per lo smontaggio di alcune strutture (celle frigorifere ed altri impianti) site presso uno stabilimento non più in uso, al fine di formulare un preventivo alla ditta committente, durante il sopralluogo, salito, utilizzando una scala metallica, sulla copertura di una cella frigorifera alta cinque metri, era scivolato, pur avendo indossato delle scarpe antiscivolo, ed era precipitato per terra riportando la frattura del calcagno.

 

Il giudice ha ritenuto che l'infortunio dovesse ascriversi a responsabilità dell'imputato che per colpa generica e specifica, quest'ultima consistente nella violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1995, articolo 27 e del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, non avendo adottato le misure necessarie a garantire la sicurezza del lavoratore, aveva causato la caduta del N. e le lesioni dallo stesso riportate. In particolare, richiamata la norma generale dell'articolo 2087 c.c. - che prevede per l'imprenditore l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, siano necessarie a tutelare l'integrità fisica e morale del lavoratore - è stato addebitato all'imputato di non avere provvisto il tetto della cella frigorifera di parapetti con arresto al piede, ovvero di non avere predisposto altre equivalenti misure di sicurezza idonee a prevenire cadute dall'alto.

 

-2- Su appello proposto dall'imputato, la Corte d'Appello di Firenze, con sentenza del 9 novembre 2009, in riforma della decisione impugnata, ha assolto il L. perchè il fatto non costituisce reato.

 

A giudizio della corte territoriale, incongrua sarebbe la pretesa di addebitare all'imputato la mancata predisposizione di opere di sicurezza su beni di proprietà altrui, in specie di strutture fisse, come parapetti e fermapiedi, solo per consentire un semplice sopralluogo. L'articolo 27, citato Decreto del Presidente della Repubblica ha sostenuto la stessa corte, è volto ad assicurare l'idoneità dei luoghi ove usualmente viene svolta l'attività lavorativa, di guisa che non sarebbe pertinente il suo accostamento ad un manufatto, appartenente a terzi, che, eventualmente, avrebbe potuto solo essere oggetto di successivi interventi volti allo smontaggio ed alla rimozione dello stesso. Ancor meno pertinente sarebbe il richiamo all'articolo 4, comma 5 del citato Decreto Legislativo che prevede per il datore di lavoro l'obbligo di aggiornare le misure antinfortunistiche in relazione ai mutamenti organizzativi aventi rilievo ai fini della sicurezza. Il N. , incaricato solo di svolgere un sopralluogo preliminare finalizzato alla stesura di un preventivo di spesa da consegnare al committente, avrebbe dovuto svolgere solo una valutazione "ab externo" dello stato dei luoghi, rispetto alla quale non era agevole considerare, anche solo in termini di mera eventualità, l'esigenza di salire sopra la copertura della cella frigorifera. Mentre, ove fosse stato necessario procedere alla visione della copertura, sarebbe stato sufficiente giungere all'altezza opportuna utilizzando la scala portatile della quale l'operaio era munito. L'evento lesivo, quindi, non sarebbe riconducibile, a giudizio della corte territoriale, al datore di lavoro, specie nei termini in cui è stato, in concreto, formulato l'addebito di colpa, e comunque, esso non sarebbe addebitabile all'imputato in vista della qualità di institore, non anche di amministratore della società, dallo stesso ricoperto.

 

-3- Avverso detta sentenza propone ricorso, per il tramite del difensore, la parte civile N. G. , che deduce:

 

Erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 27.

 

Sostiene il ricorrente che, a differenza di quanto ha ritenuto la corte territoriale, l'articolo 27 è norma di carattere generale, il cui ambito di applicazione si estende a tutte le ipotesi di attività lavorativa che si svolga ad un'altezza superiore al metro e mezzo dal suolo; ne discende, quindi, secondo il ricorrente, che essa si deve applicare nel caso di specie, in cui l'attività lavorativa si è svolta, all'altezza di cinque metri, sulla copertura di una cella frigorifera nel corso delle operazioni preliminari e propedeutiche allo smontaggio. La giurisprudenza di legittimità, peraltro, aggiunge il ricorrente, individua il luogo di lavoro, ai fini delle norme di prevenzione degli infortuni, nel complesso dei luoghi in cui si svolge l'attività lavorativa, e quindi non solo nel cantiere o nello stabilimento in cui usualmente si svolge la specifica attività d'impresa, ma in qualsiasi altro luogo ove il lavoratore debba recarsi per esplicare le incombenze affidategli.

 

Sotto tale aspetto, il ricorrente svolge un ulteriore motivo di ricorso sotto il profilo del vizio di motivazione, pure riproposto con il terzo motivo, in relazione ancora alla ritenuta inapplicabilità al caso di specie della previsione di cui al richiamato articolo 27. Contesta, infine, il ricorrente la qualifica di institore attribuita all'imputato, che era ed è ancora l'amministratore della società, oltre che socio e dunque, per ciò solo, responsabile, essendo la " Au. " una società in nome collettivo. Conclude, quindi, chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata.

 

-4- I motivi di censura proposti sono fondati.

 

Dati di fatto certamente emersi e non contestati sono: a) che N. G. è dipendente della " Au. Pr. Re. s.n.c", di cui è socio, tra gli altri, l'imputato L. G. ; b) che il giorno dell'infortunio era stato lo stesso L. a dare disposizioni al N. perchè si recasse presso lo stabilimento, non più in uso, della " Ga. To. s.r.l." per accertare la natura e l'entità dei lavori necessari per eseguire lo smontaggio di alcune strutture interne prefabbricate, esistenti nello stabilimento (celle frigorifere, cappe di aspirazione ed altri impianti), al fine di predisporre un preventivo di spesa da sottoporre ai responsabili della predetta s.r.l.; c) che per eseguire il necessario sopralluogo, il lavoratore era stato munito, e comunque aveva portato con sè, delle scarpe antinfortunistiche ed una scala; d) che nel corso dell'ispezione, lo stesso lavoratore era salito, utilizzando una scala metallica, sul piano di copertura di una cella frigorifera, alta cinque metri, al fine di accertare il tipo di fissaggio della copertura stessa, per rendersi conto - egli ha sostenuto - delle modalità con le quali avrebbe dovuto eseguirsi l'eventuale successivo smontaggio; e) che nel corso dell'ispezione il N. era scivolato, benchè indossasse scarpe antiscivolo, ed era precipitato al suolo riportando le lesioni sopra descritte.

 

Orbene, tali essendo le premesse in fatto, osserva la Corte che le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici del gravame sono incoerenti rispetto alle stesse e non rispettose di specifiche norme prevenzionali.

 

1) Incoerente è, anzitutto, l'argomentare della corte territoriale, laddove la stessa ha reputato incongruo ed astratto l'addebito, rivolto in tesi d'accusa al datore di lavoro del N. , di avere omesso di dotare i manufatti oggetto di verifica - nella specie, la cella frigorifera dalla quale è precipitato il lavoratore - di strutture fisse, per evitare i rischi di caduta dall'alto, quali parapetti e tavole ferma piedi; un tal tipo di intervento, ha sostenuto la stessa corte, sarebbe improponibile in quanto avrebbe dovuto eseguirsi su manufatti di proprietà di altri, sui quali avrebbe dovuto eseguirsi solo un sopralluogo. Erronea, poi, si presenta la ritenuta non applicabilità delle disposizioni dettate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 27 (oltre che quelle del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera b), posto che esse sarebbero volte, secondo i giudici del gravame, a prevenire cadute dall'alto con riferimento esclusivo ai luoghi ove l'attività lavorativa usualmente si svolge, non anche ad un manufatto sito fuori dai locali dell'azienda che avrebbe solo potuto essere oggetto di una successiva attività di smontaggio e di rimozione.

 

In realtà, osserva questa Suprema Corte che nulla rileva, ai fini della verifica delle responsabilità dell'odierno imputato, in relazione alla contestata violazione di norme antinfortunistiche, che il manufatto nei confronti del quale è stato disposto l'intervento del N. fosse di pertinenza della " Au. " ovvero di terzi; cosi' come nulla rileva la ragione per la quale allo stesso lavoratore è stato dato incarico di portarsi nello stabilimento della società possibile committente.

 

Ciò che rileva è che il lavoratore si è recato presso lo stabilimento di detta società su ordine impartitogli da chi evidentemente ricopriva, all'interno dell'azienda, un ruolo che gliene dava facoltà e che egli si sia infortunato mentre era intento a svolgere il compito assegnatogli.

 

Nè può sostenersi, con il giudice del gravame, che le norme poste a tutela dei lavoratori dai rischi di caduta dall'alto - laddove i lavori si svolgano ad altezza dal suolo superiore ai due metri - riguardino solo il luogo ove usualmente si svolge l'attività aziendale. In realtà, per luogo di lavoro, tutelato dalla normativa antinfortunistica, deve intendersi qualsiasi posto in cui il lavoratore acceda, anche solo occasionalmente, per svolgervi le mansioni affidategli, e che nella ratio della normativa antinfortunistica, il riferimento ai "luoghi di lavoro" ed ai "posti di lavoro" non puo' che riguardare qualsiasi posto nel quale concretamente si svolga l'attività lavorativa.

 

Nel caso di specie, non v'è dubbio che lo stabilimento ed i manufatti della " Ga. To. " fossero divenuti per il N. "luogo di lavoro", sia pure per il breve lasso di tempo necessario per eseguirvi gli accertamenti commissionatigli dal datore di lavoro, nel senso inteso dalla richiamata normativa, e che allo stesso, nello svolgimento di tale incarico, avrebbe dovuto esser assicurata la disponibilità delle misure di sicurezza necessarie ad evitare che rimanesse vittima di infortuni. In particolare, di quelle misure dirette ad evitare cadute dall'alto, essendo ben chiaro che la verifica delle modalità di smantellamento degli impianti della predetta società, sia pure al solo fine di predisporre un preventivo di spesa, implicava interventi in quota ed in condizioni di precaria stabilità, come peraltro attestato dal ricorso alle scarpe antinfortunistiche. Misure che, peraltro, non necessariamente avrebbero dovuto essere rappresentate da impalcature o da altre tra le strutture indicate nel Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 27 ma che ben avrebbero potuto esser di diversa natura, purchè idonee ad evitare cadute. Si sarebbe, ad esempio, potuto ricorrere, in un contesto di doverosa verifica dei rischi connessi con il richiamato incarico e di aggiornamento delle conseguenti misure di protezione (cui si fa anche corretto riferimento nel capo d'imputazione attraverso il richiamo all'articolo 4, comma 5, lettera b), all'uso di piattaforme mobili autotrasportate o di cinture di sicurezza; misure di carattere generale ed imperativo che devono obbligatoriamente essere adottate in tutti i casi i cui il lavoratore sia esposto ai rischi di caduta dall'alto.

 

Nè si presenta coerente con le emergenze probatorie in atti sostenere, come fa il giudice del gravame, che non fosse ipotizzabile l'esigenza di portarsi sulla copertura della cella frigorifera, laddove il lavoratore ha chiaramente spiegato che a ciò egli si era determinato al fine di verificare i tipi di fissaggio della copertura stessa; accertamento evidentemente connesso con la individuazione degli interventi da effettuare per eseguire lo smontaggio del manufatto, e dunque per stilare un preciso preventivo di spesa. In ogni caso, come già sopra rilevato, la stessa presenza delle scarpe antiscivolo si presenta indicativa della consapevolezza della necessità di dovere accedere, in condizioni di precario equilibrio, su postazioni sopraelevate; cosi' come a tal fine significativa è anche la presenza, segnalata nella sentenza impugnata, di una scala metallica portatile di cui il lavoratore, secondo il giudice del gravame, era stato munito. Mentre del tutto assertiva è l'osservazione dello stesso giudice secondo cui, per le verifiche relative ai sistemi di fissaggio della copertura della cella frigorifera, sarebbe stato sufficiente giungere all'altezza della stessa copertura sol utilizzando detta scala. Osservazione, quest'ultima, con la quale il giudice del gravame sembra voler sostenere, in termini di evidente illogicità, che per evitare qualsiasi rischio di caduta sarebbe bastato che il Nu. si fosse fermato in piedi sulla scala mobile una volta giunto ai 5 metri di altezza della copertura. Osservazione manifestamente illogica, laddove lo stesso giudice non ha considerato che la precarietà dell'appoggio fornito dalla scala, il precario equilibrio nel quale si trova chi l'adopera e la notevole altezza alla quale il lavoratore doveva comunque giungere per le necessarie verifiche, ponevano già a considerevole rischio l'operaio, chiaramente ed ancor più esposto al pericolo di cadute.

 

2) Quanto alla non riconosciuta, da parte del giudice del gravame, posizione di garanzia ricoperta nella vicenda in esame dall'imputato, osserva la Corte che condivisibili sono, anche sul punto, le censure proposte dalla parte civile ricorrente.

 

In realtà, ove anche erroneamente fosse stato indicato l'imputato quale rappresentante legale della " Au. ", cio' non varrebbe ad escluderne la responsabilità per l'infortunio occorso al N. , posto che, in tema di infortuni sul lavoro, l'accertamento della qualità di destinatario delle norme antinfortunistiche va condotto con riferimento alle mansioni in concreto svolte e alla specifica sfera di responsabilità attribuita (Cass. n. 47173/07); e dunque, prescindendo dalla riconducibilità al soggetto di una veste istituzionale all'interno dell'impresa, tale qualità non può non essergli riconosciuta allorchè egli si comporti, di fatto, come se l'avesse, impartendo disposizioni nell'esecuzione di quali il lavoratore subisca danni per il mancato rispetto di norme prevenzionali (Cass. n. 43343/02).

 

Orbene, nel caso di specie, a prescindere dalla considerazione secondo cui la responsabilità per violazioni commesse nell'ambito di una società in nome collettivo ricadono su ciascuno dei soci allorchè, come sembra sovvenuto nel caso di specie, non sia stato nominato un amministratore che abbia assunto su di sè la gestione della società e le relative responsabilità, è stato, comunque, pacificamente accertato, non solo che all'imputato era stata rilasciata procura institoria (che certamente lo ha in qualche modo preposto all'attività d'impresa - pur se, secondo quanto sostenuto nella sentenza impugnata, non gli ha conferito specifici poteri in tema di prevenzione di infortuni - e dunque in posizione certo sovraordinata rispetto ai lavoratori dipendenti della società), ma anche che è stato proprio l'imputato ad incaricare il N. di recarsi presso la sede della " Ga. To. " per eseguire sul posto i controlli e le verifiche finalizzati alla stesura di un preventivo di spesa. Circostanza, quest'ultima, che, da un lato, ribadisce, quantomeno, la posizione di gestore di fatto dell'azienda assunta dall'imputato, dall'altro, ne individua precise responsabilità nei confronti del N., nei termini ritenuti dall'accusa, per la mancata messa a disposizione del lavoratore dei presidi di sicurezza idonei ad evitare che lo stesso rimanesse vittima di infortuni.

 

In proposito, peraltro, questa Corte ha ripetutamente ribadito che: "Chiunque, in qualsi'asi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori cosi' da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve considerarsi automaticamente tenuto, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 4, ad attuare le prescritte misure di sicurezza e ad esigere che le stesse siano rispettate, non avendo rilevanza che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati, per un diverso ed autonomo titolo, dello stesso obbligo" (Cass. n. 2277/1998).

 

Ed ancora, che: "In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il conferimento della qualifica di preposto deve essere attribuita, più che in base a formali qualificazioni giuridiche, con riferimento alle mansioni effettivamente svolte nell'impresa. Ne consegue che chiunque abbia assunto, in qualsiasi modo, posizione di preminenza rispetto agli altri lavoratori, cosi' da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato, per cio' stesso, tenuto a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 4, all'osservanza ed all'attuazione delle prescritte misure di sicurezza ed al controllo del loro rispetto da parte dei singoli lavoratori" (Cass. nn. 11406/99 - 35666/07).

 

Deve, quindi, ammettersi, alla stregua di quanto sopra specificato, che il L. G. rivestiva, nella sostanza, quantomeno la qualità di preposto che aveva comunque impartito al N. l'ordine di recarsi presso la " Ga. To. " per gli incombenti sopra indicati e che, in quanto tale, aveva assunto nei confronti dello stesso una precisa posizione di garanzia, da cui nasceva l'obbligo per lo stesso di mettere a disposizione del lavoratore i mezzi di protezione necessari per l'adempimento dell'incarico senza rischi.

 

3) Si impone, quindi, l'annullamento della sentenza impugnata, limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio, ex articolo 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui deve rimettersi anche il regolamento, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Annulla la sentenza impugnata ai fini civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui demanda anche la regolamentazione delle spese tra le parti per questo giudizio.