Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 21 dicembre 2010, n. 44882 - L'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza si estende anche ai soggetti che hanno prestato il loro lavoro in favore dell'impresa in via autonoma


 

 

Responsabilità dell'amministratore unico di una società a responsabilità limitata per infortunio di un lavoratore intento, insieme ad un collega, allo smontaggio e alla rimozione dei pannelli di eternit su una tettoria di copertura di un capannone che non aveva resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione deducendo di aver affidato il lavoro ad un muratore, quindi lavoratore autonomo (C.), che aveva organizzato liberamente l'attività d'impresa, acquistando i materiali e scegliendo il personale che doveva aiutarlo nell'esecuzione, tra cui la vittima. - Inammissibile.

 

Nella sentenza oggetto di ricorso appare chiaro il percorso motivazionale che ha indotto i Giudici della Corte di Appello a ritenere che l'infortunio si sia verificato a causa della condotta dell'imputato, che ha consentito che il lavoratore rimuovesse i pannelli di eternit che costituivano la copertura del capannone senza rispettare le più elementari norme di sicurezza, in particolare senza previamente accertare che il tetto di copertura del capannone avesse resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai. Quanto alla circostanza secondo cui era altro il datore di lavoro, la Corte territoriale, con congrua motivazione, evidenzia sia il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa, che ha chiaramente affermato che egli lavorava alle dipendenze dell'imputato, in favore della quale aveva prestato attività lavorativa anche precedentemente, collaborando con il muratore C., che lo aveva contattato per conto dell'imputato per l'esecuzione di piccoli lavori di manutenzione, sia il contenuto delle dichiarazioni di A.C. e C.G., che hanno infine ammesso, pur dopo avere effettuato su sollecitazione dell'imputato dichiarazioni compiacenti sulla dinamica dell'incidente, che l'infortunio si era verificato perchè il R., mentre rimuoveva le lastre di eternit, era caduto dal tetto della vecchia fornace. La Corte territoriale infine rilevava, citando anche pertinente giurisprudenza, che, se anche si fosse ritenuto di accedere alla ricostruzione alternativa dei fatti fornita dall'imputato, la sua responsabilità in ordine all'infortunio non sarebbe venuta meno in virtù del principio secondo cui in materia infortunistica l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che hanno prestato il loro lavoro in favore dell'impresa in via autonoma.


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. MARINELLI Vincenzo - rel. Consigliere -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

 


sul ricorso proposto da:
1) M.P. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1058/2009 CORTE APPELLO di CALTANISSETTA, del 18/02/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/12/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI;
Udito il Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. FERRARA Carmelo Fabrizio del Foro di Gela che  insiste per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto

 


M.P. è stato condannato con sentenza emessa in data 10.06.2009 dal Tribunale di Gela in composizione monocratica alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di lesioni colpose in seguito ad infortunio sul lavoro in danno di R.G., infortunio avvenuto in (OMISSIS) e di cui D.Lgs. n. 277 del 1991, art. 50, comma 1, lett. a) e b).
Secondo l'accusa M.P. era responsabile, nella qualità di amministratore unico della "C. di M. s.r.l", esercente attività di lavorazione di argilla per laterizi e, pertanto, di datore di lavoro di R.G., di avere cagionato al predetto R. lesioni personali, dalle quali derivava una inabilità di lavoro superiore ai giorni quaranta. Lo stesso,infatti, mentre si trovava, nello svolgimento delle sue mansioni, sulla tettoia di copertura del capannone in cui lavorava, che non aveva resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai, intento con il collega C.G. allo smontaggio e alla rimozione dei pannelli di eternit che la costituivano, nel passare dall'una all'altra delle travi su cui poggiavano tali pannelli, per l'improvviso cedimento di uno di essi, cadeva rovinosamente sul solaio sottostante, procurandosi le lesioni di cui sopra.


Avverso la decisione del Tribunale di Gela ha proposto appello il difensore dell'imputato M.P..

 

La Corte di Appello di Caltanissetta, con la sentenza oggetto del presente ricorso emessa in data 18.02.10, confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Gela per quanto attiene alla posizione dell'imputato M. che condannava al pagamento delle spese processuali del grado.

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Caltanissetta il M. proponeva ricorso per Cassazione a mezzo del suo difensore e concludeva chiedendo di volerla annullare con rinvio, con ogni conseguente statuizione.


All'udienza pubblica del 10/12/2010 il ricorso era deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.

 

 

Diritto

 


Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per il seguente motivo:
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione; erronea applicazione dell'art. 2094 c.c. Secondo il ricorrente i giudici di merito non avevano correttamente valutato la deposizione della persona offesa R.G., da cui poteva desumersi che il suo effettivo datore di lavoro era C.G., che impartiva ordini e direttive e,quindi, diretto responsabile per avergli impartito un ordine esplicito, dell'infortunio occorsogli,nonchè autore di tutte le condotte omissive, a lui contestate erroneamente.
Affermava il ricorrente di avere affidato il lavoro ad un muratore,appunto il C., cioè ad un lavoratore autonomo che,di fatto, veniva a svolgere attività di impresa, il quale aveva organizzato liberamente la propria attività, acquistando i materiali di consumo e scegliendo personalmente i soggetti che dovevano aiutarlo nell'esecuzione della commessa. Secondo il M., pertanto, la sentenza impugnata non aveva interpretato correttamente l'art. 2094 c.c. che, per qualificare un rapporto di lavoro come subordinato, considera essenziali l'elemento del reclutamento e quello della subordinazione. Nella fattispecie di cui è processo, pertanto, avrebbe dovuto ravvisarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il R. e il C. e non già tra il R. e il M..


Il ricorso è palesemente infondato in quanto sostanzialmente basato su valutazioni di fatto.

La sentenza impugnata spiega molto bene le ragioni per cui si deve ritenere sussistente la responsabilità di M.P. in ordine ai reati ascrittigli. La stessa è conforme sul punto a quella emessa nel giudizio di primo grado e, pertanto, le due decisioni costituiscono un compendio motivazionale complesso rispetto al quale non è dato di riconoscere la denunciata contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione,come ritenuto dal ricorrente.
Le censure che investono la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione impongono una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza nel testo scritto dei vizi denunziati. Tutto ciò non è rintracciabile nel ricorso del M. che manca di qualsiasi considerazione per la confermata e integrata motivazione del Tribunale di Gela da parte della Corte di Appello di Caltanissetta, costitutiva del complesso motivazionale censurato, e lungi dall'individuare specifici difetti di risposta che costituirebbero la complessiva contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, si duole del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumula fatti che intenderebbero ridisegnare l'infortunio in chiave a lui favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.


Nella sentenza oggetto di ricorso appare infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto i Giudici della Corte di Appello di Caltanissetta a ritenere che l'infortunio si sia verificato a causa della condotta dell'imputato, che ha consentito che il R. rimuovesse i pannelli di eternit che costituivano la copertura del capannone senza rispettare le più elementari norme di sicurezza,in particolare senza previamente accertare che il tetto di copertura del capannone avesse resistenza sufficiente per sostenere il peso degli operai. Quanto alla circostanza secondo cui era il M. e non il C. il datore di lavoro del R., la Corte territoriale, con congrua motivazione, evidenzia sia il contenuto delle dichiarazioni della persona offesa R.G., che ha chiaramente affermato che egli lavorava alle dipendenze della ditta M., in favore della quale aveva prestato attività lavorativa anche precedentemente, collaborando con il muratore C., che lo aveva contattato per conto del M. per l'esecuzione di piccoli lavori di manutenzione,sia il contenuto delle dichiarazioni di A.C. e C.G., che hanno infine ammesso, pur dopo avere effettuato su sollecitazione del M. dichiarazioni compiacenti sulla dinamica dell'incidente, che l'infortunio si era verificato perchè il R., mentre rimuoveva le lastre di eternit, era caduto dal tetto della vecchia fornace. La Corte territoriale infine rilevava,citando anche pertinente giurisprudenza, che, se anche si fosse ritenuto di accedere alla ricostruzione alternativa dei fatti fornita dall'imputato M.P., la sua responsabilità in ordine all'infortunio non sarebbe venuta meno in virtù del principio secondo cui in materia infortunistica l'obbligo del datore di lavoro di garantire la sicurezza sul luogo di lavoro si estende anche ai soggetti che hanno prestato il loro lavoro in favore dell'impresa in via autonoma.


Pertanto nè rispetto ai capi nè rispetto ai punti della sentenza impugnata, nè rispetto all'intera tessitura motivazionale che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata assenza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.

 


Il ricorso proposto non va in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque esso è inammissibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.


P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2010