Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 09 giugno 2011, n. 23270 - Trabattello e infortunio sul lavoro in un cantiere comunale


 

  • Datore di Lavoro
  • Dirigente e Preposto
  •  

     

    Responsabilità di un datore di lavoro e di un caposquadra e preposto per infortunio sul lavoro di un imbianchino: il lavoratore, nello scendere da un trabattello utilizzandone i traversi delle spalle, scivolava, cadeva al suolo da una altezza di metri 1,40 circa ed urtava con il ginocchio destro su una tavola predisposta all'interno del trabattello.

    L'infortunato, lavoratore socialmente utile del comune di Assemini, il 16 luglio 2003 era stato impiegato in un cantiere comunale dal capo squadra per riparare una crepa sulla parete di un edifìcio ad una altezza di 3 metri.

     

    L'accusa consistiva nell'aver omesso di disporre e verificare che il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali venissero eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori e che i montanti del ponte metallico non venissero utilizzati per la salita e la discesa.

     

    Condannati in primo e secondo grado, ricorrono entrambi in Cassazione - Inammissibile.

     

     

    Afferma il Collegio che le omissioni del datore e del preposto non sono giustificate dalla semplicità di montaggio del trabattello: "questo doveva avvenire in modo da renderlo compatibile con l'inserimento della scala in dotazione o farsi ricorso ad altro tipo di attrezzatura o scala compatibile;" il nesso causale non è esaudibile in quanto non doveva essere comunque adoperato come scala il montante laterale, attesa la distanza tra i pioli e la condotta imprudente del lavoratore non può qualificarsi nè eccezionale nè imprevedibile.
    "A tanto si aggiunga che non è rilevante l'altezza alla quale si trovava l'infortunato al momento del fatto (mt. 1,90) poichè come già a suo tempo affermato da questa Corte, "ai fini dell'applicabilità delle specifiche norme di prevenzione contro gli infortuni di cui al
    D.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, art. 36, comma 1, art. 37, comma 1, e art. 38, comma 3, si deve tener conto esclusivamente dell'altezza complessiva dell'intero ponteggio"...

     

    Correttamente è poi stata attribuita sia al datore di lavoro che al preposto la responsabilità dell'infortunio, dal momento che il primo non mise a diposizione i dispositivi di sicurezza più adeguati, cioè uno strumento adeguato e conforme a legge per l'altezza del ponteggio (Cass. pen. Sez. 4^, n. 21593 del 2.4.2007, Rv. 236725) e, il secondo, non controllò la corretta esecuzione dei lavori di montaggio del trabattello (con inserimento della scala in dotazione all'interno di esso) e con uso appropriato dello stesso, e non si curò che non fossero adoperati per salire o scendere i montanti.

    Infatti il divieto imposto dal citato art. 38 di adoperare i montanti per salire e scendere dal ponteggio non era diretto solo al lavoratore, bensì, soprattutto, al datore di lavoro e al preposto.



    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE QUARTA PENALE
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
    Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente
    Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
    Dott. IZZO Fausto - Consigliere
    Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere
    Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere
    ha pronunciato la seguente:
    sentenza
     

    sul ricorso proposto da:
    1) B.A. N. IL (OMISSIS);
    2) L.A. N. IL (OMISSIS);
    avverso la sentenza n. 564/2008 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del 21/09/2010;
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
    udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giovanni Galati, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
     

     

    Fatto
     


    Con sentenza dibattimentale in data 28.2.2008 il Tribunale monocratico di Cagliari, sezione distaccata di Sanluri, dichiarava B.A. e L.A., il primo in qualità di responsabile della posizione organizzativa in base alla delibera 8.1.2003 del Comune di Assemini e quindi di datore di lavoro, ed il secondo di caposquadra e preposto, colpevoli del delitto di cui all'art. 590 c.p., comma 3, per avere cagionato un trauma contusivo al ginocchio, dal quale derivava una incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni, al lavoratore dipendente S.R., il quale, nell'esercizio delle sue mansioni di imbianchino, nello scendere da un trabattello utilizzandone i traversi delle spalle, scivolava, cadendo al suolo da una altezza di metri 1,40 circa ed urtando con il ginocchio destro su una tavola predisposta all'interno del trabattello, per colpa consistita in imprudenza, negligenza e violazione (abbandonata l'originaria contestazione per il B. della violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 22) per entrambi, del D.P.R. n. 164 del 1956, artt. 17 e 38, perchè omettevano di disporre e verificare che il montaggio e lo smontaggio delle opere provvisionali venissero eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori e che i montanti del ponte metallico non venissero utilizzati per la salita e la discesa (in (OMISSIS)).

    Con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla aggravante, gl'imputati venivano quindi condannati alla pena di 300 Euro di multa per ciascuno con i doppi benefici.


    Lo S., lavoratore socialmente utile del comune di Assemini, il 16 luglio 2003 era stato impiegato in un cantiere comunale dal capo squadra L.A. per riparare una crepa sulla parete di un edifìcio ad una altezza di 3 metri.

    Insieme ad altro operaio, A.S., aveva montato un trabattello di 3,5 metri di altezza, ponendo il primo piano per salire e poggiare la attrezzatura a un metro e quaranta cm. ed il secondo piano su cui lavorare ad un metro e novanta cm., dovendo scendere dal secondo piano per prendere il materiale aveva battuto il ginocchio tra la staffa ed il pannello montato per appoggiare l'attrezzatura, era sceso dai pioli perchè la scala in dotazione non era posizionabile all'interno del trabattello vista la altezza a cui erano stati posizionati i piani ed avevano perciò ritenuto di non montarla. Non aveva avuto alcuna formazione specifica per montare il trabattello, ma aveva 47 anni ed aveva lavorato in altre ditte edili.

     

    Il Tribunale, facendo proprie le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio Ing. C., riteneva che gli imputati avessero violato precise norme antinfortunistiche poichè il montaggio del trabattello era avvenuto senza la sorveglianza di un preposto, i pioli non potevano essere usati come scala verticale in quanto i traversi era posti ad una distanza superiore a quella massima consentita, non esistevano adeguate protezioni atte a impedire la caduta degli operai e non erano state utilizzate le misure di sicurezza. Dal suo canto il comportamento del lavoratore non poteva essere ritenuto eccezionale ed imprevedibile.

    Detta decisione veniva confermata dalla Corte di Appello di Cagliari con sentenza in data 21.9.2010.

     

    Avverso tale ultima sentenza propongono ricorso per cassazione sia L.A. che B.A., tramite il comune difensore di fiducia, ma con distinti ed identici atti.
    Deducono i seguenti motivi:

    1. la violazione di legge con riferimento al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 17, trovando le disposizioni di cui al capo IV del D.P.R. cit., diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata (secondo cui la norma si riferisce all'altezza alla quale si trovano i lavori e non a quella dei piedi del lavoratore), applicazione esclusivamente con riferimento alle attività lavorative da eseguire ad un'altezza superiore ai due metri e con ponteggi metallici o di legno;
    2. la violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 164 del 1956, art. 38, avendo la sentenza impugnata ritenuto la condotta omissiva dell'Ing. B. di verificare che il montaggio delle opere provvisionali venisse eseguito sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori, così non evitando che i montanti del ponte metallico venissero utilizzati dal lavoratore per la salita e la discesa, laddove la norma in questione pone un divieto solo a carico del lavoratore che deve astenersi dal salire o scendere dai montanti dei ponteggi metallici, non comprendendosi perchè fosse stata estesa tale norma anche al datore di lavoro, non essendovi alcun obbligo di presenziare costantemente ai lavori per impedire la condotta sanzionata nell'art. 38 citato, rilevando che, comunque, nel caso di specie, non era stata integrata la condotta materiale prevista (non essendo il trabattello un ponteggio metallico e non essendo equiparabili i traversi al montanti) e che la condotta commissiva richiesta al datore di lavoro e al suo preposto non avrebbe in ogni caso evitato l'evento dannoso;
    3. la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova del rapporto di causalità tra la condotta omissiva dei ricorrenti e l'evento dannoso, che era riconducibile all'altrui imprudenza o comunque a cause accidentali ed imprevedibili, dal momento che non era stato cagionato dall'erroneo montaggio del trabattello.
    Sono state depositate due memorie difensive, una nell'interesse del B. e l'altra nell'interesse del L..
     

     

    Diritto
     

     

    Si deve preliminarmente osservare che il termine prescrizionale del reato contestato, che sarebbe decorso al 16.1.2011, non lo è ancora ad oggi essendo intervenuta una sospensione del dibattimento in primo grado dal 24.7.2007 al 29.10.2007, e cioè di mesi tre e giorni sette (per rinvio su richiesta del difensore).


    I ricorsi sono inammissibili essendo le censure mosse manifestamente infondate ed aspecifiche.

     


    Invero, è palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede pedissequamente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile.
    Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev'essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'art. 591, comma 1, lett. c), all'inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4^, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2^, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109).

     

    Corretta e congrua è la motivazione addotta dai Giudice di Appello il quale ha fornito ampia ed esaustiva spiegazione dell'applicabilità delle norme di cui al capo IV del D.P.R. n. 164 del 1956, nel caso di specie e dell'identificazione del trabattello di cui all'art. 52, come "ponte su ruote a terra" sulla scorta di quanto affermato dagli ispettori del lavoro e dal CTU, nonchè dalle istruzioni stesse.

    Le omissioni del datore e del preposto non erano giustificate dalla semplicità di montaggio del trabattello, ma questo doveva avvenire in modo da renderlo compatibile con l'inserimento della scala in dotazione o farsi ricorso ad altro tipo di attrezzatura o scala compatibile; il nesso causale non era esaudibile in quanto non doveva essere comunque adoperato come scala il montante laterale, attesa la distanza tra i pioli e la condotta imprudente del lavoratore non poteva qualificarsi nè eccezionale nè imprevedibile. A tanto si aggiunga che non è rilevante l'altezza alla quale si trovava l'infortunato al momento del fatto (mt. 1,90) poichè come già a suo tempo affermato da questa Corte, "ai fini dell'applicabilità delle specifiche norme di prevenzione contro gli infortuni di cui al D.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164, art. 36, comma 1, art. 37, comma 1, e art. 38, comma 3, si deve tener conto esclusivamente dell'altezza complessiva dell'intero ponteggio e non già anche del punto in cui il lavoratore si trova realmente nel corso dei lavori. Ne consegue che le violazioni di tali prescrizioni da parte dei destinatari, costituiscono - se in nesso causale con l'evento - specifici elementi di colpa nei reati contro l'incolumità personale (lesioni o omicidio colposo) ed integrano l'aggravante speciale della violazione della normativa antinfortunistica, anche se il lavoratore, al momento dell'infortunio, si trovi su una parte del ponteggio ad una altezza inferiore a due metri dal suolo" (Cass. pen. Sez. 4^, n. 7152 del 23.3.1987 Rv. 176140).

    Ed è appena il caso di rimarcare che non ha rilevanza il materiale con cui è strutturato il ponteggio dal momento che il D.P.R. n. 164 del 1956, art. 38, u.c., prevede espressamente che "per i ponteggi metallici valgono, in quanto applicabili, le disposizioni relative ai ponteggi in legno" e così anche, dunque il divieto di salire e scendere lungo i montanti.


    Correttamente è poi stata attribuita sia al datore di lavoro che al preposto la responsabilità dell'infortunio, dal momento che il primo non mise a diposizione i dispositivi di sicurezza più adeguati, cioè uno strumento adeguato e conforme a legge per l'altezza del ponteggio (Cass. pen. Sez. 4^, n. 21593 del 2.4.2007, Rv. 236725) e, il secondo, nel controllare la corretta esecuzione dei lavori di montaggio del trabattello (con inserimento della scala in dotazione all'interno di esso) e con uso appropriato dello stesso, curando che non fossero adoperati per salire o scendere i montanti.

    Infatti il divieto imposto dal citato art. 38 di adoperare i montanti per salire e scendere dal ponteggio non era diretto solo al lavoratore, bensì, soprattutto, al datore di lavoro e al preposto che dovevano curare il rispetto della prescrizione normativa e, al contempo, delle istruzioni del montaggio del trabattello che vietavano nel modo più assoluto la salita e la discesa se non attraverso la scala che non era stata installata, come dovuto. A tal riguardo, la Corte territoriale ha anche opportunamente osservato, sulla scorta delle indicazioni del CTU, che "se l'altezza di posizionamento dei plani, imposta dal tipo di lavoro, non avesse reso possibile il posizionamento della scala in dotazione, avrebbe dovuto farsi ricorso ad altro tipo di attrezzatura ovvero al reperimento di altra scala compatibile" poichè la distanza tra i pioli era eccessiva. E ciò In perfetta linea con l'orientamento sul punto espresso da questa Corte (Sez. 4^, n. 1524 dell'1.12.1980, Rv. 14774).


    In tale contesto, correttamente è stata esclusa ogni incidenza sul rapporto di causalità e sulla sua interruzione della condotta del lavoratore, il quale non aveva ricevuto alcuna istruzione per la realizzazione del ponteggio che lasciava una discrezionalità all'esecutore circa l'altezza ed il posizionamento dei piani onde "era ben prevedibile che potesse impiegare tale discrezionalità a favore della sua comodità anche se a discapito della sicurezza". Nè poteva ritenersi eccezionale l'uso dei pioli per salire e scendere dall'attrezzatura, poichè, non essendo stata montata la scala, il lavoratore non aveva altro modo per farlo.
    Invero è incontestabile che la responsabilità del datore di lavoro, al pari di quella del preposto addetto al sorveglianza del montaggio di opere provvisionali per l'incidente accorso al lavoratore "può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un contegno eccezionale od abnorme dei lavoratore medesimo, esorbitante cioè rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute e come tale, dunque, del tutto imprevedibile" (Cass. pen. Sez. 4^, n. 15009 del 17.2.2009, Rv. 243208, ed altre successive conformi).


    Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.
     

     

    P.Q.M.

     


    Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.