Tribunale di Roma, Sez. Civ., 24 maggio 2011 - Impiegato del Ministero dell'Economia e delle Finanze e morbo patogeno "Legionella" contratto a causa della inadeguatezza ed insalubrità degli ambienti di lavoro


 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE CIVILE


nella persona del Giudice designato dott. Assunta Canonaco, ha emesso la seguente
SENTENZA


nella causa civile iscritta al n. 61372 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell'anno 2006, posta in deliberazione all'udienza del 13.01.2011 e vertente
Tra
Ma.Ga., Ca.Ma., Ma.An.
elett.te domiciliati in Roma via (...) presso lo studio degli avv.ti Ce. e Vi.Ci. che li rappresentano e difendono giusta procura a margine all'atto di citazione
Attore
E
Ministero dell'Economia e delle Finanze
Rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale di Stato presso i cui Uffici è ope legis domiciliato, in Roma, via (...)
Convenuto
Nonché
Ro. S.p.A.
elett.te domiciliata in Roma viale (...) presso l'avv. Ma.Vi. che la rappresenta e difende congiuntamente e disgiuntamente all'avv. Gr.Au. giusta procura a margine della comparsa di costituzione
Terzo chiamato
E
Te. S.r.l.
elett. te domiciliata in Roma via (...) presso lo studio dell'avv. Mo.Ma., rappresentata e difesa dall'avv. Ni.Sa. giusta procura a margine della comparsa di costituzione
Terzo chiamato
E
Ditta Individuale Id. con sede in Arpino (FR), via (...)
Terzo chiamato contumace
E
Td. S.r.l.
elett. te domiciliata in Roma via (...) presso lo studio degli avv.ti An.Ca., Fl.Ca. e Fr.Ci. che la rappresentano e difendono giusta procura a margine della comparsa di costituzione
Terzo chiamato
E
Mi. S.p.A.
elett. te domiciliata in Roma via (...) presso lo studio dell'avv. To.Sp. che la rappresenta e difende giusta procura in calce all'atto di citazione per chiamata in causa notificato
Terzo chiamato
Oggetto: risarcimento danni.

 


FattoDiritto

 


Con atto di citazione, ritualmente notificato, Ma.Ga., Ca.Ma. e Ma.An. convenivano in giudizio di fronte a questo Tribunale il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Gli attori esponevano che: - erano rispettivamente genitori e fratello di Ma.Do.; - che quest'ultimo prestava servizio, con mansioni di impiegato, presso il Ministero convenuto, con sede in Roma via (...); - che a decorrere dal 01.11.2004, a causa della momentanea inagibilità della propria stanza, era trasferito nella stanza n. 2206, piano 2 scala B, ove prestava servizio ininterrottamente sino al 18.11.2004; - che in tale data avvertiva dei sintomi di tipo influenzale, aggravatisi velocemente che ne comportavano l'immediato ricovero presso l'ospedale San Giovanni Addolorata e poi il decesso, 7 giorni più tardi, il 25.11.2004; - che Ma.Do. aveva infatti contratto il morbo patogeno "Legionella" sul luogo di lavoro a causa della inadeguatezza ed insalubrità degli ambienti, nonché a causa della scarsa manutenzione degli impianti idrici e di condizionamento dei locali di via (...); - che quanto accaduto perfezionava una fattispecie illecita ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2043 e art. 3 d.lgs. n. 626/1994. Tanto premesso chiedevano l'emissione di una pronuncia di condanna del convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale subito in conseguenza del decesso del proprio congiunto.

Si costituiva il Ministero dell'Economia e delle Finanze deducendo l'insussistenza del rapporto di causalità tra l'insorgenza della patologia, che aveva condotto alla morte del sig. Ma., e l'ambiente di lavoro. Chiedeva il rigetto della domanda, eccependo in ogni caso il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendo eventualmente la responsabilità imputarsi alla Ro. S.p.A. e alla Te. S.r.l., società cui erano stati appaltati i lavori di manutenzione degli impianti di condizionamento d'aria e di disinfestazione dei locali, che quindi chiedeva di chiamare in causa.

Entrambe le società si costituivano contestando la domanda e chiedendone il rigetto. In particolare la Ro. chiedeva di chiamare in causa la ditta individuale Id. - (cui aveva subappltato i lavori nel periodo dal 01.05.2004 al 30.09.2004), nonché la Td. S.r.l. (subappaltatrice dal 02.11.2004 al 31.03.2005), alle quali era, in subordine, da imputare la scarsa e inadeguata manutenzione - mentre la Te. S.r.l. deduceva la propria estraneità ai fatti, atteso che il contratto di appalto con cui il Ministero le aveva affidato l'incarico della disinfestazione dei locali ministeriali era stato sottoscritto il 03.12.2004, in epoca successiva al decesso del Marino. La Te. S.r.l. chiedeva inoltre la condanna del Ministero dell'Economia e delle Finanze al risarcimento del danno, ex art. 96 c.p.c., stante la temerarietà della chiamata in causa.

L'Id. era dichiarata contumace, mentre la Te. S.r.l. si costituiva assumendo che nessuna responsabilità poteva esserle ascritta avendo la stessa dato regolare esecuzione al contratto di appalto. Chiedeva di essere autorizzata alla chiamata in causa della Mi. con cui aveva stipulato polizza per la responsabilità civile dalla quale intendeva essere garantita in caso di condanna, in ragione del contratto di assicurazione con la medesima stipulato. Quest'ultima si costituiva, eccependo la prescrizione del diritto assicurato, l'inoperatività della garanzia in virtù delle clausole contrattuali, Contestava, nel merito, la domanda svolta nei confronti della stessa assicurata. La causa era istruita mediante acquisizione documentale, prova per testi, nonché ctu sull'ambiente di lavoro e medico - legale al fine di determinare il nesso causale tra l'evento morte e le condizioni ambientali preesistenti sul luogo. La causa veniva trattenuta in decisione all'udienza del 13.01.2011.

E' necessario innanzitutto individuare e qualificare l'azione proposta da parte attrice nell'odierno giudizio. Dalla lettura dell'atto introduttivo, dove si fa specifico riferimento al combinato disposto di cui agli artt. 2043 e ss c.c. e art. 3 d.lgs. 624/1994, si evince che gli attori hanno inteso proporre domanda diretta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla asserita condotta illecita del soggetto tenuto a predisporre gli strumenti idonei a tutelare la integrità fisica del proprio congiunto quale prestatore di lavoro.

Si tratta quindi di verificare se, all'esito dell'istruttoria svolta, parte attrice abbia provato, come era sua onere, che la contrazione del morbo "legionella" - che ha pacificamente causato la morte del Ma. - sia avvenuta sul luogo di lavoro a causa delle condizioni insalubri dello stesso.

Invero, a norma dell'art. 2043 c.c. incombe al danneggiato l'onere di provare l'esistenza del danno (in questo caso evidente, consistente nella morte del proprio congiunto), nonché il nesso di derivazione causale di tale evento luttuoso dalla violazione delle norme di sicurezza delle condizioni di lavoro. A tale proposito deve premettersi che quanto alla prova del nesso causale, questo Giudice aderisce a quell'indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ha tracciato una netta linea di demarcazione tra causalità civile e penale (cfr., sentenze n. 21894/2004, 7997/2005, 11755/2006 e 21619/2007, confermate, da ultimo, da SS. UU., sentenza n. 581/2008 e Cass. Sez. III del 11.05.2009 n. 10741).

L'accennato approdo della Suprema Corte muove dall'assunto secondo cui la responsabilità civile risponde ad esigenze e finalità diverse rispetto a quella penale. La prima, infatti, ha funzione riparatoria, la seconda punitiva (per cui, al settore civile, non sono applicabili i principi di personalità della responsabilità penale, di cui all'art. 27 Cost.). Su queste basi, la Corte ritiene che, nell'accertamento della causalità civile, non sia necessario lo stesso rigore che si impone in sede penale. In particolare, al criterio della certezza processuale (intesa come probabilità logica o credibilità razionale), si sostituisce quello della probabilità statistica (cfr., in questo senso, Cass. sentenza n. 21619/2207, secondo cui "il modello di causalità come disegnato funditus dalle sezioni unite penali mal si attaglia a fungere da criterio valido anche in sede di accertamento della responsabilità civile (...). Il tema del nesso causale, in sede civile, è destinato inevitabilmente a risolversi entro i più pragmatici confini di una dimensione storica, o, se si vuole, di politica del diritto (...), ne consegue che la responsabilità civile è attestata sul versante della probabilità relativa o variabile, caratterizzata dall'accedere ad una soglia meno elevata di probabilità rispetto a quella penale, secondo modalità semantiche che, specie in sede di perizia medico - legale, possono assumere molteplici forme espressive, quali "serie ed apprezzabili possibilità", ragionevole probabilità". Nello stesso senso, Cass. SS. UU., n. 581/2008, le quali, pur muovendo dal presupposto che "i principi generali che regolano la causalità di fatto sono anche in materia civile quelli delineati dagli art.li 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale", conclude precisando che "tali norme, però, vanno adeguate alla specificità della responsabilità civile, rispetto a quella penale, perché muta la regola probatoria: mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio, nel processo civile vige la regola della preponderanza dell'evidenza, o del più probabile che non").

Orbene, nel caso di specie, il consulente d'ufficio, ing. Fa.Pa., all'esito del sopralluogo eseguito e alla luce della documentazione in atti ha affermato che le condizioni ambientali della stanza 2206 in cui dal 1.11.2004 (e per 18 giorni prima del suo allontanamento) il Ma. ha svolto la sua attività lavorativa erano compatibili con lo sviluppo di batteri come quello della legionella. Dalla relazione, in data 29.11.2004, degli ispettori inviati dall'ASL RM/A dopo il decesso del Ma. (cfr all. 2 del fascicolo di parte attrice) e dalla medesima ctu si evince che la stanza in oggetto era costituita da 5 moduli, con all'interno un soppalco accessibile da una scala interna, e che nella stanza (sostanzialmente un archivio) erano stati installati condizionatori monoblocco De. e vi lavoravano 12 persone. Gli stessi ispettori Asl nella citata relazione, dopo aver rilevato che delle 12 postazioni lavorative solo alcune risultavano regolamentari, hanno sentito gli altri 11 occupanti la stanza che dichiaravano: di occupare la stanza per circa 9 ore al giorno; che il Ma. aveva personalmente acceso l'impianto di condizionamento fin dalla prima settimana del mese di novembre, essendo la temperatura dell'aria quasi estiva (la temperatura si aggirava nelle ore centrali tra 27 e 28); che il Ma. occupava la postazione in una zona di corridoio tra due armadi, in corrispondenza del segnale indicante l'estintore n. 663; che le condizioni ambientali della stanza non erano idonee per vivere e lavorare tanto che molte persone si allontanavano da essa sostando nel corridoio. Nel corso dell'ispezione si accertava altresì che il responsabile del personale ai sensi del divo 626/1994 aveva provveduto, il giorno dopo il decesso del Ma., a disinfestare il locale in cui lo stesso lavorava, mentre il Ministero aveva fatto eseguire interventi di manutenzione sulle pompe di calore e sui diffusori dell'aria calda e fredda dei condizionatori (la circostanza risulta anche dal doc. 4 del fascicolo del Ministero, mentre dai docc. 4 bis e 4 ter si evince che solo in data 30.11.2004 la Ro. provvedeva alla pulizia dei filtri e alla sostituzione di un setto filtrante). Anche i due testi escussi, colleghe di lavoro del Ma., hanno confermato che subito dopo la morte di quest'ultimo era stata eseguita la disinfestazione.

Alla luce di quanto esposto è evidente pertanto che i risultati delle analisi dei campioni di aria ed acqua prelevati dai condizionatori presenti nella stanza, pure richieste dagli ispettori ASL, al fine di ricercare la presenza del batterio della legionella (presenza rilevata in misura ridotta, inferiore a 10UFC), in considerazione della profonda e radicale alterazione dello stato dei luoghi, non possono fornire elementi utili di valutazione.

Al contrario il ctu ha coerentemente evidenziato tutti gli elementi che inducono a ritenere che l'ambiente lavorativo del Ma. abbia favorito, con ragionevole certezza, lo sviluppo del batterio legionella: invero, i condizionatori a servizio delle stanze, all'epoca dei fatti, avevano la raccolta della condensa all'interno del condizionatore e quindi all'interno delle stanze; era presente acqua stagnante e le temperature registrate erano superiori alla media stagionale (circostanza questa accertata dal medesimo ctu cfr all. 4 della relazione); nella centrale idrica vi erano diverse perdite dai serbatoi d'accumulo dell'acqua che contribuivano rendere l'ambiente molto umido; vi era scarsa areazione delle stanze (la superficie finestrata dei locali adibiti ad ufficio era inferiore a quella prescritta dal regolamento edilizio comunale; cfr. p. 5 della Ctu); da un rapporto del 26/08/04 (cfr all. 5 fascicolo Ministero Economia e Finanze) era emerso che un'impiegata aveva lamentato il cattivo odore emanato dal condizionatore a conferma della presenza di batteri; non erano rinvenuti rapporti attestanti interventi di manutenzione sui condizionatori successivi al 26.08.2004; l'ultimo intervento di disinfestazione del locale risaliva al 09.10.2004 (cfr doc. 12 fascicolo Ministero), mentre non risultavano in atti rapporti di intervento nel mese di novembre 2004 "come imposto per i locali archivio nel programma degli interventi" (cfr p.8 ctu).

Non può quindi dubitarsi che l'ambiente lavorativo del Ma. fosse sicuramente compatibile con la sopravvivenza del batterio legionella.

Ancora è pacifico che il decesso del dipendente è avvenuto per scompenso cardiaco da polmonite provocata da infezione da legionella immonulogicamente accertata.

Il ctu medico legale dott.ssa Li. ha riferito che il Ma. presentava più di un fattore di rischio di contrazione della legionella, essendo affetto con certezza documentale da malattia cardiovascolare ipertensiva (solo otto mesi prima uno scompenso cardiaco lo aveva costretto ad un trattamento in ambiente ospedaliero), essendo inoltre soggetto maschio, obeso e fumatore. A tale proposito l'ausiliario ha ricordato che esistono diversi fattori di rischio di acquisizione della malattia collegati, oltre che alla virulenza del ceppo e alla sua capacità di sopravvivenza e moltiplicazione, alle condizioni ambientali (le installazioni che producono acqua nebulizzata, come gli impianti di condizionamento, le reti di ricircolo dell'acqua, costituiscono siti favorevoli per la diffusione nel batterio) e alle caratteristiche "dell'ospite", ovvero l'uomo (sono considerati più a rischio i soggetti di sesso maschile, i fumatori, consumatori di alcool affetti da malattie croniche, come quelle cardiovascolari). Il ctu ha aggiunto, riguardo alle modalità di infezione della legionella, che il batterio si trasmette all'uomo attraverso inalazione di aerosol contaminati, quindi tutti i luoghi in cui si può entrare a contatto con acqua nebulizzata possono considerarsi a rischio. Ha precisato che i primi casi di legionellosi sono stati associati alla contaminazione di impianti di climatizzazione, torri evaporative e sistemi di raffreddamento, mentre non sono stati segnalati casi di trasmissione interumana (cfr p. 23 e ss. della ctu).

In conclusione, ad avviso del Tribunale, la circostanza che il Ma. sia stato esposto, per almeno otto ore giornaliere, nel periodo di incubazione della malattia (periodo di incubazione media che è stato indicato dal ctu in 5 - 7 giorni) a condizioni ambientali altamente favorevoli allo sviluppo e alla sopravvivenza del batterio, la circostanza che non risultino prove circa l'incidenza sulla malattia di fattori alternativi (non risulta che il Ma. frequentasse altri luoghi a rischio legionella), l'accertata inadeguatezza dei locali adibiti a luogo di lavoro, la circostanza (pacifica e peraltro documentata cfr all. 2 fascicolo di parte attrice; all. 2, 3 del fascicolo Te. S.r.l.) che nello stesso periodo altro dipendente, collega, del Ma. abbia contratto malattia infettiva di origine batterica (meningite) costituiscono elementi decisivi per la ravvisabilità della eziologia professionale della patologia riportata.

Del resto nessuna ulteriore prova era esigibile dagli attori mentre, al contrario, sintomatico è apparso al Tribunale il comportamento del Ministero convenuto che ha immediatamente alterato lo stato dei luoghi (disinfettando gli ambienti prima di prelevare i campioni per le analisi, sostituendo il condizionatore della stanza 2206 prima del sopralluogo del ctu; cfr. p. 3 dell'elaborato) così rendendo più complesso l'accertamento dei fatti.

La situazione accertata attesta una oggettiva inadeguatezza degli ambienti di lavoro (sovraffollati, scarsamente areati, umidi per effetto delle segnalate perdite idriche) e condizioni igieniche molto carenti che hanno oggettivamente favorito il diffondersi del batterio. E' quindi evidente la responsabilità del Ministero, datore di lavoro, su cui incombeva l'obbligo di adottare tutte le misure necessarie a garantire la salute dei lavoratori (sia ai sensi dell'art. 2043 c.c. che ai sensi dell'art. 2087 c.c.), svolgendo anche idonea attività di manutenzione degli impianti e dei locali ad essi in uso.

Né siffatto obbligo di tutela può ritenersi escluso solo per avere il Ministero dato in appalto il servizio di manutenzione degli impianti e dei locali, poiché l'obbligo di assicurare condizioni di lavoro adeguate non è di per sé delegabile, tenuto conto peraltro che i beni oggetto di manutenzione continuano a restare nella sfera di disponibilità del committente (il quale ne conserva con carattere di continuità l'uso e il godimento) e pertanto non si verifica il passaggio dei poteri di custodia e degli oneri di vigilanza che rimangono sempre a carico del datore di lavoro con l'inerente responsabilità.

Si tratta pertanto di verificare se sussista una responsabilità concorrente delle società terze chiamate (nei confronti degli attori) e se debba ritenersi fondata la domanda di manleva (sul presupposto di un inadempimento contrattuale imputabile alle società appaltatrici e subappaltatrici) formulata dal Ministero.

Sotto tale profilo non è contestato, e peraltro documentalmente provato che il Ministero dell'Economia e delle Finanze abbia stipulato con la Ro. S.p.A. il sei settembre 2000 "contratto di affidamento del servizio integrato per la gestione e manutenzione del Palazzo delle Finanze" (cfr all. 1 al fascicolo Ro. S.p.A.), con durata quinquennale a partire dal 1 ottobre 2000, con cui veniva affidato alla società appaltatrice "il servizio di gestione globale ed unitario dell'edificio sede del Ministero"; tale servizio ai sensi dell'art. 1 comma 2 del contratto aveva ad oggetto la predisposizione e realizzazione di tutti i servizi, attività e prestazioni, interventi, lavori occorrenti per garantire la completa e costante efficienza dell'edificio in ogni sua componente strutturale, impiantistica funzionale e di dotazione, anche attraverso eventuali adeguamenti funzionali e normativi. In particolare ai sensi del comma 4 dell'art. 1 del citato contratto, l'appalto aveva ad oggetto i seguenti servizi: - servizio governo; - servizio anagrafe; - servizio gestione e manutenzione opere edili/impiantistiche; - servizio gestione e manutenzione arredi/apparecchiature; - servizio gestione e manutenzione verde; - servizio energia; servizio pulizia/igiene ambientale; servizio facchinaggio, traslochi e trasferimenti, mentre il corrispettivo pattuito per l'appalto era pari a quasi 23 miliardi di vecchie Lire.

Dalla lettura del contratto e in considerazione dello stesso corrispettivo pattuito si evince quindi che la società Ro. si era obbligata, non a semplici controlli periodici o su chiamata del committente, ma ad una generale attività di manutenzione, in piena e integrale autonomia, di talché è ravvisabile una sua responsabilità concorrente nella produzione dell'evento luttuoso, essendo la stessa risultata inadempiente agli obblighi assunti e avendo tale inadempimento contributo alla produzione dell'evento lesivo.

Del resto la Ro. S.p.A. ha assunto il rischio inerente l'esecuzione dei lavori di manutenzione dell'intero edificio ed, in ogni caso, (anche quando non organizzi il lavoro con propri mezzi) è titolare dell'onere di vigilanza sulle eventuali ditte incaricate, essendosi assunta quantomeno il compito di sovraintendenza dei lavori.

Invero, risulta dai contratti prodotti dalla Ro. (cfr. docc. 2 e 3 del fascicolo di parte) che quest'ultima subappaltava periodicamente, e non continuativamente, il servizio di manutenzione ordinaria degli impianti di condizionamento e di pronto intervento: nel periodo dal 1.05.2004 al 30.09.2004 il lavoro era stato subappaltato alla ditta Id., mentre nel periodo dal 02.11.2004 al 31.03 2005 alla società Td. S.r.l. (e quindi nel mese di ottobre, nel periodo immediatamente antecedente ai fatti oggetto di giudizio nessun incarico di tal genere era stato conferito in subappalto). Ora, lo stesso ctu ha evidenziato alle pp. 10 e 11 dell'elaborato che l'ultimo intervento di manutenzione sul condizionatore nella stanza 2206 era risalente al 26.08.2004, di talché appare evidente che anche le ditte incaricate, ciascuna per il periodo di competenza, non hanno svolto con la dovuta periodicità (che per simili impianti dovrebbe essere a cadenza mensile) gli interventi di manutenzione periodica necessaria alla pulizia dei filtri e vaschette raccolta condensa dei condizionatori, e così, anch'esse contribuendo alla produzione dell'evento dannoso.

Conseguentemente, per le ragioni sopra esposte, deve essere affermata la concorrente responsabilità del Ministero convenuto e delle terze chiamate Ro. S.p.A. ditta Id. (impresa individuale) e Td. S.r.l. per il decesso del Ma. che, in applicazione dell'art. 2055, ult. comma, c.c. deve presumersi uguale.

Deve, infatti, precisarsi che, accertata la responsabilità del convenuto e delle terze chiamate ed avendo il Ministero chiamato in causa la Ro. S.p.A. e quest'ultima a sua volte le subappaltatrici, per ottenere la declaratoria della loro esclusiva responsabilità e la propria liberazione dalla pretesa degli attori, la causa deve intendersi come unica e inscindibile, potendo la responsabilità dell'uno comportare l'esclusione di quella dell'altro, ovvero, nell'ipotesi di coesistenza di diverse autonome responsabilità, ponendosi l'una come limite dell'altra. Di talché anche nel caso in cui gli attori non abbiano esteso la propria domanda contro il chiamato, la domanda stessa si deve intendente automaticamente riferita anche al terzo, trattandosi di individuare il vero responsabile nel quadro di un rapporto oggettivamente unitario (cfr Cass. Sez. III, 31 luglio 2002, n. 11366). Infine, in relazione alla domanda svolta dal Ministero nei confronti della Te. S.r.l., la stessa deve essere rigettata, atteso che dall'istruttoria esperita è emersa la completa ed evidente estraneità di quest'ultima ai fatti oggetto di causa (il Ministero ha conferito alla Te. l'incarico di eseguire lavori di disinfestazione proprio a causa delle patologie già riscontrate tra i dipendenti, in data 03.12.04, quindi successivamente al verificarsi dell'evento lesivo oggetto del giudizio). Tenuto conto, poi, che il Ministero era ben edotto della circostanza (ovvero che nessuna responsabilità poteva essere imputata alla Te., chiamata ad esplicare la propria opera solo dopo gli eventi oggetto del giudizio, cfr docc. da 1 ad 8 allegati al fascicolo Te.) sussistono gli estremi per qualificare temeraria la domanda di chiamata in causa, essendo evidente la colpa grave del Ministero. Ne consegue che quest'ultimo deve essere condannato al risarcimento del danno in favore della terza chiamata, ex art. 96 c.p.c., che si stima equo liquidare in complessivi Euro 2.000,00. Occorre, quindi, procedere all'accertamento ed alla quantificazione dei danni subiti dagli attori. In particolare i congiunti del Ma. hanno agito iure proprio, chiedendo il risarcimento del danno morale e del danno esistenziale. Al riguardo, per quanto concerne il danno morale, si deve rilevare che gli attori erano i genitori e il fratello della vittima e che il fatto, in quanto astrattamente sussumibile nel reato di omicidio colposo e lesivo di diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.), dà diritto al risarcimento del danno per la sofferenza subita dai familiari superstiti e per la perdita del rapporto parentale (cfr. Cass. SS. UU., sentenza n. 26972/2008).

Tale voce di danno deve ritenersi presuntivamente provata sulla base del fatto notorio, ex art. 115, comma 2 c.p.c. Relativamente alla quantificazione, essa, per sua natura, sfugge ad una precisa valutazione economica e deve essere liquidata in base a criteri equitativi, tenendo conto di fattori soggettivi, quali l'età della vittima, il grado di parentela, l'intensità della relazione affettiva con i danneggiati, la relazione o meno di convivenza, le condizioni della famiglia, la sopravvivenza o meno di altri congiunti e la qualità ed intensità della loro relazione. Nella quantificazione di tale voce di danno, questo Giudice ritiene di utilizzare i noti criteri di liquidazione adottati dal Tribunale di Roma e predisposti proprio allo scopo di adeguare il risarcimento del danno al caso concreto, di uniformarlo in casi simili e di evitare, pertanto, disparità di pronunce all'interno dello stesso Ufficio Giudiziario. Tali criteri, inoltre, sulla base di un calcolo "a punti", prendono in considerazione tutti i fattori soggettivi sopra elencati. Nello specifico, il calcolo consiste nell'attribuzione di un punteggio numerico al danno - in virtù della sua presumibile entità - e nella moltiplicazione di tale punteggio per una somma di denaro che costituisce il valore ideale del punto di danno. Tale valore è stato fissato, in via equitativa, nella somma di Euro 8.725,00 al valore attuale.

Pertanto, tenuto conto della particolare drammaticità dell'evento luttuoso, della prematurità della scomparsa di Do. (39 anni al momento del decesso), della convivenza tra la vittima e gli attori (dovendo presumersi che il danno è tanto maggiore quanto più stretta era la loro frequentazione), nonché, in senso limitativo, della relazione affettiva e di convivenza tra i familiari superstiti (che in qualche modo può attenuare il dolore della perdita), deve essere riconosciuta, a titolo di danno morale, la somma di Euro 261.750,00 attuali a Ma.Ga. (di anni 73 al momento del decesso di Do.), di Euro 261.750,00 al valore attuale a Ca.Ma. (di anni 70) e di Euro 165.775 attuali a Ma.An. (di anni 35).

Nell'importo liquidato deve ritenersi compreso anche il danno esistenziale, in considerazione, da un lato, dell'evidente stretta connessione fra il dolore psichico e le abitudini di vita di chi lo patisce, dall'altro, della circostanza che le tabelle applicate, aggiornate al 2011, per la liquidazione del danno da morte, fanno già riferimento a parametri che considerano le conseguenze pregiudizievoli di natura esistenziale che, nella vita quotidiana del danneggiato, derivano dalla perdita del congiunto (salvo, naturalmente, possibili peculiarità delle singole situazioni concrete che, nel caso di specie, non sono state dimostrate). La liquidazione di somme ulteriori, pertanto, darebbe luogo ad una non consentita duplicazione delle voci di danno.

Su tutte le somme liquidate agli attori, in base ai noti principi sanciti dalla Suprema Corte con la sentenza n. 1712 del 1995, è dovuto il lucro cessante, da computare sul valore medio del credito complessivo (valore medio pari ad Euro 247.576,64 per Ma.Ga. e Ca.Ma. e pari a Euro 156.798,53 per Ma.An.), dal giorno del fatto (25 novembre 2004) alla presente decisione, con applicazione del saggio annuo del 2,94%, pari al rendimento medio che gli attori avrebbero presumibilmente ricavato dalle somme dovute, se le avessero tempestivamente percepite ed utilizzate nei più comuni sistemi di investimento (ad es. titoli di Stato), per un totale di Euro 43.672,51 per Ma.Ga. e Ca.Ma. ed Euro 27.659,26 per Ma.An.

Il danno che deve essere complessivamente risarcito agli attori è pertanto pari ad Euro 305.422,51 attuali ciascuno per Ma.Ga. e Ca.Ma. ed Euro 193.434,26 per Ma.An.

Sul totale delle somme liquidate in sentenza, per sorte capitale e lucro cessante, competono gli interessi legali dalla data della presente decisione al saldo, ex art. 1282 c.c.

Infine, la Td. S.r.l. ha chiamato in giudizio a garanzia la Mi. S.p.A. quale società con cui ha stipulato polizza per la responsabilità civile verso terzi. Quest'ultima ha eccepito la prescrizione del diritto dell'assicurato. La predetta eccezione deve essere disattesa; non risulta infatti decorso il termine di prescrizione annuale (ex art. 2952 c.c. secondo la formulazione ratione temporis applicabile) tra il giorno in cui il terzo ha chiesto il risarcimento del danno all'assicurato (in questo caso richiesta avanzata solo con la citazione in giudizio della Td. da parte della Ro. avvenuta in data 17.03.2008) e il giorno della notifica dell'atto di chiamata in causa alla Mi. S.p.A. (notifica perfezionata nell'agosto 2008). Dalla lettura della polizza in atti (cfr doc. 6 allegato al fascicolo Td. S.r.l.) si evince, poi, che la garanzia si estende a quanto l'assicurato sia tenuto a pagare, quale civilmente responsabile ai sensi di legge, a titolo di risarcimento (capitale, interessi e spese) di danni involontariamente cagionati a terzi, per la morte, per lesioni personali. .... La società assicuratrice Milano ha tuttavia eccepito l'inoperatività della polizza, atteso che il danno verificatosi doveva essere ricompreso tra i danni "conseguenti a inquinamento dell'aria, acqua, suolo" esclusi dalla copertura assicurativa, ai sensi dell'art. 3.3 delle condizioni generali del contratto assicurativo.

Tale interpretazione non può condividersi. Invero il danno accertato nel presente giudizio (ovvero la morte di Ma.Do.) non è conseguente ad un inquinamento dell'aria, dell'acqua ecc., ma è quello "conseguente" alla cattiva esecuzione da parte dell'assicurata degli obblighi di manutenzione degli impianti di condizionamento allocati nei locali del Ministero. Si tratta di un rischio specificamente ricompreso nella garanzia assicurativa ai sensi dell'art. 2.2, lett. a) n. 4 secondo cui la garanzia "comprende i danni conseguenti a errori e/o difetti di esecuzione di lavori di installazione e/o manutenzione e/o riparazione compiuti dall'assicurato e /o dai suoi dipendenti". Del resto ciò che viene direttamente imputato all'assicurato non è un danno da inquinamento, ma un danno provocato dalla difettosa esecuzione dei lavori di manutenzione che ha contribuito alla diffusione del batterio e alla contrazione del morbo da parte del Ma. Ancora deve aggiungersi che la clausola di cui all'art. 3.3 delle condizioni generali del contratto assicurativo appare alquanto generica ed ambigua (nessuna indicazione viene fornita in ordine alle cause dell'inquinamento che porterebbero all'esclusione della garanzia), di talché la stessa deve essere interpretata in senso restrittivo ovvero nel senso che devono intendersi esclusi dalla copertura assicurativa solo i danni conseguenti ad "inquinamento" indipendenti dall'attività di installatore, manutentore o riparatore di impianti oggetto specifico del rischio garantito.

Del resto l'interpretazione favorevole all'assicurato, sopra evidenziata, appare conforme all'art. 1370 c.c. secondo cui le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti, come è quello in esame predisposto dalla società assicuratrice, s'interpretano, nel dubbio, a favore dell'altro (nel caso di specie l'assicurato).

Infine deve precisarsi che l'assicurazione per la responsabilità civile non può riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cioè a caso fortuito o a forza maggiore, dai quali non sorge responsabilità, ma, per la sua stessa denominazione, importa necessariamente che il fatto dannoso, per il quale l'assicurazione sia stipulata, debba essere colposo, coprendo, con la sola eccezione dei fatti dolosi, ogni rischio derivante da quella responsabilità.

Ne consegue che rientrando l'ipotesi oggetto di causa nel rischio garantito e nei limiti del massimale di polizza (Euro 1.500.000,00), la domanda di manleva formulata dalla Td. S.r.l. deve essere accolta.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo, tenuto conto della somma riconosciuta dovuta, delle questioni affrontate da ciascuna parte e del tenore delle difese svolte.

P.Q.M.

 


Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) dichiara il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Ro. S.p.A. l'impresa individuale Id. e la Td. S.r.l., ciascuno per le causali di cui in motivazione ex art. 2055 ult. comma c.c., responsabili del decesso di Ma.Do.;

2) condanna il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Ro. S.p.A. l'impresa individuale Id. e la Td. S.r.l., tutti in solido (e salvo regresso nei rapporti interni ex art. 2055 ult. comma c.c.), al risarcimento del danno in favore degli attori liquidato in Euro 305.422,51, ciascuno, in favore di Ma.Ga. e Ca.Ma., nonché in Euro 193.434,26 in favore di Ma.An., importi comprensivi di lucro cessante, oltre interessi legali sull'intero importo dovuto per sorte capitale ed interessi a decorrere dalla data della presente decisione al saldo;

3) condanna il Ministero dell'Economia e delle Finanze, la Ro. S.p.A. l'impresa individuale Id. e la Td. S.r.l., tutti in solido alla rifusione delle spese del giudizio in favore di parte attrice liquidate in complessivi Euro 27.812,00, di cui Euro 812,00 per spese non imponibili, Euro 7.000,00 per diritti ed Euro 20.000,00 per onorari, oltre iva cpa e spese generali come per legge e oltre al rimborso delle spese anticipate di ctu;

4) rigetta la domanda proposta dal Ministero dell'Economia e delle Finanze nei confronti della Te. S.r.l. e condanna il medesimo Ministero, ex art. 96 c.p.c., al risarcimento del danno in favore di quest'ultima liquidato in Euro 2.000,00, oltre alla rifusione delle spese processuali, quantificate in complessivi Euro 8.000,00 di cui Euro 3.000,00 per diritti ed Euro 5.000,00 per onorari;

5) condanna la Mi. S.p.A. a tenere indenne la Td. S.r.l. da ogni onere economico relativo ai danni accertati nel presente giudizio.

Così deciso in Roma il 17 maggio 2011.

Depositata in Cancelleria il 24 maggio 2011.