SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni



Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»


Seduta 81: mercoledì 15 giugno 2011

Audizione dei rappresentanti della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP)





Presidenza del presidente TOFANI

Intervengono, in rappresentanza della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP), il dottor Rino Pavanello, presidente, il dottor Rocco Vitale, presidente della Commissione formazione, e i dottori Vincenzo Di Nucci, Claudio Francia e Arnaldo Zaffanella, delegati Ufficio di Presidenza.


PRESIDENTE

L’ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP).
Avverto che sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta. Comunico inoltre che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Sono presenti il dottor Rino Pavanello, presidente, il dottor Rocco Vitale, presidente della Commissione formazione, e i dottori Vincenzo Di Nucci, Claudio Francia e Arnaldo Zaffanella, delegati Ufficio di Presidenza.
Desidero ringraziare il dottor Pavanello e i suoi accompagnatori per aver accolto il nostro invito. Questa Commissione si è posta più volte il problema, che ritengo importante e centrale, relativo alla formazione e ai formatori per la salute e la sicurezza sul lavoro. Per nostra conoscenza e per avere approfondimenti su questo tema riteniamo necessario, grazie all'audizione di personalità che operano in questo settore, con chiara ed evidente formazione scientifica, aprire un confronto che ci aiuti a stabilire come si possa meglio definire la figura del formatore, che riteniamo importante al fine del contrasto agli infortuni sui luoghi di lavoro, ma anche delle malattie professionali.
Cedo quindi la parola al dottor Pavanello.

PAVANELLO
Prima di tutto vorrei esprimere un ringraziamento non formale, a nome della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione, per l'invito in questa sede, che segue una serie di precedenti audizioni, in particolare sui temi della formazione.
La CIIP, fin dalla sua costituzione, ha lavorato sui vari temi della salute e della sicurezza sul lavoro, in particolare sulla formazione e sulle figure dei formatori, consapevoli dell'importanza e della peculiarità che contraddistinguono la formazione sui rischi presenti nei luoghi di lavoro.
Va tenuto presente che noi interveniamo in un settore in cui possibili errori di valutazione e di intervento possono causare danni consistenti, non solo economici ma anche alla vita delle persone (si registrano oltre 1.000 morti all'anno). Di qui l'importanza di una effettività della formazione e della sua fruizione; effettività che ha un rilievo normativo, con sanzioni penali a carico di vari soggetti, dal datore di lavoro, ai dirigenti, a vari altri soggetti.
Su questo punto, la Consulta ha da sempre lavorato. In particolare, abbiamo apprezzato una serie di novità introdotte dal decreto legislativo n. 81 del 2008, che identifica la volontà di arrivare a dei criteri di qualificazione dei formatori per la salute e la sicurezza sul lavoro, attraverso la Commissione consultiva permanente di cui all'articolo 6, che noi ovviamente apprezziamo. Rileviamo tuttavia che questo affidamento, ancorché pregevole, può definire solo dei criteri. Rimarrebbero fuori, essendo di carattere normativo, una serie di ulteriori indicazioni, non avendo la Commissione consultiva titolo al riguardo. Cito, ad esempio, gli elementi premiali, quelli dell'assistenza e del controllo da parte dell'ente pubblico e di eventuali sanzioni, sia amministrative sia interdittive sia penali, che evidentemente abbisognano di un provvedimento legislativo.
Noi quindi riteniamo che, da questo punto di vista, il ruolo del Parlamento sia assolutamente strategico ed essenziale posto che potrebbe, lavorando in sinergia con la Commissione consultiva sui requisiti, identificare degli elementi non di corollario bensì essenziali affinché la figura del formatore qualificato possa espletare la propria attività e lo Stato possa fare i dovuti controlli. Ciò andrebbe anche a favore delle stesse aziende (si pensi soprattutto alle micro aziende e alle piccole e medie aziende), che potrebbero rivolgersi a persone con una qualificazione certa, con un controllo da parte pubblica. È quindi essenziale che queste norme vengano assunte con provvedimento legislativo. Ovviamente, il solo titolare è il Parlamento, perché, alla luce del decreto legislativo n. 81 del 2008, neppure un decreto ministeriale sarebbe sufficiente.
Sinteticamente, rileviamo la mancanza di una cinquantina di decreti attuativi del Testo unico; tra questi, appunto, quelli relativi ai citati criteri generali per la qualificazione del formatore. Un altro aspetto riguarda il libretto formativo del lavoratore, che aspettiamo ormai da molti anni e che era addirittura previsto in uno dei testi originari del decreto legislativo n. 81 del 2008 (l'allegato 3C), ma è misteriosamente sparito nella stesura definitiva. È una misura che attendiamo da dieci anni, che non costerebbe assolutamente nulla e sarebbe di enorme utilità.
Stanno inoltre per scadere (14 febbraio 2012) i termini per i criteri di aggiornamento professionale di altre figure: si pensi, ad esempio, al responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e agli addetti al servizio di prevenzione e protezione (ASPP), di cui all'accordo Stato-Regioni del 2006. Noi valutiamo che tale scadenza interessi almeno 50.000 persone in Italia, cioè coloro che erano stati "esentati", in base alla loro pregressa esperienza lavorativa, dal frequentare i corsi di cui ai moduli A e B.
Rispetto a questa formazione si sono create una serie di situazioni, che noi abbiamo fatto presenti al Governo e alle Regioni nell'ultimo convegno di Bologna, relative alla cosiddetta "Attestatopoli". Da questo punto di vista, andrebbe promossa da parte delle autorità preposte un'azione di controllo e intervento. Anche la vostra Commissione potrebbe avviare una verifica e un controllo. Sono ormai trascorsi quattro anni e mezzo dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 e si potrebbe compiere qualche valutazione sulla sua applicazione, che sarebbe di grande rilievo e importanza per tutto il settore della prevenzione.
Nel documento che abbiamo depositato ci soffermiamo, ovviamente, su quanto ci è stato richiesto e, quindi, sul concetto e sui criteri di qualificazione della figura dei formatori, senza addentrarci nel meccanismo della formazione degli addestratori e sulle modalità di e-learning, che saranno oggetto di un secondo documento e di un altro incontro, se la Commissione lo riterrà opportuno.
Entrando nel merito, abbiamo identificato alcune ipotesi che ci permettiamo di sottolineare alla Commissione. Sulla formazione, il decreto legislativo n. 81 del 2008 dà, per la prima volta, una definizione molto precisa e rigorosa, che non era invece contenuta nel decreto legislativo n. 626 del 1994. Si dice che la formazione deve essere sufficiente ed adeguata e che essa è qualcosa di diverso dalla informazione e dall'addestramento, nonché dall'equipaggiamento. Si stabilisce che la formazione dei lavoratori deve essere periodicamente ripetuta in funzione dell'evoluzione dei rischi e dell'insorgenza dei nuovi rischi. Si definisce la formazione un "processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori e agli altri soggetti del sistema della prevenzione e protezione aziendale, conoscenze e procedure". Il termine "procedure" entra per la prima volta all'interno del vocabolario della prevenzione normativa, identificando dei sistemi di gestione abbastanza precisi. La previsione normativa continua definendo tali conoscenze e procedure "utili all'acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione e alla riduzione e alla gestione dei rischi ". Il lavoratore, quindi, non è solo un soggetto passivo, ma un soggetto attivo che, essendo formato, contribuisce esso stesso alla riduzione e gestione dei rischi.
Sulla formazione e informazione, il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 - e, ancora prima, il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 - compie un salto di qualità rilevante rispetto al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, e al decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1956, n. 303, identificando un diritto individuale di ciascun lavoratore: il decreto legislativo n. 81 (ma anche il decreto legislativo n. 626) più volte parla di "ciascun lavoratore", identificando appunto un diritto individuale e superando, nei fatti, le precedenti normative che parlavano di «rendere edotti i lavoratori». In altre parole, la formazione, così come identificata dalla legislazione, deve essere contestualizzata con riferimento al luogo di lavoro, all'attività e alla mansione di ogni singolo lavoratore. Non deve essere necessariamente solo una formazione di aula (chiaramente anche quest'ultima può essere prevista), ma deve affiancarsi alla formazione fatta sul luogo di lavoro e deve essere garantita - così recita l'articolo 28, in combinato disposto con gli articoli 36 e 37 - anche a piccoli gruppi o a singoli lavoratori, tenendo conto delle peculiari esigenze di ciascuno. Ad esempio, la formazione deve essere collegata alla lingua di coloro che devono essere formati.
In allegato al documento consegnato abbiamo inserito una serie di sentenze della Corte di cassazione, dove la Suprema corte, in termini assolutamente continuativi nel tempo, identifica la formazione come una "obbligazione di risultato": l'effettività della formazione impegna quindi il datore di lavoro non solo e non tanto ad "erogare" la formazione disinteressandosi poi dell'acquisizione dei contenuti della stessa da parte dei lavoratori, quanto - piuttosto - a garantire, mediante verifica anche sul campo, che i destinatari della formazione - quindi, i lavoratori - abbiano appreso quanto insegnato loro ed abbiano imparato ad applicarlo nella concreta prassi lavorativa. Quindi, per chi si occupa di formazione, si tratta del saper fare e del saper essere.
Abbiamo identificato una serie numerosa di soggetti a cui la formazione va erogata: tutti i lavoratori, i preposti, i dirigenti, il datore di lavoro che svolge direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi, di lotta agli incendi e di primo soccorso nelle piccole e medie aziende, gli RSPP, gli ASPP, gli RLS, il medico competente, il coordinatore della sicurezza sui cantieri, gli addetti alla prevenzione incendi e al primo soccorso, nonché, secondo alcune norme, tipologie di lavoratori del tutto particolari, quali, ad esempio, i lavoratori che operano in situ a rischio di incidente rilevante. Il 10 luglio ricorre il 35º anniversario dell'incidente di Seveso dove, dal 16 marzo del 1998, è obbligatoria una formazione specifica per i lavoratori che operano nelle aziende ad alto rischio. Vi sono, inoltre, una serie di altri soggetti di cui si parla poco: penso al personale qualificato in possesso di specifiche conoscenze in materia di valutazione dei rischi derivanti da esposizione ad agenti fisici, così come ai tecnici competenti per l'elaborazione delle schede dati di sicurezza degli agenti chimici e altri ancora. Alla formazione va ovviamente aggiunto l'aggiornamento obbligatorio.
Come si fa ad ipotizzare la qualificazione del formatore che deve operare su una serie infinita di rischi, con un numero altissimo di persone da formare e di mansioni? Occorre una pluralità di formatori che operino con capacità e adeguatezza, avendo conto e rispetto del luogo e della tipologia dei soggetti da formare, con i quali devono confrontarsi. Molto sinteticamente, abbiamo identificato due grandi tipologie di formatori (anche se è possibile classificarli anche in modo diverso, utilizzando terminologie differenti). Vi sono, anzitutto, i cosiddetti formatori qualificati (senior e junior), ossia coloro che operano nel campo della formazione, se non a tempo pieno, comunque con una continuità rilevante in termini di tempo e di capacità di intervento. Vi sono poi i collaboratori formati alla prevenzione, ossia coloro che non fanno formazione tutti i giorni in modo continuativo, ma che vi si dedicano solo all'occorrenza, là dove vi sia la necessità che qualcuno formi i lavoratori su aspetti particolari. Faccio un esempio: se viene installata una nuova attrezzatura, è chiaro che il lavoratore preposto al suo utilizzo dovrà essere formato e da chi può essere formato se non dall'installatore o dal venditore della macchina, che sono gli unici che ne conoscono l'utilizzo? Una volta formato il preposto, sarà a sua volta egli stesso a formare i lavoratori che, a turno, si alterneranno nell'uso dell'attrezzatura.
Oltre ai cosiddetti formatori qualificati, che si occupano di formazione in termini continuativi - o, comunque, per una parte rilevante del loro tempo -, vi sono, quindi, i collaboratori delegati dal datore di lavoro e formati alla sicurezza: si tratta di persone che operano come tecnici, consulenti e collaboratori dei datori di lavoro, ma che hanno anche una capacità di formazione. Costoro hanno seguito un corso, hanno conoscenza di cosa sia la formazione e, al bisogno, possono essere utilizzati dall'azienda. Si tratta di una figura che ove adeguatamente sviluppata farebbe aumentare di molto il numero di persone che hanno dimestichezza con la formazione e ridurrebbe i costi delle aziende, favorendo in particolare le micro e le piccole aziende, soprattutto quelle a basso rischio.
Mi permetto di aprire una brevissima parentesi: è chiaro che il fatto di essere una micro o una piccola azienda con pochi lavoratori non significa, di per sé, avere dei bassi rischi: questi ultimi non sono collegati al numero di lavoratori, ma alla tipologia e alla gravità del rischio. Semplificando, tutte le aziende che hanno rischi bassi - vi sono delle normative che stanno identificando quali sono - potrebbero utilizzare facilmente questi collaboratori formati, che sono dipendenti del datore di lavoro (quindi preposti, medici competenti, RSPP), ma che potrebbero essere anche persone esterne che hanno un rapporto con il datore di lavoro per la tipologia di formazione che viene richiesta (installatori, montatori, progettisti e quant'altro).
Pertanto, la prima indicazione che, come Consulta, ci permettiamo di sottoporre alla valutazione della Commissione è quella di identificare diverse figure di formatori, in modo particolare il formatore qualificato e il collaboratore delegato dal datore di lavoro, che possono poi essere declinati in formatori qualificati senior e junior e in collaboratori aziendali e interaziendali.
In secondo luogo, va sottolineato che nessuno può essere "tuttologo" in materia di formazione. Esistono aree rispetto alle quali la didattica deve evolvere; noi ne abbiamo identificate quattro (se ne potrebbe individuare individuare un numero maggiore o minore, l'importante, però, è identificarle). Le aree che sottoponiamo all'attenzione della Commissione (mi rifaccio alla memoria presentata) muovono dal rigoroso rispetto di ciò che è previsto dalle normative vigenti, specie con riferimento ai corsi per RSPP e RLS. Una prima area è quella normativo-giuridica, che fa riferimento al Titolo I del Testo unico (Moduli A1, A2 e in parte A7, già previsti dalle citate norme sugli RSPP). Una seconda area è definita poli-tecnica e si riferisce ai rischi chimici, fisici e meccanici. La terza area, che abbiamo definito igienico-sanitaria, fa riferimento all'esposizione ad agenti pericolosi (chimici, videoterminali, ergonomici e altro ancora). La quarta, infine, è definita formativa-relazionale-comportamentale e attiene alla capacità formativa, ma anche ai rischi di natura ergonomica e psicosociale, che sono oggi di rilevante importanza per evidenti motivi.
Ripeto: abbiamo individuato queste aree muovendo dalla legislazione vigente sulla formazione. È importante una loro identificazione, in maniera tale che chi vuole fare formazione debba dimostrare di possedere le capacità e le caratteristiche relative all'area in oggetto.
Ma chi può fare formazione? Abbiamo già parlato del formatore qualificato e del collaboratore formato e riteniamo che al riguardo non ci sia nulla da inventare. L'Associazione italiana formatori ha ben definito la figura del formatore, che non è limitata alla sola docenza: il progettista di formazione, il responsabile del centro, ente o del servizio di formazione, il responsabile del progetto formativo, il formatore erogatore dell'attività formativa, il tutor e quant'altro. Il formatore qualificato nell'ambito della sicurezza sul lavoro, pur con le sue caratteristiche specifiche (si tratta di persone adulte, molto spesso esperte nella loro attività, dove però viene introdotta una nuova tecnologia e lavorazione) non deve essere considerato estraneo al sistema della formazione nel suo complesso.
Abbiamo poi provveduto ad identificare dei requisiti - mi pare questa fosse una delle richieste della Commissione - per l'individuazione di formatori qualificati. Innanzitutto abbiamo previsto come pre-requisito obbligatorio per tutti i formatori qualificati il diploma di scuola secondaria superiore di secondo grado (o come diversamente oggi denominato in base alla riforma della pubblica istruzione); abbiamo poi fissato cinque diversi criteri che troverete illustrati nel dettaglio nel quadro sinottico riportato alle pagine 14 e 15 della relazione che abbiamo depositato.
Un primo criterio è rappresentato dal titolo di studio, vale a dire la laurea specifica o il diploma tecnico. È chiaro che il soggetto laureato in scienze della formazione, in psicologia del lavoro o in altre materie omologhe nell'ambito dell'area formativo-relazionale-comportamentale, certamente non dovrà dare alcuna dimostrazione della propria competenza al riguardo, mentre sarà tenuto a dimostrare di avere qualche conoscenza della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. Qui stiamo parlando infatti di un'attività di formazione diversa da quella rivolta ai ragazzi delle scuole o ai soggetti diversamente abili, per i quali si richiedono evidentemente altre tipologie di intervento formativo, assolutamente importanti e preziose, ma differenti da quelle con cui ci si rivolge ad un lavoratore che opera in squadra sulla catena di montaggio o magari in solitudine durante un turno di notte. A scopo esemplificativo, abbiamo elencato nella relazione una serie di titoli di studio, tra cui la laurea in giurisprudenza: in particolare, il soggetto laureato in giurisprudenza potrà sicuramente svolgere l'insegnamento nell'area normativa, ma è evidente che gli saranno richiesti ulteriori requisiti.
Un secondo criterio è rappresentato dall'esperienza didattica. Il tentativo è quello di recuperare la precedente esperienza di chi si è già occupato di insegnamento: può trattarsi di docenti in senso stretto o anche di responsabili scientifici di corsi. A tal proposito, abbiamo evidenziato come nel nostro Paese esistano ormai da molti anni corsi e docenze accreditati da enti terzi o comunque dallo Stato, in particolare dal Ministero della salute o dalle stesse Regioni (pensiamo, ad esempio, ai corsi ECM, educazione continua in medicina). È chiaro quindi che il responsabile scientifico, magari di 10, 20 o 100 corsi ECM o docente negli stessi, deve evidentemente aver avuto una valutazione ex ante assolutamente positiva. Il secondo criterio tiene conto quindi del fatto che il soggetto abbia svolto attività di docenza in anni precedenti o sia stato responsabile scientifico, oltre che docente, in una serie di corsi accreditati dalla pubblica amministrazione: tra gli enti riconosciuti figurano ECM, ASL, INAIL ed altri.
Il terzo criterio è rappresentato dall'esperienza lavorativa maturata per un certo numero di anni nel settore in cui il soggetto dovrebbe poi andare ad insegnare: evidentemente eserciterà l'attività di formazione nell'area in cui ha operato.
Il quarto criterio riguarda gli RSPP, gli ASPP e gli esperti qualificati nel settore dei rischi fisici che evidentemente, avendo superato determinati esami, hanno una specifica qualificazione.
Infine, il quinto criterio è quello della valorizzazione degli operatori della pubblica amministrazione. Quest'ultima ha migliaia di operatori per la sicurezza sul lavoro nelle ASL o in altri enti; a costoro, ai sensi dell'articolo 13, comma 5, del decreto legislativo n. 81 del 2008, è fatto divieto di svolgere attività di consulenza. È evidente però che nel momento in cui si vieta a queste persone di fare consulenza, ciò vuol dire che si ritiene che esse sarebbero in grado di farla e dunque, da questo punto di vista, sono capaci. Tutto ciò significa che questi soggetti possono fare almeno formazione, anzi, secondo noi dovrebbero farla, essendo qualificati.
Tra i requisiti dei formatori abbiamo indicato da ultimo - anche se forse sarebbe il primo dato da valutare in termini di riconoscimento - la nota e manifesta competenza in materia per titoli. Pensiamo ai magistrati, ad esempio, che si occupano di questo tema o ad operatori con eguali caratteristiche di conoscenza e di esperienza. Vanno quindi identificate persone che hanno nota e manifesta competenza, così da poter insegnare e diventare formatori qualificati nelle diverse aree di riferimento.
Abbiamo fatto poi riferimento ai cosiddetti collaboratori formati. Per evitare ogni equivoco, stiamo parlando di persone con cui il datore di lavoro ha un rapporto più o meno consolidato: può trattarsi di dipendenti del datore di lavoro, che operano in azienda e la conoscono quindi perfettamente, oppure di collaboratori che svolgono un'attività di consulenza per l'azienda stessa (installatori, montatori, progettisti). Questi soggetti sono indubbiamente portatori di esperienza, anche se manca forse loro la capacità relazionale necessaria per insegnare, perché non hanno mai fatto un corso di formazione al riguardo. Per questo ci adoperiamo per offrire a questi soggetti, sia pure in un numero limitato di ore, gli strumenti necessari per acquisire una capacità relazionale, comunicativa e formativa. Da tutto ciò il datore di lavoro trae un duplice vantaggio: innanzitutto, non deve affidare la formazione ad un soggetto esterno, con un notevole risparmio di risorse; in secondo luogo, ne risulta accresciuta la professionalità del personale interno, oltre al fatto che i dipendenti, essendo più qualificati, saranno anche molto più soddisfatti. È per così dire l'"uovo di Colombo", utilizzato in tutti i sistemi di gestione, non solo nel settore della sicurezza, ma anche in quello della qualità, per cui si qualificano le persone all'interno perché sono le prime dalle quali verrà poi un contributo rilevante. Colui che abbiamo dunque definito collaboratore formato, collaboratore aziendale e interaziendale, in pratica non è altro che un collaboratore del datore di lavoro, dallo stesso delegato (datore di lavoro che risponde ovviamente sotto il profilo sanzionatorio per culpa in eligendo e in vigilando rispetto alle attività che questi soggetti sono chiamati a svolgere). Ricordo che lo stesso decreto legislativo n. 81 del 2008 assegna al datore di lavoro l'obbligo di affidare compiti e funzioni solo a persone che abbiamo i requisiti per svolgerli, e ciò vale tanto per l'addetto tecnico all'impianto quanto per l'eventuale collaboratore formato.
Un altro problema che vorrei segnalare riguarda la pubblicità dell'elenco delle persone in possesso dei requisiti richiesti. La CIIP si guarda bene dall'entrare nel dibattito politico relativo alla qualità dei titoli di studio, al discorso degli albi e così via: ciò fa parte di un altro livello di discussione su cui non vogliamo entrare. Riteniamo però di dover sottolineare il fatto che ad oggi tutte le altre figure chiamate a svolgere attività di prevenzione ai sensi del decreto legislativo n. 81, in qualche modo hanno un'evidenza pubblica. In particolare, gli RLS devono essere comunicati dal datore di lavoro all'INAIL e sono pubblicati poi sul sito dell'Istituto, per cui chiunque è a conoscenza del fatto che un certo soggetto è un RLS. Così come i nominativi degli RSPP e di tutti coloro che fanno corsi di formazione e di aggiornamento devono essere comunicati alla Regione e alla ASL di competenza. Pertanto, il soggetto formatore ope legis - penso alle associazioni di imprenditori, ai sindacati e alle università - deve comunicare anche ex post all'autorità pubblica (Regione o ASL) i nominativi delle persone, il tipo di corso che hanno fatto e la qualifica di idoneità conseguita per aver superato il corso. Per quanto riguarda poi i medici competenti, vi è addirittura un elenco sul sito del Ministero della salute, con l'indicazione dei relativi corsi di aggiornamento. Allo stesso modo, in caso di ispezione, sono a disposizione delle ASL gli attestati di frequenza ai corsi per primo soccorso, lotta antincendio e quant'altro.
Dunque, per tutti coloro che hanno un ruolo di rilievo in materia di salute e sicurezza sul lavoro, cioè per tutte le figure in qualche modo identificate dal decreto legislativo n. 81 - parlo anche di coloro per i quali non sono previste specificamente sanzioni nell'ambito dello svolgimento delle loro funzioni, come gli RSPP e gli RLS - è assicurata in qualche modo l'evidenza pubblica. Noi riteniamo che i formatori non possano sfuggire a questa logica, anche se non ci permettiamo di indicare quale possa essere la soluzione. Tuttavia ipotizzare, ad esempio, un elenco che un soggetto pubblico (l'assessorato alla formazione della Regione, piuttosto che l'INAIL, o l'ASL, o la Regione stessa) possa tenere ad evidenza, è misura che si inserirebbe in questo quadro normativo che vale per tutte le altre figure professionali. A nostro avviso, ciò favorirebbe anche l'attività delle aziende e, in modo particolare, di quelle medie e piccole, perché avrebbero comunque modo di verificare che le persone che si presentano abbiano effettivamente determinati requisiti professionali, così anche gli stessi RLS nell'ambito della discussione con le aziende, nonché i dirigenti, che devono poi scegliere il formatore all'interno dell'azienda.
In questa logica, riprendendo quanto dicevo all'inizio, si pone un problema di grande rilevanza istituzionale per la Commissione là dove essa volesse perseguire questa strada. Una volta identificati dei criteri, questi sarebbero monchi e spogli di qualsiasi risultato, se non vi fossero delle norme premiali o delle norme sanzionatorie che, in qualche modo, ne sostengano l'applicazione. Solo una norma di legge, o che abbia valore di legge può intervenire a sostegno dei requisiti eventualmente identificati dal legislatore e dalla Commissione. In questo ambito, possono essere identificati i soggetti pubblici a cui assegnare i compiti di assistenza, di vigilanza e di controllo, come già previsto da tutte le altre figure, prevedendo eventuali sanzioni di tipo amministrativo. Ad esempio, nel caso vi fosse un elenco, il formatore che non rispetta i criteri decadrebbe dal farne parte e non potrebbe più svolgere la propria attività. Il datore di lavoro saprebbe che il formatore non è più ricompreso nell'elenco e, quindi, oltre all'autocertificazione in base alle norme di legge, egli disporrebbe di un documento sul quale effettuare una verifica.
Eventuali sanzioni penali, nei casi più gravi, potrebbero rimanere di competenza delle ASL. Per il datore di lavoro e il dirigente che hanno queste competenze sono già previste tali sanzioni, perché la mancata formazione comunque produce una sanzione penale; potremmo però introdurre delle sanzioni non penali per quei formatori che non rispettano i requisiti e per gli enti formatori che, evidentemente, fanno della formazione non qualificata, con segnalazione alle Regioni competenti.
Nel documento che vi abbiamo consegnato riportiamo una serie di ipotesi, lasciando poi al legislatore il compito, che non ci appartiene, di identificare la loro fattibilità. Ribadiamo il concetto, però, di un elenco trasparente e di una qualche norma, premiale da una parte e sanzionatoria dall'altra, la cui mancanza renderebbe monco il processo di qualificazione dei formatori, oltre a rendere la figura del formatore l'unica che, in qualche modo, non dispone di un elenco e non sia né premiata né sanzionata. Da questo punto di vista, una proposta di legge di natura parlamentare sarebbe sicuramente l'unico modo per affrontare questo tema.
In conclusione, ricordo che abbiamo predisposto un breve elenco di sentenze emesse dalla Cassazione riguardanti il tema della formazione, della sua rilevanza e della sua effettività, ai sensi del decreto legislativo n. 626 del 1994 e ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008. Dichiariamo alla Commissione la nostra totale disponibilità per ulteriori richieste di precisazioni e contributi. Ringrazio ancora la Commissione e ritengo l'ipotesi di una proposta di legge assolutamente preziosa e da perseguire nei modi più concreti e, se fosse possibile, anche rapidi.

PRESIDENTE
Desidero ringraziare il presidente Pavanello per questa ampia relazione e anche per la concretezza nell'illustrazione del tema relativo alla qualificazione della figura dei formatori, che è complesso e che sfugge a una definizione precisa.
A mio avviso, l'unica strada percorribile è quella legislativa. Ne discuteremo con i colleghi sperando che sia condivisa. Apriremo un tavolo di confronto con i Ministeri di riferimento, perché lei comprende benissimo, dottor Pavanello, la necessità di confronto a livello governativo. Questo tassello, che è centrale soprattutto ai fini della prevenzione agli infortuni sui luoghi di lavoro, purtroppo manca, come lei ha ampiamente illustrato, di una definizione specifica e circoscritta, che solo una norma può garantire. Per quanto mi riguarda, approfondirò le questioni esposte nel documento che la Consulta ci ha inviato e lo stesso faranno i colleghi. Sono convinto che nelle prossime settimane avremo ancora la necessità di interloquire con lei e con le associazioni del settore perché per definire questo disegno di legge occorrerà operare ulteriori confronti, che magari potremo fare a distanza, avvalendoci delle tecnologie che lo consentono.
In tal modo avvieremo, su di un testo o in forma di bozza, sia pure definita, un colloquio con soggetti che, comunque, dovremo ascoltare su questo tema, ivi compresa la Conferenza Stato-Regioni. Come lei sa, infatti, noi spesso ci troviamo di fronte a questo diaframma (non vorrei definirlo in tal modo, ma a volte si tratta proprio di un diaframma), perché abbiamo difficoltà, lo ammetto con grande evidenza, a interloquire con questa realtà istituzionale che, comunque, è garantita dalla Costituzione per tutti quei processi che coinvolgono discipline in materie concorrenti.
Ringrazio lei, dottor Pavanello, e anche gli altri intervenuti. Penso che ci sia una necessità di studio da parte nostra. Con molta modestia, per quanto mi riguarda, affermo che dobbiamo senz'altro approfondire e studiare il tema, e a tal fine sarà preziosa la documentazione ampia che ci avete inviato.

PAVANELLO
Ringrazio nuovamente, anche a nome dei miei colleghi, il dottor Vitale, il dottor Zaffanella, il dottor Di Nucci e il dottor Francia, sia lei che il Vice Presidente che gli altri senatori presenti.
Lei ha ragione, Presidente, quando dice che sul tema della qualificazione è stata introdotta, quasi senza colpo ferire, l'ipotesi della riqualificazione aziendale all'interno del decreto n. 81 del 2008. Nessuno però all'epoca, proprio per poterla ricomprendere nel decreto, si era posto il problema della mancanza, in un momento successivo, di una serie di atti per qualificare la qualificazione.
Oggi né la Conferenza Stato-Regioni, né la Commissione consultiva possono agire a tal riguardo, perché non c'è la norma che lo consenta. Quindi, l'ipotesi dell'intervento legislativo è assolutamente preziosa, al di là dei contenuti, perché andrebbe a qualificare la qualificazione, senza la quale, evidentemente, si creerebbe un castello di sabbia destinato a crollare al primo soffio di vento.
La Commissione ha avuto questa pregevole intuizione e noi dichiariamo la nostra totale disponibilità, in ogni momento, nei modi e nelle forme che la Commissione vorrà, anche relativamente ad alcuni temi qui solo accennati, come l'addestramento o le modalità innovative. Se la Commissione, in altro momento, vorrà compiere un approfondimento anche su come si è svolta la formazione in questi ultimi cinque anni (quella formazione in qualche modo già normata e prevista), noi dichiariamo altrettanta disponibilità, essendo questo un elemento che andrebbe opportunamente verificato.

NEROZZI (PD)
Vorrei sapere se siete in grado di farci avere del materiale sullo stato attuale del sistema della formazione in Italia. Si tratta infatti di una materia per noi un po' oscura. Quello della formazione è un aspetto delicato, controverso e - per alcuni aspetti - "leggendario", nel senso che circolano leggende su come viene fatta e applicata. Sarebbe quindi interessante avere un quadro, anche a larghe linee, di quanto è finora accaduto. L'impressione è che la situazione sia molto diversa da zona a zona, da settore a settore e da luogo a luogo; nonché, che ci sia una narrazione che non corrisponde alla realtà, o - meglio - che non sempre può corrispondere alla realtà.
Vi ringrazio, quindi, per il complesso materiale che ci avete fornito, frutto di un lavoro e di una conoscenza che noi non abbiamo e vi sarei grato se poteste farci pervenire un lavoro analogo sulla formazione. Per noi sarebbe importantissimo, posto che è una situazione che non si può accertare con verifiche o indagini sui luoghi di lavoro (che realizziamo ormai mensilmente con le varie realtà regionali). Occorre fidarsi di quanto ci viene detto, però a volte le parole possono avere più interpretazioni. Quindi per noi sarebbe molto importante avere una mappatura.

PAVANELLO
Raccogliendo l'osservazione del senatore Nerozzi e posto che anche altri senatori e senatrici hanno dedicato grande attenzione a questo tema, ricordo che nell'audizione del 14 luglio dello scorso anno ci eravamo già impegnati a fare una valutazione sul tema della formazione.
Raccogliamo quindi questa ulteriore sollecitazione e, in tempi brevi, vi faremo avere una prima nota di carattere indicativo, a maglie larghe. Per la fine di luglio o l'inizio di settembre potremo predisporre una mappa più precisa. Ricordo che in materia di formazione tra pochi mesi andranno a scadenza alcune norme e ne subentreranno delle altre; inoltre, all'interno della CIIP si trovano associazioni professionali che fanno formazione, ma anche associazioni di tecnici della pubblica amministrazione che si occupano dei controlli: vi è, quindi, una complessità ampia di soggetti.
Secondo noi, è su questo terreno che si gioca il divenire della sicurezza sul lavoro: lo si gioca, come dice il ministro Sacconi, sulla formazione in quanto tale, ma anche sui criteri e sulle metodologie formative, in relazione a cui - ripeto - potremo farvi avere in tempi brevi una nota a maglie larghe e, successivamente, una memoria analoga a quella consegnata oggi. Su di essa la Commissione farà le valutazioni che ritiene e, se nel caso, noi siamo disponibili ad una successiva audizione.

PRESIDENTE
Ringrazio i nostri ospiti. Riteniamo che, anche ai fini della presentazione di un disegno di legge, sia fondamentale inserire nella relazione questo quadro, così da testimoniare l'urgenza del tema che intendiamo affrontare. Quindi, fin da ora vi siamo grati per l'ulteriore collaborazione e documentazione che ci invierete.
Dichiaro conclusa l'audizione odierna.


Testi non sono stati rivisti dagli oratori.
Fonte: Senato della Repubblica