Categoria: Cassazione penale
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Infortunio sul lavoro – Morte del lavoratore – Omicidio colposo – Responsabilità del datore di lavoro – Obbligo di protezione ex art. 2087 c.c. – Sussiste

“… In forza della disposizione generale di cui all’art. 2087 del codice civile e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo relativo previsto dall’art. 40, comma 2, c.p. Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera.
In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell’art. 2087 c.c. …”

Infortunio sul lavoro – Morte del lavoratore guardia giurata – Omicidio colposo – Responsabilità del datore di lavoro – Omessa dotazione di giubbotto antiproiettile previsto da disciplina speciale per gli istituti di vigilanza privata – Obbligo di protezione ex art. 2087 c.c. – Sussiste – Interpretazione estensiva
“L’applicazione dell’art. 2087 c.c., che garantisce il rispetto dell’obbligo incombente sul datore di lavoro di assicurare al lavoratore subordinato lo svolgimento della propria attività in condizioni di sicurezza per la sua integrità psico-fisica, non resta preclusa dalla concorrente vigenza di discipline speciali, impositive di particolari cautele …
Tale obbligo comportamentale, che è conseguenza immediata e diretta della “posizione di garanzia” che il datore di lavoro assume nei confronti del lavoratore, in relazione all’obbligo di garantire condizioni di lavoro quanto più possibile sicure, è di tale spessore che non potrebbe neppure escludersi una responsabilità colposa del datore di lavoro allorquando questi tali condizioni non abbia assicurato, pur formalmente rispettando le norme tecniche, eventualmente dettate in materia al competente organo amministrativo, in quanto, al di là dell’obbligo di rispettare le suddette prescrizioni specificamente volte a prevenire situazioni di pericolo o di danno, sussiste pur sempre quello di agire in ogni caso con la diligenza, la prudenza e l’accortezza necessarie ad evitare che dalla propria attività derivi un nocumento a terzi …
Vi è pertanto colpa, e il conseguente nesso eziologico con l’evento dannoso, del datore di lavoro nel non aver questi fornito il giubbotto antiproiettile alla guardia giurata, ponendo le condizioni dell’evento letale derivatone. Dovendosi anzi aggiungere come l’addebito colposo oltre che sull’art. 2087 c.c viene articolato anche sul mancato rispetto del provvedimento amministrativo intervenuto subiecta materia, imponendo a fortiori lo strumento di salvaguardia omesso”

Infortunio sul lavoro – Morte del lavoratore guardia giurata – Omicidio colposo – Responsabilità del datore di lavoro – Omessa dotazione di giubbotto antiproiettile per indisponibilità del dispositivo – Diritto alla salute ex art. 32 Cost. – Sussiste
“… Nessun rilievo può assumere la circostanza che il datore di lavoro deduca di essersi attivato tempestivamente per fornire i giubbotti antiproiettile, ma di non averlo potuto fare per la ridotta disponibilità di questi … in quanto un’eventuale indisponibilità dello strumento di sicurezza, dipendente da qualsiasi causa, non può infatti assurgere ad esimente, per l’ovvia e stringente considerazione che il diritto alla salute (qui del lavoratore) è un diritto fondamentale dell’individuo (art. 32 della Costituzione) che non può ammettere eccezioni …”

Massima a cura della redazione di Olympus


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. De Grazia Benito Romano - Presidente
Dott. Campanato Graziana - Consigliere
Dott. Marzano Francesco - Consigliere
Dott. Colombo Gherardo - Consigliere
Dott. Piccialli Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

s e n t e n z a

sul ricorso proposto da:
C.P., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 22 settembre 2004 della Corte di Appello di Palermo;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Patrizia Piccialli;
udito il Procuratore Generale nella persona del sostituto Dott. Enrico Ferri, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi il difensore delle parti civili avv. Motisi Massimo del Foro di Palermo, che ha concluso per il rigetto del ricorso e dell'imputato, avv.to Orecchio Stefania del Foro di Roma, in sostituzione dell'avv. Fragalà Vincenzo, del Foro di Palermo, che ha concluso per l'accoglimento di tutti i motivi di ricorso, con annullamento della sentenza impugnata.

Fatto e Diritto

Il GIP presso il Tribunale di Palermo, con sentenza ex art. 442 c.p.p., del 27 novembre 2003 dichiarava C.P. colpevole del reato di omicidio colposo e lo condannava alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, oltre al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di complessivi Euro 50.000,00 con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
C.P. era stato chiamato a rispondere del reato in questione in qualità di legale rappresentante dell'istituto di vigilanza "METRONOTTE CITTA' DI PALERMO", alle cui dipendenze lavorava la guardia giurata M.F., che il giorno (OMISSIS), mentre prestava servizio antirapina innanzi la Banca Popolare di Lodi, veniva attinto nella zona toracica da un colpo d'arma da fuoco esploso dai malviventi che avevano quel giorno preso di assalto l'Istituto di credito.
A carico del C. era stato formulato l'addebito, che in violazione degli obblighi gravanti su di lui ai sensi dell'art. 2087 c.c. e dall'art. 9 del Regolamento di servizio degli istituti di vigilanza privata operanti in Palermo emesso dal Questore in data 19.4.2001, aveva omesso di fornire alla guardia giurata un giubbotto antiproiettile, così esponendo il M. ad una oggettiva situazione di rischio per l'incolumità, tanto che lo stesso decedeva a seguito delle lesioni provocate dai colpi d'arma da fuoco esplosi dai malviventi a distanza ravvicinata durante la rapina.
La Corte di appello di Palermo, con la sentenza impugnata, confermava la sentenza in primo grado e condannava l'appellante alle ulteriori spese del giudizio.
La Corte di appello territoriale, nel confermare la penale responsabilità del C., richiamava i contenuti motivazionali della sentenza di primo grado sulla prevedibilità ed evitabilità dell'evento nonchè sulla esigibilità di una condotta atta a prevenire l'evento.
In ordine alle censure di merito dedotte dall'appellante, la Corte evidenziava l'applicabilità dell'art. 2087 c.c., anche in presenza di discipline speciali (nella fattispecie, il regolamento di servizio emanato dal Questore il 19.4.2001 e, in precedenza, lo statuto approvato dal Questore, nel cui ambito si era accordata la preferenza agli strumenti di difesa attiva), sul rilievo che incombe al datore di lavoro l'obbligo di assicurare al lavoratore lo svolgimento della propria attività in condizioni di sicurezza per la sua integrità psico-fisica, e non solo il rispetto delle prescrizioni previste dalle norme di legge o regolamenti, soprattutto tenuto conto che le modalità di svolgimento dell'attività lavorativa esponevano la guardia giurata ad un rischio molto concreto di dover fronteggiare l'azione di malviventi.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per Cassazione C. P. a mezzo dei difensori, articolando in questa sede cinque motivi.
Nessuno dei motivi, peraltro, pur dovendosene apprezzare la ricchezza espositiva, può trovare accoglimento, in quanto la sentenza impugnata appare caratterizzata da un convincente apparato argomentativo sulle questioni di interesse ai fini del giudizio di responsabilità e non presenta, peraltro, neppure errori di diritto, con precipuo riguardo ai principi applicabili in tema di colpa e di nesso di causalità tra la condotta del prevenuto e l'evento mortale verificatosi in danno del lavoratore dipendente.
Per comodità espositiva, si riportano, nei limiti indicati dall'art. 173 disp. att. c.p.p., i motivi di impugnazione, facendo a ciascuno di essi seguire le ragioni per le quali non possono trovare accoglimento.
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 40 c.p., comma 2, artt. 42 e 43 c.p., censurando le conclusioni dei giudici di merito in relazione alla sussistenza del rapporto di causalità materiale tra la condotta dell'imputato e l'evento letale.
La Corte territoriale, in particolare, sarebbe incorsa in un grave errore di interpretazione degli articoli suindicati laddove avrebbe disatteso la tesi difensiva - esposta nel ricorso in appello e reiterata in questa sede - secondo la quale nessuna responsabilità omissiva colposa era addebitabile al C., che prontamente (il 3.5.2001, cioè il giorno successivo alla notifica del regolamento del Questore in data 19.4.2001) si era attivato per adeguare l'esercizio del servizio di vigilanza alle prescrizioni regolamentari adottate dal Questore, ordinando tempestivamente il numero di corpetti necessario per la dotazione in favore di dipendenti esposti ad obiettivi sensibili.
Si sottolinea, inoltre, sotto il profilo soggettivo, che non era esigibile da parte del C. una condotta diversa, essendo stata dimostrata nelle precedenti fasi di giudizio l'impossibilità di reperire in tempi più ridotti la disponibilità dei corpetti.
Sotto un altro profilo, contesta l'interpretazione estensiva dell'art. 2087 c.c., fornita dalla Corte territoriale, secondo la quale l'applicazione della norma citata, che garantisce il rispetto dell'obbligo incombente sul datore di lavoro di assicurare al lavoratore subordinato lo svolgimento della propria attività in condizioni di sicurezza per la sua integrità psico-fisica, non resta preclusa dalla concorrente vigenza di discipline speciali, impositive di particolari cautele.
In tal modo, i giudici di merito avrebbero erroneamente fatto coincidere, con una inammissibile valutazione ex post, l'obbligo di prevenzione imposto al datore ex art. 2087 c.c., con la semplice opportunità dell'adozione di un presidio non prescritto (il giubbotto antiproiettile) obbligatoriamente per quel tipo di impresa.
In proposito si evidenzia che la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., nell'ipotesi di concorrente normazione, presuppone l'accertamento da parte dei giudici che il presidio di prevenzione fosse confacente a regole di esperienza statutariamente previste o invalse nelle prassi. Alla luce di tale principio, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale aveva disatteso tale principio, pur risultando che la dotazione del giubbetto non fosse misura obbligatoriamente adottabile, come dimostrato dal fatto che in epoca antecedente l'emanazione del Regolamento del Questore era stata accordata la preferenza agli strumenti di difesa attiva ed era stata statutariamente prevista la dotazione di presidi attivi (fucili a pompa e pistole di elevata offensività) in favore di tutte le guardie, limitando l'utilizzo dei corpetti ai soggetti preposti al servizio porta valori.
In realtà, la decisione gravata, confermativa di quella di primo grado, appare corretta siccome adottata in piena aderenza a quello che, per assunto pacifico, è il contenuto precettivo dell'art. 2087 c.c..
Come è noto, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c., e di quelle specifiche previste dalla normativa antinfortunistica, il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall'art. 40 c.p., comma 2.
Ne consegue che il datore di lavoro, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera.
In altri termini, il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa: tale obbligo dovendolo ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente, al disposto dell'art. 2087 c.c., in forza del quale il datore di lavoro è comunque costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l'ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all'obbligo di tutela, l'evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall'articolo 40 c.p., comma 2, (Cass., Sez. 4^, 12 gennaio 2005, Cuccu).
Tale obbligo comportamentale, che è conseguenza immediata e diretta della "posizione di garanzia" che il datore di lavoro assume nei confronti del lavoratore, in relazione all'obbligo di garantire condizioni di lavoro quanto più possibili sicure, è di tale spessore che non potrebbe neppure escludersi una responsabilità colposa del datore di lavoro allorquando questi tali condizioni non abbia assicurato, pur formalmente rispettando le norme tecniche, eventualmente dettate in materia al competente organo amministrativo, in quanto, al di là dell'obbligo di rispettare le suddette prescrizioni specificamente volte a prevenire situazioni di pericolo o di danno, sussiste pur sempre quello di agire in ogni caso con la diligenza, la prudenza e l'acCortezza necessarie ad evitare che dalla propria attività derivi un nocumento a terzi (cfr. Cass., Sez. 4^, 12 dicembre 2000, Bulferetti).
E' in questo quadro normativo che si pone correttamente la sentenza impugnata, laddove ravvisa la colpa, e il conseguente nesso eziologico con l'evento dannoso, del datore di lavoro nel non aver questi fornito il giubbotto antiproiettile alla guardia giurata, ponendo le condizioni dell'evento letale derivatone.
Dovendosi anzi aggiungere come l'addebito colposo oltre che sull'art. 2087 c.c., viene articolato anche sul mancato rispetto del provvedimento amministrativo intervenuto nella subiecta materia, imponente a fortiori lo strumento di salvaguardia omesso.
In questa prospettiva, all'evidenza, nessun rilievo può assumere la circostanza che l'imputato deduca di essersi attivato tempestivamente per fornire i giubbotti antiproiettile, ma di non averlo potuto fare per la indicata ridotta disponibilità di questi.
Un' eventuale indisponibilità dello strumentario di sicurezza, dipendente da qualsiasi causa, non può infatti assurgere ad esimente, per l'ovvia e stringente considerazione che il diritto alla salute (qui del lavoratore) è un diritto fondamentale dell'individuo (art. 32 Cost.) che non può ammettere eccezioni (per riferimenti, Cass., Sez. 4^, 28 gennaio 2005, Ranzi).
Con il secondo motivo, lamenta la violazione di legge con riferimento all'art. 603 c.p.p., e la manifesta illogicità della motivazione, sostenendo che erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta di acquisizione della documentazione rilevante ai fini dell'eventuale disconoscimento della legitimatio ad causam ex art. 74 c.p.p., del Sindacato U.i.L. t.u.c.s., costituitosi parte civile, sul rilievo erroneo della tardività della richiesta e della incompatibilità con il rito abbreviato (dagli atti emerge che tale documentazione riguarderebbe la circostanza che all'epoca del sinistro la vittima aveva rassegnato le dimissione dal Sindacato e che tale documentazione non era stata offerta al giudicante in primo grado, in sede di rito abbreviato). Analoghe considerazioni vengono svolte con riferimento alla attestazione resa dalla ditta Fontauto Max Protectio di Cuneo circa l'impossibilità di fornire i corpetti antiproiettili nel termine di 10 giorni previsto nel regolamento del Questore.
Anche questo motivo non può trovare accoglimento, per l'assorbente considerazione che il giudice di appello del processo celebratosi in primo grado con il rito abbreviato può disporre acquisizioni probatorie ulteriori rispetto a quelle già esistenti al momento dell'accoglimento della richiesta del rito speciale, ma soltanto nell'ipotesi di assoluta necessità rilevata d'ufficio, ai sensi dell'art. 603 c.p.p., comma 3, di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale; non, invece, nel caso di sollecitazione dell'espletamento di tale attività processuale formulata dalle parti con l'atto di impugnazione, giacchè, in fase di appello, non può configurarsi alcun potere di iniziativa delle parti in ordine all'assunzione delle prove in quanto, prestato il consenso all'adozione del rito abbreviato, esse hanno definitivamente rinunciato al diritto alla prova (Cass., Sez. 2^, 31 gennaio 2005, Giliberti).
Nella specie, è quindi corretta in diritto e adeguatamente motivata la decisione reiettiva assunta dal giudice di merito.
Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge con riferimento all'art. 538 c.p.p., comma 2, e 540 c.p.p., sul rilievo che il giudice di secondo grado, anzichè procedere alla revoca della provvisionale immediatamente esecutiva in favore dei congiunti della vittima, pur dando atto della carenza motivazionale della statuizione, contraddittoriamente - facendo uso di un autonomo potere integrativo, inammissibile secondo il ricorrente - rigettava la richiesta di revoca del provvedimento.
La doglianza è chiaramente improponibile in questa sede, giacchè, per assunto pacifico, la condanna al pagamento di una provvisionale costituisce un provvedimento di natura parziale e provvisoria, che anticipa in sede penale la valutazione definitiva della sussistenza del danno e non fa stato per sua natura nel processo civile di liquidazione, ne è impugnabile per Cassazione, in quanto la sua efficacia è destinata a cessare con la pronuncia della sentenza definitiva che, decidendo il ricorso per Cassazione anche con riferimento alle statuizioni sul risarcimento del danno, chiude definitivamente il processo (ex pluribus, Cass., Sez. 6^, 16 aprile 2004, Fusaro; Cass., Sez. 4^, 28 ottobre 2005, Conti).
Con il quarto motivo si duole della violazione di una norma processuale stabilita a pena di nullità, in particolare dell'art. 522 c.p.p., sul rilievo che in violazione del diritto di difesa dell'imputato, i giudici di secondo grado avevano qualificato il fatto di reato ai sensi dell'art. 589 cpv. c.p., ipotesi mai prima contestata al C., facendo riferimento ad una contestazione in fatto contenuta nel capo di imputazione e così giustificando inopinatamente il più grave trattamento sanzionatorio.
Nessuna violazione di legge è ravvisabile.
Va ricordato, in proposito, assorbentemente, che nei procedimenti per reati colposi, la sostituzione o l'aggiunta di un particolare profilo di colpa, sia pure specifica, al profilo di colpa originariamente contestato non vale a realizzare diversità o immutazione del fatto ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'articolo 516 c.p.p., e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 c.p.p., (di recente, Cass., Sez. 4^, 3 maggio 2005, Bartalucci).
In altri termini, nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo d'imputazione siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa, sia pure specifico, rispetto ai profili originariamente contestati non vale a realizzare una diversità o mutazione del fatto, con sostanziale ampliamento o modifica della contestazione. Ciò dovendosi ritenere in quanto il riferimento alla colpa generica evidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata in riferimento all'evento verificatosi, sicchè questi è posto in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione di tale evento, di cui è chiamato a rispondere (ex pluribus, Cass., Sez. 4^, 4 maggio 2005, De Bona; in precedenza, Cass., Sez. 4^, 4 ottobre 2001, Derks ed altri).
A ciò dovendosi anzi aggiungere che, in tema di reati colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilità dell'aggravante speciale (qui, quella prevista dall'art. 589 cpv.
c.p.) non occorre che sia integrata la violazione di norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, giacchè, per l'addebito di colpa specifica, è sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa della violazione del disposto dell'art. 2087 c.c., che fa carico all'imprenditore di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (v. Cass., Sez. 4^, 8 giugno 2001, Zagami).
Con il quinto motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione in relazione al giudizio sulla mancata concessione delle attenuanti generiche ex art. 62 bis c.p., fondato sul presunto grado di colpa del prevenuto, facendo peraltro riferimento alla fattispecie più grave di cui all'art. 589 cpv. c.p., erroneamente contestata al C., per quanto sopra esposto.
Il motivo è all'evidenza inammissibile, involgendo una censura di merito sull'esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito: in tema di determinazione della pena e di concessione o diniego delle circostanze attenuanti generiche, infatti, il dovere del giudice di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale non deve esplicarsi attraverso un'analitica e prolissa esposizione di tutti gli elementi previsti dagli artt. 133 e 62 bis c.p., essendo sufficiente che egli mostri di avere valutato le varie componenti del fatto, indicando, poi, soltanto quei criteri che siano stati da lui ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio (Cass., Sez. 2^, 23 settembre 2005, Cardati ed altri). Ciò che, nella specie, risulta essere stato fatto, con, in particolare, satisfattivo richiamo alla ritenuta gravità della colpa ed alla gravità del pregiudizio derivatone.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili M.M. e M.B., che unitariamente liquida in Euro 2812,05, di cui Euro 2500,00 (duemilacinquecento), oltre I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge.
Così deciso in Roma, il 4 luglio 2006.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2006