Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Corte di Appello di Potenza, Sez. Lav., 07 giugno 2011 - TBC polmonare e Equo indennizzo


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI POTENZA

SEZIONE LAVORO

 

La Corte di Appello di Potenza - Sezione Lavoro - riunita in Camera di Consiglio nelle persone dei Signori Magistrati:

 

Dr. Pio Ferrone - Presidente -

 

Dr. Maura Stassano - Consigliere relatore -

 

Dr. Caterina Marotta - Consigliere -

 

ha pronunziato la seguente:

SENTENZA

 

nella causa civile iscritta al n. 24/2011 R.G., avente ad oggetto: "pubblico impiego: riconoscimento equo indennizzo" e vertente

 

Tra

 

Fi.El., nato (...) ed ivi residente alla via (...), rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi.Pi. e Ro.Di. elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo in Genzano di Lucania alla via (...), giusta mandato a margine dell'originale del ricorso di primo grado

 

Appellante

 

E

 

Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e per il Ministero della Difesa - Direzione Generale Pensioni, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Potenza, presso i cui uffici in Potenza al Corso (...) ope legis domiciliano

 

Appellati/appellanti incidentali

 

 

Fatto

 

Con sentenza n. 3104/10 in data 2 Dicembre 2010 il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, respingeva la domanda proposta da Fi.El., con ricorso in data 13 Maggio 2008, nei confronti del Ministero della giustizia e del ministero della Difesa, ed avente ad oggetto la condanna di parte resistente al pagamento in suo favore dell'equo indennizzo; le spese restavano integralmente compensate tra le parti.

 

Avverso tale decisione interponeva appello Fi.El., con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 14 Gennaio 2011 e deduceva:

 

l'erronea valutazione del quadro clinico da parte dell'Ausiliare officiato in primo grado, le cui valutazioni erano state fatte proprie dal Tribunale: "Il Giudice di prime cure ha inteso fondare l'esito del giudizio sulla relazione di CTU, la quale assegna un ruolo decisivo ad un esame, e cioè la RX del torace del 28.6.2010. Orbene, già nelle note difensive depositate il 18.11.2010, l'odierno appellante impugnava e contestava le valutazioni della CTU, lacunose e superficiali in quanto non confortate da esami approfonditi. Più precisamente, l'elaborato peritale veniva analiticamente contestato dal CTP dott. Do.Pi. il quale disponeva una serie di esami approfonditi, tra i quali una TAC ad alta definizione, esame che il ricorrente effettua in data 16.9.2010. Dall'esito di tale esame - estremamente più avanzato e completo rispetto al una semplice radiografia del torace, il dott. Pi. rilevava che "........ il paziente Fi.El. è affetto, allo stato attuale, da esiti di TBC polmonare di tipo anatomico, senza pregiudizio funzionale a riposo. La TBC polmonare e i suoi esiti, riscontrati nel paziente in esame, sono perciò ascrivibili alla Tabella A Quinta categoria punto 10 del D.P.R. 83481. (La tubercolosi polmonare allo stato di esiti estesi, ma clinicamente stabilizzati, sempre previo accertamento stratigrafico quando essi per la loro entità non determinino grave dissesto alla funzione respiratoria). La percentuale di danno anatomico complessivo è stabile nella misura di 5% ...";e concludeva:

 

per la riforma dell'impugnata sentenza nei sensi di cui alle supportate conclusioni.

 

Emesso decreto presidenziale, notificato in uno all'atto introduttivo, si costituiva la controparte per resistere all'avverso dedotto e deduceva:

 

difetto di giurisdizione del giudice ordinario - inammissibilità della domanda - decadenza dal diritto per intempestività della domanda amministrativa - erronea declaratoria della tempestività della domanda - violazione ed omessa applicazione dell'art. 11 D.P.R. 20.4.1994 n. 349 applicabile ratione temporis alla fattispecie - erronea applicazione dell'art. 51 D.P.R. n.686 del 1957 perchè non più in vigore all'epoca dei fatti - erronea compensazione delle spese di ctu - erroneità ed ingiustizia della decisione; e concludeva:

 

per il rigetto dell'appello e la riforma dell'impugnata sentenza in ordine alle spese, con ogni conseguenza.

 

Alla fissata udienza comparivano i procuratori delle parti che si riportavano ai rispettivi art. e discutevano oralmente la causa, decisa come da dispositivo letto in udienza.

 

 

Diritto

 

L'appello è infondato, e, pertanto, va respinto.

 

Va in primo luogo respinta l'eccezione di difetto di giurisdizione reiterata in questa sede da parte appellata. Il primo giudice aveva affermato la sua "cognitio", sul rilievo che al momento dell'insorgere della malattia, il ricorrente era un agente di custodia in servizio di leva e che quindi non si era costituito tra le parti un rapporto di pubblico impiego sottratto alla "privatizzazione" e che l'evento rilevante ex art. 45 T.U. era il rigetto dell'istanza di riconoscimento dell'equo indennizzo. L'Avvocatura deduce invece la giurisdizione dell'AGA a cagione del fatto che "il ricorrente (sia che la sua attività era da riportare a quella della Polizia Penitenziaria che Militare) era in regime pubblicistico non solo all'epoca dell'espletamento del servizio (1988/1990) ma anche all'attualità". La censura non è fondata:

 

1) il ricorrente, arruolato, per l'espletamento del servizio di leva, in data 15.07.1989, quale allievo agente ausiliario di custodia presso la Scuola Allievi di Cairo Montenotte, è stato collocato in congedo assoluto per riforma a mente dell'art. 5 E1.I, in data 12.9.1990, (ved. foglio matricolare caratteristico agli atti) ne consegue che all'attualità non è in servizio;

 

2) il servizio di leva prestato non comporta la costituzione di un rapporto di pubblico impiego, per il difetto della costituzione di un rapporto organico, ma un rapporto di servizio in regime di leva obbligatoria;

 

3) la posizione vantata nei confronti della P.A. è di diritto soggettivo, in quanto non solo afferente ad un bene costituzionalmente protetto, quanto non implicante l'esercizio di a poteri discrezionali da parte della Pubblica amministrazione.

 

Deduce ancora l'appellato la decadenza dal diritto per violazione del termine semestrale ex art. 36 D.P.R. n. 686/1957 di presentazione della domanda di liquidazione (avvenuta in data 1.2.1996), decorrente non dalla data di riconoscimento della dipendenza della malattia da causa di servizio (in data 1.01.1996 ad opera della competente autorità costituita presso l'Ospedale Militare di Bari), come ritenuto dal primo giudice in applicazione dell'art. 51 del capo II del D.P.R. n. 686/1957, ma dalla data di collocamento in licenza illimitata "in attesa di espletamento degli atti medico legali da parte dell'Ospedale Militare di Bari per "esiti di TBC"". La censura è infondata: il termine semestrale, nel caso di specie, non può che decorrere, ex art. 3 D.P.R. n. 349/1994, dal momento del riconoscimento della c.d. "causa di servizio", epoca di compiuta consapevolezza non solo degli esiti della malattia quanto della sua riconducibilità al prestato servizio.

L'Avvocatura ritiene che il termine debba farsi decorrere dal momento dell'accertamento della patologia, applicando alla fattispecie un criterio temporale (post hoc propter hoc), ritenuto non più dirimente in materia medico legale e del tutto insufficiente a provare la consapevolezza della riconducibilità (efficacia causale effettiva) all'ambito del servizio. Al contrario, il timore di azioni troppo tempestive quanto inopportune e la necessità di consentire al "paziente" di maturare la piena consapevolezza, hanno orientato la scelta nel senso di una decorrenza "posticipata" e ragionevolmente collegata ad una compiuta analisi della patologia, non solo nei suoi effetti, quanto nelle sue cause. "In tema di equo indennizzo per i pubblici dipendenti, il termine semestrale di decadenza per la proposizione della domanda, previsto dall'art. 51 del D.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, (norma abrogata ex art. 11 D.P.R. n. 349/1994 e sostituita dall'art. 3 di analogo tenore) non inizia a decorrere dal momento in cui il danno, conseguente alla lesione dell'integrità fisica o psichica, si è avverato ma da quello in cui lo stesso è divenuto, in base ad indici oggettivi, conoscibile dall'interessato alla luce delle nozioni comuni dell'uomo medio, eventualmente integrate da diagnosi mediche, dovendosi escludere che tale condizione equivalga alla conoscenza dell'esatta situazione clinica, idonea, in quanto tale, a protrarre a tempo indeterminato (ed anche a vanificare) il termine decadenziale, con conseguente menomazione del diritto di difesa, anche in giudizio, del titolare del debito indennitario" (Sez. L, Sentenza n. 14584 del 22/06/2009).

 

Deduce ancora l'Avvocatura come il riconoscimento del diritto all'equo indennizzo sia incompatibile con l'assenza di un rapporto di pubblico impiego, la censura è infondata laddove, incontroversa l'esistenza di un rapporto di servizio, si costituisce in capo a chi si avvale di quel servizio l'obbligo ex art. 2087 c.c. L'art. 4 Lex n. 308 in data 3 Giugno 1981 ha esteso con decorrenza dal 1 Gennaio 1979 al personale militare di leva l'istituto dell'equo indennizzo, già previsto per il restante personale militare previsto dalla Lex n. 1094/1970. Né appare incompatibile il cumulo tra equo indennizzo - che indennizza la perdita dell'integrità psico - fisica per causa di servizio - con la pensione privilegiata - che sostiene la perdita o la riduzione della capacità di lavoro - (cfr. Cass. Civ. sez. lav. n. 16546/2006).

 

Respinte le eccezioni sollevate da parte resistente e rilevato che non v'è questione di titolarità passiva del rapporto (questione non rilevabile d'ufficio), per essersi costituita l'Avvocatura in difesa di entrambi i Ministeri vocati in primo grado, senza differenziare le rispettive posizioni e quindi senza rilevare il difetto della qualità di debitore in capo al Ministero della Difesa (titolare del generale rapporto di leva obbligatoria) per essersi costituito il rapporto servizio specifico con il Ministero della Giustizia, tenuto a garantire condizioni di espletamento "salubri", va comunque respinto l'appello principale. Deduce Fi.El. come la valutazioni del CTP si fondi "su una metodologia diagnostica estremamente sofisticata ed avanzata rispetto a quella (una semplice radiografia) su cui il a CTU ha fondato il proprio parere"; la censura è infondata: nel referto accluso alla indagine TAC eseguita da Fi.El. si accerta: "Segni di ispessimento dell'interstizio assiale. Strie fibrotiche pleuro - parenchimali ai segmenti apicali dei lobi superiori, specie a destra, ove si associano multiple bolle di enfisema pan - lobulare e para - settale. Non evidenza di lesioni focali in ambo i polmoni a carattere patologico. Nei limiti della metodica, non si evidenziano significative linfoadenopatie mediastiniche" ne consegue:

 

1) non vi sono lesioni focali patologiche a livello polmonare

 

2) le strie fibrotiche pleura parenchimali non depongono per una diagnosi di TBC (d'altro canto se per diagnosticare una TBC si deve far ricorso alla TAC, per l'esito negativo della radiografia del torace, è evidente che le alterazioni funzionali sono irrilevanti),

 

3) l'enfisema bolloso ha natura incerta

 

4) parte ricorrente non ha depositato una spirometria,

 

5) la situazione anatomica è modesta

 

6) il CTP non esprime alcuna valutazione funzionale né evidenzia una insufficienza respiratoria

 

ne consegue che resta confermata la valutazione del CTU di assenza di danno all'integrità psico - fisica in capo al ricorrente all'esito della accertata patologia. D'altro canto questa Corte deve rilevare:

 

1) neppure il C.t.p. evidenzia una insufficienza respiratoria o comunque la compromissione della funzione respiratoria

 

2) la presenza di strie fibrotiche non sarebbe sfuggita alla radiografia disposta dal CTU che invece ha avuto esito negativo,

 

3) non appare condivisibile la classificazione della patologia accertata in capo al ricorrente, nella tabella A quinta categoria punto 10 (tubercolosi polmonare con esiti estesi), anche all'esito della TAC eseguita dalla parte medesima che comunque non evidenzia alcun fattore di "impegno funzionale" (ad. es. all'ottava categoria è ascritta la bronchite cronica).

 

All'esito tali considerazioni e sul rilievo che non è stato né dedotto né allegato un aggravamento della patologia, deve concludersi come la richiesta di rinnovo della c.t.u. abbia un contenuto esplorativo, del tutto incompatibile con la impegnatività serietà" del mezzo istruttorio. "La consulenza tecnica d'ufficio non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze. Ne consegue che il suddetto mezzo di indagine non può essere utilizzato al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati. (Principio affermato ai sensi dell'art. 360 bis, primo comma, cod. proc. civ.)" (Sez. 6 - L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011). Il principio del giusto processo e quindi della sua ragionevole durata, impongono a tutti i soggetti del giudizio un richiamo alla serietà del contesto e quindi un rinnovato impegno durante tutta la fase processuale ed in particolare impongono alla parte ricorrente un onere di attivazione funzionale ad una pretesa attuale e concreta e non possibile ed eventuale.

 

Va da ultimo dichiarato inammissibile il motivo di appello incidentale sulle spese, poiché parte resistente si duole della disposta compensazione di quelle di consulenza tecnica, senza specificamente censurare l'argomentazione posta dal primo giudice a fondamento della sua decisione. Si legge in motivazione: "Invero, le spese della c.t.u. sono n riconducibili tra le spese processuali, cosicché quando il giudice del merito, per la reciproca soccombenza ovvero - come nella specie - per altri giusti motivi, discrezionalmente valutabili, ritiene che le stessa debbano essere compensate, non si rinvengono ragioni d'ordine logico - giuridico che possano precludere che la compensazione concerna anche le spese di consulenza. ............. Dunque essa costituisce un atto necessario del processo che l'ausiliare compie nell'interesse generale superiore della giustizia e, correlativamente nell'interesse comune delle parti. Risulta ancora più confortato, quindi, il convincimento che la compensazione non costituisce in alcun modo una illegittima condanna alle spese della parte vittoriosa". Ne consegue che la decisone di compensare le spese di c.t.u., al pari delle altre, si fonda sulla ritenuta loro natura di spese processuali e sulla ritenuta necessaria partecipazione di entrambe le parti alle spese effettuate nell'interesse generale, principi che escludono che tale "contributo" possa avere una natura sanzionatoria a carico della parte vittoriosa. L'appellante incidentale, non impugnando la disposta compensazione di tutte le altre spese processuali, si limita a dedurre "... non v'è alcuna ragione per derogare dal generale canone della soccombenza con riguardo alle spese di C.T.U." deduzione tautologica che non censura l'argomentazione del Tribunale né in ordine all'inquadramento giuridico delle spese di consulenza, né in ordine alla natura non sanzionatoria della decisione sul loro riparto.

 

La soccombenza è quindi reciproca, ne consegue la parziale compensazione delle spese del presente grado.

 

L'appello va quindi respinto; le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

 

 

P.Q.M.

 

 

Definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con appello principale da Fi.El. con ricorso in data 14.01.2011 nei confronti del Ministero della giustizia in p. del l.r.p.t., nonché sull'appello incidentale proposto dal Ministero con memoria in data 2.05.2011, avverso la sentenza del Tribunale g.l. di Potenza n. 3104/10 in data 02.12.2010,ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa, così provvede:

 

Respinge l'appello principale e dichiara inammissibile quello incidentale;

 

Condanna l'appellante al pagamento in favore del Ministero ut supra di due terzi delle spese di lite del grado liquidate in complessivi Euro 1.575,00, di cui Euro 600,00 per diritti, Euro 800,00 per onorario e Euro 175,00 per rimborso forfetario, oltre IVA e CPA come per legge;

 

compensa tra le parti il residuo terzo.

 

Così deciso in Potenza il 19 maggio 2011.

 

Depositata in Cancelleria il 7 giugno 2011.