Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 14 luglio 2011, n. 27729 - Mancanza di opere provvisionali e caduta dall'alto


 

 

 


Responsabilità di un datore di lavoro per omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in relazione al decesso del proprio dipendente DI. Bo., a seguito di una caduta al suolo dall'alto nel cantiere ove la vittima stava lavorando.

Trattavasi di lavori eseguiti in regime di appalto e, per quanto interessa, il GR. era stato chiamato a rispondere del fatto in quanto, avendo ricevuto l'incarico di svolgere lavori di manutenzione sul tetto di un capannone industriale, aveva omesso di predisporre opere provvisionali per evitare le cadute dall'alto e di esigere, altresì, che il lavoratore, pur dotato delle cinture di sicurezza, le utilizzasse effettivamente sempre sul luogo di lavoro.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

La Corte afferma che la decisione di condanna neppure presta il fianco alle violazioni di legge ipotizzate dal ricorrente.

E' frutto di una opinabile ricostruzione del ricorrente quella dell'inapplicabilità della normativa cautelare sui lavori in quota ai lavori che, pur se svolgentisi non al suolo, non sarebbero caratterizzati da interventi di costruzione in verticale.
E' vero l'opposto: la normativa di cautela vuole salvaguardare il lavoratore dal rischio di cadute dall'alto, mentre l'indicazione prescrittiva volta ad imporre di calibrare gli interventi provvisionali allo "sviluppo dei lavori stessi", vuole solo significare l'obbligo di persistente attenzione a carico del titolare della posizione di garanzia, nel senso che questi deve sempre verificare che l'evoluzione verso l'alto delle attività non renda, in ipotesi, insufficienti le opere provvisionali in precedenza predisposte.

Infine, corretto e incensurabile è l'assunto del giudicante sul mancato utilizzo delle cinture di sicurezza.

La sentenza si pone, infatti, in linea con il principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, giacchè al datore di lavoro, che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela.

A tale regola, si fa unica eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso causale (articolo 41 c.p.p., comma 2), in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore.


In questa prospettiva, con affermazione qui calzante, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell'abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore.



 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) GR. FR. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 257/2007 CORTE APPELLO di MILANO, del 05/07/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/05/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

udito il P.G. in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. ACANFORA Luigi del Foro di Milano che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto



GR. Fr. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, l'ha riconosciuto colpevole del reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica in relazione al decesso del proprio dipendente DI. Bo. , a seguito di una caduta al suolo dall'alto nel cantiere ove la vittima stava lavorando.

Trattavasi di lavori eseguiti in regime di appalto e, per quanto interessa, il GR. era stato chiamato a rispondere del fatto in quanto, avendo ricevuto l'incarico di svolgere lavori di manutenzione sul tetto di un capannone industriale, aveva omesso di predisporre opere provvisionali per evitare le cadute dall'alto e di esigere, altresì, che il lavoratore, pur dotato delle cinture di sicurezza, le utilizzasse effettivamente sempre sul luogo di lavoro.

In modo conforme, sia in primo che in secondo grado, vengono valorizzati diversi profili di colpa.

In primo luogo, la mancata previsione di opere provvisionali contro le cadute, imposte non solo dall'altezza ove si svolgevano i lavori, ma anche dalla conformazione del sito, per la presenza sul tetto, ove dovevano muoversi gli operai, di lastre, confondibili come colore con la restante parte della copertura, ove alto era il rischio di rottura, onde non dovevano essere calpestate e sottoposte a sollecitazione.

In secondo luogo, il mancato controllo sull'effettivo, costante utilizzo delle cinture di sicurezza da parte dell'operaio, che, pur essendosi alla fine dell'orario di lavoro, era ancora presente in loco, muovendosi sul tetto dal quale era precipitato. Il comportamento dell'operaio non poteva comunque definirsi abnorme, sì da elidere la responsabilità del datore di lavoro.

Con il ricorso si articolano due distinti motivi, connessi.

Si sostiene che erroneamente sarebbe stato formalizzato l'addebito in relazione al mancato apprestamento delle opere provvisionali, sostenendosi che la normativa cautelare di settore quella vigente all'epoca dei fatti, ma anche quella successiva introdotto dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 non sarebbe leggibile come operato dai giudici di merito, giacchè, si sostiene, imporrebbe la predisposizione delle opere provvisionali solo per i lavori di costruzione in verticale verso l'alto, ma non opererebbe per le attività che dovessero svolgersi già in altezza, come nel caso del capannone de quo.

Si contesta, ancora, la fondatezza dell'addebito basato sul mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte dell'operaio, sostenendosi, in sintesi, che il comportamento di questi sarebbe stato imprevedibile, per essersi l'operaio tolto le cinture di sua iniziativa, dopo la conclusione dell'attività. Del resto, si soggiunge, le lastre dove era intercluso il passaggio erano da ritenere, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di merito, immediatamente percepibili, onde la caduta era stata determinata non per non aver il lavoratore visto la lastra da non calpestare, ma per essere caduto all'indietro dopo avere superato tale lastra.

 

Diritto



Il ricorso è inammissibile sotto diversi profili.

In primo luogo, perchè, a ben vedere, si articola su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame: tali motivi, per l'effetto, devono considerarsi non specifici, giacchè la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell'articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all'inammissibilità (Sezione 4, 8 luglio 2009, Cannizzaro, non massimata).

In secondo luogo, comunque, perchè, in sede di legittimità, specie quando ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme" e cioè ad una doppia pronuncia (in primo e in secondo grado) di eguale segno (vuoi di condanna, vuoi di assoluzione), allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (per riferimenti, Sezione 6, 6 maggio 2009, Esposito ed altro, non massimata).

Ciò che qui deve ritenersi specificamente laddove il ricorrente vorrebbe introdurre il tema della ricostruzione delle modalità della caduta dall'alto dell'operaio come caduta all'indietro dopo il superamento della lastra che non avrebbe dovuto calpestare e quello, correlato, della distinguibilità delle lastre non calpestagli.

In terzo luogo, va osservato che la decisione di condanna neppure presta il fianco alle ipotizzate violazioni di legge. è frutto di una opinabile ricostruzione del ricorrente quella dell'inapplicabilità della normativa cautelare sui lavori in quota ai lavori che, pur se svolgentisi non al suolo, non sarebbero caratterizzati da interventi di costruzione in verticale.
E' vero l'opposto: la normativa di cautela vuole salvaguardare il lavoratore dal rischio di cadute dall'alto, mentre l'indicazione prescrittiva volta ad imporre di calibrare gli interventi provvisionali allo "sviluppo dei lavori stessi", vuole solo significare l'obbligo di persistente attenzione a carico del titolare della posizione di garanzia, nel senso che questi deve sempre verificare che l'evoluzione verso l'alto delle attività non renda, in ipotesi, insufficienti le opere provvisionali in precedenza predisposte.

Infine, corretto e incensurabile è l'assunto del giudicante sul mancato utilizzo delle cinture di sicurezza.

La sentenza si pone, infatti, in linea con il principio, assolutamente pacifico, secondo cui, in tema di infortuni sul lavoro, l'addebito di responsabilità formulabile a carico del datore di lavoro non è in effetti escluso dai comportamenti negligenti, trascurati, imperiti del lavoratore, che abbiano contribuito alla verificazione dell'infortunio, giacchè al datore di lavoro, che è "garante" anche della correttezza dell'agire del lavoratore, è imposto (anche) di esigere da quest'ultimo il rispetto delle regole di cautela (cfr. Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, articolo 18, comma 1, lettera f)). A tale regola, si fa unica eccezione, in coerente applicazione dei principi in tema di interruzione del nesso causale (articolo 41 c.p.p., comma 2), in presenza di un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile del lavoratore: in tal caso, anche la condotta colposa del datore di lavoro che possa essere ritenuta antecedente remoto dell'evento dannoso, essendo intervenuto un comportamento assolutamente eccezionale ed imprevedibile (e come tale inevitabile) del lavoratore, finisce con l'essere neutralizzata e privata di qualsivoglia rilevanza efficiente rispetto alla verificazione di un evento dannoso l'infortunio, che, per l'effetto, è addebitabile materialmente e giuridicamente al lavoratore (tra le tante, Sezione 4, 13 marzo 2008, Reduzzi ed altro; nonchè, di recente, Sezione 4, 8 giugno 2010, Rigotti, entrambe non massimate). Ciò può verificarsi in presenza solo di comportamenti "abnormi" del lavoratore, come tali non suscettibili di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. In questa prospettiva, con affermazione qui calzante, si esclude tradizionalmente che presenti le caratteristiche dell'abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è addetto, essendo l'osservanza delle misure di prevenzione finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del lavoratore (cfr. Sezione 4, 5 giugno 2008, Stefanacci ed altri, non massimata sul punto).

E' quanto si è evidentemente verificato nella vicenda che qui interessa, laddove è stato accertato in sede di merito che il datore di lavoro aveva omesso di controllare l'utilizzo.

P.Q.M.



Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.