REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico
Dott. PETTI Ciro
Dott. TERESI Alfredo
Dott. MARMO Margherita
Dott. SENSINI Maria Silvia

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
P.M.G., nata a *** il ***, e residente in ***, alla *** - a mezzo del difensore avv. BRAY Roberto, con studio in Ruffano alla Piazza IV Novembre 24 -;
avverso la sentenza del Tribunale di Lecce, Sez. dist. di Casarano, n. 7/06 in data 10 gennaio 2006, di condanna alla pena di Euro 1.800,00 di ammenda, per contravvenzioni varie del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 33, art. 389, lett. c, artt. 13, 6, 9 e 10, art. 389, lett. c, artt. 13 e 11, art. 389, lett. c, D.Lgs. n. 493 del 1994, art. 2 e art. 8, lett. a), in materia di sicurezza del lavoro;
Sentita la relazione del Dott. Papa;
sentito il Procuratore Generale, in persona del Sostituto dott. Angelo Di Popolo, che ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità del ricorso.

Osserva:


- che:
Condannata a pena di giustizia per le contravvenzioni, indicate in epigrafe, in materia di sicurezza del lavoro, P.M.G. propone ricorso per cassazione, col quale, muovendo alla sentenza impugnata la censura di "travisamento del fatto ed illogicità della motivazione", si duole che in essa si affermi la penale responsabilità dell'imputata, per non essersi verificata la fattispecie estintiva di cui al D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 24, senza alcun controllo sulla effettiva ricezione - in effetti, mai avvenuta - della comunicazione di ammissione alla oblazione, speditale a mezzo del servizio postale.

- che:
Il ricorso è inammissibile.
Nella decisione impugnata si da atto che, "nonostante il lasso di tempo concesso e l'esito positivo della verifica dell'adempimento alle prescrizioni impartite, la fattispecie estintiva di cui al D.Lgs. n. 758 del 1994, art. 24, non si è perfezionata per fatto addebitabile alla stessa imputata, che non ha provveduto al versamento dell'oblazione di cui al D.Lgs. cit."; nulla si dice, invece, di una qualche contestazione, sollevata dalla stessa imputata, circa la mai avvenuta ricezione della comunicazione di ammissione alla oblazione, che, nell'odierno ricorso, si precisa risultare inviata a mezzo del servizio postale il 27 aprile 2002.
Onde la questione agitata col ricorso appare del tutto nuova, non offrendo l'atto alcuno spunto circa la sua precedente sottoposizione al giudice, tanto più necessaria, in quanto la relativa verifica avrebbe di necessità comportato una indagine di fatto, ovviamente preclusa in sede di legittimità. Essa appare, inoltre, formulata in maniera generica, giacché, pur versandosi in materia di procedibilità ex D.Lgs. n. 758 del 1994 citato, non pare considerare, nella sua articolazione, che "la procedura di estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza ed igiene del lavoro (...) non richiede una formale notificazione del verbale di ammissione al pagamento redatto dalla P.A. successivamente alla verifica di avvenuta eliminazione della violazione, essendo sufficiente una modalità idonea a raggiungere il risultato di notiziare il contravventore della ammissione al pagamento e del relativo termine" (Cass., 3ª, 38680/2004). Dal che si trae ulteriore conferma della necessità di una indagine di fatto, ormai non più consentita.
La conseguente inammissibilità non consente di verificare - tanto più in rapporto alla sospensione del procedimento, prevista nell'art. 23 D.Lgs. citato - l'eventuale prescrizione delle contravvenzioni contestate, successivamente alla pronuncia impugnata.
Tale inammissibilità, infatti, qualunque ne sia la causa, vale a dire originaria, per mancanza nell'atto di impugnazione dei requisiti prescritti dall'art. 581 c.p.p. (Sez. Un., 11 novembre 1994, Cresci) o derivante dalla enunciazione di motivi non consentiti e dalla enunciazione di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello (Sez. Un., 30 giugno 1999, Piepoli), o, infine, derivante dalla manifesta infondatezza dei motivi di ricorso (Sez. Un., 22 novembre 2000, De Luca), preclude l'esame della sussistenza di cause di non punibilità, ai sensi dell'art. 129 c.p.p..
A mente dell'art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità segue a carico della ricorrente l'onere delle spese del procedimento, nonché del pagamento di una somma alla cassa delle ammende, non versandosi in ipotesi di carenza di colpa della parte ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.



La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 26 novembre 2007