Corte di Appello di Milano, Sez. 3, 06 luglio 2011 - Ponteggi e caduta dall'alto


 

 

Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio ad un dipendente che, nel corso dell'attività di smontaggio di un ponteggio metallico, dopo avere smontato circa 30 metri di rete elettrosaldata e tubi siti al quinto piano dell'opera provvisionale, nello scendere al piano inferiore lungo i montanti, non essendovi apposite scalette di collegamento tra i piani, perdeva l'equilibrio e, non essendo agganciato con la cintura di sicurezza, precipitava a terra da un'altezza di circa 16 metri, procurandosi gravi lesioni personali.

 

Nel caso di specie è intervenuta la prescrizione quale causa estintiva del reato de quo, essendo decorso il tempo necessario a prescrivere ai sensi degli artt. 157 e 160 c.p., avuto riguardo alla data di commissione del fatto (22.10.2003) e non ricorrendo le condizioni per la pronuncia di sentenza assolutoria essendo pacifica la sussistenza della penale responsabilità del prevenuto alla luce delle univoche risultanze processuali, avendo il Tribunale, con motivazione condivisa integralmente da questa Corte, sottolineato i profili di colpa sussistenti e riportati nella sentenza di primo grado.


 

 

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

CORTE D'APPELLO DI MILANO

 

TERZA SEZIONE PENALE

 

Composto dai Signori:

 

1) Dott.ssa A. Rizzi - Presidente -

 

2) Dott.ssa S. D'Antona - Consigliere Rel. -

 

3) Dott.ssa G. Merola - Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

contro

 

Di.Lo. nato (...) - appellante - libero contumace

 

residente a Milano - via (...) domicilio eletto

 

domic. dich.

 

Imputato di: artt. 40 cpv. - 590 co. 1, 2 e 3 c.p. commesso in (...)

 

Difeso da: Avv. Al.Qu. Foro di Milano

 

avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale Monocratico di Milano numero 2159/2006 del 15/06/2007 con la quale veniva condannato alla pena di:

 

Mesi 2 di reclusione; doppi benefici;

 

per il reato di lesioni colpose gravi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro,

 

per il reato di cui a:

 

Di.Lo. artt. 40 cpv. - 590 co. 1, 2 e 3 c.p. commesso (...).

 

 

 

 

FattoDiritto

 

 

 

Con sentenza emessa in data 15.06.07 dal tribunale di Milano in composizione monocratica

 

Di.Lo. veniva dichiarato colpevole

 

del delitto di cui agli artt. 40 cpv. e 590 commi 1, 2 e 31 c.p. in relazione agli artt. 17 D.P.R. 164/56 e 43 comma 4 lett. g) D.Lgs. 626/94, perché, in qualità di titolare della ditta "Ed." con sede in Milano, Via (...), cagionava al lavoratore dipendente Mi.An., avente la qualifica di muratore, lesioni personali consistite in "escoriazioni ed ematomi frontopalpebrali, trauma cranico severo con emorragia subaracnoidea e frattura ossa frontale sinistro, frattura tetto orbita dx e sx, frattura sacro bilaterale e diastasi del pube con ematoma retroperitoneale, frattura diafisaria distale femore sx, frattura epifisi distale radio sx e diafisi distale tibia sx", da cui derivava l'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni quantomeno per un anno e quattro mesi (dal 22.10.2003 al 18.2.2005) e postumi invalidanti non ancora accertati definitivamente dall'INAIL (come comunicato in data 31.1.2005),

 

per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nella violazione della normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro e, specificamente,

 

- dell'art. 17 D.P.R. 164/56 per avere omesso di assicurare che lo smontaggio del ponteggio installato presso il cantiere di Via (...) fosse eseguito sotto la diretta sorveglianza di un preposto appositamente nominato,

 

- dell'art. 43 comma 41 lett. g D.Lgs. 626/94 per avere omesso di assicurare una formazione adeguata del lavoratore ed uno specifico addestramento circa l'uso corretto e l'utilizzo pratico della cintura di sicurezza,

 

cosicché Mi.An. - nel corso dell'attività di smontaggio del ponteggio metallico misto a Ca. e tubi innocenti, installato all'interno del cortile dello stabile di Via (...) - dopo avere smontato circa 30 metri di rete elettrosaldata e tubi siti al quinto piano dell'opera provvisionale, nello scendere al piano inferiore lungo i montanti, non essendovi apposite scalette di collegamento tra i piani, perdeva l'equilibrio e, non essendo agganciato con la cintura di sicurezza, precipitava a terra da un'altezza di circa 16 metri, procurandosi le lesioni personali sopra descritte

 

con le aggravanti di aver cagionato alla persona offesa lesioni gravi (durata della malattia superiore a 40 giorni e postumi invalidanti in corso di specificazione da parte dell'INAIL) e di avere commesso il fatto in violazione della normativa in materia di prevenzione infortuni sul lavoro.

 

Per tale reato, concesse le circostanze attenuanti generiche, valutate con giudizio di equivalenza su entrambe le aggravanti contestate, l'imputato veniva condannato alla pena di due mesi di reclusione.

 

Sospensione condizionale dell'esecuzione della pena e non menzione Applicazione dell'indulto ex L. 241/2006.

 

Il giudizio di responsabilità a carico dell'imputato scaturisce essenzialmente dalle dichiarazioni rese dalla parte offesa che era rimasto cosciente, nonostante l'infortunio. Il teste Fo.Se. aveva riferito che, mentre stava operando all'interno dello stabile, aveva visto il Mi. attivarsi allo smontaggio del ponteggio su un balcone del caseggiato al secondo piano, ma l'infortunio, però, era avvenuto qualche minuto dopo per cui non era stato testimone diretto della sua genesi. Sv.Fr., a sua volta aveva riferito che lo aveva visto salire sul ponteggio e poi cadere, senza però essere in grado di circostanziare meglio i fatti.

 

Mi.An. dichiarava in dibattimento di essere caduto mentre scendeva dall'ultimo piano del ponteggio (e cioè o dal quarto o dal quinto piano) diversamente da quanto aveva riferito al personale medico, ai quali aveva detto di essere caduto da un'altezza di circa 4 metri.

 

Rilevava il tribunale che la discrasia non appariva significativa e smentiva la ricostruzione dei fatti offerta dalla parte lesa, perché secondo la dinamica successivamente descritta, si comprendeva che mentre in un primo momento lo stesso era solo scivolato, il salto nel vuoto (che potrebbe essere stato effettivamente di solo quattro metri) era intervenuto durante la caduta. Il Mi. infatti precisava che "nello scendere da un cavalletto (o piano del ponteggio) all'altro piano di sotto era scivolato, aveva perso l'equilibrio e la presa ed era caduto; stava scendendo dalla parte interna del ponteggio verso il muro del caseggiato. La p.o. spiegava altresì come mai era caduto a circa a metà del cortile (su un'ampiezza di circa tre metri quadri) ad un metro circa verso destra rispetto ai balconi, riferendo che nel corso della caduta, per il colpo, era stato ribaltato fuori finendo all'interno del cortile; era stato lui stesso a lanciarsi fuori dal piano del ponteggio verso l'interno del cortile nel corso della sua caduta, per evitare di cadere sul materiale già smontato e depositato a terra. La parte lesa inoltre dichiarava di non aver utilizzato le scale perché erano scomode e non si aprivano e che si doveva o entrare dalla finestra dal muro e passare dalle scale interne dell'edificio, ovvero scendere lungo i pali del ponteggio, utilizzando come gradini i morsetti. Il teste ribadiva poi più volte che non c'erano i portelli (o botole) dove era inserita la scala ed indicava come detta circostanza fosse documentata anche dalle foto del ponteggio acquisite agli atti. Non sapeva se il sig. Di. fosse stato informato specificatamente di questa mancanza che peraltro era in essere fin dal momento del montaggio del ponteggio avvenuto più di venti giorni prima. Infine riconosceva che non aveva indossato la cintura di sicurezza perché molto scomoda da utilizzare soprattutto nel passaggio da un piano all'altro.

 

Il tribunale rilevava che la testimonianza del tecnico della UPSAL So.Lo. aveva posto in evidenza la non conformità alle leggi di prevenzione degli infortuni del ponteggio su cui operava la p.o. Lo stesso riferiva che sia per quanto visionato all'epoca, sia per quanto risultante dalle fotografie, emergeva che il ponteggio, nella parte da dove in forza della posizione del corpo si era ritenuto che fosse caduto il Mi., presentava in tutti i piani i parapetti incompleti perché erano privi sia di tavole fermapiedi sia dei correnti (o aste) inferiori. Le aste costituenti i parapetti dovevano essere due ed essere poste parallelamente al piano di calpestio e detta misura di sicurezza era imposta proprio per evitare la caduta di persone. Rilevava il tribunale che la spiegazione di tale fatto da parte del teste Fo., che aveva affermato che a suo avviso questi mancavano perché stavano smontando il ponteggio, non risultava convincente visto che dalle fotografie risultava inequivocabilmente che le misure di sicurezza non erano presenti in nessuno dei piani e non solo in quelli superiori da cui erano iniziate le operazioni di smontaggio.

 

I tecnici dell'Upsal avevano inoltre verificato che dai balconi del palazzo per accedere al piano del ponteggio prospiciente erano utilizzate (come confermato anche dal teste Fo.) due tavole di legno senza alcun parapetto nonostante la presenza ai lati di spazio libero che permetteva la caduta di persone nel vuoto. Anche per questo motivo all'imputato, nella sua qualità di datore di lavoro dell'infortunato, era stata contestata la violazione dell'art. 24 (intitolato parapetti "che prescrive le misure di sicurezza per i piani ad altezza superiore a 2 mt.); 68 intitolato "difese delle aperture") e 29, 4 comma (intitolato "andatoie e passerelle") del D.P.R. n 164/1956. Successivamente era avvenuta anche la contestazione dell'assenza, nel corso delle operazioni di smontaggio, di un preposto come invece previsto espressamente dall'art. 17 dello stesso D.P.R. che recita che "i lavori di montaggio e smontaggio delle opere provvisionali devono esser eseguiti sotto la diretta sorveglianza di un preposto ai lavori".

 

Dalla deposizione dell'altro tecnico della Asl, Au.Lu., emergeva poi che nello smontaggio di un ponteggio possono essere rimossi i parapetti, ma in tal caso gli operai devono assicurarsi durante le operazione con le cinture di sicurezza. Il teste precisava inoltre che anche se il preposto non deve avere un'abilitazione particolare e può essere impersonato anche dal caposquadra senza una formale individuazione, aveva ritenuto la sussistenza della violazione dell'art. 17 D.P.R. citato perchè né i lavoratori, ne' l'imputato avevano saputo indicare chi al momento dell'infortunio rivestisse tale carica, né come fosse stato addestrato.

 

Riteneva pertanto il primo giudice che il ponteggio non era dotato di tutte le misure necessarie ad evitare episodi proprio come quello in cui il Mi. aveva riportato le lesioni gravi e che anche se non era emerso con precisione in che punto Mi.An. avesse perso l'equilibrio ed iniziato la sua caduta, era pacifico che la stessa era stata determinata e non arginata nel suo divenire a causa della mancanza di numerose misure di sicurezza. Inoltre evidenziava che le violazioni delle misure di sicurezza indicate dal D.P.R. n. 164/56 concernevano non solo i parapetti, ma anche le modalità di accesso sia dall'edificio al piano del ponteggio, sia dall'uno all'altro dei livelli del ponteggio (l'art. 68 del citato testo normativo prevede che tutte le aperture lasciate nei solai o nelle piattaforme di lavoro devono essere circondate da parapetto e tavola fermapiede oppure devono essere coperte). Tali violazioni erano inoltre in essere da tempo e perfettamente visibili anche senza salire sul ponteggio.

 

Avverso la sentenza proponeva appello l'imputato tramite il difensore, chiedendo:

 

- l'assoluzione con la formula ritenuta di giustizia;

 

- in via subordinata, la concessione dell'attenuante del risarcimento del danno, con giudizio di prevalenza anche delle concesse circostanze attenuanti generiche sulle contestate aggravanti - il minimo della pena edittale.

 

Rilevava il difensore

 

- l'errata ricostruzione della dinamica dell'incidente:

 

la p.o. non era stato in grado di dire dove effettivamente si trovasse al momento della caduta, come fosse stata la dinamica degli eventi e come mai si fosse trovato al centro del cortile, anzicchè in corrispondenza del ponteggio, la contraddizione tra le dichiarazioni rese dalla p.o. subito dopo l'incidente rispetto a quanto riferito in dibattimento; l'incompatibilità della ricostruzione postuma con la dinamica dello scivolamento lungo la parte interna del ponteggio, l'irrilevanza della dichiarazione del compagno di lavoro Sv., che aveva affermato di aver visto la p.o. sul ponteggio solo prima di cadere; il contrasto tra queste ultime dichiarazioni e quelle rese da altro lavoratore, Fo., che aveva visto la p.o. sul balcone del caseggiato.

 

Sulla base dell'istruttoria assunta riteneva la difesa che unica spiegazione logica sulla dinamica del sinistro era che l'evento era imprevedibile ed il comportamento della p.o. abnorme.

 

- l'insussistenza del nesso causale tra l'evento lesivo e la condotta dell'imputato.

 

Sulla base delle dichiarazioni rese dal tecnico della Asl, Lu.Au., la p.o., muratore esperto da circa 40 anni, poteva ben rivestire la qualifica di preposto in materia di smontaggio del ponteggio e conseguentemente veniva meno il nesso causale tra l'evento e la violazione dell'art. 17 D.P.R. 164/56.

 

Il medesimo teste aveva dichiarato che non vi erano indicazioni precise su chi dovesse tenere il corso di formazione per insegnare agli operai l'utilizzo corretto delle cinture di sicurezza (consulenti, associazioni esterne, datore di lavoro ..) e per quanto tempo i medesimi dovessero durare: risultava dagli atti che il datore di lavoro aveva fornito all'operaio tutto il materiale necessario alla sicurezza e che la p.o. in passato aveva dimostrato di saperne fare uso: anche in questo caso non vi era stata, a parere della difesa, alcuna violazione della norma.

 

- errata valutazione di presunte violazioni di norme di sicurezza in materia di ponteggi.

 

Il ponteggio non era stato eretto per la ristrutturazione della facciata, ma per effettuare il recupero del sottotetto; conseguentemente gli operai non dovevano lavorare sul ponteggio ed al tetto accedevano dalle scale interne del caseggiato:

 

In ogni caso quando era intervenuta la ASL il ponteggio era in fase di smontaggio ed era verosimile che mancassero alcune parti; nel capo di imputazione non era evidenziata valenza o nesso di causalità tra le presunte irregolarità del ponteggio e l'evento lesivo. Il teste Au. riferiva che il ponteggio poteva considerarsi regolare se l'accesso principale fosse stato da una finestra del caseggiato piuttosto che ad un piano superiore o inferiore attraverso scalette interne; quanto ai parapetti il teste riferiva che era ammesso nella fase di smontaggio la rimozione dei parapetti, purché il lavoratore fosse dotato di cintura di sicurezza.

 

La deposizione del teste So., valorizzata dal tribunale, secondo il difensore non aveva dato alcun concreto contributo, in quanto incompleta.

 

- la difesa chiedeva la concessione dell'attenuante del risarcimento del danno e la concessione delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.

 

Vi era agli atti la prova che il danno era stato risarcito dall'assicurazione e la p.o. aveva rinunziato alla costituzione di parte civile.

 

All'odierna udienza, svoltasi in contumacia dell'appellante, PG e difesa concludevano chiedendo emettersi sentenza di non luogo a precedere per essersi il reato contestato estinto per prescrizione.

 

 

Ritiene la Corte che, in linea generale, va precisato che in presenza di una causa estintiva del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 c.p.p. solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'inesistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento".

 

Ed invero il concetto di "evidenza" richiesto dal secondo comma dell'art. 129 c.p.p. presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato (Cass. Pen. Sez. VI, 25.3.99 n. 3945).

 

Peraltro, "la regola di giudizio di cui al secondo comma dell'art. 530 - cioè l'obbligo per il giudice di pronunciare sentenza di assoluzione anche quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova della responsabilità - è dettata esclusivamente per il normale esito del processo sfociante in sentenza emessa dal giudice al compimento dell'attività dibattimentale con piena valutazione di tutto il complesso probatorio acquisitosi in atti. Per contro, detta regola non può trovare applicazione in presenza di causa estintiva del reato. In tale situazione vale la regola di cui all'art. 129 c.p.p. in base alla quale in presenza di una causa estintiva del reato, l'inizio di prova o la prova incompleta in ordine alla responsabilità dell'imputato non viene equiparata alla mancanza di prova ma, per pervenire ad un proscioglimento nel merito, soccorre la diversa regola di giudizio, per la quale deve "positivamente" emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriori accertamenti, l'estraneità dell'imputato per quanto contestatogli" (Cass. Sez. I, 28.9.93 n. 8859).

 

Nel caso di specie è intervenuta la prescrizione quale causa estintiva del reato de quo, essendo decorso il tempo necessario a prescrivere ai sensi degli artt. 157 e 160 c.p., avuto riguardo alla data di commissione del fatto (22.10.2003) e non ricorrendo le condizioni per la pronuncia di sentenza assolutoria essendo pacifica la sussistenza della penale responsabilità del prevenuto alla luce delle univoche risultanze processuali, avendo il Tribunale, con motivazione condivisa integralmente da questa Corte, sottolineato i profili di colpa sussistenti e riportati nella sentenza di primo grado.

 

Si impone quindi, su conforme richiesta del PG e del difensore, la declaratoria di estinzione per prescrizione.

 

 

P.Q.M.

 

 

Visti gli artt. 605, 627 c.p.p., 157 e 160 c.p. in riforma della sentenza emessa il 15.06.07 dal Tribunale di Milano nei confronti di Di.Lo. in ordine al reato ascritto per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.