Cassazione Civile, Sez. Lav., 6 ottobre 2004, n. 19940 - Infortunio in itinere: veicolo privato e mezzo pubblico


 

 

La Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui «l'ipotesi dell'infortunio "in itinere"», compreso nella tutela dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, non può essere ravvisata nel caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sia spostato con il proprio automezzo dal luogo di lavoro ove l'uso del veicolo privato non rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore (Cass. n. 806/93). Va considerato, infatti, che ai fini dell'indennizzabilità di un infortunio occorso lungo il percorso tra il luogo della propria dimora e il luogo di prestazione dell'attività lavorativa fuori sede il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada; con la conseguenza che l'uso del mezzo privato può essere consentito solo quando sia direttamente collegato con la prestazione lavorativa ed è indispensabile per raggiungere il posto di lavoro o per tornare alla propria abitazione.


 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giovanni PRESTIPINO - Presidente -
Dott. Fabrizio MIANI CANEVARI - Consigliere -
Dott. Francesco Antonio MAIORANO - Rel. Consigliere -
Dott. Natale CAPITANIO - Consigliere -
Dott. Giuseppe CELLERINO - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso proposto da:
C. A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MONTE ZEBIO 32, presso lo studio dell'avvocato MARINA MESSINA, rappresentato e difeso dall'avvocato MARIA PAOLETTI, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
R. F. I. S.P.A., (già F. D. S. S. D. T. E S. P. A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE U. TUPINI 113, presso lo studio dell'avvocato NICOLA CORBO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 979/01 del Tribunale di PISA, depositata il 14/07/01 R.G.N. 4825/99;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/06/04 dal Consigliere Dott. Francesco Antonio MAIORANO;
udito l'Avvocato CORBO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Maurizio VELARDI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

 


Con ricorso al Tribunale di Pisa C. A. proponeva appello avverso la sentenza del Pretore di Pisa, emessa nei confronti delle F. d. S., con la quale era stata rigettata la sua domanda per il riconoscimento dell'infortunio in itinere da lui subito in data 28/11/89, mentre rientrava dal lavoro, e quindi per la costituzione della rendita per incapacità lavorativa nella misura del 45%.
Le F. contrastavano il gravame ed il Tribunale, con sentenza del 1316 - 14/7/01, lo rigettava sul rilievo che i fatti di causa non erano contestati, mentre controversa ne era la qualificazione. L'occasione di lavoro doveva essere esclusa, perché non era provata nessuna relazione fra la necessità di uso del mezzo privato e la prestazione lavorativa del giorno dopo: se il C. non si fosse recato a Pisa con la sua auto la mattina del giorno 28 per motivi personali, non avrebbe avuto alcuna necessità di riportare il mezzo a casa per poterlo poi usare la mattina successiva per recarsi al lavoro. La carenza di relazione fra l'uso del mezzo privato ed il lavoro era ancor più netta che nel caso di un comportamento effettivamente strumentale nel quale si può anche ravvisare una qualche relazione di necessità (come la riparazione della vettura, che sia assolutamente necessaria per effettuare il percorso lavorativo in mancanza di mezzi di trasporto meno pericolosi); nel caso in esame, invece, era pacifico che il rientro alla abitazione con mezzo proprio era dovuto esclusivamente al fatto di avere in precedenza portato la macchina a Pisa per motivi personali.
La tesi prospettata in secondo grado (secondo cui l'uso della macchina era necessario per il ritorno nella abitazione nella stessa serata del 28/11/89 considerata la variabilità dell'orario di uscita) non era attendibile, sia perché in contrasto con quanto affermato in primo grado (che la macchina era stata portata a Pisa per motivi personali «pag. 2 del ricorso» e quindi che doveva essere riportata presso la sua abitazione in vista del viaggio di andata al lavoro del giorno dopo) sia perché non risultava che la sera dell'incidente vi fosse stato un ritardo imprevisto nella fine del turno di servizio ed in ogni caso perché non erano state proposte specifiche contestazioni circa l'insufficienza del servizio pubblico in caso di uscita alle ore 20.18.


Avverso questa pronuncia propone ricorso per cassazione il C., fondato su un unico motivo. Resiste la R. F. I. spa (già F. d. S. spa) con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

 


Lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.P.R. n. 1124/1965 (art. 360 n. 3 CPC) deduce il ricorrente che esatta è l'affermazione che i fatti sono pacifici in causa, ma non la conclusione che ne trae il giudice d'appello, che debba cioè escludersi l'occasione di lavoro: è pacifico il nesso eziologico sussistente tra il percorso seguito e l'evento, posto che lo stesso costituisce l'iter normale per i residenti in Marina di Pisa che intendano recarsi a Pisa. Tale tragitto è stato percorso dall'istante quella sera, alle ore 20.18, non per ragioni personali, ma perchè è la via più veloce per giungere a casa in tempo per il necessario riposo dovendo prendere servizio la mattina successiva alle ore 4.45; la necessità dell'uso del mezzo privato è evidente ove si abbia riguardo alla effettiva disponibilità dei mezzi pubblici la sera dell'infortunio; la mancanza di una corsa di autobus utile per il turno della mattina del 28/11/89 e la conseguente necessità di riportare a casa la macchina, che si trovava a Pisa, costituiscono elementi tali da giustificare la presenza del requisito di un nesso di causalità. L'occasione di lavoro inizia nel momento in cui l'istante terminato il turno di lavoro si trova costretto a condurre la propria auto, che in quel momento era a Pisa, presso la propria abitazione per utilizzarla la mattina successiva. Non sussiste invece il rischio elettivo posto che la necessità di utilizzare l'auto non è una scelta personale, ma una soluzione imposta dall'obbligo di prendere servizio la mattina successiva in condizioni fisiche ottimali.


Il ricorso è infondato.

La Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui «l'ipotesi dell'infortunio "in itinere"», compreso nella tutela dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, non può essere ravvisata nel caso di incidente stradale subito dal lavoratore che si sia spostato con il proprio automezzo dal luogo di lavoro ove l'uso del veicolo privato non rappresenti una necessità, in assenza di soluzioni alternative, ma una libera scelta del lavoratore (Cass. n. 806/93). Va considerato, infatti, che ai fini dell'indennizzabilità di un infortunio occorso lungo il percorso tra il luogo della propria dimora e il luogo di prestazione dell'attività lavorativa fuori sede il mezzo di trasporto pubblico costituisce lo strumento normale per la mobilità delle persone e comporta il grado minimo di esposizione al rischio della strada; con la conseguenza che l'uso del mezzo privato può essere consentito solo quando sia direttamente collegato con la prestazione lavorativa ed è indispensabile per raggiungere il posto di lavoro o per tornare alla propria abitazione.
Nel caso di specie, la macchina era stata portata a Pisa la mattina del giorno 28 "per motivi personali" dice lo stesso ricorrente, o meglio "per trattare una permuta del veicolo", come risulta dalla sentenza. È quindi pacifico in causa che il viaggio di andata a Pisa con il mezzo proprio non era legato al lavoro che doveva essere prestato nel turno pomeridiano; così come è pacifico che al termine del turno lavorativo, alle ore 20,18, ben poteva essere utilizzato il mezzo pubblico in partenza alle ore 20,35 con arrivo a Marina di Pisa alle ore 20,44, come precisa il controricorrente. In questo contesto logica e coerente è la conclusione del giudice di merito secondo cui il viaggio di ritorno a casa non è affatto legato alla prestazione lavorativa, ma è frutto di una libera scelta del lavoratore e quindi di un rischio elettivo. La circostanza che la macchina sarebbe servita la mattina successiva per recarsi al lavoro, in relazione ad un turno lavorativo da iniziarsi alle ore 5,45 non è rilevante, perché costituirebbe, secondo la valutazione del giudice di merito un "comportamento meramente prodromico" all'uso del mezzo privato per uno scopo lavorativo. Simile valutazione è condivisibile perché non possono rientrare nel rischio protetto dalla copertura assicurativa dell'INAIL le attività prodromiche all'uso del mezzo privato per fini lavorativi.


Il ricorso va quindi rigettato. Le spese vanno regolate ai sensi dell'art. 152 disp. att. CPC nel testo anteriore a quello di cui all'art. 42 del D.L. n. 269 del 30/9/03, nella specie inapplicabile "ratione temporis"; in proposito va rilevato che il ricorrente non ha mai contestato di avere portato la macchina a Pisa per motivi non legati alla prestazione di lavoro, assolutamente personali, per trattare cioè la permuta della stessa vettura; nel corso del giudizio però ha aggiunto, in appello, che l'uso della macchina era necessario per il ritorno a casa in considerazione della variabilità dell'orario di uscita (senza però allegare e dimostrare i relativi presupposti di fatto, come si pone in evidenza nella sentenza impugnata) ed in questa sede che l'uso del mezzo privato era necessario per il ritorno a casa avuto "riguardo all'effettiva disponibilità di mezzi pubblici la sera dell'infortunio" (senza poi contestare l'affermazione del controricorrente in merito all'esistenza di un mezzo pubblico in partenza per Marina di Pisa alle ore 20,35, con arrivo alle ore 20,44, pienamente utilizzabile in caso di uscita alle ore 20,18, come accertato in primo grado). Tale allegazione di nuovi fatti, non dimostrati, o palesemente inammissibili, rende evidente non solo la manifesta infondatezza della domanda, ma anche l'uso temerario del ricorso per cassazione, per cui si giustifica la condanna alle spese di lite, nella misura indicata in dispositivo.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 50,00 per spese, oltre ad Euro 1.500,00 per onorario.
Roma 21 giugno 2004.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 6 OTT. 2004.