Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico


Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Lunedì 28 marzo 2011

Audizioni svolte presso la Prefettura di Firenze

Presidenza del presidente TOFANI

Audizione dell’assessore regionale alla sanità

Intervengono l’assessore regionale alla sanità, dottoressa Daniela Scaramuccia, accompagnata dalla responsabile del settore prevenzione, igiene e sicurezza della Regione Toscana, dottoressa Daniela Volpi, e il prefetto della provincia di Firenze, dottor Paolo Padoin.

PRESIDENTE
Rivolgo un saluto all’assessore regionale alla sanità, dottoressa Scaramuccia.
Ci sembra corretto iniziare con lei, dottoressa, queste audizioni, atteso che l’obiettivo della Commissione è quello di comprendere quale sia lo stato d’avanzamento dell’applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 in tutte le Regioni italiane, cominciando proprio dalla Toscana.
Pur rendendoci conto della presenza di alcune carenze nell’esercizio delle deleghe previste dal decreto, vorremmo comunque capire quale sia, a distanza di tre anni dall’emanazione della normativa, il livello di coordinamento regionale previsto e caricato di ulteriore significato non solo dal richiesto raccordo con le Province ma anche dall’onere di redigere rapporti annuali - questa dovrebbe essere la frequenza - in ordine alle attività che vengono svolte.
Vorremmo quindi conoscere lo stato dell’arte nelle singole realtà regionali e sapere se la normativa, così come scaturita dalla volontà del legislatore, è stata in grado di aumentare le possibilità di contrasto al fenomeno degli infortuni sul lavoro - intesi sia come incidenti che come malattie professionali - facendo in modo, più in generale, di migliorare la sicurezza del lavoro e la qualità della vita.
Vorremmo inoltre sapere da voi, che operate sul campo, se si pongono particolari necessità e se ritenete, quindi, di proporre iniziative diverse.
Con queste audizioni questa Commissione intende svolgere una prima verifica ed avere una panoramica della situazione, nel tentativo di capire come, nei fatti, il Testo unico si è calato nel territorio, tenendo conto delle diverse sensibilità e peculiarità delle Regioni italiane.
Le cedo, quindi, la parola, dottoressa Scaramuccia.

SCARAMUCCIA
Vi ringrazio per l’opportunità che ci date di confrontarci su un tema di tale rilevanza. Accanto a me c’è la dottoressa Volpi, responsabile del settore sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro, la quale potrà eventualmente aiutarmi a rispondere a specifiche domande.
Vi consegneremo, inoltre, una relazione che abbiamo predisposto nella speranza che possa esservi utile e che intendo qui riassumere.
La Regione Toscana è un territorio tradizionalmente attento al fenomeno della sicurezza sui luoghi di lavoro e da anni impegnato sul fronte del contrasto a fenomeni di sottotutela del lavoro. Quindi, vorremmo innanzitutto presentare uno scenario di riferimento. Secondo gli ultimi dati ufficiali dell’INAIL presentati nel luglio 2010, nel 2009 si sono registrati 790.000 infortuni sul lavoro, di cui 1.050 mortali, in calo rispettivamente del 9,7 per cento e del 6,3 per cento rispetto al 2008.
La Toscana registra una flessione anche maggiore: nel 2009 si sono registrati 39.000 infortuni, contro gli oltre 44.000 del 2008 - ovvero l’11,3 per cento circa in meno - di cui 67 mortali, a fronte di 80 nel 2008 - con un calo, quindi, del 16,25 per cento - di cui circa 6.600 in itinere ma sui quali non vi è competenza dei servizi di prevenzione e vigilanza delle ASL.
Per dare un quadro più generale e di ampio respiro, si consideri che i dati relativi agli infortuni sul lavoro denunciati in Toscana mostrano negli anni 2004-2009 un calo costante che si attesta per l’intero periodo intorno al 17 per cento. Gli infortuni mortali in occasione di lavoro presentano lo stesso andamento in diminuzione dell’insieme degli infortuni.
Non è possibile o, meglio, riterremmo non corretto fornire ad oggi una quantificazione più precisa; non vi è infatti, se non a distanza di lunghi periodi, perfetta corrispondenza tra gli infortuni denunciati e quelli positivamente definiti da INAIL, cui spetta l’ultima parola sui numeri e la consistenza dei fenomeni, soprattutto con riguardo agli infortuni stradali, siano essi in occasione di lavoro o in itinere. Inoltre, alle statistiche sfugge tutta una serie di infortuni nel comparto agricoltura, poiché i lavoratori autonomi, non essendo assicurati INAIL, non vengono conteggiati, e a maggior ragione gli hobbisti ed i pensionati, che nel comparto agricolo-forestale sono un numero cospicuo. Ed ovviamente non si tiene qui conto del fenomeno del lavoro sommerso.
Si conferma comunque il trend positivo degli ultimi anni, con una progressiva riduzione del numero degli incidenti. Naturalmente, anche se la tendenza alla riduzione degli infortuni sembra ormai consolidata, i numeri assoluti restano importanti, sia per quanto riguarda gli incidenti in generale che per quelli mortali in particolare. Per contro, negli ultimi anni sono aumentate in tutta Italia le denunce di malattie professionali. A livello settoriale, l’agricoltura è il comparto più interessante: le segnalazioni pervenute all’INAIL sono più che raddoppiate in un solo anno e triplicate nell’ultimo quinquennio. In Toscana si è passati da circa 1.400 denunce nel 2008 ad oltre 1.900 nel 2009. Complessivamente nel corso degli anni 2000-2007 in Toscana sono stati denunciati all’INAIL poco più di 19.000 casi di sospette malattie professionali, delle quali sono state riconosciute ed indennizzate circa 4.900. Nel 2008, secondo i dati tratti dalla banca dati INAIL on line, le modifiche apportate alla lista delle malattie professionali indennizzabili hanno fatto registrare un incremento del 16 per cento del numero di patologie riconosciute con indennizzo.
I diversi criteri applicati nel riconoscimento delle malattie professionali rendono improprio il confronto con i dati registrati negli anni precedenti in quanto falsati dalle diverse regole applicate. Le malattie dell’apparato muscolo-scheletrico dovute a sovraccarico biomeccanico sono cresciute in modo esponenziale e si sono rivelate la forma più frequente di tecnopatia, sottraendo il primo posto alle ipoacusie da rumore. Anche le neoplasie di origine professionale risultano essere decisamente in aumento rispetto al passato non lontano, pur restando tuttora su un’entità probabilmente largamente sottostimata rispetto alle attese.
I due fenomeni della latenza (sono patologie che compaiono e si affermano a distanza di decenni dall’esposizione) e della non specificità (i tumori professionali - salvo pochissime eccezioni - non sono distinguibili come caratteristiche da quelli di origine non professionale), unitamente alla prevalente non conoscenza dell’eziopatogenesi che le contraddistingue, hanno fatto sì che il numero di neoplasie primarie, non associate a classiche patologie professionali, fosse fino agli anni recenti assai ridotto, sia come denunce sia conseguentemente come riconoscimenti da parte dell’INAIL.
Piuttosto che a un peggioramento delle condizioni di salubrità negli ambienti di lavoro, questa impennata nelle denunce di malattie professionali è dovuta a serie di fattori che, da alcuni anni ormai, stanno contribuendo all’emersione di quelle che gli esperti definiscono «malattie nascoste » o «perdute», cioè non denunciate. Infatti, il fenomeno delle malattie professionali è da tempo sottostimato: l’aumento delle denunce deriva sicuramente da una maggiore consapevolezza dei lavoratori e degli operatori preposti rispetto al problema delle malattie professionali, maturata negli anni grazie all’impegno delle istituzioni e delle parti sociali. Infatti, è proprio a partire dal 2008 che cominciano a mostrarsi i primi segni di un incremento nelle segnalazioni, verosimile conseguenza dell’emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Il sistema della prevenzione e vigilanza sui luoghi di lavoro, com’è noto, vede la compartecipazione di molti attori, tra i quali un ruolo privilegiato spetta alla Regione, dotata di potestà legislativa concorrente in materia. E si ricordano qui, tra tutte, due importanti leggi regionali, la legge n. 64 del 2003, sulla prevenzione delle cadute dall’alto, e la legge n. 38 del 2007 sugli appalti pubblici, la quale ha peraltro introdotto istituti innovativi, quali il tutor di cantiere, e anticipato molte misure di tutela della sicurezza e regolarità del lavoro (ad esempio, la verifica di idoneità tecnico- professionale, l’obbligo di cartellino di riconoscimento per gli operatori, le riunioni periodiche di coordinamento tra la stazione appaltante e le ditte impegnate nel cantiere), poi recepite dalla normativa nazionale. Quest’ultima norma risulta tuttavia estremamente attuale, poiché a motivo della congiuntura economica negativa del Paese si sta assistendo ad una polverizzazione del tessuto produttivo, con una crescente presenza di piccolissime imprese e lavoratori autonomi, anelli deboli di una catena di appalti e subappalti che diluiscono le responsabilità ed accrescono la ricerca dell’economicità ad ogni costo. Ecco pertanto che, anche grazie a questa legge, la Toscana può caratterizzarsi per un efficace contrasto a fenomeni di sottotutela del lavoro in contesti dove sia più difficile la corretta individuazione delle responsabilità, più esasperato il ribasso dei costi e necessaria l’eliminazione di ogni interferenza.
La Toscana è stata tra le prime Regioni ad istituire il comitato regionale di coordinamento. Esso è attualmente in fase di ricostituzione in quanto a suo tempo configurato come organismo che giunge a scadenza con la legislatura. Tuttavia, nel frattempo si continua ad operare attraverso l’ufficio operativo allargato alle parti sociali, così da poter condividere le progettualità e soprattutto pianificare l’attività di prevenzione e di vigilanza, anche in maniera integrata, tra le ASL, l’INAIL, l’INPS e le direzioni provinciali del lavoro, creando tra le organizzazioni delle interrelazioni positive ed evitando sovrapposizioni e duplicazioni.
La collaborazione interistituzionale è fondamentale per massimizzare l’efficacia delle azioni delle amministrazioni e degli organismi deputati alla tutela della legalità del lavoro. La collaborazione con altri organi di controllo ed il coordinamento dei rispettivi interventi ha consentito e consente, in Toscana, un’ottima copertura del territorio in fase di vigilanza. Occorre tuttavia realizzare un equilibrato mix di interventi, non focalizzandosi sul solo aspetto repressivo ma valorizzando altresì le altre misure di prevenzione, ricercando sinergie anche per le attività dì promozione della cultura della sicurezza.
In questo quadro lo strumento della concertazione con le forze sociali, che caratterizza l’agire della Toscana, garantisce una partecipazione attiva e condivisa alle politiche da attuare.
Alla Regione, inoltre, fanno capo il Servizio sanitario regionale e i dipartimenti di prevenzione delle aziende USL, deputati all’attuazione di misure di prevenzione collettiva e sui luoghi di lavoro (formazione, informazione, assistenza, vigilanza).
In Toscana, a fronte di una popolazione occupata di 1.427.402 unità e di un tessuto produttivo caratterizzato dalla stragrande maggioranza di piccole e piccolissime imprese - fenomeno vieppiù indotto dalla crisi economica - operano 12 dipartimenti della prevenzione dove nel 2010 lavoravano circa 471 operatori qualificati di diverse professionalità, di cui 436 ufficiali di polizia giudiziaria.
La Regione Toscana, con deliberazione della Giunta regionale n. 330 del 2008, ha stanziato risorse finalizzate all’acquisizione di 41 nuovi ispettori, così da incrementare il numero di cantieri controllati rispetto al 2007, con un incremento del 10 per cento nel 2008 e del 20 per cento nel 2009; nel 2008 si contavano infatti 453 unità di personale qualificato e nel 2009 il loro numero saliva a 479.
I servizi di prevenzione, igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro nel 2010 hanno effettuato 28.000 sopralluoghi, controllando circa 20.000 soggetti tra società e lavoratori autonomi, e hanno effettuato oltre 1.600 campionamenti e misurazioni, rilevando oltre 5.000 violazioni della normativa sulla sicurezza. I cantieri controllati sono stati 4.447, a fronte dei 4.000 cantieri assegnati dal Piano nazionale di prevenzione in edilizia, e le aziende agricole 1.051, a fronte di 700 previste dal Piano nazionale di prevenzione agricoltura e selvicoltura. Sono stati effettuati oltre 4.700 visite, 527 interventi di informazione e comunicazione per gruppi di lavoratori esposti a specifici rischi, 1.657 iniziative di confronto con le figure aziendali per la prevenzione e sono state erogate 6.781 ore di formazione per quasi 14.000 utenti.
Ai servizi delle ASL pervengono poi le denunce di infortunio e le denunce e i referti di malattia professionale, a seguito dell’attività di sorveglianza sanitaria effettuata dai medici competenti o da istituti universitari, e per azioni di sorveglianza e ricerca poste in essere direttamente dalle ASL.
Nel 2009, a livello nazionale, sono state indagate nei servizi ASL 19.273 denunce di infortunio e 10.417 denunce di malattia professionale. Nel 2010 i servizi di prevenzione della Toscana hanno concluso 1.698 inchieste di infortuni e 407 inchieste di malattie professionali, contro rispettivamente 1.958 e 342 dell’anno precedente. C’è stato quindi uno spostamento delle inchieste sul fronte delle malattie professionali, anche per affrontare un problema che sta chiaramente emergendo.
Con specifico riguardo alle malattie professionali, solo nel 10,6 per cento dei casi indagati, a livello nazionale, è stata segnalata alla magistratura un’ipotesi di responsabilità penale e poche risultano le esperienze di procedimenti penali conclusi con la condanna dell’imputato. In diverse Regioni o Province esistono protocolli operativi tra ASL e magistratura finalizzati alla definizione di procedure d’indagine più efficienti. In Toscana stiamo appunto lavorando con la procura generale della Repubblica ad un protocollo di questa natura, che veda coinvolti anche l’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica (ISPO), designato quale centro operativo regionale per la gestione del registro mesoteliomi e del registro tumori del naso, e l’INAIL in modo da poter disporre di informazioni più precise e tempestive, anche e soprattutto per quei casi di infortunio che, a fronte di una prognosi iniziale di durata inferiore a 40 giorni, con certificati successivi si trasformano in infortuni gravi.
Tutto ciò premesso, la Toscana, da anni, si caratterizza per un deciso intervento in materia di prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro, portato avanti spesso con un approccio innovativo, potendo contare su risorse dedicate a livello regionale (circa 4 milioni di euro l’anno, oltre al fondo sanzioni ex articolo 13, comma, 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che ogni ammonta mediamente a 5 milioni di euro; inoltre, ai sensi della legge regionale n. 57 del 2008, alle famiglie delle vittime di infortuni mortali avvenuti in Toscana - con esclusione degli infortuni in itinere - viene erogato, a valere su un fondo che annualmente arriva a circa un milione di euro, un contributo che va da 20.000 a 25.000 euro, a seconda del numero di figli della vittima). I principi cardine dell’agire toscano in materia sono la promozione della cultura della sicurezza, il rafforzamento delle attività di vigilanza, la valorizzazione della formazione come principale strumento di prevenzione individuale e collettiva, il coinvolgimento di tutti gli attori del sistema nella consapevolezza che la tematica salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori è per sua stessa natura trasversale e come tale necessita di integrazione. Il primo livello di integrazione è quello delle politiche regionali; ecco dunque che negli ultimi anni la Toscana ha perseguito la finalità di garantire la crescita della qualità del lavoro come condizione per accrescere l’intero sistema. L’obiettivo è stato ed è quello di definire obiettivi e strumenti di integrazione, in un’ottica di medio-lungo periodo, con le politiche educative e formative e di correlare il sostegno economico delle imprese artigiane a processi di innovazione in grado di garantire un maggior grado di tutela del lavoro, incentivare un’agricoltura di qualità e caratterizzata da sicurezza delle lavorazioni; fornire sostegno agli investimenti per l’ammodernamento delle attrezzature di lavoro per la messa in sicurezza delle lavorazioni nelle piccole imprese. Su un piano più operativo, la principale metodologia d’azione è rappresentata dai piani mirati di prevenzione, che molto spesso vedono coinvolte, oltre alle ASL, le università, le parti sociali, gli ordini professionali, i centri di ricerca e gli altri attori istituzionali della prevenzione, in primis l’INAIL. Proprio con quest’ultimo Istituto la Regione Toscana condivide numerosi progetti, oltre al già citato osservatorio congiunto INAIL-CeRIMP. Tra questi ci piace citare il protocollo di intesa per la prevenzione in ottica di genere, il quale prevede una serie di attività da svolgere congiuntamente ed in collaborazione con l’università, tra cui la stesura di linee guida per la prevenzione, la valutazione e la rimozione dei rischi in ottica di genere; l’elaborazione di moduli formativi per i responsabili della sicurezza, che tengano conto dei rischi di genere; e poi indagini conoscitive, osservatori di realtà locali e anche un portale dedicato. L’aspetto principale di tale intesa risiede nella presa di coscienza che la differenza tra uomini e donne quanto a salute e sicurezza sul lavoro non si esaurisce certo nella gravidanza e nella maternità: ci sono rischi fisici, chimici, biologici, psicologici, che sono diversi per gli uomini e le donne che lavorano, anche nello stesso settore. Il mondo del lavoro peraltro è connotato da una presenza sempre più forte delle donne e per quanto riguarda gli ambiti della salute e della sicurezza è ancora da comprendere in che cosa si traduca realmente l’appartenenza di genere. Per le lavoratrici, i settori più a rischio sono l’industria tessile, quella conciaria, quella alimentare, mentre per gli uomini il pericolo viene soprattutto dalle costruzioni, dai trasporti, dall’industria dei metalli. Tale protocollo prende inoltre atto del fatto che mentre dal 2005 assistiamo a una diminuzione sostanziale delle malattie professionali e degli infortuni per la componente maschile, per quanto riguarda gli infortuni delle lavoratrici la riduzione è iniziata solo nei 2008 e sta procedendo a un ritmo più contenuto. Nel protocollo si fa riferimento a una migliore progettazione dei luoghi e delle postazioni di lavoro; a una diversa organizzazione del lavoro; alla necessità di individuare i rischi emergenti, legati alle innovazioni tecniche e alle evoluzioni sociali che comportano un incremento di stress e depressione; agli episodi di mobbing, intimidazioni, molestie, violenze. Si tratta, insomma, di un progetto che si connota per un’ottica innovativa e ricca di potenzialità.
Tra gli altri progetti innovativi citiamo il «Safety Manager», realizzato in collaborazione con le università toscane e le forze sociali, per la formazione di ingegneri esperti in sicurezza da inserire nelle aziende, quali coordinatori per la sicurezza in fase di esecuzione ovvero responsabili della sicurezza. Il progetto triennale prevede l’erogazione di borse di studio a giovani discenti che frequentino, oltre a corsi in aula, un tirocinio di sei mesi, al termine del quale sarà rilasciata apposita qualifica. Peraltro, per le imprese che decideranno di procedere all’assunzione dei neo-esperti sono previste riduzioni dei premi INAIL, così da incentivare anche l’occupazione giovanile.
Abbiamo poi una serie di progetti per la sicurezza e la salute nel comparto agricolo-forestale, una serie di progetti territoriali sviluppati a Massa Carrara, Lucca, Livorno, Pisa ed altri progetti quali la diffusione della cultura della sicurezza nelle scuole. Avrei tante altre realtà e progetti da raccontarvi che troverete nella documentazione che lasceremo agli atti.

PRESIDENTE
Vorrei avere notizie sul comitato regionale di coordinamento che è uno dei pochi meccanismi, se non l’unico, che permette di saldare l’aspetto centrale, i Ministeri della salute e del lavoro, con il livello regionale. Questo per capire meglio i processi di attuazione della normativa e i risultati.

VOLPI
Sono responsabile del settore prevenzione, igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro della Regione Toscana.
La ringrazio per la domanda: essendo membro della commissione consultiva, posso dirle che proprio di recente a quel tavolo abbiamo affrontato il problema dei flussi di informazione tra i comitati regionali di coordinamento, la commissione consultiva e il comitato di coordinamento, ex articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008. È da poco arrivata da quest’ultimo una richiesta di informazioni per conoscere le attività dei vari comitati e stiamo, pertanto, predisponendo una risposta da vagliare anche congiuntamente come insieme delle Regioni.

PRESIDENTE
Questo discorso tra le Regioni è importante, però sarebbe opportuno che i Ministeri della salute e del lavoro ricevessero questa documentazione dalle singole Regioni. Ritengo infatti che stiamo un po’ segnando il passo su questo terreno, dal punto di vista generale e anche dal punto di vista centrale, perché non abbiamo ancora raggiunto la completa attuazione del disposto del decreto legislativo n. 81 e ci sono alcuni atti amministrativi secondari che tardano ad arrivare. Al riguardo vi informiamo che la Commissione cerca di incalzare quanto più possibile i soggetti preposti e una delle difficoltà che si incontra è proprio la composizione del tavolo: non è un elemento di critica, ma una constatazione, dal momento che vi sono più soggetti considerato che la materia è afferente a varie competenze. Questo in qualche modo allunga i tempi.
La nostra azione è volta a monitorare questi aspetti. Atteso che i comitati dovrebbero riferire ogni anno, vorremmo sapere, per esempio, se già hanno riferito. Visto che dovrebbero riunirsi mediamente ogni tre mesi - questa cadenza non è perentoria - vorremmo sapere se ciò avviene anche attraverso le attività operative territoriali nelle Province. Si tratta di notizie che possono esserci utili.

VOLPI
Come ha già specificato l’assessore, il nostro comitato regionale di coordinamento (se non erro, tra i primi ad essere costituito) è stato configurato dal legislatore come un comitato che va a scadenza con la legislatura.
Quando a settembre dello scorso anno ho accettato questo incarico mi sono immediatamente messa all’opera per poter procedere quanto prima alla ricostituzione del comitato. La delibera istitutiva è già stata adottata e sono in corso le richieste di designazione dei singoli membri che si spera avvengano in tempi brevi.
Proprio riconoscendo l’importanza fondamentale di questo comitato, da settembre, con un escamotage per poter lavorare nelle more della sua ricostituzione, ci siamo già riuniti come ufficio operativo allargato alle parti sociali ben tre volte con una frequenza anche maggiore rispetto a quanto lei diceva, proprio per poter condividere tutti insieme i contenuti dei piani regionali della prevenzione che tutte le Regioni, tranne una di cui non farò il nome, hanno adottato entro la fine dello scorso anno come era previsto. Questa è stata la sede ed è tuttora la sede istituzionale deputata allo scambio di informazioni in relazione ai progetti che intendiamo attuare, anche per cercare sinergie. C’è, ad esempio, un progetto di cui l’assessore non ha ancora parlato che riguarda la ricerca attiva sulle malattie professionali, che ci sembra molto importante perché è una delle emergenze, tant’è che anche a livello nazionale si sta parlando di questo problema. A livello d’ufficio operativo allargato, nelle more della ricostituzione formale del comitato, si sta affrontando questa tematica cercando di cooptare nel progetto anche gli altri attori istituzionali, fondamentalmente l’INAIL.

PRESIDENTE
Sono elencati i soggetti che ne fanno parte?

VOLPI
Assolutamente sì. Mentre su certe tematiche condividiamo una serie di collaborazioni in ordine al coordinamento degli interventi in fase di vigilanza con l’INPS, con la Direzione regionale del lavoro e con l’INAIL, per quanto riguarda altre attività più strettamente inerenti alla prevenzione ci sono istituti che per loro stessa natura sono un po’ meno coinvolti. Sul piano delle malattie professionali è molto importante coinvolgere tutti: penso, ad esempio, al ruolo che l’INPS può ricoprire per conoscere la storia lavorativa dei vari soggetti dei quali si indagano le malattie professionali. È chiaro che il loro apporto è fondamentale come quello dell’INAIL. Il comitato regionale di coordinamento è il luogo dove innanzitutto coordiniamo i rispettivi interventi di vigilanza. Come l’assessore ha già precisato, questo ci ha consentito di aumentare la copertura del territorio in fase di vigilanza. Ciò è fondamentale anche per porre in essere una serie di azioni. Penso all’ex ispettorato del lavoro e alle direzioni provinciali che non si limitano all’aspetto della sicurezza ma anche a quello importantissimo della regolarità del lavoro. Il lavoro nero equivale a lavoro non sicuro perché se un lavoratore non esiste sostanzialmente non può lavorare in sicurezza. È molto importante affrontare i temi della legalità del lavoro nel loro insieme. Ripeto, condividiamo tutte le progettualità che intendiamo mettere in campo ed essenzialmente il progetto sulle malattie professionali.
Un altro progetto che abbiamo condiviso e sul quale continuiamo a lavorare nel comitato regionale di coordinamento riguarda le microimprese.
La Toscana - come purtroppo tutta l’Italia - è connotata da una presenza fortissima di imprese di piccolissime dimensioni che sono le più deboli sotto il profilo della sicurezza: molto spesso l’imprenditore svolge più ruoli ed è un soggetto economicamente debole anche a seguito della crisi che ha aggravato il fenomeno della riduzione delle dimensioni delle imprese. Vorremmo assistere soprattutto questi soggetti, che rappresentano il cuore della nostra economia, con azioni di informazione e di assistenza in modo da portarli alla reale messa in esercizio della sicurezza nel modo più semplice possibile evitando un approccio di tipo formale.
Parliamoci molto chiaramente: troppo spesso nelle imprese la sicurezza è vissuta in maniera formale; noi vorremo aiutarle con interventi semplici a farla diventare qualcosa di sostanziale.
Tornando alla sua domanda sui comitati provinciali di coordinamento, mi consta che questi abbiano continuato a riunirsi, non essendo stati qualificati erroneamente come in scadenza con la legislatura. La frequenza di tali riunioni varia da ASL ad ASL ma, mediamente, si riuniscono una volta al mese, quindi con una periodicità piuttosto elevata.
Ho partecipato ad un paio di queste riunioni sul territorio provinciale e in particolare a Firenze. I lavori stanno procedendo, si condividono moltissime azioni, soprattutto la vigilanza ma non solo, perché anche a quel livello si condividono progetti. Ad esempio, il comitato provinciale di Firenze ha attivato un progetto sulla promozione della sicurezza nelle scuole che comprende una rete di scuole a livello provinciale e che ha il suo fulcro proprio nel comitato provinciale di coordinamento. Lo stesso avviene a Prato e a Livorno, dove si registrano esperienze molto interessanti sulla promozione della sicurezza in campo scolastico.
Un altro livello di integrazione, non strettamente correlato al comitato regionale di coordinamento, concerne un accordo sottoscritto qualche tempo fa e che coinvolge le prefetture toscane e la Società Autostrade.
Mi spiego meglio. Purtroppo, si è verificato un brutto avvenimento che ha coinvolto alcuni lavoratori di un cantiere autostradale. A seguito di quel terribile episodio è stato istituito un tavolo che ha steso un protocollo d’intesa che coinvolge la prefettura, la polizia stradale e ovviamente la società autostrade. Si tratta di esempi di collaborazione interistituzionale che funzionano.

PRESIDENTE
Il nostro obiettivo è tentare di organizzare un incontro a Roma con tutti gli assessori delle Regioni italiane che hanno competenza sul tema specifico di cui stiamo trattando. Finora, in sede di tavolo Stato-Regioni non siamo riusciti ad avere con la rappresentanza di questo settore facilità di colloquio; abbiamo incontrato alcune difficoltà. Sarebbe nostra intenzione realizzare un incontro, con tempi definiti, anche per consentire un confronto aperto con tutti i soggetti coinvolti al fine di capire come si sta procedendo in questa materia. A tale scopo vorremmo chiedere a lei, in qualità di assessore, se intende partecipare a tale incontro, anche perché la riunione odierna rappresenta solo l’inizio di una collaborazione tra le parti. In questa ottica vi chiediamo di fornirci tutta la documentazione in vostro possesso e magari di inviarci una copia della relazione annuale che il comitato provinciale di coordinamento è tenuto a svolgere. Ciò ci permetterà di comprendere meglio il lavoro che si sta realizzando a livello regionale per coordinarlo con quello statale e ministeriale.
Questi tre anni possono essere considerati una sorta di rodaggio nell’applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 81, ma è pur vero che si tratta di un tempo notevole per un rodaggio e quindi vorremmo capire se si stanno accumulando troppi ritardi nell’attuazione della normativa. Non vorremmo che al ritardo ministeriale, specificamente del Governo che è il soggetto deputato ad agire, si sommasse quello delle Regioni, con la conseguenza di non arrivare all’obiettivo finale che è quello di lavorare insieme per realizzare un quadro normativo più efficace nel contrastare il fenomeno.
Vi invitiamo pertanto a riferire eventuali problematiche da voi incontrate nell’interpretazione delle norme nazionali e, se lo ritenete necessario, anche di fornire suggerimenti per rendere più snella la normativa, spesso farraginosa e confusa. D’altra parte, quando il decreto legislativo n. 81 vide la luce, dopo un notevole sforzo da parte del Ministro del lavoro, di tutti i parlamentari e dei diversi soggetti interessati, si era consapevoli della necessità di una verifica sul campo per valutare la fattibilità della normativa e l’eventualità di introdurre modifiche. Anche su questo aspetto vi saremmo grati se potessimo avere da parte vostra segnalazioni su eventuali esigenze di cambiamento. Trattandosi infatti di una materia concorrente, come lo stesso assessore dottoressa Scaramuccia ha poc’anzi specificato, vorremmo che tale caratteristica si trasformasse in un valore e non in una distanza.

SCARAMUCCIA
Da parte nostra c’è la massima disponibilità ad una collaborazione tra istituzioni. Tra l’altro in un sistema complesso come quello della sicurezza sul lavoro, dove bisogna operare in modo allineato, come anelli di una stessa catena, da sempre il fattore chiave del successo è la collaborazione, che in Toscana non è mancata nella storia passata e non mancherà per il futuro. Massima disponibilità anche all’interno della Conferenza delle Regioni, qualora riteniate opportuno coinvolgerci. Mi stupisce quanto lei ha detto a proposito di questa difficoltà di comprensione. La Toscana è da sempre parte attiva nella commissione salute, ancorché non la coordini più e quindi mi stupisce che vi siano delle difficoltà in tal senso.

PRESIDENTE
Purtroppo abbiamo incontrato delle difficoltà. Qualche giorno fa abbiamo parlato anche con l’assessore dell’Emilia-Romagna, chiedendogli un impegno, lo stesso che chiediamo a voi, a sollecitare il coordinatore della commissione sanità affinché si possa arrivare a questo incontro. Siamo consapevoli che il problema non nasce da una mancanza di volontà e che noi, insieme ad altri, lavoriamo probabilmente per lo stesso obiettivo. Siamo infatti convinti che un incontro con tutti gli assessori rappresenti un passo importante.
Vi ringraziamo per aver partecipato a quest’incontro e per le preziose informazioni fornite. Vi salutiamo nella speranza di sentirci al più presto.


Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello

Interviene il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello, dottor Beniamino Deidda.

PRESIDENTE
Ringrazio il procuratore generale della Repubblica di Firenze per la sua presenza e sottolineo che quella di oggi è per noi un’ulteriore occasione di incontro. La nostra presenza a Firenze è oggi dovuta al fatto che stiamo iniziando, in tutte le Regioni italiane, un percorso finalizzato a comprendere, dal punto di vista delle competenze locali, cosa si sta facendo e come si sta operando in questa materia per l’attuazione di quanto demandato dalla normativa nazionale. Lo scopo è realizzare una sorta di monitoraggio e un coordinamento con tutte le autorità che in qualche modo si occupano della materia, al fine di ottenere un quadro più ampio di conoscenze per combattere gli infortuni sul lavoro e quindi garantire maggiore sicurezza e salute nei luoghi di lavoro. Le chiediamo pertanto di fornirci un quadro della situazione nella Regione Toscana ed eventualmente di segnalarci quegli elementi che lei ritenga rilevanti.

DEIDDA
Signor Presidente, la ringrazio per l’opportunità che mi concede di far conoscere alla Commissione alcuni dati di cui proprio in questi giorni il caso ha voluto venissi a conoscenza, in seguito ad un’operazione tendente a razionalizzare l’intervento della magistratura nelle procure della Regione Toscana. Ho già avuto l’onore di essere ascoltato dalla vostra Commissione e quanto allora dissi resta in generale valido, nel senso che non è passato molto tempo e quindi non ci sono stati cambiamenti rilevanti. Tuttavia in Toscana la situazione, che mi sembra oggetto di interesse della Commissione, a seguito di un’indagine accurata si è rivelata piuttosto drammatica. Il dramma non viene soltanto dal numero degli infortuni, già noto e che non presenta grandi flessioni tra gli anni passati e il 2010, bensì dalla mancata risposta che la magistratura in genere riesce a dare nella repressione di questi fenomeni. Insieme ai procuratori della Repubblica della Toscana ho intrapreso un’azione per adottare un unico modello di intervento, di indagine e di repressione dei reati di infortunio e malattia professionale. Siamo partiti quindi dalla raccolta dei dati. È emerso che gli infortuni nella Regione Toscana sono circa 66.000, un decimo dei quali, circa 6.000-7.000, perseguibili d’ufficio (ovvero generano morte o lesioni con postumi invalidanti che superano i 40 giorni di malattia e quindi obbligano il procuratore della Repubblica a procedere d’ufficio). Ebbene, di questi 7.000 reati la magistratura in Toscana riesce a perseguirne purtroppo meno di 1.000: praticamente un reato su sette non arriva all’attenzione del procuratore della Repubblica. È legittimo chiedersi come mai, in un regime di obbligatorietà dell’azione penale quale il nostro, sia possibile che le notizie di infortuni gravi sfuggano al procuratore. Il primo problema concerne il governo dei flussi delle notizie di reato. Infatti, se non siamo in grado di avere tutte le notizie di reato il nostro intervento è limitato. Una prima necessità, quindi, è razionalizzare i flussi in modo da intervenire e far sì che tutte le notizie di reato, i referti di pronto soccorso, arrivino al procuratore della Repubblica.

PRESIDENTE
Signor procuratore, scusi se la interrompo ma è un punto che vorremmo comprendere meglio. Se ho ben capito su circa 7.000 reati solo uno su sette arriva alle procure.

DEIDDA
Solo uno su sette viene esaminato; i restanti sei sfuggono all’intervento della magistratura. È una situazione assolutamente drammatica.

PRESIDENTE
Come mai succede questo?

DEIDDA
Intanto c’è il problema non semplicissimo di convogliare le notizie del pronto soccorso alla procura. La gran parte dei medici ritiene di non dover inviare il referto alla procura. Questa non è una piaga della Regione Toscana bensì` di tutte le Regioni italiane. L’obbligo di inviare il referto alla magistratura o agli ufficiali di polizia giudiziaria è scarsamente conosciuto dai medici; molti di loro sostengono di essere legati al segreto professionale, senza capire che laddove c’è un reato da perseguire d’ufficio, evidentemente il segreto professionale non ha valore.
Questa è una battaglia che dovremmo condurre e che credo non sarà facile risolvere.
C’è poi un secondo elemento che rende drammatico il dato. Anche se noi riuscissimo a ricevere tutte le notizie di reato, o almeno la gran parte, la capacità di intervento delle ASL, cioè degli organi di polizia giudiziaria dei servizi di prevenzione delle ASL, deputati per legge a svolgere le indagini, sarebbe comunque limitata in quanto le risorse di cui dispongono le ASL non consentirebbero di svolgere 7.000 processi all’anno.
Il procuratore generale di Firenze ha avuto un incontro con il Presidente della Regione, da cui dipende il coordinamento delle ASL territoriali, per far presente con una certa decisione che l’obbligo di perseguire i reati non può valere solo per carabinieri e polizia, ma vale per tutti gli organi di polizia giudiziaria e ha quindi chiesto che fossero integrati i servizi di prevenzione con ufficiali di polizia giudiziaria in grado di affrontare un numero ingente di reati. Non so se l’assessore Scaramuccia abbia accennato a questa mia richiesta, che mi sembra mettere un poco in crisi la Regione in un momento di difficoltà economica, in cui le assunzioni sono scarse o, meglio, non vengono proprio fatte. Quindi, davvero il problema non è di poco conto.
Questo dato, di per sé drammatico se riferito agli infortuni, è ancor più grave se lo correliamo alle malattie professionali. Anche in questo caso, non si tratta di una particolarità della Toscana. In base ai dati INAIL risulta che in tutta Italia vengono denunciate circa 35.000 malattie professionali all’anno. Gli ufficiali di polizia giudiziaria delle ASL possono condurre indagini solo su circa 10.000 malattie professionali delle 35.000 denunciate.
Quindi, oltre 20.000 malattie professionali in tutto il territorio nazionale sfuggono all’attenzione dei magistrati. Gli stessi familiari delle vittime, quando le malattie hanno avuto esito mortale, hanno creato una certa pressione che credo abbia indotto il presidente Napolitano ad intervenire sul Consiglio superiore della magistratura, la cui VII commissione l’anno scorso ha condotto un’indagine, piuttosto interessante, sui singoli tribunali e sulle singole procure. Il risultato di questo lavoro, che è durato un anno e di cui consegnerò la relazione alla Commissione, è deludente.
Lo stesso CSM, infatti, ha rilevato che la magistratura interviene in maniera molto disomogenea su tutto il territorio nazionale e ha quindi invitato i procuratori della Repubblica a prestare una qualche maggiore attenzione al fenomeno.
Ed è per questa strada che mi sono indotto a riunire tutti i procuratori della Repubblica, provando a costruire con loro un protocollo che almeno risolva una parte del problema; là dove c’è carenza di personale di polizia giudiziaria siamo evidentemente impotenti, ma dove è possibile credo che una migliore razionalizzazione ed un miglior uso delle risorse possa consentirci, a mio avviso, se non di seguire tutti i 7.000 infortuni almeno di migliorare le nostre prestazioni.
Questo è il dato, che - ripeto - per le malattie professionali è ancora più tragico. Infatti, mentre per gli infortuni l’INAIL ci fornisce statistiche anche abbastanza approfondite per le malattie professionali c’è un notevole riserbo. Per esempio, non sappiamo quante sono le malattie professionali mortali in Italia in quanto l’INAIL non è in grado di dircelo. Abbiamo accertato che in Toscana risultano 463 morti ma questo dato rappresenta certamente una stima per difetto: le malattie attese, infatti, sono migliaia ed è evidente che vi è una sfasatura rispetto alla realtà.
In questo caso le procure sono addirittura assenti: delle 4.900 malattie denunciate dall’INAIL in Toscana riusciamo a seguirne appena 300 o 400, con differenze da circondario a circondario a volte inspiegabili. Il distretto di Prato, per esempio, per rappresentare una città in cui il tessuto produttivo è più intenso, denuncia 147 malattie professionali, mentre quello di Lucca, dove certamente la presenza delle imprese è inferiore, ne denuncia 1.300. Sono dati assolutamente incomprensibili su cui ci proponiamo di lavorare, anche se - ripeto - l’attenzione che la magistratura in generale dedica al fenomeno mi sembra tuttora scarsa.
Questo, a grandi linee, è il quadro della Toscana. Ho cercato di non usare toni eccessivi, anche se la realtà, come lei vede dai numeri, Presidente, si presterebbe a qualche drammatizzazione. Depositerò comunque una ricerca sulle malattie professionali in Toscana, pur se risalente al 2009 (i dati affluiscono purtroppo lentamente). Si tratta di un rapporto redatto dagli addetti dei servizi di prevenzione degli organi di polizia giudiziaria in proporzione al numero degli infortuni. Ciascun addetto dovrebbe svolgere 200 indagini all’anno, se fosse possibile, ma è evidente che questo non accade. Intendo poi consegnare, oltre all’indagine della VII commissione del Consiglio superiore della magistratura, una ricerca recentemente presentata in occasione di un convegno sulle malattie professionali intitolata «Come migliorare i flussi informativi e la qualità delle indagini».
So che sarebbe opportuno disporre di una documentazione ancor più penetrante ma credo che già in base a queste relazioni la Commissione possa avere un’idea dell’urgenza di un qualche intervento.
Lei ricorderà, Presidente, che nella mia precedente audizione avevo indicato alcuni rimedi che non mi permetto di ripetere perché la Commissione li ha già presenti. Credo, però, che, a fronte di questi dati, di cui non disponevo il febbraio dello scorso anno, quei rimedi cominciano a diventare davvero urgenti.

PRESIDENTE
Ma nelle postazioni di pronto soccorso non ci sono i presidi di polizia?

DEIDDA
Non in tutte.

PRESIDENTE
In larga parte sì, però.

DEIDDA
Quando si dice «in larga parte» si intendono i grandissimi ospedali, ma la Toscana, salvo Firenze e qualche altra realtà, non è fatta di grandi ospedali. La gran parte degli ospedali toscani non ha posti di polizia.
Del resto, bisogna precisare che il posto di polizia non è particolarmente attrezzato quanto a specializzazione in questa materia perché tiene in considerazione altro tipo di reati (le aggressioni, le minacce, le ferite da accoltellamento). Gli infortuni sul lavoro avrebbero bisogno di un intervento un po’ più attento; i medici, cioè, dovrebbero capire, come impone la legge, l’origine professionale delle lesioni. Non tutti i referti di 20 o 30 giorni sono da ricondurre a determinate situazioni; bisogna accertare dove è stato causato il danno e quando, se il soggetto stava lavorando o meno.
L’origine professionale è fondamentale per attivare il magistrato e questo non è semplicissimo.

NEROZZI
Le pongo una domanda che non ha alcun carattere di scientificità ma la cui risposta potrebbe aiutarmi a capire meglio.
Lei ha giustamente detto che ogni addetto dovrebbe eseguire 200 ispezioni all’anno. Sapendo che ogni causa è diversa dall’altra, e che quindi varia anche il tempo che le si dedica, in genere quante indagini è possibile seguire annualmente?

DEIDDA
È una domanda molto concreta. Anche noi ci siamo chiesti quale potrebbe essere il numero ideale di indagini che un ufficiale di polizia giudiziaria particolarmente attrezzato (si tratta di specialisti) dovrebbe compiere. Abbiamo constatato che, lavorando seriamente, in un anno un ufficiale di polizia giudiziaria, che sia anche medico (le malattie professionali devono essere affrontate dai medici), non può farne più di 30. Nelle inchieste sulle malattie professionali è necessario scoprire il nesso di causalità tra l’evento e l’esposizione lavorativa, o conoscere la latenza della malattia, che a volte dura anche 40 anni (pensiamo ai mesoteliomi della pleura da amianto: se si respira amianto oggi si muore dopo 40 anni), compiendo quindi una ricerca a ritroso sulle modalità di esposizione o sulla colpa del datore di lavoro, che spesso nel frattempo è morto; insomma, si tratta di indagini particolarmente difficili che non possono essere più di 30 all’anno per ogni singolo addetto. Credo che questa sia una stima prudente.

NEROZZI
La pongo un’altra domanda che fa seguito a quella del Presidente.
È vero che nei piccoli ospedali non c’è presidio di polizia. Nella sua esposizione lei ha fatto riferimento alle malattie professionali e capisco che in questo ambito il ruolo del medico è determinante ma per varie ragioni, a volte nobili, a volte meno, la trasmissione delle informazioni non è continua. Questa situazione si verifica solo per le malattie professionali o anche per gli infortuni?

DEIDDA
Il flusso degli infortuni rispetto a quello delle malattie è estremamente più forte, anche perché la malattia professionale è rilevata da soggetti molto diversi (i luoghi di diagnosi e cura, il medico competente, il medico di famiglia), tutti aventi l’obbligo di referto. Gli infortuni, invece, passano quasi sempre dal pronto soccorso. A volte i medici non fanno più di tante domande e non indagano sul luogo dell’incidente (peraltro, talvolta il lavoratore non racconta nemmeno la verità). È quindi necessario un minimo di indagine anche da parte del medico che cura e presta la propria opera. Questo qualche volta non avviene.

NEROZZI
Il dato che lei ha fornito sulle malattie è non solo realistico, ma probabilmente anche moderato. Questo è un problema serio e vorrei capire se riguarda anche gli infortuni perché in quel caso sarebbe ancor più grave, posto che carabinieri e polizia hanno l’obbligo di intervenire.

DEIDDA
Non c’è dubbio.

NEROZZI
Sulle malattie dobbiamo fare un intervento sui medici che, in particolare, per segreto professionale, per sbadataggine o per interesse, non segnalano quasi mai il problema nel rapporto di cui parlava il procuratore. Forse sarebbe necessario un incontro con i medici.

DEIDDA
Credo che lei abbia ben colto le motivazioni, ma forse ve n’è una in più perché il medico assunto dal datore di lavoro quale medico competente quando si trova di fronte ad una malattia professionale raramente la denunzia per evitare di mettere a rischio la propria posizione.

NEROZZI
C’è appunto un interesse personale, che ho individuato come motivazione.

DEIDDA
L’interesse allora comprende anche questa tipologia.

NEROZZI
Gli interessi sono di vario genere, diretto o indiretto.

PRESIDENTE
Su questo tema vi sono ancora troppe lacune.
Signor procuratore, ripartiamo dal dato delle 7.000 situazioni di reato di cui più o meno un settimo trova un percorso ordinario. Stiamo parlando di infortuni o di malattie professionali?

DEIDDA
Gli infortuni sono 6.306. Le malattie professionali sono invece circa 4.900.

PRESIDENTE
Su 6.306 infortuni più o meno un settimo viene trattato.
Il punto riguarda anche il discorso degli ospedali e dei medici, quindi dobbiamo dedurne che anche sugli infortuni non avete notizie da parte dei medici del pronto soccorso.

DEIDDA
Forse non sono stato chiaro. In realtà, per gli infortuni il fenomeno è diverso: per gli infortuni, come si diceva prima, dai pronto soccorso prima o poi la notizia arriva. Ne perderemo forse un migliaio, ma certamente la gran parte, relativa alle malattie mortali oppure a quelle gravissime, arriva. Qui si verifica il secondo fenomeno allarmante di cui parlavo: gli ufficiali di polizia giudiziaria delle ASL non sono in grado di fare le indagini.

PRESIDENTE
La notizia di reato arriva però.

DEIDDA
Arriva direttamente alle ASL, agli ufficiali di polizia giudiziaria.

PRESIDENTE
Loro però sono obbligati a comunicarla: se c’è un lavoratore che ha avuto un infortunio grave per il quale automaticamente scatta l’obbligo di un percorso che può portare a una notizia di reato non possono non dirlo perché al pronto soccorso ci sono i carabinieri o la polizia e ci sono i medici che refertano l’infortunio. Se la comunicazione non avviene bisogna che lei si muova e faccia delle indagini su quei soggetti, ma non devo insegnarle io il suo mestiere. Sono aspetti molto interessanti che vorremo capire bene.

DEIDDA
Capisco la sorpresa e l’allarme, ma le cose stanno così: se, per esempio, arrivano 5.000 notizie di reato alle ASL e agli ufficiali di polizia giudiziaria - poiché il codice stabilisce che possono essere mandate agli ufficiali di polizia giudiziaria - questi vengono sepolti da una massa di notizie di reato che sono in astratto tutte uguali. A quel punto la polizia giudiziaria è costretta a scegliere di considerare le notizie che per le modalità del fatto (perché, ad esempio, è intervenuto il 118) paiono più gravi e si procede con l’indagine. Nel frattempo tutte le altre notizie per le quali non si è riusciti ad accertare se vi sono violazioni, se il reato è perseguibile, se si deve fare un’indagine, rimangono lì. So che ciò è gravissimo, ma non è facile rimediare incaricando i carabinieri perché questi non saprebbero da dove cominciare per fare un’indagine approfondita sui luoghi di lavoro e ancor meno la polizia di Stato o la guardia di finanza.
Da un lato abbiamo un’indicazione normativa (l’articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2008) che definisce qual è l’organo di vigilanza, dall’altro abbiamo gli ufficiali di polizia giudiziaria e le ASL che a causa dell’esiguità del loro numero non riescono ad occuparsi di tutto. È per questo che mi sono permesso di dire al Presidente della Regione che non si può andare avanti così.

PRESIDENTE
Signor Procuratore, vorrei capire meglio due aspetti.
Gli ufficiali di polizia giudiziaria non sono grado di fare indagini perché il loro numero non è congruo, ma possono assolvere alla comunicazione perché non credo che ogni giorno in ogni ospedale e in ogni pronto soccorso arrivino 100 persone. In un anno gli infortuni in Toscana sono 6.306, ma se è a conoscenza di questo dato saprà anche dove si sono verificati.

DEIDDA
L’INAIL comunica il numero dopo circa un anno.

PRESIDENTE
Allora bisogna fare un’indagine e capire chi non ha fatto la comunicazione.

DEIDDA
So chi non l’ha comunicato.

PRESIDENTE
Allora deve procedere.

DEIDDA
Presidente, il codice stabilisce che quando la polizia giudiziaria viene informata di un reato la stessa proceda a delle indagini d’iniziativa, per appurare se il reato sussiste e chi l’ha commesso. Se queste indagini non vengono condotte quel reato resta lì.

PRESIDENTE
Non ci siamo capiti; non mi sono spiegato. I dati relativi ai 6.306 infortuni, che sono tali da poter rappresentare un’obbligatorietà di procedimento in quanto si configura il reato, sono a sua disposizione perché glieli ha forniti l’INAIL che le avrà detto anche dove li ha presi, consentendole di scoprire chi non le ha fornito i dati.

DEIDDA
So tutto di questo.

PRESIDENTE
Allora c’è un’omissione da parte di qualche soggetto.

DEIDDA
L’omissione sta nel non aver compiuto le indagini, ma ciò, dato il numero esiguo dei soggetti che devono fare le indagini, è inevitabile.

PRESIDENTE
Ma come fa allora l’INAIL a conoscere tali dati?

DEIDDA
L’INAIL li conosce non perché ha fatto le indagini ma perché il datore di lavoro paga la prestazione lavorativa, l’assicurazione obbligatoria.

PRESIDENTE
L’INAIL lo sa perché l’interesse del datore di lavoro è quello di dirlo in quanto potrebbe essere sanzionato e anche perché l’INAIL risarcisce il soggetto sul piano assicurativo. Allora bisogna coinvolgere anche l’INAIL affinché, nel momento in cui si aprono queste procedure, vi dica dove si sono determinati gli incidenti.

DEIDDA
L’INAIL non ha titolo per svolgere indagini.

PRESIDENTE
Non parlo di indagini, ma di notizia di reato. Lei dice che non arriva la notizia di reato.

DEIDDA
La notizia per gli infortuni - per le malattie professionali è diverso - arriva agli ufficiali di polizia giudiziaria, ma resta lì.

PRESIDENTE
Allora lei deve procedere.

DEIDDA
Per cosa?

PRESIDENTE
Per omissione di atti d’ufficio.

DEIDDA
Se dispongo di soli due ufficiali di polizia giudiziaria questi possono svolgere un certo numero di indagini.

PRESIDENTE
Allora chiudiamo i tribunali!

DEIDDA
Questo è il motivo per cui parlavo di situazione allarmante: se ho due ufficiali di polizia giudiziaria posso far svolgere loro 100 indagini, ma non 1.000.

PRESIDENTE
Se c’è, come lei dice, una carenza di personale non posso far altro che prendere atto. Laddove però si dovesse configurare un’omissione, lei non può acquisire semplicemente la notizia, ma deve prendere atto dell’esistenza di un’omissione. Sarebbe interessante se ci facesse sapere quanti procedimenti ha aperto per omissione di atti d’ufficio nei confronti di questi soggetti.

DEIDDA
In genere cerco di aprire procedimenti che abbiano un minimo di fondatezza. In questo caso abbiamo un’impossibilità fisica ad adempiere: per 6.306 infortuni non possiamo avere 19 ufficiali di polizia giudiziaria.

PRESIDENTE
Stiamo dicendo due cose diverse. Premesso che non ci sono soggetti in numero tale da poter garantire un’organizzazione efficiente per aprire indagini su tutte le 6.306 notizie di reato, di cui lei è a conoscenza (nomi e cognomi dei lavoratori nonché luogo dove sono stati ricoverati) in quanto l’INAIL apre una pratica al riguardo, lei intende con le forze a disposizione valutare se i soggetti che avrebbero dovuto dare notizia di reato non l’hanno data e perseguire eventualmente gli stessi per omissione di atti d’ufficio? Lei ha aperto fascicoli d’inchiesta su soggetti che non hanno dato notizie di reato?

DEIDDA
Li ho aperti su soggetti che non hanno compiuto le indagini.

PRESIDENTE
Non parlo delle indagini che sono successive, ma di notizie non trasmesse.

DEIDDA
Le notizie che arrivano in procura sono di notizie di reato e perché siano tali bisogna avere un minimo di elementi che costituiscono il reato.

PRESIDENTE
Basta il referto: se il referto medico che stabilisce che c’è un certo numero di giorni di prognosi, automaticamente scatta il meccanismo delle indagini.

DEIDDA
Solo se ho gli elementi tipici del reato e questo implica un apprezzamento d’indagine. Se devo fare un processo penale ho bisogno di elementi che qualcuno deve raccogliere.

PRESIDENTE
Ma lei sa dall’INAIL che ci sono 6.306 notizie di reato.

DEIDDA
So che ci sono 6.306 infortuni; la notizia di reato è un’altra cosa.

PRESIDENTE
Lei, quindi, non ha notizie di infortuni, ma notizie di reato.

DEIDDA
Potenziali notizie di reato. Non arrivano complete di indagini e quindi non mettono il pubblico ministero nella condizione di procedere.
Il motivo è che le indagini sono un numero sproporzionato, elevatissimo rispetto a coloro che debbono indagare. Posso anche mettere sotto processo per omissione di atti d’ufficio gli ufficiali di polizia giudiziaria, ma dovrei assolverli subito dopo perché le indagini si fanno quando servono.
Questa è una condizione strutturale dell’organo che dovrebbe svolgere le indagini. Potrei procedere mille volte per omissione di atti d’ufficio e per mille volte riscontrerei che i soggetti responsabili hanno lavorato più o meno a tale scopo. Abbiamo realizzato statistiche penetranti, circondario per circondario, per cui il fenomeno lo conosciamo bene, ma non sarei un procuratore della Repubblica ragionevole se mettessi sotto processo gli ufficiali di polizia giudiziaria perché non hanno fatto tutte le indagini che forse sarebbero state necessarie.

PRESIDENTE
Può cortesemente spiegarmi questo passaggio, che continua a sfuggirmi. Potrebbe specificare meglio cosa intende con l’espressione «tutte le indagini». Infatti, conoscendo l’argomento so che le indagini non sono complesse. Stiamo parlando di fatti certi, che si sono determinati in un luogo di lavoro o, meglio, di fatti certi, in chiaro, di persone assicurate all’INAIL. Se l’infortunio presuppone una notizia di reato occorre comunicarlo; chi riceve questa notizia - poi sarà una valutazione del magistrato procedere o meno - non può non darla. Queste notizie qualcuno le deve inviare alla procura.

DEIDDA
Ma il reato è perseguibile solo a condizione che sia stata violata una norma di prevenzione della sicurezza nei luoghi di lavoro, altrimenti resta una lesione più o meno accidentale. È quanto prevede l’articolo 590 del codice di procedura penale. La condizione per poter parlare di reato è l’accertamento della violazione della norma.

PRESIDENTE
Comunque la notizia deve essere comunicata, sarà un fatto successivo indagare in maniera più approfondita.

DEIDDA
Questo già accade, il problema è che la procura non riesce a procedere se non si accerta il reato. Torniamo sempre al punto. La procura può procedere attraverso gli ufficiali di polizia giudiziaria, sono costoro che o per delega o per richieste di intervento non sono in grado di svolgere 7.000 indagini a causa del loro numero assai ridotto.

PRESIDENTE
Abbiamo quindi chiarito questo aspetto. Gli ufficiali non commettono alcun reato di omissione di atti d’ufficio, sono semplicemente oberati di lavoro. Si tratta di persone perbene che stanno facendo il proprio lavoro. In sostanza, di fronte a questa situazione non avete un numero di soggetti adeguato ad assolvere alle ipotetiche notizie di reato che vi giungono.

DEIDDA
Signor Presidente, lei ha colto molto bene il punto. A volte abbiamo persino pensato di poter rimediare a questa insufficienza incaricando per delega altri organi di polizia giudiziaria, ma ci siamo sempre pentiti. D’altra parte ciascuno sa fare il proprio mestiere.

PRESIDENTE
Non sono adeguati perché la scena del delitto è cosa diversa da quella dell’infortunio.

DEIDDA
Pensare ad una supplenza da parte di altri organi di polizia giudiziaria purtroppo è impossibile, quasi una follia con questi dati.

PRESIDENTE
Su questo aspetto non c’è alcuna necessità di approfondimento, sono assolutamente d’accordo con lei. È stato laborioso chiarirci, ma ce l’abbiamo fatta.

DEIDDA
Mi permetto di depositare agli atti della Commissione la documentazione di cui dispongo.

PRESIDENTE
Salutiamo e congediamo il procuratore generale ringraziandolo per le informazioni e la collaborazione fornite.


Audizione del direttore regionale dell’INAIL e del direttore dell’Ufficio regionale del lavoro

Intervengono il direttore regionale dell’INAIL, dottor Bruno Adinolfi, accompagnato dal dottor Paolo Guidelli, consulente informatico, e dalla dottoressa Rosanna Arnone, vicario ufficio P.O.C., e il direttore dell’Ufficio regionale del lavoro, dottor Sergio Trinchella.

PRESIDENTE
La nostra Commissione intende monitorare, Regione per Regione, le modalità di organizzazione e applicazione delle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 81. Soprattutto vorremmo conoscere le vostre opinioni sulle problematiche esistenti nel territorio. Tutto questo al fine di creare un collegamento tra Stato e Regioni in una materia concorrente, in modo da superare alcuni momenti di difficoltà incontrati in diverse sedi istituzionali nella definizione di atti amministrativi secondari; ci sono deleghe che devono ancora essere emanate. Il nostro obiettivo è capire, attraverso le Regioni che rappresentano i soggetti di coordinamento, come ci si sta muovendo in questa materia. È per noi importante comprendere come si stanno organizzando in particolare i comitati provinciali di coordinamento, al fine di una conoscenza diretta, a tre anni dall’emanazione del decreto legislativo n. 81, del grado di attuazione delle deleghe di competenza regionale previste dalla normativa.

ADINOLFI
Sono il direttore regionale dell’INAIL. Il quesito da lei posto, per quanto riguarda la Toscana, merita alcune informazione di contesto.
Da qualche tempo il comitato regionale di coordinamento nella nostra Regione vive una fase di rallentamento per il fatto che il precedente coordinatore, assessore alla sanità, è diventato nel frattempo presidente della Giunta regionale. Ho parlato recentemente con la funzionaria responsabile della Regione Toscana la quale mi ha riferito che prima di Pasqua, o subito dopo, il comitato regionale di coordinamento dovrebbe riprendere i suoi lavori. In quella occasione, come direttore regionale INAIL e sulla base dei dati riguardanti l’andamento infortunistico 2010, intenderei porre all’attenzione del comitato alcuni aspetti peculiari. Mi riferisco in particolare all’edilizia. Forse non sapete che dallo scorso autunno è in atto una campagna nazionale di informazione sul settore, curata da noi insieme al Ministero del lavoro, nell’ambito della quale si prevede di sottoporre a particolare attenzione alcune casistiche di infortuni: essenzialmente cadute dall’alto e seppellimenti. Per quest’ultimo aspetto fornisco alcuni dati relativi alla Regione Marche, della quale sono ancora reggente: negli ultimi quattro mesi, sono morti per seppellimento tre lavoratori, due nel medesimo infortunio e il terzo la scorsa settimana.
In un recente incontro con il rappresentante dell’ANCE Toscana ho posto questo specifico problema. Il fatto che gli incidenti si siano verificati nelle Marche non significa che i lavoratori marchigiani siano meno attenti, ma che il fenomeno è da porre all’attenzione. Quindi, nella prossima riunione informerò le parti affinché INAIL e parti sociali dell’edilizia avviino un progetto di formazione e informazione su questo specifico tema.
Come si evince dai dati, l’edilizia è ancora il settore leader nel 2010 quanto a numero di incidenti, con dieci infortuni mortali mentre nel settore dell’agricoltura se ne registrano nove. La Provincia con più infortuni mortali nel 2010 è stata Arezzo con 13 decessi. I dati infortunistici, affinché non siano meramente astratti, debbono essere letti nell’ottica di verificare e quindi valutare le iniziative più idonee in materia di prevenzione.
Il numero degli eventi mortali in un settore è la spinta principale per promuovere iniziative di prevenzione.

PRESIDENTE
Sul rinnovo del comitato regionale di coordinamento abbiamo già avuto notizia dall’assessore e sappiamo che i tempi sono quelli da lei stesso richiamati. Tuttavia, per gli anni passati, ad esempio per il 2009, prima che si arrivasse alla definizione della nuova Giunta regionale e quindi al passaggio del dottor Rossi da assessore a presidente, il comitato regionale di coordinamento ha mai inviato qualche relazione al Ministero?

ADINOLFI
Le riferisco quanto so sulla base delle informazioni da me acquisite, essendo direttore generale dell’INAIL della Toscana dal 1º febbraio. La Regione Toscana è per definizione molto attiva nel campo della prevenzione. So che il comitato regionale di coordinamento già in passato si è riunito con carattere di sistematicità. Il rallentamento è da ascrivere unicamente ad un evento eccezionale.

PRESIDENTE
Questo risulta anche a noi, ma io le ho chiesto un’altra cosa. Poiché questo comitato ha l’obbligo di riferire annualmente, attraverso una relazione, ai Ministeri del lavoro e della sanità, vorrei sapere se precedentemente ciò sia stato fatto.

ADINOLFI
Ho motivo di ritenere di no, ma non ne sono certo.

PRESIDENTE
Insisto su questo aspetto perché rappresenta un punto cruciale nel collegamento fra Regioni e Governo centrale.

TRINCHELLA
Come il dottor Adinolfi, ho assunto questo incarico da pochissimi mesi e finora ho partecipato ad una sola riunione del comitato finalizzata ad una prima pianificazione degli interventi da realizzare nell’edilizia, il settore che desta maggiori preoccupazioni. Abbiamo stabilito la ripartizione dei compiti di coordinamento e, soprattutto, di vigilanza tecnica che rappresenta il vero problema nell’ambito della prevenzione degli infortuni. Per legge la vigilanza tecnica spetta innanzitutto alla ASL e poi agli ex Ispettorati del lavoro, oggi Servizi di ispezione del lavoro che fanno sempre capo al Ministero del lavoro. Ci siamo quindi ripartiti 800 cantieri: 400 saranno seguiti dagli ispettori delle ASL, coadiuvati da personale amministrativo degli enti previdenziali e da nostri ispettori di vigilanza ordinaria, mentre i restanti 400 saranno seguiti da noi con i pochi ispettori tecnici di cui disponiamo in tutta la Toscana.
Il vero problema anche nella nostra Regione è il numero del personale ispettivo, almeno per quanto riguarda il Ministero del lavoro. La Toscana è forse la Regione più grande d’Italia, con dieci province, e conta poco più di 200 ispettori: per la precisione, 230 ispettori di vigilanza ordinaria e 15 di vigilanza tecnica. Si tratta di due diverse tipologie di ispezione effettuate da personale reclutato sulla base di concorsi differenti che richiedevano studi diversi: gli ispettori tecnici sono normalmente ingegneri e architetti; gli ispettori di vigilanza ordinaria sono laureati in giurisprudenza, economia e commercio e scienze politiche. Il problema più consistente riguarda gli ispettori tecnici. Sulla carta sono 15 (già di per sé pochi) ma in realtà sono solo 11; lo stesso dicasi per gli ispettori di vigilanza ordinaria che anziché essere 232 sono nei fatti 137, questo perché dal 2004, anno in cui è stato espletato un concorso nazionale per l’assunzione di 750 ispettori di vigilanza ordinaria e di 75 ispettori tecnici, ripartiti fra più Regioni (e quindi da assegnare anche alla Toscana), non ci sono state più assunzioni. A fronte dei pensionamenti e della rinuncia al posto da parte di alcuni dei nuovi assunti che hanno superato altri concorsi, il numero del personale ispettivo si riduce sempre più.

PRESIDENTE
A noi risulta che quella graduatoria sia stata tutta assorbita.

TRINCHELLA
Sono stati assunti anche tutti gli idonei; gli ultimi assunti sono stati quelli delle Regioni Emilia-Romagna e Sardegna. La Toscana si è fermata perché aveva assunto tutto il personale che le spettava.

PRESIDENTE
Abbiamo dovuto fare la guerra per quelle assunzioni.

TRINCHELLA
Lo so. Ciò nonostante gli ispettori sono sempre pochi.
A ciò si aggiunga un altro problema. A quegli ispettori è stato affiancato anche personale amministrativo riqualificato, ma ciò ha comportato lo svuotamento del ruolo amministrativo; di conseguenza, gli ispettori del lavoro devono riempire anche i vuoti del personale amministrativo che, riqualificandosi, è passato nell’organico ispettivo. Pertanto, a fronte di un numero, sulla carta, di 232 ispettori di vigilanza ordinaria, svolgono realmente attività ispettiva 137 addetti.

PRESIDENTE
Le chiedo di farci gentilmente pervenire, se le è possibile, un quadro dell’organico in modo da permetterci di capire meglio.

NEROZZI
Lei ha affermato che parte del personale amministrativo si è riqualificata. Ma prima questo personale cosa faceva? Dipendeva dal Ministero del lavoro e svolgeva un’attività amministrativa che tuttavia non aveva a che fare con la sicurezza sul lavoro?

TRINCHELLA
No, no.

NEROZZI
Infatti. Di contro, gli ispettori del lavoro che svolgono anche attività amministrativa, si occupano o no di ispezioni?

TRINCHELLA
Svolgono in parte attività ispettiva ed in parte attività amministrativa.

NEROZZI
In realtà, quella della riqualificazione è una bufala.
Lei non lo può dire ma lo dico io. Questo vale anche per il settore della giustizia. Ci potrebbe essere una mobilità tra personale amministrativo dei Ministeri, ma questo rientra nel potere dei Ministri.

TRINCHELLA
Il problema è questo. Molti funzionari amministrativi sono passati al ruolo ispettivo ma continuano in parte a svolgere anche attività amministrativa.

NEROZZI
La mia domanda era diversa. Le chiedevo se gli amministrativi si occupano sempre di sicurezza sul lavoro o svolgono tutt’altra attività. È una domanda che riguarda l’organizzazione del settore. È una carenza di personale che viene gestita coprendo un buco ma aprendone un altro. Si dovrebbe a questo punto parlare del riordino dei Dicasteri.
Ci sono Ministeri pesanti, come quelli delle finanze o della difesa, che hanno perso funzioni e che, dopo 25 anni, nessuno riesce a riordinare.
Il Ministero del lavoro, come quello dei beni culturali, rappresenta un problema che non si risolve.

TRINCHELLA
Mi permetto di aggiungere una piccola osservazione personale. È facile comprendere come il personale che si riqualifica a cinquant’anni, dopo avere svolto per una vita attività amministrativa, non possa svolgere una funzione ispettiva solo sulla base di un corso di riqualificazione di due settimane.

NEROZZI
Questo è vero, però dovremo abituarci per il futuro a considerare la riqualificazione come un passaggio normale. La riqualificazione avviene in tutti i settori ma bisogna vedere quali sono i criteri adottati per lo svolgimento dei corsi di formazione. Se la riqualificazione viene concessa con dieci ore di formazione è una cosa; un corso che invece prevede sei mesi di formazione ha un altro peso, anche se il soggetto ha cinquant’anni.

TRINCHELLA
L’attività dell’ispettore è qualcosa che si costruisce nel tempo. Innanzitutto bisogna essere in possesso di un titolo di studio appropriato; inoltre, c’è bisogno di una formazione continua, a fronte di una produzione normativa che, dalla legge Biagi ad oggi, è stata in costante mutamento. L’attività ispettiva necessita di preparazione, formazione e aggiornamento. Seguire una normativa in continua evoluzione è già difficile per chi da anni è un tecnico; immaginiamo cosa significhi questo per una persona che svolgeva tutt’altra attività e si trova catapultata in una realtà lavorativa del tutto nuova. Questo a noi comporta qualche problema.
A ciò si aggiunga il fatto che molti devono continuare a svolgere in parte anche la funzione precedente. Faccio presente che un’attività che richiede molto impegno è quella del contenzioso. Quando gli ispettori eseguono la vigilanza ed irrogano sanzioni o presentano denunce all’autorità giudiziaria, inevitabilmente si apre un contenzioso: ad esempio, per chi non paga la sanzione scatta l’ordinanza di ingiunzione che poi può essere impugnata davanti al giudice ordinario; peraltro, in precedenza c’erano solo due gradi di giudizio, successivamente è stato introdotto anche il grado d’appello. Queste procedure comportano un impegno costante di personale ispettivo autorizzato al contenzioso, cosa che riduce le forze già di per sé abbastanza esigue.
Alcuni uffici della nostra Regione sono addirittura sprovvisti di ispettori tecnici e nei cantieri di quelle realtà - mi riferisco a Livorno e Lucca, se non ricordo male - non possiamo svolgere attività di vigilanza tecnica.
In questi casi viene in soccorso la ASL che fortunatamente in Toscana ha un buon numero di ispettori.
Questo è il nostro problema: penuria di ispettori, soprattutto tecnici, cioè quelli che operano per la sicurezza e la prevenzione.

PRESIDENTE
Non ci sembra che la ASL possa sopperire a tutto, avendo peraltro raccolto anche le loro problematiche. È ovvio che avendo lei pochissimi ispettori a disposizione, risulta fortunato chi ne ha anche pochi di più: beati monoculi in terra caecorum.
Le chiedo comunque di farci pervenire un quadro dell’organico effettivo.
È possibile, infine, impiegare per altre mansioni parte delle persone assunte come ispettori, atteso che altri soggetti hanno creato i vuoti?

TRINCHELLA
Presidente, le direzioni provinciali di lavoro si articolano su due servizi.

PRESIDENTE
Conosciamo alla perfezione la situazione.

TRINCHELLA
E quindi non devo spiegarla io a voi.

PRESIDENTE
Stiamo parlando tra addetti ai lavori.

TRINCHELLA
Quello che lei diceva è possibile.

NEROZZI
È possibile anche perché c’è una circolare ministeriale che stabilisce di favorire alcune funzioni a scapito di altre.

TRINCHELLA
Avendo questi due servizi che comunque devono funzionare...

PRESIDENTE
Bisogna stare attenti a questo, però, perché lei fa funzionare un servizio che deve comunque funzionare, e ha ragione, ma paradossalmente ne sguarnisce un altro che dovrebbe anch’esso funzionare, e allora ha torto, soprattutto quando quei soggetti sono stati assunti come ispettori.

TRINCHELLA
Noi abbiamo fatto un controllo certosino su richiesta della Direzione generale per l’attività ispettiva. Ogni anno riceviamo degli obiettivi; quello del 2011 prevede l’effettuazione di 80.000 verifiche.
Prima di emanare l’obiettivo annuale (che poi è quello che rientrerà nella direttiva di secondo livello, cosa che normalmente avviene in primavera), il direttore generale per l’attività ispettiva ci ha chiesto quali fossero le nostre forze, chiedendo di sapere con precisione quanti ispettori con tessera avessimo in organico e, ispettore per ispettore, quale tipo di attività svolgessero ed in quale percentuale. Dal calcolo certosino che abbiamo fatto è scaturito che da 232 ispettori di vigilanza ordinaria siamo scesi a 137 e da 15 ispettori tecnici siamo scesi a 10,7. La percentuale che risulta non svolgere attività ispettiva o ha una funzione squisitamente amministrativa oppure nell’ambito dell’attività ispettiva ha un compito di responsabilità di verifica e controllo sull’operato degli addetti (quale, ad esempio, il capo unità operativa o il capo sezione) che non gli consente di effettuare materialmente e quotidianamente le ispezioni. Quindi c’è una piccola riduzione del suo obiettivo. Stando a quanto dispone l’attività ispettiva della nostra direzione generale, ogni ispettore di vigilanza ordinaria deve espletare almeno 60 pratiche all’anno mentre l’ispettore tecnico almeno 70. Moltiplicando questi numeri per la percentuale di attività svolta da ognuno risulta che alla fine c’è un abbattimento di circa il 40 per cento sia sugli ispettori di vigilanza ordinaria che su quelli di vigilanza tecnica.
Questo è il problema della coperta corta.

PRESIDENTE
Sessanta pratiche l’anno per ispettore?

TRINCHELLA
Almeno 60 pratiche di vigilanza ordinaria e almeno 70 pratiche di vigilanza tecnica. La pratica non è solamente la verifica o l’accesso perché molte volte bisogna tornare. L’iter della pratica può cominciare oggi e concludersi tra due o tre mesi perché ci sono dei passaggi intermedi che necessitano di tempo. Oggi abbiamo gli obiettivi individuali: il Ministero assegna degli obiettivi all’ufficio che li distribuisce su tutto il personale. Il personale ispettivo deve svolgere un’attività non inferiore a questa. Vengono stilate delle classifiche annuali e c’è un progetto qualità che anche quest’anno è stato confermato. Si stabilisce inoltre che per un certo tipo di pratica o di violazione vengono assegnati tot punti; c’è, quindi, una corsa al punteggio alto, basato soprattutto sulla qualità.
La qualità che chiede il nostro Ministero non sta, come dice il nostro Ministro, nell’andare a limare le unghie alle zanzare, ma nel colpire i fenomeni importanti del lavoro sommerso, dell’intermediazione di manodopera e dello sfruttamento dei minori. Questi sono i nostri obiettivi principali, soprattutto il lavoro nero perché è quello che normalmente si associa alla mancanza di sicurezza. Nella nostra esperienza nei settori a più alto rischio, come edilizia ed agricoltura, mancanza di sicurezza e lavoro nero vanno quasi sempre di pari passo. Le aziende dove avvengono più incidenti sono soprattutto le piccole aziende fino a cinque dipendenti, ovvero la stragrande maggioranza. Tenuto conto della penuria del personale ispettivo, soprattutto in certe Regioni, si punta moltissimo sull’attività di collaborazione con gli altri enti, con le forze dell’ordine e sull’attività d’intelligence volta ad effettuare delle verifiche prima di entrare in azienda. Adesso abbiamo avuto la possibilità di accedere alla banca dati dell’INPS: l’ispettore può entrare nella banca dati INPS e verificare prima di andare in azienda quanti soggetti risultano ufficialmente assunti. Facendo un controllo si vede che magari, a fronte di cinque dipendenti dichiarati, le persone sono molte di più. Come dicevo, collaboriamo con gli enti, gli istituti e le forze dell’ordine. D’altro canto, la legge n. 183 del 2010, il cosiddetto collegato lavoro, ha dato la possibilità alle forze dell’ordine e agli enti previdenziali di poter irrogare la maxisanzione, che è forse uno dei maggiori deterrenti per la lotta al lavoro nero. La maxisanzione ammontava prima a 3.000 euro per ogni lavoratore, secondo calcoli effettuati in base alla legge n. 689 del 1981 che stabilisce che la sanzione può essere il doppio del minimo e il terzo del massimo (essendo questi rispettivamente 1.500 e 12.000 euro, l’ispettore può applicare 3.000 euro di sanzione per ogni lavoratore in nero). Con il collegato del lavoro si è concessa però la possibilità di riconoscere una sorta di sconto da 3.000 a 1.000 euro alle aziende che hanno regolarizzato i lavoratori in nero prima dell’ispezione. Anche la sospensione dell’attività lavorativa è un deterrente che per ora possiamo applicare solo noi dell’ispettorato del lavoro quando si sia raggiunto il 20 per cento di lavoro in nero e siano state riscontrate gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza. Questi deterrenti hanno dato grandi risultati. Ciò nonostante di lavoro nero ce n’è sempre tanto, anche se io vengo da Napoli e l’esperienza napoletana è stata un qualcosa di unico.

PRESIDENTE
Il lavoro nero in Toscana è abbastanza alto?

TRINCHELLA
Sì, Presidente. Tenga conto che la forte immigrazione cui assistiamo comporta anche un forte ricorso al lavoro sommerso. Ci sono lavoratori provenienti dall’estero che si offrono sul mercato a tariffe bassissime e tanti datori di lavoro poco scrupolosi che, pur di guadagnare, ricorrono al lavoro nero, tagliano sui diritti e sulla sicurezza. Questo è il vero problema.

ADINOLFI
C’è un altro fenomeno ugualmente significativo e forse anche drammatico, ma un po’ meno trasgressivo. Nell’INAIL è molto aumentato negli ultimi due anni il fenomeno delle rateazione del premio: sono sempre più numerose le aziende che per importi in assoluto non particolarmente significativi chiedono la rateazione del premio. Questo è un fenomeno che, a mio avviso, a parte la situazione di difficoltà congiunturale denota la volontà di continuare ad operare nelle ristrettezze economiche.

PRESIDENTE
Questa percentuale alta non ben definibile di lavoro nero c’è dappertutto ed è diffusa.


Audizione del comandante provinciale del nucleo dei Carabinieri presso l’Ispettorato del lavoro e del comandante regionale dei VVFF


Intervengono il comandante provinciale del nucleo dei Carabinieri presso l’Ispettorato del lavoro, maresciallo Gianluca Alessandrucci e il comandante regionale dei VVFF, ingegner Cosimo Pulito, accompagnato dall’ingegner Paolo Innocenti.

PRESIDENTE
Maresciallo Alessandrucci, lei è comandante del nucleo direttivo dell’ispettorato del lavoro di Firenze. C’è stato un errore nella convocazione perché oltre al suo prezioso contributo avremmo dovuto avere quello del suo comandante dal momento che vi siete dati una struttura nuova.

ALESSANDRUCCI
C’è il comando di tutela lavoro e quattro gruppi di tutela lavoro separati per territorio. La competenza su Firenze è a Roma.

PRESIDENTE
C’è stato un errore. Lei ha una competenza regionale?

ALESSANDRUCCI
No, ho una competenza provinciale.

PRESIDENTE
La nostra presenza serve a comprendere meglio l’organizzazione sul territorio a livello regionale con riguardo al contrasto agli infortuni e alla prevenzione delle malattie professionali. Il Testo unico è in vigore ormai da tre anni, anche se mancano ancora alcuni decreti attuativi, ma già in precedenza vi erano precise competenze delle Regioni in materia.
Il Testo unico ha previsto altre competenze per i comitati regionali di coordinamento dei quali fate parte e, quindi, volevamo capire se questi meccanismi si muovono in modo da essere efficaci. Vorremmo quindi venire a conoscenza di eventuali problemi per poterli rimuovere, qualora ciò fosse competenza del Governo centrale e del Parlamento. Cerchiamo di conoscere meglio come ci si sta organizzando.
Per quanto riguarda i Vigili del fuoco, stiamo facendo un lavoro di approfondimento e avremo presto un decreto che specificherà meglio le vostre competenze perché in questi anni d’attività abbiamo rilevato che non sono ben definite o perlomeno sono lacunose. Faccio un esempio pratico.
Là dove c’è necessità della vostra autorizzazione per avviare un’attività, una volta che avete riscontrato il possesso della documentazione necessaria concedete giustamente l’autorizzazione, e il vostro lavoro finisce lì. Tuttavia noi abbiamo riscontrato una serie di incidenti che forse un accompagnamento o un’ispezione periodica avrebbe potuto evitare. È un tema che stiamo analizzando con i vostri vertici per potervi far operare meglio: più chiaro è il compito, più efficiente sarà il lavoro. Vorremmo capire se si devono colmare eventuali coni d’ombra nella vostra attività.
Il maresciallo ci parlerà della sua realtà. Quanti siete per il nucleo di Firenze?

ALESSANDRUCCI
Sei.

PRESIDENTE
Cedo la parola all’ingegner Pulito.

PULITO
Vorrei suddividere l’attività che viene svolta nel settore della prevenzione incendi in due grandi filoni. Il primo ha natura autorizzativa e fa riferimento al certificato di prevenzione incendi; il secondo investe tutte le attività, rientrando quindi nel campo d’applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, in cui sono impiegati lavoratori dipendenti.
Mi permetterei di scindere i due meccanismi perché il procedimento autorizzativo, per il quale siamo in attesa di un decreto che dovrebbe snellire ulteriormente le procedure, prevede delle tappe quali l’approvazione del progetto e la verifica dei lavori effettuati. C’è poi un rinnovo periodico ogni tot anni. Sostanzialmente il procedimento autorizzativo consta di tre momenti: approvazione del progetto, primo controllo e rinnovi periodici.
C’è, inoltre, un’attività ispettiva che si svolge sia sulle attività per le quali è necessaria l’autorizzazione sia sulle attività che interessano solo lavoratori dipendenti.

PRESIDENTE
Questo è un punto nevralgico. Con riferimento al primo troncone, vorrei sapere se questa attività ispettiva è volontaria o meno perché proprio sul punto abbiamo riscontrato che in certe realtà l’attività ispettiva era del tutto assente.

PULITO
Nel nostro regolamento è prevista la possibilità di effettuare l’azione ispettiva in due casi precisi. Un’azione ispettiva è stabilita dal centro sulla base dell’individuazione di alcune tipologie di attività. Per esempio, per l’anno in corso, è stata effettuata su scuole, ospedali e attività commerciali. Si tratta di un’attività ispettiva svolta sulla base di una sollecitazione della centrale operativa, la quale stabilisce l’entità minima dei controlli da effettuare. Vi è poi un’attività ispettiva effettuata sulla base di segnalazioni. Riceviamo decine di segnalazioni di pericolo (anonime, di lavoratori, di semplici cittadini) in ordine alle quali interveniamo.
Non si tratta di pericolo di crolli ma di rischi legati a incendi e alla sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
A novembre, ci siamo recati a Paderno Dugnano, a seguito di un incendio che ha provocato quattro morti. Ebbene, abbiamo riscontrato che precedentemente, nel mese di agosto, si erano già verificati due incendi, dei quali però nessuno aveva dato comunicazione. La situazione era alquanto anomala in quanto si trattava di una lavorazione di rifiuti all’aperto, alcuni dei quali molto particolari, che hanno poi portato al drammatico incidente che tutti conosciamo (che tra l’altro non si è verificato in una landa deserta, ma all’interno di un paese, per cui la colonna di fumo avrebbe dovuto essere ben visibile). Se non sbaglio in occasione degli incidenti di agosto i Vigili del fuoco non furono neanche chiamati. Mi correggo, si limitarono a spegnere alcuni piccoli incendi senza effettuare successivamente alcuna attività di controllo.
Porto questo esempio per farle capire la ragione per la quale ci stiamo attivando in questa direzione. È evidente che siamo di fronte a dei vuoti. L’obiettivo è quindi mettere anche voi in condizione di definire con maggiore chiarezza il vostro intervento, anche se sono certo che fate sempre del vostro meglio. Tuttavia abbiamo rilevato diversi episodi di questo tipo; quello di Paderno Dugnano è solo il più drammatico, essendovi stati quattro morti. Di tutto questo i Vigili del fuoco non avrebbero dato notizia ad altri soggetti competenti, con la conseguenza che nessuno è stato allertato. Vado a memoria, anche se questi dati sono nel resoconto stenografico delle audizioni che la nostra Commissione ha tenuto in loco.
È evidente che voi avete competenza specifica in materia di prevenzione incendi, ma se i soggetti competenti fossero venuti a conoscenza delle materie specifiche trattate in quel sito avrebbero potuto comprendere meglio la pericolosità della situazione e forse prevenire l’incidente. Questo limite, che consiste nella mancanza di obbligo a comunicare, produce effetti che a volte diventano fatali.

PULITO
L’esempio da lei riportato - se mi consente - ha carattere particolare. Dal punto di vista tecnico, su un deposito generico di rifiuti le misure di sicurezza che si possono adottare non sono previste da una normativa specifica antincendio.

PRESIDENTE
È proprio quello che sto dicendo. Se si fosse saputo che in quel luogo venivano trattati anche rifiuti speciali altamente infiammabili, probabilmente ci sarebbe stata un’accortezza diversa e non sarebbe saltato tutto in aria. Questo è il ragionamento. C’è qualcosa che non funziona a livello di comunicazione.
La vostra opera, senz’altro meritoria, rischiosissima e da tutti riconosciuta per il servizio straordinario che fornite, in certi momenti si trova in una situazione di impasse, non a causa vostra ma per effetto di una normativa poco chiara. Deve esserci l’obbligo di comunicare a una serie di uffici competenti, espressamente elencati, che si è verificato un incendio.
Nell’agosto precedente a Paderno Dugnano c’erano stati altri due incendi, poi nel novembre successivo c’è stata la tragedia. Il problema è dipeso dal fatto che alcuni soggetti competenti non erano a conoscenza della situazione, perché i vostri colleghi in loco non avevano comunicato che già in precedenza si erano verificati degli incendi in quel sito. Esempi del genere ce ne sono moltissimi. Sono cinque anni che mi interesso di questa materia e ho visto troppe situazioni che richiedono venga fatta chiarezza, specialmente sul ruolo dei Vigili del fuoco.

PULITO
Non vorrei contraddire questa percezione, ma mi permetto di segnalare....

PRESIDENTE
Questa non è una percezione, è un fatto.

PULITO
Al momento il meccanismo, che certamente si può correggere, prevede che le squadre dei Vigili del fuoco non possano, dopo aver effettuato un intervento, fermarsi a compiere l’attività di indagine e di investigazione.

PRESIDENTE
Non viene richiesto loro di fare questo, ma di comunicare a coloro i quali fanno attività di investigazione che si è verificato un incendio. Nella fattispecie di comunicarlo alla ASL o ai Carabinieri. Il problema è che non viene comunicato.

NEROZZI
Non è una vostra mancanza, ma una lacuna della normativa che non specifica la necessità di fare una serie di comunicazioni che si rivelerebbero estremamente utili. Voi non c’entrate nulla.
Non siete voi a non fare qualcosa che è richiesto che facciate, ma probabilmente è la legislazione ad essere carente in quanto non vi obbliga a comunicare.
Ovviamente il discorso va fatto anche nei vostri confronti, quando, ad esempio, altre strutture non vi comunicano informazioni di cui invece dovreste essere a conoscenza. È probabilmente una carenza legislativa.

PRESIDENTE
Porto un altro esempio eclatante. Sapete bene come sono andate le cose nel famoso incendio alla ThyssenKrupp di Torino.

PULITO
Sui fatti fui ascoltato da lei in qualità di comandante provinciale dei Vigili del fuoco.

PRESIDENTE
Allora sa bene come sono andate le cose. Da più di un anno mancava la squadra interna antincendio, che era invece obbligatoria.

PULITO
Mancava la squadra attestata, nel senso che avevano fatto il corso ma non avevano sostenuto l’esame.

PRESIDENTE
No, mancava del tutto la squadra antincendio perché l’avevano eliminata. Comunque vedremo presto i risultati dell’indagine.
La cosa grave è che altri soggetti che effettuavano le ispezioni, tra cui la ASL, non avevano comunicato l’assenza della squadra antincendio.
Torna il discorso sulla reciprocità delle informazione e quindi della comunicazione, di cui parlava poc’anzi il vice presidente Nerozzi. La mano destra non sa cosa fa la sinistra e alla fine esplode il dramma e ci sono i morti. Parliamo di un incendio che ha causato sette morti, carbonizzati.
Nei due episodi citati abbiamo contato 11 lavoratori morti, uccisi dal fuoco.
Detto questo, forse è davvero opportuno porsi il problema della necessità di una maggiore comunicazione tra i vari soggetti preposti ad intervenire.
Non vogliamo dire con questo che non state facendo il vostro dovere.

ALESSANDRUCCI
La nostra attività è principalmente indirizzata al contrasto al lavoro sommerso e irregolare, che è direttamente proporzionale alla sicurezza nei luoghi di lavoro, nel senso che dove c’è lavoro nero non c’è sicurezza. Ci stiamo battendo per combattere questo fenomeno, puntando soprattutto sulla cooperazione tra i vari enti, INPS, INAIL, Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, Agenzia delle entrate, tant’è che il nostro comando sta sviluppando il progetto SISLAV (Servizio informativo per la tutela del lavoro). Si tratta di una sorta di banca dati, alimentata da tutti questi enti, che consente di effettuare uno scambio di dati in tempo reale e quindi di predisporre un fascicolo aziendale da cui partire per sviluppare le nostre indagini sia sulla sicurezza che sul lavoro sommerso.
Operando sul campo abbiamo riscontrato un elemento fondamentale che crea delle difficoltà. Mi riferisco ai cosiddetti imprenditori improvvisati, ovvero coloro che vanno alla camera di commercio, aprono la partita IVA e costituiscono una ditta a sé. Questi lavoratori autonomi non adottano alcuna misura di sicurezza e anche quando prendono i lavori dalla committenza sviano i parametri sulla idoneità tecnico-professionale, cosa che invece non possono eludere le ditte che hanno lavoratori dipendenti. In questo senso ci troviamo in difficoltà, perché la presenza di questi lavoratori autonomi è sempre più numerosa all’interno dei cantieri.

NEROZZI
Si riferisce ai subappalti?

ALESSANDRUCCI
Mi riferisco sia ai subappalti che direttamente agli appalti. A volte, in particolare nei lavori privati, le opere vengono assegnate direttamente ad un lavoratore autonomo; perlopiù si tratta di una ditta autonoma di extracomunitari in cui soltanto il titolare firmatario risulta far parte della ditta. Risultano però come affidatari tre, quattro o cinque lavoratori autonomi, che in realtà non operano in piena autonomia essendo semplici lavoratori dipendenti di una ditta affidataria. In questo modo si realizza un’evasione contributiva sia dal punto di vista INPS e INAIL che dal punto di vista della sicurezza. Infatti, mentre una ditta edile con dipendenti ha degli obblighi in materia di sicurezza, informazione, sorveglianza sanitaria e valutazione dei rischi, il lavoratore autonomo non è soggetto a questi obblighi.

PRESIDENTE
Un lavoratore autonomo ha anche dei dipendenti?

ALESSANDRUCCI
No, è un lavoratore senza dipendenti. In sostanza esiste una ditta affidataria che prende l’appalto, poi ci sono tre o quattro lavoratori autonomi, ognuno dei quali dovrebbe avere vari lavoratori specializzati (l’imbiancatore dei muri, quello che si occupa di pavimenti e così via), che invece si riducono ad essere manovali dell’impresa affidataria.
Questi sono sempre più numerosi nei cantieri edili e soprattutto nelle ristrutturazioni private.

PRESIDENTE
Lei sostiene che in questo modo si violano una serie di norme. Quindi - il mio è un processo alle intenzioni - su impulso della ditta appaltatrice si dice ai lavoratori Tizio, Caio e Sempronio di iscriversi alla camera di commercio in modo da risultare come lavoratori autonomi; di fatto, poi, gli viene concesso l’appalto, che tale non è, in quanto questi cosiddetti lavoratori autonomi vanno a lavorare per la ditta appaltatrice.

ALESSANDRUCCI
Esattamente. Le porto le percentuali: un lavoratore subordinato spende poco meno del 35 per cento a carico INPS, mentre un lavoratore autonomo il 20 per cento.

PRESIDENTE
Si tratta di un fenomeno presente anche nel settore manifatturiero.

ALESSANDRUCCI
È la ditta affidataria che dice al lavoratore di aprire la partita IVA per lavorare presso la ditta stessa e far realizzare un risparmio a entrambi. Per tornare all’esempio di un lavoratore autonomo extracomunitario, questi ottiene il permesso di soggiorno per lavoro autonomo, che segue flussi diversi da quello per lavoro subordinato. Anche questa è una piaga che si intreccia con le altre.

NEROZZI
Vorrei chiedere al comandante regionale dei Vigili del fuoco se negli ultimi anni in Toscana si è registrato un aumento o una diminuzione della percentuale di incidenti, mortali o non, per incendio o per esplosione.

PULITO
Non conosco con esattezza il dato. Posso dirle che nell’attività generale dei Vigili del fuoco gli interventi di soccorso a seguito di incendio rappresentano il 30 per cento del totale. L’incendio, in generale, non è legato all’infortunio. Il fenomeno è in regressione rispetto al soccorso in generale.
Sul dato specifico però non ho informazioni al momento.

NEROZZI
Per quanto riguarda gli incidenti sul lavoro voi intervenite prevalentemente nel caso di un incendi?

PULITO
No, interveniamo in tutti i casi in cui in un’azienda si verifica un incidente, fosse anche il crollo di un’impalcatura.

NEROZZI
Il vostro coinvolgimento è aumentato o è diminuito in questo ultimo periodo?

PULITO
Mi dispiace, ma non glielo so dire.

PRESIDENTE
Le chiediamo allora se può inviarci i dati relativi agli ultimi cinque anni, perché abbiamo bisogno di avere anche informazioni di questo tipo.

PULITO
Certo.

NEROZZI
Sarebbe il caso di fornirci nel dettaglio anche i dati che ci ha illustrato il maresciallo, che sono di grande interesse.

ALESSANDRUCCI
Lascio un appunto su quanto ho detto.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per la collaborazione.



Audizione di rappresentanti regionali delle organizzazioni sindacali

Intervengono il vice segretario regionale della CGIL, dottoressa Loredana Cappelli, il vice segretario regionale della CISL, dottor Domenico Badii, il segretario regionale dell’UGL, signor Taddeo Albanese, e il segretario regionale dei COBAS, signor Alessandro Nannini.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per la vostra presenza.
Con la missione odierna la Commissione inizia una serie di incontri nelle varie Regioni d’Italia per monitorare il territorio Regione per Regione, comprese le Province autonome di Trento e Bolzano, in modo da verificare il grado di attuazione del Testo unico e per capire direttamente dalle realtà locali se vi sono problematicità ed eventuali segnalazioni circa la necessità di correzioni o integrazioni della normativa, dal momento che, come tutte le leggi, anche il decreto legislativo n. 81 è perfettibile.
Da voi, che siete soggetti molto importanti per l’attività d’inchiesta che svolgiamo sulle condizioni di sicurezza e di salute dei lavoratori nelle aziende, vorremmo sapere come stanno procedendo le cose. Ci riferiamo, in particolare, alle modalità di coordinamento regionale - del quale voi fate parte - e territoriale con le province. Vorremmo sapere come si sono strutturati i soggetti afferenti al comitato regionale di coordinamento e conoscere altresì le procedure di lavoro, atteso che la Regione Toscana - come stamani, all’inizio delle audizioni, ci ha comunicato l’assessore regionale alla sanità - è dotata di due leggi (che non conosciamo nel dettaglio ma che sarà nostra cura esaminare) che integrano in qualche modo la normativa nazionale.
Ci auguriamo di avere un quadro più definito della situazione per individuare le ipotesi di intervento nel caso dovessero emergere elementi particolarmente frammentati. Il nostro obiettivo è quello di fare in modo che in tutte le Regioni d’Italia, dal Centro, dove ci troviamo oggi, all’estremo Nord e all’estremo Sud, la salute e la sicurezza sul lavoro siano tenute nella stessa identica considerazione.

ALBANESE
Apprezziamo la presenza della Commissione nella nostra Regione proprio perché in tal modo è possibile approfondire le tematiche che lei, Presidente, ha esposto.
Vorrei innanzitutto mettere in evidenza un dato: lei ha accennato al comitato regionale di coordinamento di cui faccio personalmente parte. Sono però 15 mesi che il comitato non si riunisce. Ha lavorato abbastanza bene durante il periodo in cui era presieduto dal presidente Rossi, allora assessore alla sanità; sotto la sua guida sono stati svolti numerosi incontri, ottenendo anche ottimi risultati, dopo di che c’è stato uno stop. Infatti, da quando l’assessore Rossi è diventato Presidente della Regione Toscana il nuovo assessore non ha ancora convocato una riunione del comitato, non so se per assenza di delega.
In base all’esperienza passata, alquanto interessante, ritengo che il comitato regionale possa essere lo strumento giusto; esso, infatti, rappresenta la sede territoriale in cui di volta in volta si possono evidenziare tutte le problematicità e le criticità, nonché effettuare lavori interessanti, come quello, assai impegnativo, svolto proprio dalla Regione e teso a testare il recepimento dell’accordo-quadro europeo sullo stress lavoro-correlato, uno dei primi testi discussi a livello nazionale. In quel caso è stato fatto veramente un ottimo lavoro che credo abbia dato un valido contributo alla normativa successiva. Ritengo quindi che questo percorso vada assolutamente ripreso.
I dati sulla Toscana forniti dall’INAIL e dagli altri enti preposti mostrano apparentemente una sensibile diminuzione sia degli incidenti mortali, sia degli infortuni. Ritengo però che questo dato sia legato solo ed esclusivamente al fatto che, così come in tutte le altre Regioni italiane, ci troviamo in un fase di crisi nel campo lavorativo e quindi è attivo un minor numero di persone (molte sono anche in cassa integrazione). Incrociando i dati forniti dagli istituti preposti ho riscontrato che percentualmente il numero sia degli infortuni che degli incidenti mortali è aumentato rispetto al numero degli occupati, dato che va in controtendenza rispetto al passato; le stime, infatti, devono essere fatte sempre sulla base della reale occupazione. L’incremento del dato è dovuto, a mio avviso, al fatto che in questa fase di crisi che vive tutto il territorio nazionale c’è stato un calo di attenzione alla sicurezza sul lavoro, in quanto a fronte di una criticità economica l’imprenditore e le aziende tendono a rallentare l’investimento sulla formazione, l’informazione e la reale tutela del lavoro. È un aspetto questo che dobbiamo assolutamente mettere in evidenza proprio perché tutto si può fare, tranne che abbassare la guardia su questo particolare tema.
Al contrario, è proprio questo il momento in cui investire nei corsi di formazione. Le varie province toscane hanno organizzato diversi corsi di formazione ma pochissimi sono stati dedicati in modo mirato alla sicurezza sui luoghi di lavoro, se facciamo eccezione per quelli relativi ai lavoratori in mobilità o in cassa integrazione.
Ho effettuato delle ricerche negli istituti scolastici, in particolare in quelli di istruzione superiore (dove vi sono ragazzi che entreranno a breve nel mondo del lavoro e che dovrebbero essere formati alla cultura della sicurezza), e ho notato che non si organizzano corsi di formazione e informazione di alcun tipo, neanche semplici corsi base, generici. Si tratta di soggetti che andranno a lavorare subito dopo aver terminato gli studi superiori o che proseguiranno gli studi per diventare magari dirigenti di azienda e chi si confronta quotidianamente con le problematiche del territorio si rende conto di quanto sia scarsa la cultura della sicurezza sui luoghi di lavoro nei livelli apicali delle imprese. Questo dimostra che il tema è poco conosciuto: se ne parla ma non si approfondisce e non si individuano i momenti della catena produttiva in cui è possibile che il lavoratore si faccia realmente male o perda addirittura la vita.
Si potrebbe anche pensare di dedicare in maniera stabile la festa del 1º maggio anche al tema della sicurezza sul lavoro, proprio per porvi un’attenzione aggiuntiva. È un’iniziativa che tutte le organizzazioni sindacali hanno già adottato nelle manifestazioni regionali e che si accompagna all’azione di informazione svolta insieme agli altri organi preposti, a partire dagli RSL che, là dove è possibile, ci coadiuvano direttamente sui posti di lavoro. Potremmo però pensare di condividere un passaggio di questo genere anche con le istituzioni.
Vi ringrazio per l’attenzione che ci avete voluto dedicare e sono disponibile, se necessario, ad intervenire nuovamente per articolare meglio il mio intervento.

CAPPELLI
Vi ringrazio anch’io per questa opportunità.
Per quanto riguarda l’applicazione della normativa, devo rilevare che, a mio avviso, qualche problema di allentamento dell’attenzione è stato determinato, purtroppo, dal decreto legislativo n. 106 del 2009. Come organizzazioni sindacali abbiamo già espresso in altre occasioni la nostra opinione al riguardo; per cui, quanto dirò non è direttamente collegato a questo fatto, ma vuole dare un segnale di quello che può accadere a seguito di decisioni prese a livello centrale. Credo di poter dire che in Toscana, rispetto ad altre realtà a livello nazionale, la situazione non è delle peggiori.
Abbiamo delle leggi regionali in materia e abbiamo stipulato numerosi accordi e protocolli. Segnalo però uno scarto tra quello che si dice e quello che si fa, tra quello che si scrive e quello che si mette in pratica. Mi spiego meglio: come diceva chi mi ha preceduto, la serie di tagli fatti a livello di Governo sulle risorse comporta chiaramente delle ricadute a livello territoriale. Ad esempio, i tagli sulla sanità evidentemente non possono non avere delle ricadute sulle attività di prevenzione. Questo è uno dei primi problemi. Non sono di quelle che pensano che si debba risolvere tutto con il sistema sanzionatorio, anche se quest’ultimo, insieme ad un’attività di vigilanza che funzioni, credo sia un deterrente per chi non vuole rispettare le normative vigenti. In Toscana abbiamo degli esempi di attività di vigilanza integrata tra tutti i soggetti addetti (finanza, polizia e ASL), che ha consentito di individuare molte situazioni a rischio nel settore dell’edilizia. Questo ci ha consentito altresì di svolgere un’attività di prevenzione in questi settori. La Regione ha inoltre assunto una delibera per aumentare il personale dei servizi ispettivi che però, a questo punto, dovrebbe essere ripetuta perché quel personale per effetto del turn over è diminuito, non c’è più.
In presenza di una situazione di difficoltà economica a livello generale, credo che questo sia di fondamentale importanza. Abbiamo aperto con la Regione e con l’assessorato un tavolo di confronto su queste materie e per quanto riguarda il comitato di coordinamento regionale, cui partecipiamo, so che c’è una delibera per il suo rinnovo e quindi si insedierà nuovamente in questi giorni; credo comunque che abbia fatto un buono lavoro nel passato.
Per quanto riguarda le attività territoriali, abbiamo dei coordinamenti direttamente operativi, che tuttavia non prevedono la presenza delle organizzazioni sindacali.
Vorrei ora segnalare alcune questioni. Esiste effettivamente un problema che riguarda la formazione, anche se sono state raggiunte delle punte di eccellenza. Abbiamo avuto una formazione veramente importante per il settore dell’artigianato, con una delle prime esperienze di rappresentanti sindacali a livello territoriale che sta dando dei risultati. In tale settore, tramite un accordo concluso a livello regionale, abbiamo realizzato una delle prime applicazioni del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Sono stati fatti degli accordi sulla formazione nelle scuole e in proposito credo di poter dare ragione a chi mi precedeva: è vero che l’accordo è stato concluso e che ci sono notevoli risorse disponibili, ma bisognerebbe osservare come la formazione viene realizzata. Questo è fondamentale.
Abbiamo purtroppo l’abitudine di pensare che una volta concluso un accordo il nostro compito sia terminato. Non è così; bisogna osservare i risultati di quello che si è messo sulla carta. Faccio un altro esempio. Lei, Presidente, ha fatto riferimento a normative importanti adottate dalla Regione Toscana; nello specifico una legge sugli appalti e un patto per la sicurezza ci danno degli strumenti fondamentali, dal momento che tutto ciò che è legato alla sicurezza nei luoghi di lavoro è connesso anche a un sistema di legalità e, di conseguenza, di contrasto al fenomeno del lavoro nero e alla criminalità organizzata, che spesso si infiltrano attraverso il sistema degli appalti. Non voglio certo insegnare a voi quello che succede, ma se in Toscana ci sono 50 beni sequestrati alla mafia vuol dire che essa non è presente solo in Sicilia e in Campania, bensì anche nel resto d’Italia. Come dicono persone ben più autorevoli di noi, per controllare questo sistema bisogna in primo luogo controllare gli appalti e noi abbiamo cercato di fare questo. Controllare gli appalti dal punto di vista della sicurezza vuol dire eliminare quel pericolosissimo sistema di appalti al massimo ribasso, fonte di deviazioni, e applicare quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il nostro patto per la sicurezza lo prevede, tuttavia in Toscana solo l’8 per cento degli appalti viene assegnato con il sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Questo significa che per il 92 per cento si ricorre ancora al massimo ribasso e che attraverso questa strada c’è il serio pericolo - la certezza non l’abbiamo - che passi innanzitutto una riduzione dei diritti di chi lavora e, in secondo luogo, che si introduca per effetto della crisi un trend di calo dell’attenzione su queste materie. Penso poi di non dovervi spiegare come nessuno più creda a quanti dicono che con l’offerta al massimo ribasso si riduce l’utile d’impresa.
Di solito si riducono i diritti dei lavoratori e le sicurezze di chi in quell’appalto ci lavora, quando addirittura non si fanno transitare per questo risorse illegali. Di fatto si ripuliscono risorse che vengono da attività poco corrette.
Ogni anno abbiamo la consuetudine di tenere un’assemblea regionale dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) cui partecipano circa 500 delegati e il cui risultato finale è una sorta di piattaforma di lavoro che ci accompagna per tutto l’anno. Nell’ultima piattaforma di lavoro avevamo due impegni fondamentali. Il primo era lavorare sugli indici di congruità - credo sappiate di cosa parlo - che ci aiutano nel sistema degli appalti e non solo. So che stamani audirete anche le associazioni datoriali e credo di poter dire in questa fase che non ci sono leggi o accordi che possano in qualche maniera superare quanto si può ottenere attraverso una buona contrattazione dell’organizzazione del lavoro perché da lì passa gran parte della sicurezza di chi lavora. Certo è che per fare questo anche le controparti devono essere disponibili. In proposito, vorrei sottolineare come la cultura della sicurezza non sia un qualcosa che ci si racconta ma un qualcosa che si fa. La cultura della sicurezza è fatta di contrattazione dell’organizzazione del lavoro, di rispetto e di applicazione delle norme, di un buon sistema di controllo e vigilanza che deve essere finanziato per poter essere effettivo e far emergere le aziende o le realtà non rispettose della salute e della vita dei lavoratori.

BADII
Signor Presidente, al pari dei colleghi che mi hanno preceduto credo che dovremmo cercare di migliorare l’applicazione dei decreti legislativi n. 81 del 2008 e n. 106 del 2009. Come organizzazione sindacale in Toscana abbiamo tentato tutte le strade possibili per dare ad essi un’attuazione in cui abbiamo creduto fin dal principio, considerata la portata dei cambiamenti che venivano posti in essere rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994. Abbiamo pensato che ci fosse davvero qualche possibilità perché, per una volta, eravamo anche noi protagonisti di un cambiamento notevole sulla normativa che riguarda la sicurezza nei luoghi di lavoro.
Diverse situazioni fanno pensare che in Toscana ci sia un atteggiamento aperto rispetto al mettere in campo l’applicazione di questa normativa e una certa consapevolezza non solo da parte delle organizzazioni sindacali ma degli stessi lavoratori. La costituzione delle rappresentanze territoriali per la sicurezza attraverso i percorsi formativi credo abbia rappresentato un momento importante perché la formazione ha permesso, attraverso gli enti bilaterali, di inquadrare una situazione di difficoltà, ma con maggiore fattività rispetto al passato. Cerco di spiegarmi meglio. I risultati di questo percorso formativo sono valutati anche in base a quanto stabilisce il decreto legislativo n. 106 del 2009: si è pensato di creare un fondo per cercare di andare incontro alle esigenze delle aziende e dei piccoli datori di lavori che aderiscono agli enti bilaterali. Si denota con ciò un cambiamento molto importante dal punto di vista dell’approccio culturale al sistema di sicurezza, anche se in molte occasioni alcuni datori di lavoro incontrano degli ostacoli nell’adottare appieno questo cambiamento culturale nell’approccio alla sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutte le istituzioni e non solo il sindacato devono impegnarsi per far comprendere che la sicurezza non è un costo, ma un investimento che porta a risultati positivi non già nell’immediato bensì nel futuro. Quando si garantisce la possibilità di lavorare in sicurezza, credo che il datore di lavoro e gli stessi lavoratori siano nelle condizioni migliori per raggiungere l’obiettivo comune dello stare nel mercato e avere una produzione che consenta di proseguire l’attività.
Voglio soffermarmi sulla necessità di trovare un sistema di prevenzione in cui tutti gli organi preposti siano uniti sinergicamente per effettuare un controllo che non deve essere condotto separatamente, ma congiuntamente, in modo tale che l’azienda riceva una sola visita e gli RLS e i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza territoriali (RLST) operino insieme per migliorare la sicurezza. Questo è uno dei dati che difficilmente si riescono a fornire, ma spesso accade che in un cantiere vi sia la visita dell’INAIL e tre giorni dopo quella della ASL o viceversa.
Questo crea da parte dello stesso datore di lavoro una certa insofferenza verso quelle che vengono percepite, pur non essendolo, come continue ingerenze. La situazione di difficoltà nasce anche dal fatto che nessuno spiega perché tali controlli vengono effettuati separatamente quando lo stesso datore di lavoro, attraverso l’ispettorato del lavoro, chiede che in tale ambito vi sia un coordinamento territoriale. Ripeto, questa situazione crea difficoltà di non poco conto.
L’altro aspetto che vorrei evidenziare è che la prevenzione deve partire dalla fase iniziale di un lavoro, vale a dire già prima che venga data l’autorizzazione alla realizzazione di un’opera. In molti casi sarebbe opportuno che prima di avviare un progetto di lavoro, quindi all’apertura di un cantiere, si effettuasse un sopralluogo preventivo per valutare se il sistema sicurezza è rispettato; ciò deve essere fatto prima e non quando il cantiere è ormai operante e magari c’è già stato qualche incidente. Solo in tal modo si può porre in essere un efficace sistema di prevenzione.
In tale ottica, il monitoraggio effettuato a livello nazionale tra il 2000 e il 2002 dovrebbe, a mio avviso, essere ripetuto oggi per capire qual è la situazione attuale. Con riferimento alla Regione Toscana possiamo dire che la situazione è piuttosto avanzata, ma a livello nazionale riterrei opportuno monitorare in maniera sistematica il rispetto della normativa sulla sicurezza posto che ciò permetterebbe anche di individuare i miglioramenti da fare in ambito legislativo attraverso proposte che potrebbero essere avanzate dai soggetti interessati o dalla stessa Commissione.
Desidero, infine, sottolineare due aspetti. Il primo è finalizzato a migliorare la conoscenza in ambito scolastico del sistema sicurezza, obiettivo che pur essendo previsto non abbiamo la certezza venga perseguito concretamente né abbiamo la possibilità di verificarlo. Il riferimento, ovviamente, è alle scuole superiori, nelle quali bisognerebbe offrire in maniera sistematica una conoscenza adeguata delle norme sulla sicurezza nei vari ambienti di lavoro. Ciò, tra l’altro, consentirebbe di preparare i ragazzi al ruolo che in futuro dovranno svolgere in qualità di lavoratori ma anche di imprenditori, più consapevoli delle normative in materia di sicurezza e quindi disposti a rispettarle anziché a tentare di raggirarle.
L’altro aspetto che mi preme sottolineare è che spesso si parla di sicurezza in senso generale, a partire dai cantieri di lavoro, fino all’industria metalmeccanica, agli impianti fissi ed edili, tralasciando invece la sicurezza nell’ambito della pubblica amministrazione. Pregherei pertanto la Commissione di tenere conto di questa importante tipologia di attività, creando le condizioni affinché la pubblica amministrazione sia tenuta in considerazione al pari dell’intero sistema produttivo nazionale, perché anche chi svolge un lavoro di carattere impiegatizio deve essere posto in condizione di lavorare nel migliore dei modi. Nell’ambito della pubbliche amministrazioni i problemi più rilevanti sono il mobbing e lo stress lavoro-correlato che spesso non vengono considerati, e ciò accade anche in Toscana. In diverse occasioni abbiamo cercato di applicare la normativa sulla sicurezza anche in questo campo e ci siamo scontrati con una disattenzione che desta notevole preoccupazione. Da più parti abbiamo sentito dire che la pubblica amministrazione è immune dall’applicazione delle normative sulla sicurezza, che riguardano invece la generalità delle attività del nostro Paese, laddove a mio parere non può e non deve essere più così. La pubblica amministrazione, infatti, va considerato alla stregua degli altri settori produttivi.
Desidero infine sottolineare che abbiamo sempre creduto nel coordinamento regionale e territoriale in tema di sicurezza. Poiché ad oggi però s’incontrano alcune difficoltà nel cercare di essere protagonisti di questo organismo, sarebbe opportuno individuare un sistema di regolamentazione e di partecipazione aperto al mondo della rappresentanza istituzionale e dell’associazionismo. Come affermava la mia collega, diamo molta importanza all’assemblea regionale, che ogni anno porta a conoscenza di tutti i lavoratori attraverso gli RLS e gli RLST il sistema di programmazione che le organizzazioni sindacati intendono portare avanti. Bisogna stabilire corretti canali di informazione verso questi lavoratori (che sovente operano all’interno delle aziende in situazioni di difficoltà perché non sempre vengono accettati), con l’obiettivo di far passare il seguente messaggio: occorre stabilire dei progressi in materia di sicurezza attraverso la corretta applicazione della normativa esistente che, a nostro modo di vedere, presenta una buona percentuale di fattibilità, anche se certamente vi può sempre essere qualche aspetto da migliorare.

PRESIDENTE
Ringraziamo il signor Badii per il contributo fornito ai nostri lavori. La Commissione è ovviamente molto impegnata sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, con ciò intendendo ogni luogo di lavoro che deve essere tenuto in condizioni di sicurezza e salubrità, senza distinzione alcuna tra lavoratori. È chiaro però che particolari attenzioni e protezioni discendono dalla tipologia di lavoro. Anche nel pubblico impiego esistono precise normative che vanno rispettate; quindi non si può sostenere che non vi siano normative in questo settore.
Il bossing o il mobbing rappresentano invece qualcosa di diverso, potendo essere esercitati da soggetti di pari livello o addirittura di livello inferiore; quindi non c’è una gerarchia, anche se a livello statistico è il superiore a causare in misura maggiore situazioni di difficoltà.
Per quanto concerne il ruolo della scuola, argomento trattato da tutti voi e che questa Commissione ha più volte affrontato, in occasione dell’approvazione della legge n. 123 del 2007 siamo riusciti ad ottenere che venisse inserito almeno un accenno a tale argomento (tra l’altro in Commissione la disposizione aveva un contenuto più ampio, ma purtroppo in Aula il testo è stato modificato). Pertanto condividiamo perfettamente le riflessioni da voi svolte sul tema e speriamo che presto si definisca il tavolo delle trattative in materia di sicurezza scolastica, che vede coinvolti i ministri Sacconi e Gelmini, nonché le Regioni e altri soggetti rappresentativi delle forze sociali. Ciò al fine di poter inquadrare meglio la situazione e fornire indirizzi adeguati; diversamente avreste ragione nel sostenere che non si fa nulla e se pure si fa qualcosa non si capisce in che termini e con quali modalità. Cercheremo di operare quindi per rafforzare questo obiettivo, che condividiamo e che correttamente ci avete ricordato.
Per quanto riguarda invece i comitati regionali di coordinamento, alcune notizie ci sono già state fornite dall’assessore regionale alla sanità, dottoressa Scaramuccia, la quale ha riferito che a giorni è prevista la definizione del nuovo comitato, che permetterà di riprendere in maniera organica quel lavoro al quale questa Commissione è particolarmente interessata e che ci ha portato oggi in questa sede.

NANNINI
Chiedo scusa per essere arrivato in ritardo, ma c’è stato un disguido: non ho ricevuto alcun fax di convocazione e mi trovavo all’assemblea dei lavoratori quando mi hanno comunicato di questa audizione, alla quale sono venuto immediatamente. Mi sarebbe piaciuto conoscere le proposte e le opinioni della Commissione, anche per capire lo scopo di questo incontro e poter eventualmente replicare. Ora, affrontare il tema della sicurezza sul lavoro a livello generale mi sembra un argomento troppo esteso.

PRESIDENTE
Le riassumo lo scopo di questo incontro. La nostra Commissione si è posta l’obiettivo di verificare, a tre anni dall’emanazione del decreto legislativo n. 81, come le Regioni si sono strutturate e si stanno organizzando, ascoltando quindi i vari soggetti, ivi compresi i rappresentanti dei lavoratori. Vorremmo capire quali sono le criticità (certamente esistenti) e se si intenda avanzare proposte per superarle nel caso in cui queste possano essere risolte con interventi di carattere normativo.
La nostra intenzione, quindi, è quella di raccogliere iniziative e proposte perché vi sia la massima omogeneità sul territorio, evitando che la normativa venga attuata in modo diverso in ciascuna delle Regioni.
Sappiamo che il comitato regionale di coordinamento è in fase di rinnovo e abbiamo gentilmente chiesto all’assessore alla sanità di far pervenire anche a noi, appena riprenderanno le attività dell’organismo, la relazione che dovrebbe essere inviata annualmente al Ministero del lavoro e al Ministero della salute.

NANNINI
Vi è stata inviata?

PRESIDENTE
Non mi sembra, però si è verificato un problema (lo dico come descrizione dei fatti). Innanzitutto, il decreto legislativo n. 81 è stato varato nell’aprile 2008; quindi, ad oggi avremmo potuto avere al massimo una relazione che però non abbiamo ancora ricevuto. Stiamo però parlando di una relazione. Inoltre, lo scorso anno si è proceduto al rinnovo di gran parte delle Giunte regionali; qui in Toscana, peraltro, l’ex assessore alla sanità è stato eletto Presidente della Regione e credo, quindi, che siano intervenuti anche problemi di deleghe. Stamattina, comunque, dall’attuale assessore alla sanità abbiamo avuto la conferma che dal mese di settembre - se ricordo bene - stanno lavorando sulla questione e credo sia ormai prossima la definizione delle procedure per riavviare l’attività del comitato di coordinamento. Quindi, a regime, ogni anno dovrebbe essere inviata una relazione. Queste relazioni rappresentano per noi la cartina di tornasole della situazione territoriale nelle varie Regioni, permettendoci anche di capire se la normativa nazionale debba essere modificata e migliorata. Innanzitutto, devono essere garantiti tutti gli atti da emanare in base al decreto legislativo n. 81 (e non sono pochi).
Chiediamo pertanto collaborazione alle Regioni e ai soggetti che partecipano a questa attività di coordinamento, nell’ambito di un lavoro che deve necessariamente essere dinamico e vivace, considerato che secondo i dati INAIL del 2010 - ancora ufficiosi, essendo generalmente confermati a fine giugno - il numero di morti per incidenti sul lavoro fortunatamente è ancora inferiore a 1.000.
È vero - come ricordato dal signor Albanese - che anche in Toscana si registra una diminuzione del numero degli infortuni e, quindi, anche del numero di morti, ma è pur vero che sono diminuite anche le ore lavorate. In ogni caso, dalle proiezioni INAIL risulta che il trend è comunque positivo (anche laddove non si tenesse conto delle ore non lavorate, che vengono invece comprese). Pertanto, sia il numero degli infortuni che il numero delle morti continuano a ridursi, anche se - ripeto - le percentuali dovrebbero essere corrette considerando solo le ore lavorate.
Noi, quindi, chiediamo una collaborazione al territorio e consideriamo l’incontro di oggi non esaustivo in quanto rappresenta l’apertura di un dialogo tra questa Commissione e i soggetti del territorio, che sono attivi e interessati a contrastare il fenomeno.

NANNINI
Credo che la diminuzione della percentuale degli incidenti sia un fattore positivo. Siamo tutti d’accordo, però, sul fatto che fino a quando ci sarà anche una sola vittima sarà necessario continuare a svolgere attività di prevenzione.
Attualmente, a mio avviso, esiste un eccesso di burocrazia; tutto viene demandato al comitato, che deve svolgere il controllo, inviare un certo numero di ispettori, i quali a volte sono insufficienti e non eseguono nemmeno le ispezioni. Tutto ciò non consente di concentrarsi sul vero problema, quello della informazione che deve arrivare al lavoratore: la prima attività di sicurezza, infatti, è quella che il lavoratore fa su se stesso.
Ho sentito che si è fatto riferimento all’informazione nella scuola; è importante però che gli enti preposti facciano informazione in ogni luogo di lavoro, mettendo il lavoratore a conoscenza dei propri diritti e della normativa in materia. Nelle grandi aziende bene o male questo accade, grazie alla presenza dei rappresentanti per la sicurezza, ma nelle aziende più piccole non è così. Oltre al controllo esercitato dalle istituzioni, è quindi necessario organizzare corsi di formazione all’interno delle imprese; questo, però, avviene là dove esistono rappresentanze sindacali che hanno la forza di farli attivare e, quindi, di preparare sia i lavoratori stessi che gli RLS. L’obiettivo è raggiungere anche il lavoratore della piccola azienda affinché conosca i propri diritti e ciò che è posto a tutela della sua salute e sicurezza.
La Regione Toscana, le province e gli altri enti preposti devono essere in grado di divulgare l’informazione, utilizzando anche il canale della scuola o quello di Internet per consentire almeno la conoscenza delle nozioni di base.

PRESIDENTE
La ringraziamo per il suo contributo.


Audizione di rappresentanti regionali delle organizzazioni imprenditoriali e artigiane


Intervengono: in rappresentanza di Confindustria Toscana, il dottor Mario Levrini; in rappresentanza di Confindustria Firenze il dottor Pietro Bartolini; in rappresentanza di CNA Toscana, il vice presidente Aldo Piantini, accompagnato dal responsabile della sicurezza, signor Riccardo Sabatini; in rappresentanza della Coldiretti Toscana, il direttore, dottor Roberto Maddè; in rappresentanza dell’ANCE Toscana, il presidente, dottor Alberto Ricci, e il direttore, dottor Carlo Lancia; in rappresentanza della Confcommercio Toscana, il dottor Emanuele Scali; in rappresentanza della Confesercenti Toscana il dottor Piero Melandri; in rappresentanza della Confagricoltori Toscana, il dottor Giordano Pascucci.

PRESIDENTE
Desidero ringraziarvi a nome della Commissione per la vostra disponibilità.
La nostra presenza qui a Firenze ha un preciso significato. La Commissione ha deciso di stabilire un contatto con tutte le Regioni italiane, prescindendo dai sopralluoghi che vengono effettuati nei casi particolari che riguardano l’attività d’inchiesta. L’intento è quello di verificare come funziona il meccanismo introdotto dal decreto legislativo n. 81 con riferimento alle competenze regionali. Vorremmo quindi sapere da voi come sta funzionando il sistema connesso al comitato regionale di coordinamento, se sia necessario fare chiarezza su alcuni aspetti o, ancora, se determinati passaggi necessitino di uno snellimento. Sappiamo che il comitato regionale di coordinamento della Toscana è in fase di rinnovo e questa mattina abbiamo avuto dall’assessore alla sanità rassicurazioni sulla sua definizione, che dovrebbe avvenire a breve. Si tratta di un organo che rappresenta il punto di riferimento delle relazioni tra il territorio e lo Stato. Infatti, come sapete, ogni anno la Regione deve inviare una relazione ai Ministeri della salute e del lavoro per metterli al corrente della situazione sul territorio al fine, eventualmente, di assumere impegni in merito alla prevenzione ed al contrasto degli infortuni nei luoghi del lavoro.
Questo è l’obiettivo. La nostra Commissione, in questa fase, intende monitorare la situazione nelle varie Regioni e stabilire un rapporto di maggiore vicinanza tra le istituzioni periferiche ed i Ministeri che ho citato.
A tal proposito abbiamo deciso di ascoltare una serie di soggetti, sostanzialmente quelli che fanno parte dei comitati regionali di coordinamento, da cui avere una sintesi delle attività svolte per comprendere quali sono le priorità.
Un ultimo obiettivo, per noi comunque importante, è quello di far sentire la presenza dello Stato sul territorio attraverso un rapporto di collaborazione che metta in grado le istituzioni regionali di capire, anche attraverso questa Commissione che ha poteri di indagine e d’inchiesta, quale sia il percorso da seguire e se sia necessario procedere a modifiche o semplificazioni della normativa. È il caso, per esempio, di alcune deleghe previste dal decreto legislativo n. 81 che ancora non sono state completamente esercitate.
Questo è il quadro della situazione ed il grado di attenzione da parte nostra a questo importante tema.

SABATINI
Rappresento la Confederazione nazionale dell’artigianato e sono qui con il vice presidente Piantini, scusandomi per l’assenza del presidente Tamburini.
L’aspetto principale del problema è rappresentato dall’applicazione a livello regionale del decreto legislativo n. 81, il Testo unico sulla sicurezza.
Ai fini della sua corretta applicazione è importante anche la piena funzionalità del comitato di coordinamento regionale che è in fase di ricostituzione.
Noi attribuiamo un’importanza fondamentale a tale comitato per due ragioni essenziali, la prima delle quali è appunto il coordinamento delle attività in materia di prevenzione, il coordinamento degli enti di controllo ovvero dei soggetti che devono operare sul territorio in rapporto con le parti sociali che fanno parte del comitato di coordinamento, per individuare indirizzi e programmazione delle attività nei settori a maggior rischio.
L’altra ragione è legata alla necessità di dare applicazione piena al decreto legislativo n. 81. Per rispondere alla sollecitazione che ci veniva fatta, ai fini dell’applicazione del Testo unico sarebbe importante che il legislatore mettesse mano ai numerosi decreti attuativi contenuti nel testo e che ancora ad oggi purtroppo non sono stato emanati. Questa è una prima difficoltà; non è un alibi, ma sicuramente una difficoltà.
La Regione Toscana è caratterizzata essenzialmente da un tessuto economico composto da piccole e medie imprese. Le microimprese da uno a dieci addetti sono la parte predominante (oltre il 95 per cento). Un tessuto produttivo con queste caratteristiche, con queste dimensioni e così parcellizzato fa sì che anche la problematica della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e il coordinamento diventino aspetti importanti. La nostra organizzazione ha altresì operato per alcuni aspetti che riteniamo fondamentali, in particolare per questo tessuto di piccole e piccolissime imprese, innanzitutto dando un’importanza fondamentale alla formazione dei vari soggetti che svolgono funzioni di sicurezza all’interno delle imprese e degli stessi datori di lavoro che ricoprono funzioni di responsabile dei servizi di prevenzione e protezione. Per questo abbiamo elaborato un programma formativo importante in collaborazione con la Regione Toscana, che si conclude proprio in questi giorni e i cui risultati saranno presentati giovedì 31 marzo. Tale programma ha visto la partecipazione alle attività formative finanziate dalla Regione Toscana di circa 3.000 imprenditori che hanno assunto la funzione di responsabile della sicurezza in azienda. Abbiamo anche implementato un’attività formativa per una serie di soggetti che riteniamo fondamentali. Mi riferisco ai lavoratori autonomi per i quali il decreto legislativo n. 81 non prevede l’obbligo di svolgere attività formativa e di sorveglianza sanitaria. Abbiamo, quindi, svolto un intenso programma di formazione anche per questi soggetti, che costituisce un importante elemento di qualificazione del mondo del lavoro.
Un’altra questione cui attribuiamo importanza è l’attività di controllo da parte degli enti. Al riguardo riteniamo che ci debba essere una forte azione di coordinamento per evitare, come spesso accade, la ripetizione dei controlli nelle stesse aziende (un giorno ci va un ente, la settimana dopo se ne presenta un altro) e soprattutto per individuare le priorità nei settori a maggior rischio.
Sempre in riferimento all’applicazione del decreto legislativo n. 81, vorrei ricordare alla Commissione l’elemento della semplificazione normativa e amministrativa: con il decreto legislativo n. 81 sono stati introdotti, rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994, elementi che sembrano venire incontro alle necessità delle piccole e medie imprese, soprattutto per quegli atti che ancora non sono stati emanati dalla commissione consultiva nazionale. Alcuni di essi, come le linee guida per la redazione dei documenti di valutazione dei rischi nelle microimprese e le linee guida per l’adozione dei modelli organizzativi e gestionali nelle microimprese, rappresentano un altro elemento importante a seguito dell’introduzione da parte del decreto legislativo n. 81 della responsabilità amministrativa delle aziende (che deriva dal decreto legislativo n. 231 del 2001). Queste sono carenze importanti che devono essere colmate se vogliamo far sì che anche il mondo della piccola e piccolissima impresa possa adottare sistemi organizzativi e gestionali in materia di salute e sicurezza che siano migliorativi delle condizioni attuali. Questi ci sembrano in sintesi gli aspetti più importanti.
Parlavo prima dell’elemento della semplificazione, che non è da intendere come una richiesta di riduzione del controllo e della sorveglianza in materia di sicurezza sul lavoro: molto spesso le imprese sono oberate da una serie di adempimenti di natura meramente formale e burocratica che nulla hanno a che vedere con la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Per rafforzare questo ragionamento mi sono permesso di portare un manifesto, che lascio alla Commissione, che mostra gli adempimenti a carico di un’impresa per la gestione di un cantiere edile. Non credo ci possa essere migliore testimonianza rispetto alla complessità che molto spesso il legislatore ha previsto anche nella gestione degli aspetti più semplici, anche se è chiaro che su questi vi deve essere attenzione e le imprese devono rispettare le prescrizioni in materia di salute e sicurezza.

PRESIDENTE
Grazie per il manifesto su cui rifletteremo. Pensiamo però anche al fatto che nonostante il manifesto o, come direbbe qualcuno, la «lenzuolata» continuano a morire tante persone.

RICCI
Signor Presidente, noi facciamo parte del settore delle costruzioni e per noi il decreto legislativo n. 81 riveste sicuramente una grande importanza.
Nonostante il nostro settore stia vivendo una delle più gravi crisi degli ultimi anni, i dati sulla Toscana ci confortano sotto l’aspetto della sicurezza in quanto siamo passati da 22 morti nel 2000 a cinque nel 2010, di cui due in itinere. Sicuramente questo non ci può far abbassare il livello di attenzione, però bisogna riconoscere che il nostro settore - per questo è stato per primo maggiormente coinvolto - insieme all’agricoltura è quello cosiddetto di primo ingresso ed è anche quello meno professionalizzato.
Nonostante ciò, grazie al sistema degli enti bilaterali, che il settore edile per primo ha messo in campo, si sono ottenuti notevoli risultati. Di questo va dato atto alla lungimiranza dei miei predecessori e di tutti i soggetti del settore che in tempi non sospetti hanno istituito questi enti bilaterali, che sono gestiti dalla parte sindacale e dalla parte datoriale. In questo settore gli enti bilaterali sono tre: la cassa edile, che ha una funzione di gestione delle risorse dei lavoratori ed è fornitrice di servizi; la scuola edile, che è un ente preposto alla formazione degli enti e dei soggetti che entrano o già fanno parte del nostro settore; il comitato paritetico territoriale. Il decreto legislativo n. 81 richiama fortemente lo sviluppo di questi enti, soprattutto, di quello di formazione. Basti pensare che con l’entrata in vigore della legge relativa alle cadute dall’alto solo in Toscana abbiamo formato 14.000 addetti attraverso una campagna mirata. Questi sono risultati che hanno riscontri oggettivi sulla dinamica degli infortuni nel settore.
Il comitato paritetico territoriale (CPT) è stato istituito da diversi anni, ma solo negli ultimi ha avuto un grosso sviluppo. Il CPT svolge funzioni di vigilanza sui livelli di sicurezza all’interno dei cantieri dove manda tecnici formati a fare visite sia preventive sia durante la fase dei lavori. Il manifesto, che lei ha giustamente definito una «lenzuolata», prevede circa 56 adempimenti, che rapportati alle ridotte dimensioni delle aziende del nostro settore fanno capire la complessità cui devono far fronte queste microaziende. Finché si parla di aziende strutturate e con impianti fissi è sufficiente fare un adeguamento, ma noi abbiamo la peculiarità o la fortuna, secondo alcuni, di avere dei cantieri mobili. Di volta in volta, per ogni cantiere, bisogna riorganizzare l’aspetto della sicurezza. È vero che si tratta di un aspetto fondamentale, ma è anche vero che spesso tra questi adempimenti ci sono delle duplicazioni che servono solo a produrre carta, che certo non crea di per sé sicurezza.

PRESIDENTE
Sarebbe utile per creare un’interrelazione attiva, visto che sia la CNA prima sia voi come ANCE fate lo stesso rilievo, che ci proponeste un’alternativa di semplificazione. In questo modo il rapporto diventerebbe dinamico. Noi come legislatori possiamo non renderci conto di taluni errori. Da questo punto di vista, allora, se avete delle proposte ci farà piacere riceverle.

RICCI
A livello di ANCE nazionale abbiamo già presentato qualche mese fa un documento alla Commissione.

PRESIDENTE
Di semplificazione?

RICCI
È un documento generale, cosiddetto politico, però per andare nello specifico bisogna mettere su una commissione e avere un interlocutore con cui confrontarsi posto che certi aspetti non fanno parte solo del codice degli appalti, ma riguardano altresì il Ministero dell’interno.

PRESIDENTE
Il documento dell’ANCE è di carattere generale. Il rappresentante della CNA parlava però di aspetti precisi, che lei in qualche modo sta ricalcando e che, comunque, rispondono ad esigenze reali.
In Parlamento ci sono diverse Commissioni permanenti che si occupano di singoli settori, giustizia, lavoro e previdenza sociale e così via. Questa invece è una Commissione di inchiesta che può operare a 360 gradi, toccando molteplici comparti e quindi, anche se l’argomento investe materie di carattere diverso, per noi ciò non rappresenta una difficoltà, tutt’altro.
Possiamo infatti operare una sorta di sintesi, anziché declinare alle varie Commissioni competenti la trattazione delle singole materie di riferimento.

RICCI
La ringraziamo per la sua disponibilità e prendiamo spunto da questa sua considerazione per comunicarle che anche noi siamo disponibili all’apertura di un tavolo comune, volto a individuare modelli di semplificazione in tal senso.

SABATINI
Per quel che mi riguarda mi assumo l’impegno di mettere nero su bianco alcune proposte per farvele poi pervenire tramite il livello nazionale.

PRESIDENTE
Potete farcele avere anche direttamente; per noi è altrettanto autorevole ricevere queste proposte da voi o dal livello nazionale, perché alla fine l’obiettivo è cogliere il problema e possibilmente risolverlo.

RICCI
Questo è certamente uno degli obiettivi principali che ci poniamo anche noi, tant’è che a livello di Regione Toscana bisogna dare atto che oltre alla commissione di coordinamento, che ha una funzione prevalentemente di indirizzo politico, siamo riusciti a mettere in piedi diverse commissioni, come il CPT regionale che riunisce tutte le associazioni di categoria. Nell’ultimo incontro bilaterale con l’INAIL, avvenuto pochi giorni fa, il nuovo direttore ci ha invitato ad evitare campagne generalizzate sulla sicurezza e ad individuare invece i principali fattori di criticità del settore. Ne abbiamo selezionati due: le cadute dall’alto, con relativa gestione dei mezzi di sollevamento, e, prendendo spunto da due eventi accaduti nelle Regioni limitrofe, il tombamento da esecuzione scavo. Abbiamo posto essere in tal modo un buon rapporto di collaborazione.
Desidero infine ricordare due importanti iniziative. A settembre è partita la famosa campagna straordinaria per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Non siamo contrari a dette campagne, tutt’altro. L’unico elemento che desidero evidenziare è che la scarsità di mezzi e uomini a disposizione fa sì che queste campagne vadano a verificare sempre i soliti cantieri. In sostanza, se lo strumento è quello dell’individuazione attraverso la notifica preliminare, si finisce con il verificare solo i cantieri di una certa dimensione, tralasciando gli altri, che sono terra di nessuno e dove invece statisticamente si annidano i maggiori rischi.
La seconda questione concerne il tema spinoso del massimo ribasso. Si continua a perseverare sulla strada del massimo ribasso, tant’è che in Toscana si è raggiunto un livello indecente, direi immorale, con ribassi addirittura del 53 per cento. È evidente che c’è qualcosa che non torna. Infatti, se fossi un datore di lavoro e un mio collaboratore facesse una perizia con un errore del 53 per cento, significherebbe che ha visto qualcosa di diverso. Questo problema ci tocca profondamente, perché il massimo ribasso si scarica poi sulla filiera dei subappaltatori. Si assiste a fenomeni davvero strani, come il proliferare dei part-time o addirittura del lavoro nero. Questo non è ciò che vogliono le aziende strutturate, che lavorano in perfetta legalità. Anche le stazioni appaltanti a livello statale devono porsi dei vincoli o trovare rimedi sotto questo aspetto. Al riguardo, pur se non è la soluzione migliore, sarebbe preferibile tornare alla cosiddetta offerta anomala, al sistema cioè che considera anomala l’offerta che si trova al di sotto di una certa soglia perché il ribasso proposto non dà modo di eseguire l’opera.

PRESIDENTE
Sull’aspetto del massimo ribasso - e credo di poter parlare anche a nome dei colleghi - ci siamo soffermati in Aula sia quest’anno che lo scorso anno in occasione delle relazioni annuali che siamo tenuti a presentare al Parlamento. Stiamo cercando di individuare un meccanismo che risolva il problema, tenendo conto delle normative vigenti e quindi della necessità di non confliggere con gli obiettivi comunitari in materia di concorrenza. Si tratta di agire a monte del problema. Poiché sono le stazioni appaltanti, soggetti pubblici, che scelgono il tipo di appalto da realizzare, occorre individuare dei tetti là dove è possibile fare operazioni di un certo tipo; vi dovrebbero essere delle garanzie che possono già di per sé costituire un elemento di drenaggio per bloccare l’ingresso di avventurieri. Ci stiamo impegnando molto su tale questione, oggetto costante del lavoro della nostra Commissione.

RICCI
È vero che esiste una normativa europea in materia di libera concorrenza che si riflette sul massimo ribasso, ma è anche vero che queste gare di appalto avvengono sulla base di prezziari che la Regione Toscana sta faticosamente portando avanti come punto di riferimento. Se nell’applicazione del ribasso si vede che a livello di prezzi elementari si va al di sotto della soglia di retribuzione normale di un lavoratore, è palese che si sta andando contro la legge.

NEROZZI
In realtà basterebbe rispettare i contratti nazionali, come proposto dall’ANCE nazionale, ma il problema è che non tutti siete d’accordo. Pertanto occorre operare sotto il profilo legislativo anche andando in questa direzione, come Confindustria e ANCE propongono nonostante non vi sia convergenza sul punto.

RICCI
Sono un fautore del libero mercato. Ritengo che il modello del massimo ribasso sia perverso sotto il profilo della metodologia, anche se sotto il profilo concorrenziale è un modello perfetto, a patto però che tutti concorrano sulla base delle stesse regole. Diventa un elemento distorsivo nel momento in cui non c’è la possibilità di verificare la corretta applicazione delle regole. E questo è quanto sta accadendo.

PRESIDENTE
Purtroppo vi sono stati casi anche più gravi del 53 per cento cui lei faceva riferimento poc’anzi. Inoltre, stiamo cercando di inquadrare la questione del massimo ribasso non solo a livello di realizzazione delle opere ma a livello di progettazione. È difficile infatti immaginare un ribasso del 70 per cento a livello di progettazione, perché se il costo scende al 30 per cento lordo, al netto diventa del 15 per cento. Il problema è senz’altro serio e complesso e la Commissione si sta impegnando ad affrontarlo tenendo conto delle numerose sfumature.

NEROZZI
Occorre modificare le leggi.

PRESIDENTE
Certamente, ma siamo noi a modificare le leggi: mi sono assunto personalmente tale responsabilità. Spesso però non si riesce a venire a capo della questione perché dall’altra parte c’è chi pone degli ostacoli.

LEVRINI
Buongiorno, rappresento il presidente Mansi di Confindustria Toscana, che non ha potuto essere presente a causa di altri improrogabili impegni. Non voglio tediarvi con numeri che conoscete benissimo.
L’andamento infortunistico virtuoso degli ultimi anni in Italia è noto ed è altrettanto risaputo che la Toscana è stata un po’ più virtuosa del resto d’Italia.
Ma non è questo il punto. Vorrei illustrare il percorso da noi seguito per raggiungere questi risultati, che, qualora da parte vostra fosse ritenuto meritevole di attenzione, potreste tradurre in comportamenti legislativi.
Dalla cosiddetta terza rivoluzione industriale degli anni ’90 i nostri imprenditori hanno imparato che non esiste più il cosiddetto collaboratore univoco, che va bene per tutte le funzioni. Oramai i collaboratori sono sempre più specializzati, sono macchine delicate e se si rompono non ci sono parti di ricambio. L’estrema attenzione all’infortunistica nasce anche da questo tipo di considerazione, vale a dire la necessità di una diversa specializzazione nei vari comparti. Per capire meglio come intervenire abbiamo verificato alcuni elementi di base, attraverso l’analisi di dati INAIL attentamente calcolati ma spesso non sufficientemente analizzati. Abbiamo, ad esempio, esaminato quando accadono gli infortuni, se esistono aspetti di periodicità annuale, se giocano un ruolo determinante alcuni elementi atmosferici. Mi riferisco ovviamente all’industria. A queste domande abbiamo risposto negativamente, perché gli infortuni sono spalmati uniformemente nell’anno, escludendo agosto, mese in cui l’industria si ferma. Ci siamo chiesti quindi se entrano in gioco altri aspetti. Ad esempio, se gli infortuni accadono maggiormente in certi giorni della settimana.
Certamente sì. Contrariamente a quanto si pensa non accadono verso il fine settimana quando esiste un accumulo di stanchezza, ma sono più frequenti all’inizio della settimana, tralasciando chi si è fatto male la domenica e denuncia l’infortunio il lunedì quando entra in azienda. L’orario in cui si verificano con più frequenza gli incidenti è all’inizio della giornata lavorativa e non verso la fine. Abbiamo quindi incrociato questi dati con l’accadimento per fasce di età ed è emerso che la maggior parte dell’infortunistica si concentra nella fascia di età compresa tra i 30 e i 40 anni. Questo è un preciso elemento di giudizio. Premesso che in Toscana l’aggregazione degli occupati è maggiore verso i quarant’anni, significa che la maggiore incidenza infortunistica avviene nel momento in cui il lavoratore, pur addestrato, comincia ad essere estremamente poco attento al rischio elettivo da ambiente in quanto si ritiene tranquillo e consapevole delle procedure. Quindi, l’incidenza infortunistica è molto bassa all’inizio, quando il lavoratore è stato appena addestrato, sale tra i 30 e i 40 anni, poi tende progressivamente a scendere.
Questo ci ha indotto a scegliere una politica di attenzione alla formazione non più generalizzata ma specifica, per categoria e per situazione di impresa. Abbiamo rubato uno slogan a Fondimpresa che dice che la prevenzione parte dalla formazione; noi abbiamo aggiunto: «parte anche da Carlo», cioè dalla persona che materialmente in quel momento è impegnata «a fare». Questa frammentazione, quindi l’attenzione ad una formazione mirata, produce un comportamento normativo estremamente rilevante.
Quindi, per parte nostra tendiamo molto a privilegiare il rapporto con i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza che sono all’interno delle fabbriche. Se riflettiamo attentamente, non possiamo non convenire sul fatto che il famoso decreto legislativo n. 626 del 1994 non ha introdotto normative pesanti, ma ha messo insieme norme già esistenti ed ha obbligato impresa e lavoro a comunicare in termini formali e con responsabilità reciproca sugli aspetti relativi alla sicurezza. La normativa che prevede oltre agli RLS anche rappresentanti esterni alle aziende non ci vede invece favorevoli per un motivo molto semplice: se imprese e lavoro devono comunicare e trovare soluzioni specifiche per l’azienda, che noi chiamiamo «abiti su misura», non possiamo ipotizzare che qualcuno intervenga dall’esterno, conoscendo poco le lavorazioni, e sia interpellato come elemento fondamentale della vigilanza e della sicurezza. Se portiamo all’esterno queste competenze (al di là di settori che hanno filiere estremamente compatte perché, come sapete, in Confindustria si va da chi fabbrica sistemi missili antimissili a chi realizza gettate di ghisa) si evidenziano due aspetti negativi: da un lato, si deresponsabilizzano le aziende circa la ricerca all’interno di un dialogo corrente, dall’altro, ci si priva di competenze che servono. Questa situazione, a nostro avviso, andrebbe attentamente considerata sotto il profilo normativo. È vero, nelle piccole e piccolissime aziende è difficile trovare chi si faccia carico del problema della sicurezza. Noi, però, stiamo insistendo su questo aspetto; preferiamo investire molto in formazione e sugli RLS piuttosto che avere professionisti della sicurezza esterni che intervengono saltuariamente. Non ci interessa; non ci conviene.
Condivido le osservazioni di chi mi ha preceduto circa la complessità della normativa. Concentrerei però l’attenzione su un altro aspetto. La semplificazione non riguarda solo le norme ma anche il linguaggio. Il teorema di Pitagora è fatto di 22 parole; la legislazione europea, per indicare dove e quando si può fumare, ne usa 22.252. Le norme quanto più semplici e comprensibili sono, tanto più ci aiutano a farci capire dal piccolo imprenditore, bravissimo ma che non ha tempo di leggere testi di legge spesso lunari. Pertanto, a prescindere dalla complessità della legislazione europea e nazionale, quanto più il linguaggio è chiaro e comprensibile, tanto più ci aiuta ad attuare le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
L’obiettivo che stiamo proponendo non è di facciata ma è a lenta costruzione e parte dai progetti formativi. L’intento, infatti, è quello di far maturare una cultura civile della sicurezza affinché questa diventi un’attitudine personale tale da superare la logica del formale adempimento della legge che, tutto sommato, non ci interessa; non è questo il punto. Quello che stiamo cercando di inserire nella mentalità degli imprenditori e dei rappresentanti dei lavoratori è che, ad esempio, in fonderia bisogna indossare il casco con la visiera, anche se fa sudare. Recentemente mi sono trovato di fronte ad un parere espresso da un medico della ASL che diceva che indossare il casco in fonderia fa sudare. In un confronto con i rappresentanti per la sicurezza dei lavoratori ci siamo chiesti: meglio sudato che cieco, o meglio cieco che sudato?

PRESIDENTE
Dovrebbe far conoscere questo medico a tutti noi!

LEVRINI
È una situazione incredibile. Quel medico sosteneva che bisogna bilanciare il disagio del sudore con il rischio. È un bilanciamento che per noi non esiste.
Questo è il tipo di cultura che vorremmo diffondere e questo è il percorso che, sia pure con lentezza, sta dando dei buoni risultati, anche sotto il profilo numerico. È proprio su tale aspetto che vorremmo attirare la vostra attenzione affinché, se possibile, il percorso che abbiamo intrapreso sia accompagnato da una normativa di riferimento.
Di quanto detto vi lascio comunque una breve nota.

BARTOLINI
Buongiorno, rappresento Giovanni Gentile, presidente di Confindustria Firenze, che si scusa per non aver potuto partecipare all’audizione.

PRESIDENTE
Può sottoscrivere quanto già detto dal suo collega?

BARTOLINI
Vorrei solo illustrare alcuni elementi che mi sembra importante fornire come testimonianza di quello che può essere il nostro ruolo nella realtà locale.

PRESIDENTE
Quando l’audizione è su base regionale, di solito ascoltiamo una sola persona per ogni associazione. Le chiedo quindi cortesemente di comprimere il suo intervento.

BARTOLINI
Sono stato invitato.

PRESIDENTE
Lo so che è stato invitato. Le ho chiesto la cortesia di limitare il suo intervento, dal momento che per le altre associazioni ha parlato una sola persona.
Sono convinto del fatto che lei sia stato invitato, altrimenti non sarebbe venuto a perdere tempo qui. Le ho chiesto la cortesia di contenere il suo intervento.

BARTOLINI.
Certamente.
Il decreto legislativo n. 81 ha introdotto importanti elementi che riguardano i modelli organizzativi e gli aspetti di carattere tecnico-innovativo.
Su questo dobbiamo, a mio giudizio, portare il conforto di iniziative di sostegno, in particolare alle attività formative mirate.
Vengono richiamati i principi di formazione che riguardano gli uomini d’impresa a tutti i livelli. I dati sostanziali dimostrano che le associazioni in genere sono attente e producono e promuovono iniziative di qualità.
Mi sembra altrettanto importante richiamare il fatto che nel momento in cui c’è una diversificazione tecnologica di tutti i settori e un’estrema «frastagliazione» e specializzazione nei diversi comparti, diventa fondamentale l’apporto qualificato a tutti i livelli della formazione, settore per settore.
Questo era quanto mi sentivo in dovere di dire, anche unito agli aspetti che riguardano i supporti finanziari agli investimenti nel campo della sicurezza, siano questi finanziamenti volti a politiche di sostituzione degli impianti o finanziamenti in attività migliorative della formazione.

MELANDRI
Sostituisco il presidente di Confesercenti Toscana, nonché vice presidente vicario nazionale Massimo Vivoli che aveva un impegno a Roma.
Devo dichiarare che, anche sulla base di un recente rilevamento effettuato ai fini di questa audizione, nel comparto che rappresento il fenomeno degli infortuni sul lavoro risulta trascurabile, praticamente inesistente nel settore del commercio e dei pubblici esercizi, dove, più che altro, si tratta di infortuni in itinere o di un qualche incidente che si verifica nel comparto turistico in funzione di lavori più complessi specifici di tale attività. Dati così ridotti sono dovuti non solo alle modalità di lavoro nelle aziende, di natura piuttosto semplice, ma anche alla lunga e costante attività di formazione e informazione svolta dalle nostre agenzie. I nostri uffici tecnici non segnalano particolari difficoltà nella realizzazione degli adempimenti e nell’adozione di strumentazioni antinfortunistiche, là dove queste si rendano necessarie. Pertanto, non abbiamo particolari rilievi da presentare.
Ci auguriamo che l’attuazione del decreto legislativo n. 81 possa essere completata tramite un’azione di chiarimento e che possano essere raccolti anche gli auspici dei colleghi affinché le funzioni di coordinamento riescano ad ottimizzare la politica per la sicurezza sul lavoro.

PASCUCCI
Anch’io mi associo alle osservazioni di chi mi ha preceduto in merito ai decreti attuativi del decreto legislativo n. 81, nella speranza che all’interno di questi si possano realizzare misure di semplificazione sicuramente necessarie ad un tessuto produttivo come quello dell’agricoltura che è fatto di piccole imprese, solo una parte delle quali, peraltro, è di tipo professionale. Anche questo è un elemento che genera difficoltà nell’applicazione delle regole di sicurezza. Nonostante sia in atto una riduzione del numero di infortuni in agricoltura, molto rimane da fare e per questo è necessario continuare con decisione sulla strada della semplificazione, dell’innovazione tecnologica e della formazione, aspetti fondamentali affinché le imprese agricole riescano a realizzare l’obiettivo della sicurezza.
Un altro elemento di criticità del settore è dato dal numero assai limitato di addetti che operano nelle imprese, molti dei quali sono stagionali. Inoltre, tra le problematiche del comparto è da considerare l’aspetto del clima e della morfologia del territorio. La Regione Toscana è caratterizzata da aree di media collina e da zone montagnose che richiedono l’uso di particolari macchinari agricoli, i quali a volte causano infortuni anche mortali. Pertanto, così come si è fatto in questi anni, è necessario per il futuro continuare a lavorare investendo nella innovazione dei processi produttivi. Un calo dell’uso di fertilizzanti ha consentito, ad esempio, di ridurre gli agenti di rischio; inoltre, si è proceduto ad un costante ammodernamento del parco macchine. In particolare, con l’organizzazione di attività di formazione e di aggiornamento si è creata una maggiore consapevolezza dei fattori di rischio sia nell’utilizzo dei macchinari agricoli sia nelle attività di altro tipo.
Mi limito quindi a citare alcune priorità di intervento. Non soltanto è necessaria una semplificazione normativa, ma risulta quanto mai opportuno - ripeto - anche l’ammodernamento del parco macchine che rappresenta una delle principali fonti di rischio e che richiede, per la sua realizzazione, una politica di incentivi. A tal fine sarebbe opportuno intervenire non solo a livello nazionale ma anche in sede europea per definire indirizzi e priorità atti a favorire l’ammodernamento.
Un altro aspetto importante è dato dalla uniformità di azione degli organi di vigilanza. Spesso riscontriamo difformi interpretazioni delle norme e, quindi, diverse tipologie di attuazione da parte di ASL ed INAIL. Riteniamo, pertanto, che la definizione di linee guida chiare e applicabili possa contribuire ad una valida ed omogenea azione di vigilanza da parte degli organi di controllo e, al tempo stesso, possa consentire alle imprese di stare dentro le norme. La definizione di linee guida, inoltre, potrebbe contribuire altresì ad alleggerire l’impatto burocratico e ad ispirare al buonsenso l’applicazione di norme che, spesso studiate per attività complesse, se calate nell’agricoltura e nell’impresa agricola rischiano di creare notevoli difficoltà.
Va poi sicuramente potenziata e premiata la collaborazione tra organi di vigilanza ed imprenditori attraverso la logica della collaborazione.
Quando è stata fatta, l’attività di formazione si è rivelata essere elemento importante non solo negli adempimenti normativi ma anche nella riduzione dei fattori di rischio, così come hanno già evidenziato i colleghi delle altre associazioni. Tale attività richiede però risorse adeguate; ricordo, ad esempio, la recentissima iniziativa del «click day» adottata dall’INAIL che non ha comunque consentito ad alcuna impresa agricola della nostra Regione di accedere ai fondi. Probabilmente bisognerà ripensare a qualcosa, oltre che avere una maggiore dotazione finanziaria per questi aspetti. Allo stesso tempo si deve instaurare una collaborazione più stretta tra il mondo delle imprese, le loro rappresentanze e gli organi di vigilanza.
In tema di sicurezza c’è anche l’esigenza che gli organi di vigilanza intervengano sulle attività cosiddette irregolari. Porto un esempio concreto: sappiamo benissimo che anche in agricoltura esistono delle forme irregolari di lavoro nonché il cosiddetto lavoro nero che è abbastanza circoscritto ma è presente e va combattuto.

PRESIDENTE
Il fenomeno è diffuso e non circoscritto.

PASCUCCI
Nella nostra Regione è un fenomeno meno diffuso che altrove, però c’è. Vorrei portare un esempio concreto di quello che spesso succede nel rapporto con gli organi di vigilanza, che dimostra come sia importante questa attività. Nel settore forestale-silvo-pastorale spesso accade che vi sia un’azione di vigilanza molto forte nei confronti delle imprese già registrate e che svolgono delle attività note alla pubblica amministrazione, mentre le imprese sconosciute, che sono i principali attori della messa in atto delle irregolarità, non vengono osservate. Ricordo che per quanto riguarda la nostra organizzazione, insieme ad altri soggetti e alla stessa Regione Toscana, abbiamo posto in essere diverse iniziative per la formazione e l’aggiornamento. Abbiamo notato che quando queste attività vengono realizzate e c’è un pieno coinvolgimento degli agricoltori riusciamo ad ottenere risultati assai soddisfacenti in termini di sicurezza e prevenzione.

PRESIDENTE
Lei rappresenta un mondo impegnativo dove, come accade per il settore delle costruzioni, si registra il maggior numero di infortuni e morti. Noi siamo in grado di darle alcune risposte. Lei ha fatto riferimento al bando dell’INAIL, che di fatto non ha dato riscontri, soprattutto a causa del problema di quotare il de minimis: al di là di una certa soglia, che rappresenta il tetto del de minimis, l’intervento a fondo perduto secondo l’Unione europea può costituire un aiuto e può configurarsi, quindi, un’ipotesi di concorrenza sleale. Stiamo predisponendo un disegno di legge, che speriamo di presentare nelle prossime settimane, per far sì che l’Unione europea non computi negli aiuti all’agricoltura anche gli aiuti per la messa in sicurezza delle macchine agricole. Questo sarà oggetto di un confronto con l’Europa, però siamo convinti che abbiamo delle chance da giocarci. Porteremo, quindi, avanti questa proposta di cui beneficerete anche voi come categoria. Questa è una delle iniziative della Commissione.
Nell’agricoltura, il settore delle macchine agricole presenta in particolare il problema dei trattori, su cui dobbiamo decidere il da farsi. Dovremo aprire presto un tavolo con il Ministero dell’agricoltura e con le Regioni - l’agricoltura è un argomento di competenza concorrente - per cercare di capire cosa fare e come intervenire per le revisioni di queste macchine. Sarà un argomento delicato, però non possiamo continuare ad avere 150 persone l’anno che muoiono schiacciate dai trattori, perché saremmo degli irresponsabili. Il problema maggiore dell’agricoltura è il trattore; il problema maggiore della conduzione del trattore è costituito da chi si sente agricoltore il sabato e la domenica o quando è andato in pensione e si mette a cavallo di una macchina, spesso appunto un trattore, su un terreno con una certa pendenza, come questi meravigliosi colli della Toscana che però sono spesso causa di drammatici incidenti. Vi chiedo di rimanere in contatto perché abbiamo acceso molti fari, anche proposte che non saranno ben accolte, ma noi dobbiamo fare qualcosa, non possiamo continuare a non vedere. Non so se siate d’accordo su questa analisi.
L’anno scorso siamo riusciti a far stanziare dei fondi che, se non sbaglio, ammontavano a 50 milioni di euro per la rottamazione delle macchine obsolete.

MADDÈ
Purtroppo oggi vengono messe in commercio delle macchine - parlo anche degli attrezzi e non solo delle trattrici - che non hanno le condizioni prescritte. Questo è un problema. Come si ricordava, il settore agricolo purtroppo condivide con il settore dell’edilizia questo triste primato. L’altro elemento positivo, a mio modo di vedere, è la flessibilità contrattuale introdotta in agricoltura. Cito, ad esempio, i voucher e l’impiego di personale legato da grado parentale in maniera non estemporanea, perché il nostro settore svolge una funzione di accoglienza. In questi giorni il tema dell’immigrazione più o meno clandestina è un fatto certamente eclatante, che coinvolge tutti, però nella continuità il nostro è un settore di puro transito, dal momento che spesso chi arriva da altre parti del mondo il primo mestiere che trova e conosce è tenere in mano una zappa o un badile. Quando si parla di semplificazione non si chiedono meno controlli, ma di distinguere gli adempimenti per le microaziende, quelle con un massimo di dieci dipendenti, rispetto a quelli per la grande impresa. Il decreto legislativo n. 81 ha in parte modificato questo aspetto, strada che è positiva e su cui si può anche insistere. Un altro effetto controproducente per i nostri agricoltori e imprenditori è in generale quello della frammentarietà e dalla mancanza di chiarezza e certezza nei controlli.
Al di là del manifesto-lenzuolo che abbiamo visto prima, che è indicativo del disagio, il Presidente ha ricordato le morti e i numerosi infortuni che avvengono. Se vogliamo però far crescere la coscienza diretta dell’imprenditore e del lavoratore gli interventi non devono essere vissuti in maniera esclusivamente ispettiva.

NEROZZI
Vorrei ricordare sommessamente ai rappresentanti della piccolissima impresa - segnatamente a quelli dell’impresa agricola e artigiana - che va bene preoccuparsi di come avere una situazione migliore dal punto di vista legislativo e dei controlli, però due terzi dei morti, soprattutto in agricoltura, sono vostri affiliati. Quindi ci dovrebbe essere una maggior cura e questo è un problema non legislativo, ma di formazione. Con minori controlli non si muore di meno. Sicuramente c’è un problema di attrezzature quali i trattori e, per quanto riguarda il settore edile, gru, ponteggi, macchine a terra. C’è un sostegno rispetto a questo, però c’è bisogno di un sostegno anche per i lavoratori autonomi che muoiono e questo è molto preoccupante. L’attenzione, quindi, va rivolta anche a questo versante perché non ci sono industriali che muoiono. Il riferimento che correttamente si faceva per l’impresa non vale per l’agricoltura e l’edilizia. Purtroppo in agricoltura, per ragioni ovvie, ci sono dei mesi come marzo e aprile dove si registrano dei picchi. La formazione deve rendere i lavoratori consapevoli del maggior rischio in certi periodi; è un problema serio perché l’edilizia e l’agricoltura hanno dei picchi nei mesi di marzo e aprile e in periodi che sono diversi da Regione e Regione: iniziano al Sud, poi vanno verso Nord e quindi calano per ovvie ragioni meteorologiche. Va quindi posta una particolare attenzione alla formazione degli artigiani e degli agricoltori perché due terzi dei morti sono nei vostri settori; in agricoltura sono addirittura di più.

SABATINI
Sono in aumento.

PRESIDENTE
La nostra visita vuole rappresentare l’apertura di un dialogo con tutti coloro che saranno disponibili in tal senso. Con piacere riceveremo le vostre sollecitazioni e indicazioni. Anche le riprese che si stanno effettuando credo rientrino nella cultura, dal momento che veicoleranno quanto ci siamo detti sul grande schermo. Oggi sono questi, e non solo le istituzioni tradizionali, i mezzi per arrivare alla gente.
Spero che riusciremo a ridurre il più possibile questo problema, tenendo conto che le vostre associazioni di categoria possono fare molto, soprattutto per l’ultimo argomento trattato. Non è possibile vedere persone di 75 anni guidare un trattore. Abbiamo allo studio una normativa più rigida, affinché coloro che superano una certa età e hanno una patente superiore alla B, debbano superare dei controlli. Con la patente B si può guidare di tutto e non mi sembra una cosa corretta. A volte si guidano anche macchine sofisticate, che hanno meccanismi davvero complessi. In Italia, ad esempio, non è prevista alcuna patente per la guida di gru sofisticatissime, laddove all’estero è necessaria una patente ad hoc. Anche su questo aspetto occorre attivarsi perché non possiamo tralasciare nulla. Il nostro obiettivo, in definitiva, è volto alla massima collaborazione.
Ringrazio di nuovo i nostri ospiti per la collaborazione e le informazioni fornite.


Fonte: Senato della Repubblica