SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 86: martedì 27 settembre 2011

Audizione dei rappresentanti della Fondazione nazionale C.S.R.

Presidenza del presidente TOFANI

Intervengono in rappresentanza della Fondazione nazionale C.S.R. il professor Paolo Prandi, Direttore generale, i Consiglieri della Fondazione C.S.R. i dottori Giampietro Franchini e Antonino Girelli, l'avvocato Giorgio Maione, Assessore ai servizi sociali e alle Politiche per la famiglia del Comune di Brescia, il dottor Angelo Piovanelli, Consigliere comunale del Comune di Brescia e Presidente provinciale di ANMIL (Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro) e l'ingegnere Antonio Vanzo, Consulente Studio Valore.

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti della Fondazione nazionale C.S.R.
Avverto che sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta.
Comunico inoltre che, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l'attivazione dell'impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Abbiamo accolto la richiesta, sostenuta dalla Vice Presidente di questa Commissione, senatrice Colli, di ascoltare il Centro studi nazionale per il controllo e la gestione dei rischi aziendali. La finalità della presente audizione è conoscere i ricercatori del settore e comprendere le strategie e le tecniche intorno alle quali si lavora, per aggiornarci su questo aspetto atteso che l'obiettivo comune è quello di sconfiggere, debellare, annientare, annullare i rischi sul lavoro, o comunque ridurli quanto più possibile, cercando quanto meno di eliminare le morti sul lavoro.
Do pertanto il benvenuto ai nostri ospiti e cedo immediatamente loro la parola.

PRANDI
Signor Presidente, la ringrazio anzitutto per averci offerto la possibilità di questo incontro e per la disponibilità ad ascoltarci in relazione al lavoro che abbiamo condotto. Sono qui presenti, insieme al sottoscritto, il consigliere dottor Giampietro Franchini, un imprenditore che collabora con la Fondazione e che ha sostenuto sin dall'inizio l'attività di ricerca, il dottor Antonino Girelli, revisore, che ha sostenuto anch'egli la ricerca dall'inizio, e l'ingegner Antonio Vanzo, un collaboratore dello studio. Ho organizzato la mia presentazione in maniera modulare; avremo pertanto modo di fermarci e di approfondire le aree che sono per voi di maggiore interesse.
La Fondazione è partita da una ricerca, che è poi l'attività più sostanziosa in essere. Siamo giunti a dei risultati pubblicati su un testo che vi abbiamo spedito e che speravamo aveste ricevuto, ma sembra che la posta sia un po' in ritardo; ve lo faremo comunque avere.
Parliamo ora della ricerca e di cosa abbiamo inteso fare in termini di organizzazione dell'attività. Abbiamo cercato di creare un sistema di ricerca sul territorio; sono presenti anche alcune autorità del Comune di Brescia, che hanno sostenuto l'avvio della ricerca. Parleremo inoltre della metodologia utilizzata, che è alla base della gestione del rischio, e dei risultati che la ricerca ha prodotto. Dopodiché vi presenteremo la Fondazione ed illustreremo i prossimi passi che intendiamo compiere.
Abbiamo cercato di realizzare una ricerca di sistema, unendo tutte le forze imprenditoriali, istituzionali, camerali ed universitarie della nostra Provincia. La Provincia di Brescia ha 1.300.000 abitanti e circa 35 miliardi di euro di PIL. L'obiettivo è stato quello di mappare le principali aree di rischi associati cui sono sottoposte le aziende, di identificare il loro grado di copertura, i principali presidi e le modalità di trasferimento, nonché di offrire un quadro dei possibili interventi migliorativi che possono essere offerti. La ricerca è partita nel 2008 da un paper che scrissi per cercare di attirare l'attenzione su questa problematica. Ho lavorato alcuni anni all'estero, dove la problematica dei rischi già vent'anni fa era oggetto di molte sollecitazioni, anche se sicuramente non era così presente e così seguita come lo è oggi. All'inizio di quest'anno c'è stata la pubblicazione del testo (che vi verrà consegnato nei prossimi giorni).
La ricerca è basata su quattro aree fondamentali. La prima è costituita dall'analisi delle best practices: siamo andati a vedere cosa fanno le aziende italiane e straniere di grandi dimensioni nell'ambito della gestione dei rischi. Oggi stesso, prima di venire qui, siamo stati in due importanti aziende; gli incontri odierni hanno confermato che anche le grandi aziende hanno acquisito un'importante sensibilità nell'ambito della gestione dei rischi, ma tuttavia non fanno ancora abbastanza. Le ragioni sono diverse e talvolta molto particolari all'interno dell'azienda; però non viene svolta moltissima attività. Abbiamo condotto questa indagine anche presso alcune aziende straniere, in particolare in ambito anglosassone, dove è stata avviata una metodologia di analisi dei rischi, ed abbiamo riscontrato un fondamentale avanzamento rispetto alla situazione di venti o trent'anni fa, cioè l'integrazione della gestione dei rischi, un tempo esclusivamente in capo ad una task force laterale all'azienda ed oggi invece integrata all'interno della pianificazione strategica aziendale.
Gli embrioni che abbiamo individuato nella gestione dei rischi in Italia assomigliano sicuramente a quello che era l'ambiente anglosassone negli anni Ottanta. Abbiamo poi intervistato delle aziende dal lato dell'offerta; ci siamo occupati cioè di coloro che offrono presidi e modalità di trasferimento del rischio (tipicamente le assicurazioni). Siamo andati a vedere inoltre qual è l'impatto di una valida gestione dei rischi sul mondo degli stakeholders. Pensiamo anzitutto al sistema bancario, che evidentemente ha dei grossi vantaggi di trasparenza e di conoscenza delle aziende nel momento in cui queste sono meglio gestite dal punto di vista dei rischi. Infine, siamo andati a vedere le aziende dal lato della domanda; abbiamo cioè esaminato come si comportano e come attuano la loro attività le aziende industriali della Provincia (attraverso un campione selezionato insieme alla Confindustria locale).
A pagina 4 del nostro documento abbiamo voluto ricordare tutti gli enti che sono stati coinvolti nella ricerca. Questo secondo noi è fondamentale, perché, pur essendo stata l'iniziativa avviata con la Confindustria locale (Associazione industriale bresciana), abbiamo voluto anzitutto incastonarla all'interno dell'Università di Brescia (Dipartimento di economia aziendale) e poi via via coinvolgere tutte le realtà che hanno qualcosa da dire in materia di rischio. Si tratta delle entità amministrative (non c'è il Comune, perché ha passato l'indicazione alla Provincia), della Camera di commercio, dell'ordine dei commercialisti, degli enti di controllo (ARPA, INAIL, ASL, Vigili del fuoco). Era prevista oggi la presenza del comandante dei Vigili del fuoco, il quale si scusa per non essere riuscito ad intervenire a causa di un impegno istituzionale improvviso in altro luogo. Oltre a questo, vi sono talune aziende private che hanno sostenuto l'iniziativa. C'è molto interesse anche da parte delle banche e infatti la UBI Banco di Brescia è uno degli sponsor presenti in questa realtà.
Questo è il modello che abbiamo presentato, con il quale siamo riusciti ad ottenere un dialogo con gli imprenditori. La realtà industriale gli imprenditori la conoscono molto bene: è difficile insegnare ad imprenditori magari di seconda o terza generazione, che gestiscono un'azienda, come vendere, come comprare o come produrre; è un dialogo assolutamente difficile da attivare. Viceversa, ci sono molte altre aree, in primis quella dei rischi sulle risorse umane, ma anche quella dei rischi ambientali, quella dei rischi sul patrimonio e quella dei rischi di illecito amministrativo, che la complessità via via crescente dell'ambiente competitivo impone di considerare e sulle quali gli imprenditori non sempre sono così preparati, ma verso le quali hanno dimostrato grande attenzione. Abbiamo quindi scisso i rischi imprenditoriali della fabbrica, inclusi quelli relativi a dove si comprano, si producono e si vendono i prodotti, dai rischi associati.
Abbiamo approfondito questo tema individuando una metodologia scientifica rigorosa per la loro individuazione e gestione, che non è nulla di particolarmente nuovo, ma sicuramente abbiamo cercato di semplificare mettendo a disposizione dell'intero sistema i tantissimi modelli che sono in circolazione, a partire da quello di matrice anglosassone. Fondamentalmente, abbiamo utilizzato un modello basato sull'analisi del risk assessment management control: dobbiamo cioè prima studiare quali sono le attività soggette a rischio associato e quali sono le dimensioni, poi gestire e controllare. Il rigore viene imposto attraverso l'individuazione di due parametri: un indice, molto simile all'indice di frequenza, e la magnitudo, ovvero l'intensità del rischio. Chiaramente dovremmo cercare di spostare tutti i rischi che rientrano nell'area di alta frequenza ed alta magnitudo - quindi rilevanti - verso l'area più bassa della matrice. L'attività viene svolta fondamentalmente nel modello che abbiamo definito e che ha evidentemente una componente informatica. La valutazione dell'attività generatrice del rischio consiste nel comprendere bene quali sono le attività che generano il rischio. Si potrebbe anche arrivare all'individuazione di aree, di attività, di impianti o di determinate operazioni finanziarie che non vengono più condotte all'interno dell'azienda, porre i presidi e gli strumenti di trasferimento adeguati ed infine valutare il rischio residuo; evidentemente il rischio è molto difficile da eliminare completamente (una componente di rischio permane sempre), il problema è essere consci del rischio residuo. Una valutazione corretta può anche importare, ad esempio, di non porre alcun presidio, alcun trasferimento, l'importante è rendersi conto di qual è il rischio residuo effettivo per l'azienda. L'obiettivo di tutto questo è spostare dall'area alta all'area più bassa tutte le componenti del rischio. Infine, quest'attività non è fine a se stessa, ma deve essere continuamente valutata e considerata, in quanto fattori esterni ed interni cambiano l'ambiente operativo dell'azienda e a fronte di questo i passaggi devono essere costantemente ripresi e rivalutati.
Prima di passare la parola al dottor Girelli, vorrei tratteggiare il percorso che ha avuto la ricerca. Siamo partiti nel 2008 con un accordo con le associazione industriali; abbiamo condotto interviste costantemente accompagnati da un comitato scientifico di alto livello, che ha visto la presenza dei direttori di tutte le istituzioni che vi ho presentato precedentemente; abbiamo fatto diversi convegni e infine il 7 febbraio vi è stata la presentazione del libro e dei risultati della ricerca. Il dottor Girelli potrà descrivere alcuni dei risultati.

GIRELLI
Desidero innanzitutto ringraziare la Commissione per la cortesia e la disponibilità dimostrate. Come revisore legale dei conti, mi occupo professionalmente di un'attività che ha a che vedere molto da vicino con i rischi, in quanto la mia società ha, come tutte, il compito primario di fare valutazioni del rischio aziendale, matrice in base alla quale vengono effettuate verifiche e tratte conclusioni. Faccio questa premessa perché il nostro apporto alla ricerca e soprattutto il nostro interesse per questa ricerca - che a Brescia è stata piuttosto innovativa - è nato proprio dall'idea che abbiamo avuto fin dall'inizio, cioè che quello che il professor Prandi ci stava proponendo fosse qualcosa di molto concreto, che unisse un approccio scientifico e metodologico di livello universitario ad una procedura molto stretta, operativa e concreta, tale da consentire una volta tanto di portare avanti un progetto che potesse essere realmente concluso con risultati interessanti, come spero siano quelli che adesso illustreremo.
Il risultato di questa ricerca è stato il motivo principale per cui poi ci siamo sentiti quasi in dovere di continuare questa iniziativa che avevamo intrapreso istituendo e facendo vivere la Fondazione che oggi vi presentiamo, che ha fondamentalmente due caratteristiche di base, delle quali in qualche modo siamo orgogliosi: da un lato, la totale assenza di qualsiasi scopo di lucro, perché è bello che anche degli operatori economici, una volta tanto, possano dedicare una parte del loro tempo a qualcosa che non produca immediatamente un vantaggio economico per chi svolge l'attività; dall'altro, il fatto che può rappresentare (e in questo secondo aspetto crediamo molto) un volano perché si parli di argomenti che riteniamo essere molto importanti, in una logica che possibilmente non sia soltanto quella della discussione, che peraltro è pur sempre qualcosa di positivo. Il nostro obiettivo non era soltanto quello di portare nella Provincia di Brescia (e poi vedremo dove riusciremo a portarla) un certo tipo d'impostazione e di cultura, ma di far convivere con un approccio di carattere scientifico un'operatività che portasse le aziende, per così dire, a guardarsi dentro. Questi sono appunto i risultati, che partono da una valutazione che, nel momento in cui l'abbiamo colta, ci ha sorpresi ma non più di tanto: l'entità della spesa che le aziende sostengono annualmente per il presidio dei rischi di cui stiamo parlando. Se si considera che abbiamo condotto questa analisi intervistando aziende con più di 50 dipendenti, quindi con un volume di fatturato piuttosto significativo, si comprende come il risultato che è emerso, cioè il costo annuale dei presidi per fronteggiare questi rischi, compreso tra l'1 e l'1,5 per cento del fatturato, se riferita a fatturati dai 50 ai 150 milioni di euro, è piuttosto importante e, oltretutto, ha la caratteristica abbastanza curiosa di essere assimilabile a quello che le aziende, per lo meno quelle con un livello di indebitamento nella norma, spendono in termini di oneri finanziari. Ma mentre questa seconda variabile, cioè la spesa per oneri finanziari, è un qualcosa che le aziende sentono molto e vivono sulla propria pelle con grande vivacità, i costi dei presidi per fronteggiare i rischi (che a livello di bilancio non emergono unitariamente ma sono diffusi tra le varie voci di spesa che in un'azienda vengono sostenute) sono costi veramente importanti, non sempre percepiti nella loro dimensioni reali e non sempre ricondotti ad una logica d'azione globalmente concertata.
Nonostante l'importante entità della spesa, la fase di valutazione e di controllo di questi rischi solitamente (questo è emerso con una certa evidenza dalla ricerca) non fa capo ad una funzione che all'interno dell'azienda abbia il compito specifico di monitorare questi aspetti; quindi quello che abbiamo riscontrato (nella sostanza sono questi i risultati più interessanti della ricerca che abbiamo condotto) è che nonostante il campione oggetto di analisi fosse un campione evoluto, perché costituito da aziende medie e medio-grandi, in realtà una fase che risultasse organica all'interno dell'azienda, una funzione che si occupasse del rischio nella sua globalità, della valutazione e dell'analisi preliminare e del controllo dei rischi associati, non esiste o esiste in minima parte.
Un aspetto veramente interessante, che ci ha dato un temporaneo sollievo ma che assumiamo come auspicio piuttosto che come realtà consolidata, è quello relativo alla numerosità degli incidenti e alle malattie professionali. Infatti, nell'ambito del campione esaminato è risultato che il numero medio degli incidenti sul lavoro è di tre all'anno; tra l'altro, l'entità di questi incidenti non è risultata tale da collocare i loro effetti in un ambito di alta gravità. Inoltre, dai risultati ottenuti non abbiamo avuto riscontro della presenza di malattie professionali di una certa rilevanza, probabilmente perché - come abbiamo in gran parte spiegato prima - la selezione del campione intervistato era tale da lasciare quanto meno sperare di ricevere dati di questo genere: parliamo infatti di aziende molto organizzate e strutturate.
Ciò che ci piacerebbe fare a livello di integrazione verticale della ricerca, e che probabilmente ci porterebbe a scoprire realtà molto interessanti, è verificare cosa accade nelle aziende con meno di 50 dipendenti e con budget di spesa molto inferiori a quelli che abbiamo potuto riscontrare nelle aziende intervistate. Magari ne parleremo più approfonditamente in seguito, ma è proprio questo tipo di analisi che forse avrebbe una utilità superiore a quella (peraltro buona) della ricerca finora condotta; l'obiettivo, infatti, è quello di portare una sensibilizzazione là dove essa è inferiore. Mi piacerebbe poi che il dottor Franchini, uno degli imprenditori che fin dall'inizio hanno sostenuto questa ricerca, presentasse alla Commissione la propria esperienza.
Come è facilmente immaginabile, le cause più frequenti di incidente sono rappresentate dalla scarsa perizia - e in questo senso vale molto il concetto di formazione - e da quel tipo di disattenzione che deriva da un eccesso di sicurezza causato dalla ripetitività del lavoro. Su questi aspetti riteniamo - perché lo abbiamo testato con una certa completezza di dati -che portare cultura in azienda potrebbe essere un elemento di grandissima importanza.
Questa è in sintesi la situazione che abbiamo riscontrato e il messaggio che vogliamo lasciare. Se le risorse che oggi vengono mediamente spese dalle aziende strutturate fossero portate all'attenzione del management in modo da costituire una gestione unitaria, se, quindi, all'interno delle aziende venissero individuate figure istituzionalmente preposte alla valutazione ed al controllo dei rischi, probabilmente si otterrebbero due risultati positivi: un contenimento dei costi globali, che spesso sono frammentati e sostenuti in modo quasi spontaneistico dalle funzioni aziendali, ed il raggiungimento di quella visione unitaria, di quel quadro d'insieme che permette all'azienda e all'operatore economico più in generale di sapere preventivamente quali sono le aree dove è bene essere presenti in anticipo o acquistare presidi di protezione.
Questo, in estrema sintesi, il quadro dei nostri risultati. Ovviamente possiamo discuterne più a lungo, fornendo ulteriori interessanti informazioni. Avrei però piacere che il dottor Franchini ci illustrasse la sua esperienza diretta di imprenditore e ci dicesse perché l'analisi che abbiamo condotto lo ha visto sensibile e protagonista sin dall'inizio.

PRESIDENTE
Prima di dare la parola al dottor Franchini, vorrei avere dei chiarimenti in merito ad alcuni miei dubbi. Sarebbe interessante conoscere il campione su cui avete condotto l'analisi. Infatti, ci avete solo fornito dei dati dai quali risulta che non ci sono malattie professionali e che la media degli infortuni è di tre all'anno. Sarebbe quindi utile conoscere il campione e la tipologia delle aziende analizzate.

PRANDI
Abbiamo intervistato 80 aziende; ho parlato volutamente di intervista perché abbiamo interloquito direttamente con 80 realtà. Questo lascia intendere che è stata fatta una preselezione a monte che non ci consente di affermare che il campione che abbiamo assunto rappresenta lo spaccato della realtà industriale. Abbiamo dialogato direttamente con quegli imprenditori che si sono resi disponibili a sedersi intorno ad un tavolo per mezza giornata per parlare con noi; questo significa che comunque c'era una predisposizione alla discussione della tematica.
Credo quindi che l'Associazione industriali che ci ha dato la possibilità di interloquire con le aziende conosca le varie realtà industriali e ci abbia indirizzato a quelle aziende presso cui avremmo potuto trovare una certa disponibilità.
Ritengo sia molto importante sottolineare - come ha già fatto il dottor Girelli - l'assenza di un unico interlocutore sulla questione della gestione del rischio: tra le imprese intervistate, in cui l'imprenditore conosce tutto in termini di business e di rischio industriale, mancava infatti un unico interlocutore per la tematica del rischio sociale.

PRESIDENTE
Vi è però la figura del responsabile per la sicurezza.

PRANDI
Non sempre.

PRESIDENTE
Allora si tratta di una omissione rispetto alla normativa.

PRANDI
Abbiamo discusso molto di questa tematica proprio ieri, casualmente, anche con i rappresentanti della Borsa presso la quale è in corso di ridefinizione il cosiddetto codice Capuano.
Sicuramente il responsabile per la sicurezza sui luoghi di lavoro esiste ma, a proposito della frammentarietà su cui si è soffermato il dottor Girelli, abbiamo rilevato che, a fronte di una legislazione che contempla le varie tematiche in maniera molto diversa (importantissima e sicuramente tra le prime quella del rischio sul lavoro), il risultato è che chi è al vertice dell'azienda talvolta non riesce a percepirne completamente l'importanza. Pertanto, ciò che è emerso in corso di ricerca e che è stato fortemente sottolineato dagli imprenditori è la necessità di riuscire ad affrontare la tematica del rischio a tutto tondo e, quindi, ad essere coinvolti nella gestione del rischio. La dimensione tecnica che spesso comporta la visione frammentata del rischio del lavoro, del rischio ambientale, del rischio finanziario, e quant'altro, vede i vertici dell'azienda in qualche modo assenti perché la tematica è troppo complessa.
Parliamo quindi di concretezza, elemento molto importante all'interno dell'azienda. Nessuno può negare che le aziende, evidentemente, devono lavorare per produrre un reddito, per sopravvivere, per dare lavoro ed utilità al contesto sociale. In questo ambito l'attività di gestione del rischio, se frammentata, troppe volte non vede coinvolto l'imprenditore, pure in un campione sensibile alla problematica; non si può dire che l'imprenditore sia assente, perché sicuramente non lo è, ma non è così coinvolto come lo è per altre tematiche.
Un aspetto che tutti gli imprenditori hanno sottolineato e da cui è nata l'attività della Fondazione, che ci hanno suggerito di continuare, è la possibilità di vedere l'oggetto azienda come un insieme unitario, in quanto tutte le attività di gestione dei rischi, che sono già contemplati dalla legislazione, fanno parte di una realtà chiamata a gestire anche rischi di altro tipo come quello ambientale, degli illeciti amministrativi e quant'altro.
La proliferazione di questi ruoli e delle attività di controllo, con linguaggi molto spesso diversi, con richieste di documentazione molto spesso diverse, con la responsabilità di soggetti molto spesso diversi (talvolta all'interno delle aziende esistono anche organigrammi separati), onestamente non aiuta l'effettiva, concreta e costante implementazione dell'attività di gestione del rischio sul lavoro. Pertanto, ci sentiamo di poter dire che una maggiore integrazione della normativa, e per certi versi, in alcuni casi, anche una semplificazione, può comportare sicuramente un maggiore coinvolgimento a livello decisionale del vertice dell'azienda.

PRESIDENTE
Questo è uno spaccato molto interessante e anche molto problematico.

PRANDI
Io non lo vedo come problematico; è comunque uno spaccato in qualche modo positivo. Si consideri che imprenditori molto coinvolti nella loro attività hanno dedicato una o due mezze giornate (qualcuno anche tre) a discutere di tali tematiche. Per questo non mi sento di dire che il campione è statisticamente valido, perché secondo me rientra comunque nel decile di maggiore sensibilità. Questi imprenditori vorrebbero fare di più e vorrebbero poter essere coinvolti. Vi assicuro che determinate documentazioni, anche per il loro livello di dettaglio tecnico, difficilmente riescono a vedere la presenza di chi effettivamente deve decidere un'implementazione corretta (lo dico anche sulla base di diverse esperienze professionali che ho condotto). Non possiamo dimenticare che tutta questa attività riguarda un unico oggetto, che si chiama azienda; vederlo con linguaggi, con sistemi, con caratteristiche e con la richiesta di prodotti documentali molto diversi non aiuta la concreta implementazione dei presidi di rischio.

PRESIDENTE
La problematicità non nasce certo dalla vostra attenta ed accurata indagine: è la vostra indagine che, a mio parere, fa emergere la problematicità. Quello che lei dice sicuramente lo ha riscontrato e noi ne prendiamo atto. Le problematiche di chi ha la responsabilità di un'azienda sono riconducibili a varie responsabilità; non c'è solo quella relativa alla sicurezza, ma ve ne sono anche altre. Verosimilmente, per chi gestisce ve ne sono alcune più pregnanti o comunque preminenti, che tra l'altro rappresentano l'aspetto di gestione economico-finanziario. Questo significa che probabilmente bisognerà creare una cultura della prevenzione, anche se la normativa attribuisce una specificità alla materia. Così come vi sono dei consulenti per quanto riguarda la gestione dei bilanci, vi sono anche dei consulenti ad hoc per quanto riguarda il rischio lavoro, che ovviamente costano e quindi pesano sul bilancio globale dell'azienda. Indubbiamente questo aspetto va rilanciato, se ho ben compreso la vostra indagine. L'1 o l'1,5 per cento del fatturato lordo aziendale, corrispondente al costo di una corretta attivazione di meccanismi di prevenzione e di sicurezza sul lavoro, rappresenta per l'azienda un impegno economico certamente significativo.

PRANDI
Questo 1,5 per cento, proprio perché non chiaramente individuato in un qualsiasi conto economico a scalare, è stato in qualche modo "scoperto" con gli stessi imprenditori nelle analisi svolte insieme: abbiamo cercato di ricondurre ad un valore la loro spesa e il loro investimento nell'ambito della gestione complessiva (non sto parlando solo di alcuni) dei rischi. In taluni casi, il risultato è stato sorprendente per gli stessi imprenditori; poi, ragionandoci sopra, abbiamo anche compreso - ne discutevamo proprio oggi con il dottor Franchini mentre ci recavamo qui -che in realtà possiamo considerare questa spesa sottostimata e cautelativa. Nello stesso tempo, questa spesa è rivolta quasi esclusivamente alla gestione del rischio; cioè si fa qualcosa in termini di protezione o di assicurazione, ma quasi niente in termini di analisi precedente e di controllo successivo.

PRESIDENTE
Scusi, perché lega l'aspetto della protezione con quello dell'assicurazione? Sono due aspetti diversi, per quel che ci riguarda. Desidero capire la vostra logica, per questo la interrompo.

PRANDI
La gestione del rischio, se vogliamo ragionare tout court, avviene con strumenti di protezione e di presidio del rischio; il rischio residuale può essere assicurato in terze economie (le assicurazioni).

PRESIDENTE
Dunque è una protezione.

PRANDI
Evidentemente dipende da come valutiamo il rischio, se dal lato sociale o dal lato economico; sono due modalità considerate dalla letteratura e dalla pratica quali strumenti di protezione dal rischio. Il complesso della spesa non era percepito dall'imprenditore perché costui non ha mai fatto un'analisi di questo tipo; secondo me - questa è la vera problematicità - la spesa non viene valutata sulla base di un'analisi precisa e di un assessment delle necessità dell'azienda. Nessuno aveva mai svolto un'indagine e una valutazione rigorose in termini di indice di frequenza e di importanza ("importanza" in termini di rilevanza per l'azienda) dei diversi impatti (diretti, indiretti e consequenziali) delle variabili di rischio. Nessuno, a fronte della spesa effettuata, valuta come questa spesa e questa implementazione di presidi di rischio diminuiscano il rischio stesso. Ciò significa che la spesa viene effettuata in modo quasi inconsapevole, in continuità con il passato; ma non è stata svolta, a livello di imprenditore e di decisore, una definita attività nel voler ridurre effettivamente il rischio complessivo dell'azienda e nel proporre anche all'esterno questa diminuzione del rischio, considerando il fatto che giungere ad un rischio residuo inferiore è in realtà un obiettivo strategico per l'azienda.
Secondo me la problematicità risiede soprattutto nelle modalità con cui la spesa è definita. Ritengo invece molto positiva l'attenzione che l'imprenditore o comunque questo spaccato delle imprese hanno offerto alla ricerca e alla sensibilizzazione. Per tale motivo, se mi consente, vorrei lasciare la parola al dottor Franchini, un imprenditore che gestisce un'azienda con 60 milioni di euro di fatturato, che opera nel settore della meccanica e che esporta il 90 per cento della produzione all'estero.

FRANCHINI
Signor Presidente, ringrazio lei e la Commissione per l'opportunità offerta alla mia società, il gruppo Franchini, che lavora nel settore della meccanica e della siderurgia. Vorrei portare la mia testimonianza, nell'ambito della tematica del rischio, soprattutto sull'aspetto degli incidenti sul lavoro. Grazie a Dio, nei cinquant'anni in cui ho gestito e gestisco questa azienda, grossi rischi e grossi danni non ne abbiamo avuti. Devo anche aggiungere che abbiamo investito moltissimo sulle persone che controllano e presiedono i reparti di produzione.
La nostra produzione per molti è un po' anomala: noi siamo forgiatori e produciamo pezzi che pesano fino a 120 tonnellate, di dimensioni gigantesche. Questo comporta una grande attenzione per quanto riguarda le persone che controllano tutta la movimentazione. Ciò che troviamo veramente difficile è istruire non tanto gli operai, quanto i quadri. Nella gestione dei quadri facciamo molta fatica, perché questi non sempre hanno dei riscontri oggettivi quando fanno delle osservazioni a coloro che hanno commesso errori nelle procedure di logistica e quant'altro. Si sentono quindi meno importanti per quanto riguarda il lavoro che svolgono. Abbiamo avuto diverse discussioni con il sindacato (anche se molto soft perché non c'è mai stato uno sciopero), proprio perché i lavoratori non portano il rispetto dovuto al proprio responsabile di reparto.
La nostra azienda fa almeno quattro ore a settimana di formazione per tutto quel che riguarda il rischio infortuni sul lavoro, rivolte ad un gruppo di 200 persone, quindi il costo è abbastanza importante. Non sono molto d'accordo sulla percentuale stimata dalla ricerca relativamente alla spesa per la gestione dei rischi, ovvero l'1 per cento. Infatti quando una lavoratore sbaglia nel fare qualcosa a livello di logistica, non solo determina un infortunio, ma crea anche un danneggiamento al prodotto che viene realizzato e questo non viene quasi mai calcolato nel rischio. Questi costi sono molto pesanti soprattutto nel settore siderurgico, trattandosi di pezzi che hanno un valore che va da un minimo di 100.000 euro ad un massimo di 400-500.000 euro, la disattenzione o l'errore, ad esempio, del tornitore basta che un tornitore commetta una disattenzione o un errore e c'è un perdita grave per l'azienda. Si può ben capire, allora, che se si include nel rischio il danneggiamento del prodotto, la stima dell'1 per cento non è più valida.

PRESIDENTE
Scusi, ma questo ragionamento cosa c'entra con gli infortuni?

FRANCHINI
C'entra, perché se per una disattenzione nella parte logistica cade un pezzo del valore di 50.000 o 100.000 euro, questo pezzo non viene più utilizzato nella meccanica.

PRESIDENTE
Quindi lei parla di infortuni del prodotto, non del lavoratore.

FRANCHINI
Se il lavoratore determina un infortunio nella logistica, cioè nello spostamento di un pezzo, soprattutto nella meccanica quando il pezzo è finito (perché i pezzi finiti di lavorazione meccanica hanno tolleranze di millesimi), quest'ultimo deve essere messo nel parco rottami e anziché venderlo a 10 euro al chilo si venderà a 0,40 euro. Per questo dicevo che non sono completamente d'accordo con il professor Prandi che stima nell'1 per cento la spesa per la gestione dei rischi.
C'è poi un altro aspetto che secondo me deve essere valutato: il rischio che riguarda la contrattualità con le aziende estere, soprattutto con le multinazionali, cui oggi l'impresa è sottoposta. Gli imprenditori sono costretti ad accettare contratti che non hanno alcun valore giuridico dal punto di vista della legislazione nazionale: un'impresa come la nostra, che lavora per gli Stati Uniti, è sottoposta alle normative dell'American Society of Mechanical Engineers (ASME) e a questa non interessano affatto le motivazioni pur valide che la società può avere, come uno sciopero, quando si tratta ad esempio del termine di consegna dei pezzi che un cliente americano come la General Electric pretende.

PRESIDENTE
Questa Commissione, però, si interessa di infortuni sul lavoro. Quello che lei ci ha descritto è un infortunio nella produzione. Il termine infortunio, peraltro, mi sembra anche improprio, perché si tratta più che altro di un errore tecnico che ha prodotto un danno e che lei chiama, in modo semplificato, infortunio. Questa Commissione si interessa degli infortuni del lavoratore, di tutti lavoratori, ad iniziare dal direttore che dovesse in qualche modo essere coinvolto in un infortunio. Quello che lei ha sviluppato è un altro tipo di ragionamento, per cui non si può più parlare certamente dell'1 o dell'1,5 per cento nello stimare le spese di gestione dei rischi, ma di una cifra che potrebbe diventare molto più alta, se si producono dei danni all'imprenditore. Anche se il suo ragionamento è interessante, non riguarda però gli interessi specifici della nostra Commissione d'inchiesta.

FRANCHINI
Forse non sono stato abbastanza chiaro, cercherò di spiegarmi con un esempio. Quando un lavoratore, che ha fatto il suo percorso formativo, per una distrazione determina un infortunio (certamente se cade un pezzo da 100 tonnellate il lavoratore muore), se, per un motivo o un altro, fa cadere un pezzo di una catena (anche se sono molte altre le situazioni che può creare), la stima fatta dal professor Prandi a mio avviso non è condivisibile.

PRESIDENTE
Ma questo non c'entra nulla con l'infortunio del lavoratore.

PRANDI
Poiché il dottor Franchini non ha avuto, per sua fortuna, nella sua azienda, esperienze dirette di infortuni importanti sul lavoro, ha considerato l'intera ampiezza della ricerca che abbiamo condotto ed a questa si è riferito. Credo che non aver avuto incidenti di particolare rilievo vada a merito della azienda Franchini. Ci sarebbero altre indicazioni da dare, ma mi avvio alla conclusione.

PRESIDENTE
Dica pure tutto ciò che ritiene: il nostro è un colloquio che ci serve a conoscerci e capire il linguaggio. Lei ha fatto un quadro che comprende una gamma generale, a 360 gradi, della realtà che l'azienda affronta in termini di infortuni e di costi e questo è un aspetto molto interessante della sua ricerca.

PRANDI
Ci teniamo a sottolinearlo, perché l'oggetto azienda è un oggetto unico e come tale deve essere valorizzato e analizzato. Maggiori sono le sfaccettature più è difficile che vi sia un reale controllo da parte dell'ente decisore ultimo, questa è una delle caratteristiche che sono emerse.
Per quanto riguarda i diversi stimoli che sono nati dalla ricerca, si è deciso di creare la Fondazione che, come sottolineato dal dottor Girelli, non ha scopi di lucro, ma è una Fondazione che continua sostanzialmente l'attività di ricerca in ambiti relativamente diversi e più ampi che ora cercherò di descrivere. Organi della Fondazione sono il comitato direttivo (di cui sono presenti oggi tre esponenti), il presidente, dottor Sonnino (che è anche presidente della Banca, nonché uno degli sponsor della ricerca prima e della Fondazione adesso, posto che sono indubbi i vantaggi di conoscenza da parte dell'ente creditizio delle entità definite), il direttore generale, un organo di revisione legale e un comitato scientifico che è in fase di definizione (stiamo ampliando la presenza della Fondazione e pertanto non abbiamo voluto trasferire tout court il comitato scientifico della ricerca nell'ambito del comitato scientifico della Fondazione, anche perché vorremmo darle un respiro più ampio, non più solo provinciale). Ci siamo comunque resi conto che tali organi non sono probabilmente sufficienti, quindi con la prossima decisione statutaria introdurremo le figure del tesoriere e del vice presidente, un comitato operativo, in modo da non coinvolgere il comitato direttivo con troppa frequenza, e l'ordine dei probiviri.
Si tratta di una Fondazione cui i vari soggetti partecipano in diversi ambiti: innanzitutto, i soci fondatori promotori, ovvero coloro che hanno dato vita alla Fondazione; i soci fondatori, soggetti tendenzialmente privati che si inseriscono con caratteristiche molto simili; i sostenitori istituzionali, enti di qualsiasi livello ed entità che hanno una credibilità ed un interesse per la materia del rischio; coloro che, invece, sostengono particolari ricerche ed infine gli aderenti, anche se la campagna per la loro individuazione non è ancora stata avviata in quanto non si è ancora conclusa la strutturazione della Fondazione stessa. Attualmente, a prescindere dai fondatori promotori (quelli indicati nella documentazione), abbiamo lavorato molto con gli enti istituzionali; allo stato, oltre all'Università di Brescia, ben tre sono le accademie che hanno aderito alla Fondazione.
Crediamo molto nella creazione e nella continuazione dell'attività di sistema e quindi, per il momento, è molto importante la presenza delle Università di Parma, Piacenza e Bergamo. Abbiamo altresì avviato contatti con altre tre università lombarde e del Triveneto. La Fondazione presenta caratteristiche fondamentali quali l'assenza di uno scopo di lucro, la conoscenza delle diverse problematiche, un approccio e un linguaggio che siano comprensibili con l'imprenditore. Io ho un'attività professionale ed insegno all'università, ma ho fatto l'imprenditore, ho fatto il manager e anche il ricercatore, e tutto questo mi ha permesso di avere una facilità di dialogo con gli imprenditori; lo stesso dicasi per gli altri componenti.
In questo ambito i prossimi passi che stiamo definendo sono quelli relativi agli approfondimenti orizzontali, cioè mirati ad altre aree, da attuare con una metodologia molto simile; ci stiamo dedicando anche agli approfondimenti di tipo verticale che prevedono la valutazione del risk management nell'ambito di altri settori. La ricerca ha valutato unitamente tutti i comparti, ma una mancanza che a mio avviso esiste è quella relativa alla focalizzazione dei diversi settori. Abbiamo quindi in animo di analizzare un po' per volta quelli di maggiore interesse. Abbiamo già avviato dei contatti soprattutto con il mondo edile, coinvolgendo nuovamente tutte le associazioni e le principali aziende di riferimento di questo ambito all'interno del quale sono stati individuati i primi forum group chiamati ad esaminare i rischi associati di particolare interesse per il mondo edile. Il rischio del lavoro è palesemente riconosciuto in questo ambito perché presenta alte percentuali di incidentalità; a ciò si aggiungano anche i rischi di corruzione, di infiltrazioni malavitose e i rischi ambientali. Il modello deve essere adattato a ciascun settore affinché si possano individuare i rischi più importanti. Le ricerche trasversali sono invece quelle che esaminano un determinato rischio (ad esempio, in materia di sicurezza sul lavoro) nei diversi settori.
Ci proponiamo di completare il quadro nel medio termine, perché vogliamo disporre di una compagine di ricerca realmente integrata con i diversi istituti universitari. Riteniamo che uno dei maggiori contributi che possiamo offrire sia di carattere propositivo, volto in qualche modo a ridimensionare l'apparato legislativo in modo tale che questo possa realmente essere a dimensione delle aziende medio-piccole nelle quali, ripeto, molto spesso abbiamo riscontrato uno scollamento tra l'implementazione tecnica e l'entità decisionale che è l'imprenditore.
Sarebbe anche molto interessante arrivare ad un risk score rating, senza voler scimmiottare altri istituti che offrono una serie di valutazioni di rating del rischio che abbiamo rilevato come non realistiche, ma che potrebbero invece aiutare l'imprenditore in primis a ragionare sulla propria azienda in un sistema più strutturato e più integrato. In realtà, la Fondazione si propone come un ente che ha caratteristiche di know-how accumulato in un approccio aziendalistico e che ha capacità di supportare qualsiasi entità che voglia studiare la problematica ed offrire un reale contributo e che, nello stesso tempo, chiede un minimo di supporto per fare sistema. Le istituzioni in primis, quindi anche la politica, possono aiutarci a superare quell'ottica di campanile che molto spesso riduce le potenzialità del nostro Paese e a creare una situazione innovativa a carattere internazionale.

PRESIDENTE
Professor Prandi, le saremo grati se ci farà avere la pubblicazione di cui ci ha parlato.
La ricerca che svolge la Fondazione è interessante in quanto presenta un taglio veramente originale. I ricercatori, infatti, si sono posti nella dimensione dell'imprenditore e nella sua visione globale dei rischi, a volte chiari, spesso nebulosi, a volte anche frammentati. Questo impedisce una corretta riproduzione dei costi e, soprattutto, degli effetti: un rischio finanziario, infatti, comporta certo delle conseguenze, ma il rischio connesso alla disattenzione nella gestione delle attività di prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro determina conseguenze di altra entità. La vostra ricerca ci consente di entrare nella mentalità dell'imprenditore che va meglio compresa anche in riferimento alle tematiche che la Commissione sta esaminando.
Vi siamo quindi grati per lo spaccato globale e non segmentato che riuscite a darci sul tema specifico che stiamo esaminando e che riguarda la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Poiché avete annunciato un approfondimento di questi temi, qualora doveste avere indicazioni particolari ed arrivare a conclusioni che possono interessarci vi chiediamo di fornirci questi dettagli per ampliare la conoscenza globale dei rischi riferiti all'ambito specifico che la nostra Commissione, nella pienezza delle proprie funzioni, sta valutando.
Vi ringrazio ancora per il vostro contributo e dichiaro conclusa l'audizione.


Note: Testi non rivisitati dagli oratori
Fonte: Senato della Repubblica