Corte di Appello di Trieste, Sez. 1, 15 luglio 2011 - Omessa valutazione del rischio di caduta dall'alto per lavori effettuati in quota


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI TRIESTE
PRIMA SEZIONE PENALE


La Corte d'Appello di Trieste,

I Sezione penale,

composta dai Magistrati:
1. dr. Francesca MORELLI - Presidente
2. dr. Donatella SOLINAS - Consigliere
3. dr. Gloria CARLESSO - Consigliere est.

Alla udienza pubblica del giorno 4 luglio 2011

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 


nel procedimento penale a carico di:
S.A. nato a Milano il *** residente a Trieste via ***
LIBERO-CONTUMACE

IMPUTATO
Del reato p. e p,. dall'art. 590 c.p. perché in qualità di datore di lavoro di C.C. in qualità di responsabile (procuratore speciale) della unità locale di D.A. della B. S.p.A. cagionava per colpa al predetto dipendente lesioni gravi - malattia della durata superiore a 40 giorni (traumi contusivi multipli all'emisoma destro, frattura di due costole, lacerazione renale destra con conseguente ematoma sottocapsulare).

In particolare per negligenza imprudenza imperizia e con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 4 co. 2 D.Lgs. 626/94) ometteva di valutare il rischio lavorativo derivante dall'utilizzo di una scala portatile per lavori in quota in situazioni di emergenza operativa di frequente verificazione (il blocco per sovraccarico della pompa a servizio della linea pasta legno n. 3, con necessità di intervento immediato - per evitare ulteriori gravi inconvenienti aprendo la valvola di scarico del tubo verticale contenente pasta legno e aprendo una valvola posta a m. 4 da terra e non altrimenti raggiungibile) e ometteva di adottare misure di prevenzione collettiva per ridurre il rischio derivante dall'uso della scala portatile (adeguando le condizioni dei luoghi di lavoro mediante installazione di una scala fissa o mediante installazione sul volantino della valvola di una catena di manovra che rinviava a terra il movimento di rotazione) con la conseguenza che il giorno 18 dicembre 2007, verificatosi il blocco della predetta pompa, C. dava corso alla procedura - non scritta ma consolidata - per il ripristino della funzionalità dell'impianto: apriva la valvola di scarico della pasta legno che presto fuoriusciva dal canale di scolo a perdere invadendo il pavimento della stanza rendendolo scivoloso, quindi saliva su di una scala portatile lasciata sul posto e pronta all'uso per aprire la valvola delle rete idrica: durante tale manovra la scala scivolava all'indietro e C. cadeva a terra da un'altezza compresa tra m. 1,98 e m. 2,24 riportando in conseguenza del fatto le lesioni sopra indicate.
Con l'aggravante delle lesioni gravi commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
In Duino Aurisina (Trieste) il ***

APPELLANTE:
L'imputato avverso la sentenza del Tribunale di Trieste di data 16 ottobre 2009 che visti gli artt. 533 e 535 c.p.p. dichiarava S.A. colpevole del reato ascrittogli e concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante lo condannava alla pena di mesi due di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali; pena convertita nella multa di Euro 2.280,00.

FattoDiritto



1. Con sentenza dd. 16 ottobre 2009 il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, all'esito di giudizio ordinario, dichiarava S. colpevole del reato di lesioni colpose cagionate per violazione delle norme di prevenzione infortuni sul lavoro a C. e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, lo condannava alla pena di mesi due di reclusione, sostituita con la multa di Euro 2280.
Sulla base dei documenti e delle prove testimoniali assunte e analiticamente riportate, il Tribunale riteneva provato che C.C., dipendente della C. di D. da 15 anni, e addetto alle mansioni di conduzione della Linea n. 3, era caduto da una scala a pioli mentre era intento ad aprire una valvola sita a 4 metri di altezza da terra, svolgendo una operazione necessaria per evitare che si bloccasse il ciclo di lavorazione della pasta di legno e tale da richiedere un certo sforzo fisico; ipotizzando dunque che la scala fosse scivolata non a causa della pasta di legno presente sul pavimento, ma a causa dei movimenti del dipendente richiesti dall'operazione, e considerando che questa era una operazione da farsi con una frequenza media mensile, tanto da collocare una scala a pioli proprio nelle vicinanze, il tribunale riteneva provato il profilo di colpa imputato al responsabile dell'unità produttiva C. del gruppo B. S.p.A. vale a dire non aver affatto valutato il rischio di cadute adottando di conseguenza le misure preventive necessarie a scongiurarne il verificarsi; respingeva il tribunale la tesi difensiva della eccezionalità dell'evento considerando che l'operazione era frequente e che veniva svolta proprio con le modalità descritte dall'infortunato, ossia con la scala a pioli e senza l'auto di altro collega (anche considerando che due erano gli operai in turno e che l'altro era addetto alla sala di controllo, sita al piano superiore).
Ritenuta dunque la penale responsabilità, il Tribunale irrogava la pena indicata, negando il riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno perché non vi era alcuna prova che la somma corrisposta coprisse tutto il danno né era spontaneamente offerta avendo dovuto la persona offesa rivolgersi a un legale per compulsarla; il risarcimento veniva valorizzato insieme all'incensuratezza ai fini della concessione delle attenuanti generiche, poste in equivalenza con l'aggravante contestata; la pena detentiva veniva inoltre sostituita dalla sanzione pecuniaria corrispondente.

2. Avverso la sentenza propone rituale e tempestivo appello il difensore dell'imputato lamentando in primo luogo che il giudice nella ricostruzione della vicenda fosse incorso in un travisamento dei fatti, in particolare del documento di valutazione dei rischi, essendosi basato non sul documento di valutazione dei rischi, ma su altro documento (doc. 1 della difesa) costituito da schede di valutazione redatte dal responsabile del reparto insieme al personale e utilizzate per la formale redazione del "documento di valutazione del rischio", quello effettivamente consegnato all'AS. e prodotto dal PM: in tale documento infatti risulta valutato il rischio di caduta che S. dall'impiego di scale e dalla posizione in quota di talune valvole; il giudice avrebbe travisato altresì il doc. 3 prodotto dalla difesa e formato nel maggio 2008 assumendone l'irrilevanza perché successivo all'infortunio e perché il rischio sarebbe stato eliminato in radice mediante l'installazione di un meccanismo di rinvio azionabile da terra; anche tale documento infatti secondo la difesa riproduce la valutazione del rischio già contenuta nel documento precedente ove si consideri che le valvole in quota altro non sono che una specificazione delle "valvole nel reparto"; sottolinea la difesa che la produzione del doc. 3 era proprio orientata a far apprezzare al giudicante la sostanziale coincidenza dei contenuti dei due documenti, considerando che se il secondo era stato ritenuto conforme a legge dalla AS., altrettanto doveva farsi per il primo documento; un ulteriore dato travisato sarebbe la circostanza che l'operazione compiuta dal C. avrebbe richiesto la necessaria presenza di un secondo lavoratore e che nessuno poteva essere presente perché vi erano due lavoratori in turno; l'assunto era smentito dai documenti in quanto vi erano in turno ben nove lavoratori, e il C. avrebbe potuto servirsi della collaborazione dell'aiuto di reparto, sia dell'addetto imbianchimento; ulteriore travisamento riguarda secondo la difesa il fatto che un aiuto non era affatto previsto mentre lo stesso infortunato sapeva che era previsto e che vi era la direttiva di richiederlo; occorre ritenere secondo la difesa che le direttive c'erano, erano state impartite e rispondevano anche a regole generali di prudenza; secondo l'appellante dunque, a fronte di una esaustiva valutazione del rischio di caduta dall'alto per lavori effettuati in quota e di direttive aziendali mai modificate che imponevano di operare sulle valvole in quota con la presenza di due operai, non doveva essere mosso alcun addebito al datore di lavoro; eccepisce dunque il difetto del nesso di causa tra la contestazione avanzata e l'infortunio patito dal C.; richiede la riforma della sentenza impugnata con declaratoria di assoluzione del S. perché il fatto non sussiste difettando radicalmente il nesso di causa tra le omissioni addebitate all'imputato e l'evento patito dal dipendente;

quale secondo motivo di appello lamenta la riconducibilità dell'evento all'imputato quale direttore di stabilimento in quanto, in base all'organigramma aziendale, non valutato dal giudice di prime cure, nel reparto si dovevano individuare in via gerarchica le figure del capo reparto (G.) dell'assistente di turno (M.) e, quindi, del conduttore (C.), ossia una organizzazione piramidale che garantiva attraverso la presenza di più operatori un costante controllo dell'operato del subordinato da parte del sovraordinato; tale organizzazione impone, secondo il difensore, di individuare, secondo il criterio delle effettive mansioni svolte, il soggetto su cui incombeva l'obbligo di controllo del rispetto delle direttive impartite, al di là della formale posizione di garanzia rivestita dall'imputato, soprattutto considerando che l'infortunio era avvenuto a causa di un comportamento del lavoratore distorto rispetto alla prassi aziendale; chiede pertanto la riforma della sentenza con declaratoria di assoluzione del S. per non aver commesso il fatto, essendo la posizione di garanzia sul punto ricoperta da altri e diversi soggetti;

quale terzo motivo di appello lamenta la misura della pena irrogata, contestando la mancata concessione dell'attenuante del risarcimento del danno, considerando in particolare che proprio in ragione della assistenza di un legale il C. aveva potuto pervenire a una soluzione sattisfattiva, né tale risarcimento poteva essere inteso non spontaneo sol perché il legale ne aveva fatto richiesta; chiede dunque il riconoscimento, dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p. da stimarsi prevalente sulla contestata aggravante; contesta infine anche l'entità della pena base in considerazione del comportamento dell'imputato che avrebbe meritato l'irrogazione della sola pena pecuniaria in via diretta e non in sostituzione di quella detentiva; chiede pertanto la rideterminazione della pena.

3. Il giudizio di appello, svoltosi nella dichiarata contumacia dell'imputato, all'esito della relazione e sentita la discussione e le conclusioni delle Parti, è stato definito con pronuncia di conferma della sentenza impugnata

4. L'appello è infondato.

È accertato e non costituisce motivo di impugnazione il fatto che il giorno 18 dicembre 2007 verso le 20.00 mentre il sig. C. è impegnato nel ruolo di conduttore nel settore pasta legno - linea 3 si verifica il blocco per sovraccarico della pompa a servizio della linea pasta legno n. 3; è un inconveniente che si verifica con una certa frequenza, in media una volta al mese; è necessario un intervento immediato per evitare il blocco dell'impianto e occorre provvedere subito ad aprire la valvola di scarico del tubo verticale contenente pasta legno e una valvola posta a m. 4 da terra per fluidificare l'impasto e ripristinarne la funzionalità; il C. afferra la scala portatile ivi collocata proprio per queste emergenze, ne appoggia la estremità superiore, dotata di due rotelle per lo scorrimento della scala, sulla condotta dell'aria, e l'estremità inferiore, dotata di piedini gommati sul pavimento, in parte costituito da una grata con le fessure visibilmente intrise di pasta di legno, pasta che già si sta spargendo sul pavimento, rendendolo scivoloso; sale dunque sulla scala per aprire la valvola della rete idrica posta in quota; durante tale manovra, che richiede anche un certo sforzo fisico, la scala scivola all'indietro e C. cade a terra da un'altezza compresa tra m. 1,98 e m. 2,24 riportando in conseguenza del fatto le gravi lesioni indicate nella imputazione.
L'analisi dei documenti prodotti dalla Difesa e dal PM unitamente alle testimonianze assunte consente di ritenere provato che:
nel 2002 B. redige con la collaborazione dei dipendenti delle schede di valutazione del rischio dovuto all'ambiente di lavoro per mansione: si tratta del documento n. 1 prodotto dalla Difesa; in queste schede (pag. 10 - aff. 47 del fascicolo) e in relazione specificamente alla mansione di "conduttore sala controllo" nella zona RPL3 (reparto pasta legno linea 3), quello in cui lavora il C., non vi è alcuna considerazione del rischio da cadute per lavori su valvole in quota che comportino l'uso di scale portatili;
è lo stesso B., responsabile di produzione della Linea 3 (e, prima responsabile dell'area materie prime, compreso il reparto pasta legno), che, assunto come testimone offerto dalla Difesa, lo ammette, su specifica domanda del PM (vds. Trascr. verbale udienza 16 ottobre 2009 pag. 55):

Domanda del PM: il rischio di caduta del personale operante in quota è valutato da qualche parte? ... io vedo qui "umido, rumoroso, scivoloso, pavimento sconnesso, polveroso, caldo..." non vedo pericolo di caduta o lavori sospesi, mi sbaglio?
Risposta di B.: no, non si sbaglia

D. PM: e lavorare a circa 3 metri e mezzo di altezza avrebbe comportato necessità di prevedere anche questo pericolo?
Risposta: probabilmente sì.

Il teste B. dunque riconosce, e subito dopo anche espressamente, che nelle schede di valutazione del rischio, prodromiche alla formazione del documento di valutazione dei rischi, redatto nel 2004 e prodotto dal PM, vi è questo "buco" (una defaiance la definisce il PM), ossia la mancanza di una specifica valutazione del pericolo di caduta per lavori "in quota".
La testimonianza di B. è particolarmente importante ove si consideri che egli collabora alla stesura del manuale di valutazione dei rischi, coinvolgendo il personale del reparto e distinguendo i rischi per tipo e per livello, come ben si evince dalle schede colorate prodotte dalla Difesa (doc. 1);
nello schema dei rischi così predisposto manca il rischio di cadute per l'uso delle scale portatili, sebbene fosse all'epoca molto frequente.

Nel documento di valutazione dei rischi del 7.4.2004 prodotto per stralcio dal PM nel corso dell'udienza del 16 ottobre 2010 (produzione cui il difensore si era opposto vds. Pag. 14 trascr. verbale), tra le attività a rischio è descritta anche la "regolazione valvole manuali nel reparto" e nella colonna "impianti, macchinari, mezzi e attrezzature" sono inserite "le scale"; viene dunque contemplato il "rischio di cadute dall'alto") inoltre, mentre quale DPI (dispositivo di prevenzione individuale) è inserito l'uso di "scarpe antinfortunistiche", nella colonna delle "cause/misure tecnico organizzative" viene evidenziato solo che "alcune valvole si trovano in quota" (situazione che, letteralmente si colloca come causa del rischio e non come misura tecnico organizzativa per prevenirlo);
lo stesso difensore sottolinea a questo punto che nessuna differenza si può notare tra il documento di valutazione dei rischi del 2004 e quello redatto nel 2008, dopo l'infortunio; va evidenziato però con riferimento al documento del 2008 che questo, pur contemplando una (nuova) colonna per la descrizione delle "misure di miglioramento", non reca alcuna specifica misura idonea a prevenire o eliminare il rischio di caduta per l'uso delle scale portatili, che costituiva specificamente il rischio connesso all'attività causa dell'infortunio;
correttamente dunque il teste C., dipendente dell'AS., ha ribadito che non era stato valutato il rischio per i lavori in quota; meglio sarebbe dire che era stato descritto, ma senza alcuna specifica indicazione delle modalità per prevenirlo o annullarlo.
Nel raffronto tra i due documenti di valutazione del rischio, il Difensore sostiene che se il documento di valutazione dei rischi prodotto dalla difesa (doc 3) è eguale a quello prodotto dal PM, deve dedursi che il rischio era stato valutato sin dal 2004 altrimenti l'AS. giammai avrebbe certificato l'ottemperanza delle prescrizioni impartite (vds verbale allegato all'atto di appello dd. 22 febbraio 2008);
il confronto attento dei documenti di valutazione dei rischi consente, piuttosto, di giungere a ritenere il contrario di quanto asserito dalla difesa, vale a dire che alla descrizione del rischio, pur indicato in entrambi i documenti del 2004 e del 2008, non è stata mai associata alcuna misura idonea a prevenirlo/ ridurlo o eliminarlo e, in tal senso, si giustifica l'imputazione di colpa che il rischio di caduta dalle scale portatili usate per le valvole in quota non sia mai stato adeguatamente valutato;
né la rassicurazione data dall'AS. può dirsi riferita o riferibile (come pretende la Difesa) al documento di valutazione dei rischi;
a ben vedere, infatti, "l'attuazione nei tempi e modi previsti di tutte le prescrizioni di cui al precedente verbale" (verbale che, si badi, non è in atti né la Difesa lo ha prodotto a sostegno delle proprie asserzioni) si riduce verosimilmente alla constatazione che era stata osservata la prescrizione (unica) di introdurre nell'impianto un rimando della valvola ossia una catena che consentiva di manovrare il volantino da terra (vds. foto n. 8 aff. 146), senza che fosse più necessario l'uso della scala per aprirla o chiuderla; l'osservanza di questa (sola) prescrizione (l'unica in effetti ricordata anche dal teste C. dell'AS.) ha consentito il pagamento della sanzione amministrativa (come documentato dalla difesa nel giudizio di appello) e il rischio poteva a quel punto dirsi eliminato in radice, come ha correttamente ritenuto il Tribunale.
Pertanto il non corretto richiamo dei documenti da parte del Giudice di prime cure, enfatizzato dal Difensore, non può dirsi affatto frutto, né causa, di un travisamento dei fatti e va respinto il primo rilievo del primo motivo di appello.
Né può dirsi travisato il fatto del numero dei dipendenti in turno, che il difensore assume essere nove e non due come ritenuto dal Tribunale.
Sul punto occorre evidenziare quanto è puntualmente emerso nell'istruttoria dibattimentale:
il teste G., offerto dalla Difesa, all'epoca caporeparto dell'area materie prime, con riferimento al tipo di intervento richiesto al C. (l'uso della scala portatile per il lavoro c.d. in quota che, per ammissione di tutti si verificava con una certa frequenza), richiama una norma di comune prudenza, ben nota ai lavoratori, norma che avrebbe imposto di usare la scala in coppia (un dipendente la regge a terra, l'altro sale); lo stesso teste conferma però che la necessità di intervenire immediatamente non avrebbe consentito al C. di chiamare l'assistente di turno (occorre intervenire immediatamente senza aspettare di trovarlo - pag. 63 verb. Trascr. Ud. 16.10.2009), al quale tuttavia, e comunque a intervento effettuato, si sarebbe dovuto segnalare l'inconveniente; dunque non nove ma eventualmente tre erano le persone che potevano in teoria essere presenti nell'impianto, ma poiché due erano impegnate in altro modo, e non erano immediatamente disponibili, all'intervento urgente il C. doveva provvedere subito e da solo;
orbene la norma di comune prudenza, che anche C. conosceva, avrebbe potuto essere rispettata se vi fossero stati nel luogo di lavoro, ossia presso l'impianto, almeno due dipendenti;
C. era solo in quell'impianto perché il suo compagno di turno era addetto alla sala controlli posta al piano superiore, afona, e raggiungibile con due rampe di scale (lo precisa lo stesso G. - pag. 66 verb. 16.10.2009 e il C., una volta a terra è consapevole che lì nessuno lo avrebbe sentito per soccorrerlo e perciò si trascina, nonostante le fratture fino al piano di sopra): io ero conduttore e il mio aiuto era M. ... ero solo perché siamo in due su un impianto: uno deve stare nella cabina afona su al primo piano a svolgere tutte le mansioni di fronte al computer... e un altro va in giro ad aprire e chiudere valvole... quindi ero solo in quel momento.
Un tempo, secondo il ricordo del C., vi erano tanti operai e l'uso della scala si poteva fare in due, ma poi il personale è stato ridotto: i primi anni... succedeva molto spesso questa cosa, eravamo sempre in tanti perché c'era sempre gente in più nel turno... all'epoca si andava sempre in due, uno teneva la scala e uno saliva, invece adesso si è in due... e il mio collega era su una sala di controllo che apriva e chiudeva, fermava i motori... fissava le manovre (pag. 30 trascr. verbale 16 ottobre 2009).
Dunque mentre il collega (S.) è addetto alla sala comandi, è lì deve stare, C. è sotto, il capo turno, M. non è presente e V., che coordina le attività come "responsabile dell'area" e lavora a giornata (ossia al di fuori dei turni di lavoro) se ne sta andando, è nei pressi della portineria quando vede entrare la Croce Rossa.


Dunque i "nove dipendenti" richiamati dalla Difesa sono si inseriti nell'Area materie prime - che comprende i reparti 1) pasta legno, 2) cellulosa 3) controllo acque (vds. Doc. PM aff. 141) - ma sono distribuiti nei vari impianti, come ben si evince dal mansionario prodotto dalla difesa stessa (incluso nel documento di valutazione dei rischi redatto nel 2008 - DOC 2):
né può sfuggire che il riquadro qualificato "RISERVE" che prevederebbe in organico due ulteriori dipendenti "di riserva" appunto, è privo di nomi, segno che nessun altro dipendente opera effettivamente nell'area (vds. Aff. 141).
Nel confronto tra il Doc. 2 Difesa (documento valutazione rischi del 5.5.2008) e il documento di valutazione dei rischi prodotto dal PM e redatto il 7 aprile 2004 si rileva, anche che non vi è alcuna differenza in ordine al personale dell'impianto Linea 3: - l'impianto di produzione della linea 3, fortemente automatizzato, è gestito dal conduttore (il C.) e dall'aiuto che ne controllano la funzionalità tramite DCS dedicato e intervengono sul campo con tutti i controlli e regolazioni necessarie al mantenimento degli standard di produzione;
si conclude allora osservando che non solo non vi sono variazioni di organico dal 2004 al 2008, ma che, dei dipendenti inseriti nell'Area, ben tre sono addetti all'impianto di produzione della linea 2 e ben quattro nei nastri di caricamento e solo 2 nell'impianto pasta legno linea 3;
è pur vero che tutti gli impianti sono gestiti sotto la supervisione dell'assistente di turno, ma questi ha compiti di coordinamento e controllo e solo occasionalmente, se necessario, aiuta il personale di turno a eseguire tutte le operazioni necessarie per il corretto funzionamento degli impianti (vds. a pag.31 del Doc. 2 prodotto dalla Difesa, aff. 79): se l'avverbio "occasionalmente" non coincide con l'intervento da farsi immediatamente il rischio di infortunio aumenta e in tale contesto infatti si è verificato.


Va dunque respinto, siccome infondato, anche il secondo motivo di doglianza in ordine all'asserito travisamento dei fatti riguardante il numero dei lavoratori addetti all'impianto, che correttamente, e in coerenza con le risultanze processuali, il giudice di primo grado ha considerato insufficienti per neutralizzare il rischio di caduta.

A fronte dunque di una carente valutazione del rischio di caduta dall'alto per lavori effettuati in quota e di direttive aziendali mai modificate che, pur imponendo di operare sulle valvole in quota con la presenza di due operai, sono di fatto impraticabili a causa della riduzione del personale effettivamente impiegato nell'impianto, sussiste sia il nesso di causa tra la contestazione avanzata e l'infortunio patito dal C., sia il preciso profilo di colpa ivi descritto.
E proprio in relazione al profilo di responsabilità che emerge dalle precedenti considerazioni, idoneo a implicare la valutazione dei rischi d'impresa e l'organizzazione del personale da impiegare, non può che attribuirsi a S.A., nel suo ruolo dirigenziale di responsabile e procuratore speciale dell'unità locale di D., la responsabilità dell'evento in esame, senza che la piramide dei ruoli dei sottordinati (G. - capo reparto, Ve. ingegnere di produzione, M. - assistente di turno) illustrata dalla difesa, possa consentire una qualsivoglia sostanziale delega delle sue competenze.

Va dunque respinto anche il secondo motivo di appello.
Infine, in ordine alla determinazione della pena, va osservato, quanto all'attenuante del risarcimento del danno, invocata dalla difesa, che essa può essere concessa ove il risarcimento intervenga prima dell'apertura del dibattimento (Cass 17 dicembre 2009 n. 1528, I.), fatto che non solo non è stato documentato dall'imputato, ma che deve ritenersi escluso dalle dichiarazioni della persona offesa che lo ha collocato temporalmente nell'agosto del 2009 (un mese-due mesi prima delle sue dichiarazioni rese il 16.10.2009), ossia oltre un mese dopo l'apertura del dibattimento (3 luglio 2009).
La pena irrogata, in considerazione della gravità delle lesioni e del grado di colpa viene ritenuta congrua sia nella scelta di pena detentiva, convertita in pena pecuniaria, sia nella misura e va pertanto confermata.
Il rigetto dell'appello comporta ex art. 592 c.p.p. la condanna dell'imputato al pagamento anche delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.


La Corte di Appello di Trieste, 1 sezione Penale
Visti gli artt. 592 e 605 c.p.p.
Conferma la sentenza del Tribunale di Trieste di data 16 ottobre 2009 appellata da S.A. che condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.