Corte di Appello di Trento, 06 settembre 2011 - Alberi abbattuti e scivolamento dei tronchi: omissione delle "carrucole di rinvio"
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI TRENTO
SEZIONE PENALE
Composta dai signori magistrati:
Dott. MARIANO ALVIGGI - PRESIDENTE
D.ssa IOLANDA RICCHI - CONSIGLIERE
D.ssa ANNA MARIA CREAZZO - CONSIGLIERE
ha pronunciato alla pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nei confronti di
1) M.A. nt. a Rabbi (TN) il *** residente a Rabbi (TN) fraz. *** (dom. det.)
Non sofferta carcerazione preventiva
LIBERO - CONTUMACE
2) RESPONSABILE CIVILE: I.
elettivamente domiciliata presso il difensore avv. A.D. di Trento via ***
IMPUTATO
del reato p. e p. dall'art. 590, co. I - II e III, c.p. perché - nella sua qualità legale rappresentante della ditta omonima e di responsabile per la sicurezza della medesima - per imprudenza, negligenza ed in violazione della normativa prevenzionale degli infortuni sul lavoro, cagionava al lavoratore dipendente Y. un "trauma cranico commotivo", con conseguente malattia di durata pari a giorni 90 e residui postumi permanenti all'orecchio sinistro, con riduzione della capacità uditiva; in particolare perché:
in violazione dell'art. 35, comma I e II, D.Lgs. 626/1994 ometteva di porre in essere misure tecniche ed organizzative atte ad evitare lo scivolamento incontrollato dei tronchi, che i dipendenti dovevano trascinare dal fondo boschivo (nella fattispecie reso particolarmente scivoloso a causa di una recente piovuta ed avente un inclinazione pari a circa 31 gradi) alla sottostante strada forestale, mettendo altresì a disposizione degli stessi dipendenti un'attrezzatura inidonea all'operazione, in quanto alla suddetta attività lavorativa, si provvedeva mediante l'utilizzo di un verricello (posizionato su una macchina operatrice posta a valle dei tronchi stessi) la cui fune di trascinamento risultava sprovvista di un idoneo punto di rinvio, costituito da carrucole che, opportunamente ancorate, avrebbero evitato l'incontrollato scivolamento a valle dei tronchi, sicché, proprio a causa di tale improvviso prevedibile e prevenibile accadimento, Y., lavoratore incaricato di manovrare il verricello, avvistosi del pericolo di investimento da parte di un tronco, si vedeva costretto a sbalzare velocemente dal mezzo lanciandosi lungo il pendio boschivo sottostante ove, perso l'equilibrio, sbatteva violentemente il capo riportando le lesioni sopra citate.
Fatto commesso in San Bernardo di Rabbi il ***
APPELLANTE
L'imputato avverso la sentenza del Tribunale di Trento sezione distaccata di Cles n. 73/09 del 07/12/2009 che 1) dichiarava l'imputato colpevole del reato ascritto e lo condannava alla pena di mesi 5 di reclusione; spese e tasse a carico; 2) condannava l'imputato ed il responsabile civile in solido al risarcimento del danno in favore della parte civile da liquidarsi in separata sede, oltre alla condanna alle spese costitutive di parte civile liquidate in Euro 2.400 oltre IVA, CAP e 12,5% spese generali, se ed in quanto dovuti;
Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal Consigliere Dott. Anna Maria Creazzo.
Sentito il sostituto Procuratore della Repubblica d.ssa Antonella Nazzaro come da decreto di data 03/05/2011 che conclude per la conferma integrale della sentenza impugnata.
Sentito il difensore della parte civile - Y. - avv. A. di Trento che presenta le conclusioni scritte e richiede il rigetto dell'appello. Sentito il difensore di fiducia - Responsabile Civile: I. rappresentato dall'avv. A. di Trento che chiede l'accoglimento dei motivi d'appello.
Sentito il difensore di fiducia avv. P., di Trento che chiede l'accoglimento dei motivi d'appello.
FattoDiritto
Con sentenza in data 7 dicembre 2009, il Tribunale di Trento, in composizione monocratica, condannava Mi., nella sua qualità di legale rappresentante e di responsabile per la sicurezza della omonima impresa, alla pena di mesi 5 di reclusione, in quanto ritenuto responsabile del reato p. e p. dall'art. 590, co. I - II e III, c.p., per avere, per imprudenza, negligenza ed in violazione della normativa sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro(art. 35, comma I e 11, D.Lgs. 626/1994), in particolare per l'omessa adozione di misure tecniche ed organizzative atte ad evitare lo scivolamento incontrollato dei tronchi, cagionato lesioni personali gravi al lavoratore dipendente Y. il quale, a causa di tale improvviso, ma prevedibile e prevenibile accadimento, si vedeva costretto a lanciarsi lungo il pendio boschivo sottostante ove, perso l'equilibrio, sbatteva violentemente il capo riportando "trauma cranico commotivo" da cui conseguiva malattia di durata pari a giorni 90 e postumi permanenti all'orecchio sinistro, con riduzione della capacità uditiva.
Il 20 luglio 2007 Y., dipendente del M., era intento a trasportare, a mezzo di un cingolato munito di verricello e fune, i tronchi degli alberi abbattuti quando, improvvisamente, i tronchi che il suo collega di lavoro aveva assicurato alla fune del verricello collegato al trattore condotto dalla parte offesa, scivolavano lungo il pendio: avvisato dal collega del pericolo, Y. era sceso dal mezzo e, correndo lungo il pendio verso la strada, era caduto sbattendo la testa, riportando così le lesioni riscontrate.
Secondo il Tribunale la responsabilità dell'imputato era dimostrata essendo pacifico che: l'infortunio era avvenuto nel corso di una prestazione di lavoro dipendente; il sistema usato per l'imbragamento dei tronchi era deficitario, non essendo previste le c.d. carrucole di rinvio; non era stato predisposto uno specifico piano di fuga o di messa in salvaguardia dei lavoratori in caso di incidenti quali quello verificatosi. Né rivestivano influenza su tale conclusione la asserita inopportunità della scelta del lavoratore (di correre verso valle nella stessa direzione dei tronchi); né era rilevante determinare se, al momento della caduta, il pericolo fosse cessato. Il modello elaborato dall'imputato al riguardo, per dimostrare l'assenza di nesso causale fra l'improvviso scivolamento dei tronchi e l'infortunio, non teneva conto dell'impossibilità di determinare con certezza la distanza, nei vari momenti dell'incidente, fra i tronchi e la parte offesa, non essendo chiaro il punto di partenza di quest'ultima; il momento in cui avrebbe potuto percepire la cessazione del pericolo (dati i rumori provocati dalla caduta dei tronchi); la direzione in diagonale dei tronchi (e non in verticale), circostanza che non consentiva a chi scappava di prevedere il percorso ed il punto di arresto dei tronchi.
In ogni caso, anche se le conclusioni a cui si giungeva sulla base del modello elaborato della difesa, secondo cui la caduta era avvenuta quando i tronchi avevano raggiunto la posizione di quiete, fossero ritenute valide, andava considerato che il pericolo era stato percepito e segnalato da un collega di lavoro e non dalla parte offesa, la quale, quindi, non avrebbe potuto elaborare tutte le stime necessarie all'operatività del modello proposto.
Pertanto, esclusi l'autoallarme e l'abnormità della condotta del lavoratore, la caduta era effetto della corsa determinata dal pericolo conseguente lo scivolamento dei tronchi, e il reato contestato doveva ritenersi perfettamente integrato.
Avverso la sentenza ha proposto appello l'imputato lamentando l'erroneità della decisione fondata su argomentazioni non condivisibili, non essendo stati compiutamente accertati fatti decisivi alla ricostruzione dell'incidente.
Infatti: non era stata in alcun modo chiarita l'eziologia della lesione subita dalla parte offesa, non colpita né da tronchi, né da cavi di traino dei tronchi; non vi era stata alcuna verifica del tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere il luogo in cui era stato soccorso, né il percorso seguito; il pendio lungo cui erano caduti i tronchi era privo di cespugli e di alberi di alto fusto, quindi in zona con piena visibilità, e la caduta era iniziata prima che la parte offesa scendesse dal cingoletto; Y. aveva superato indenne il punto dopo il quale i tronchi non avrebbero più potuto colpirlo. Non essendo state acquisite certezze in ordine alle questioni indicate non era possibile individuare un "percorso contro fattuale" idoneo a collegare la violazione della regola all'evento lesivo, con conseguente impossibilità di ipotizzare la sussistenza del nesso causale; anzi, il modello elaborato, anche tenendo conto di una velocità di caduta dei tronchi analoga a quella tenuta dalla parte offesa nel correre, comunque dimostrava che Y. era caduto quando il pericolo era cessato da 11 secondi.
Lamentava infine l'eccessività della pena inflitta, determinata utilizzando due volte (per la scelta della pena detentiva e per l'entità) i criteri di cui all'art.133, operazione non consentita, e la "inammissibilità, nullità, infondatezza della costituzione della parte civile" per omessa esposizione delle ragioni della domanda avanzata. In particolare rilevava che, avendo ricevuto un risarcimento da parte dell'INAIL, la parte offesa avrebbe dovuto specificare "quale era la voce di danno non rimborsato che egli intendeva chiedere".
Concludeva pertanto per la riforma della sentenza impugnata in accoglimento dei motivi proposti.
Osserva La Corte: con l'appello proposto, sottolineati le incertezze circa la causa della lesione patita dall'Y., il "percorso" seguito dai tronchi nello scivolamento verso valle e quello della stessa parte offesa prima della caduta, la possibilità che quest'ultima potesse vedere i tronchi mentre scivolavano, ed il fatto, pacifico, che non erano stati i tronchi a colpirla, il M. sostiene l'assenza di prove "concrete" della sua responsabilità, per l'impossibilità di stabilire quali regole idonee ad evitare l'evento sarebbero state violate.
Il giorno dell'infortunio (20 luglio 2007) Y. era addetto al recupero dei tronchi tagliati e, in particolare, guidava il piccolo cingolato provvisto di verricello posizionato sulla strada forestale: il collega, R., che si trovava nel bosco sopra la strada, dopo aver legato alla fune del verricello due tronchi, aveva chiesto all'Y. di azionarlo per trainarli a valle, ma quando quest'ultimo lo aveva fatto i tronchi, improvvisamente, erano scivolati. Accortosi del fatto il R. avvisava Y. il quale, al segnale di pericolo del collega, era sceso dal cingolato e si era avviato di corsa lungo il pendio sottostante; era quindi caduto ed aveva riportato un grave trauma cranico.
Gli ispettori del lavoro intervenuti hanno accertato l'assenza di un dispositivo (carrucole di rinvio) che, se presente, avrebbe sicuramente evitato l'incidente, come espressamente affermato nel corso del suo esame dal teste G., permettendo al lavoratore di operare fuori dalla traiettoria di caduta dei tronchi. Nessun dubbio sull'assenza di tale meccanismo, ammessa dallo stesso imputato che lo ha riconosciuto in sede di spontanee dichiarazioni, con cui ha anche affermato di ritenerlo inutile se non fonte di ulteriori pericoli, senza che però di tale asserzione sia i stato fornito alcun riscontro.
Lo svolgersi dei fatti descritti risulta dalla relazione redatta dagli Ispettori del lavoro che hanno eseguito gli accertamenti, acquisita agli atti del dibattimento, e dalle deposizioni rese da questi ultimi: con la denuncia del sinistro presentata all'INAIL, lo stesso Mi. dichiara che "l'operaio era addetto all'abbassamento del legname tramite cingolato con argano" e, quando "una pianta al traino prendeva velocità" l'operaio "preso dal panico fuggiva a valle rotolando su rocce sottostanti", riportando "grave trauma cranico".
La dinamica dell'infortunio non presenta dunque zone d'ombra significative: dopo averlo visto fuggire perché gli era stato segnalato il pericolo rappresentato dai tronchi in scivolamento incontrollato, i suoi colleghi e lo stesso datore di lavoro lo ritrovano più a valle a terra privo di conoscenza. Non può esservi spiegazione diversa dalla accidentale caduta e quindi dal conseguente urto contro una roccia o un sasso per spiegare, come peraltro puntualmente dichiarato nelle denuncia di infortunio, le lesioni riportate, a meno di voler immaginare che la parte offesa sia stata volontariamente attinta alla testa con un corpo contundente.
Né risulta difficilmente prevedibile la caduta della parte offesa, dato che a questo risultato concorrevano non solo la concitata corsa lungo un pendio scosceso di un bosco, ma anche le caratteristiche del terreno reso scivoloso dalla pioggia caduta poco prima.
In ogni caso non può essere ritenuto rilevante accertare se "la parte offesa abbia sbattuto su un sasso dopo essere inciampata" o "se sia stata attinta da un ramo sporgente prima della caduta", o se sia "inciampata dopo essersi fermata a vedere il percorso dei tronchi" in quanto ciascuna di queste ipotesi, con esclusione dell'ultima francamente illogica ed inverosimile, non sposta i termini delle questioni. L'appellante, rilevando ancora che Y. non era stato colpito da imo dei tronchi che si erano mossi, ricava l'insussistenza del nesso causale fra l'accidentale scivolamento a valle dei tronchi assicurati alla fune e le lesioni riportate dal lavoratore. Infatti quest'ultimo avrebbe potuto accorgersi della direzione presa dai tronchi, quindi stimare il percorso da questi seguito per mettersi in salvo seguendo una diversa via corretta, sicché il rapporto di lavoro sarebbe stato solo l'"occasione" ma non la causa dell'incidente subito dalla parte offesa che, secondo le stime dell'appellante, avrebbe potuto accertarsi del percorso seguito dai tronchi e, in ogni caso, aveva coperto diversi metri oltre il punto in cui i tronchi si erano fermati, prima di cadere e di infortunarsi. Per l'appellante, in particolare, la parte offesa aveva percorso circa 45 metri dopo l'abbandono del cingolato su cui si trovava, aveva impiegato circa 23 secondi e 13 secondi senza che vi fosse alcun pericolo per la sua incolumità prima di raggiungere il punto di quiete, dati rilevanti considerando che "poteva avere contezza" della direzione delle piante data la visibilità esistente "dal luogo in cui si trovava la cingoletta".
Seguendo le argomentazioni elaborate sulla base dei dati rilevati, la parte offesa, dopo aver sentito le grida di allarme dei suoi colleghi, avrebbe dovuto osservare il pendio, accertarsi del tipo di piante che stava venendo giù, quindi individuare il percorso da queste seguito per scegliere la via di fuga migliore e fermarsi al momento giusto non appena superato il punto in cui i tronchi si erano fermati.
In assenza di ogni formazione o istruzioni sul punto, anche semplicemente di qualunque indicazione su segnali convenzionali diversi a seconda delle evenienze, il solo comportamento possibile da parte del lavoratore che viene genericamente avvisato di un pericolo è la fuga: a colui che è costretto a scappare in assenza di qualunque supporto o di segnalazione sulle modalità più opportune da adottare, non può essere addebitato di non aver osservato la scena per decidere quale strada sarebbe stata la più idonea.
Se l'istruzione è quella di mettersi in salvo come meglio si crede, è rimesso alla abilità di ciascuno la ricerca della modalità: nel caso concreto in esame Y. non ha certo tenuto una condotta talmente anomala da interrompere il nesso causale con l'incidente subito essendosi limitato ad allontanarsi, il più velocemente possibile, da una posizione che gli era stata segnalata come rischiosa (ed infatti il cingolato su cui si trovava rovinerà a valle).
Fuggire quando ti è segnalato di farlo e conseguentemente cadere su un terreno accidentato e scivoloso come un bosco dopo un temporale, non integra certamente quel diverso "percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale" tale da poter essere considerato "un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta", che, come costantemente affermato dalla Corte di cassazione, perché possa ritenersi interrotto il nesso causale fra la violazione delle norme e l'infortunio 20272 del 16/05/2006 L. e altro.
Il trattamento sanzionatorio appare adeguato alla serietà del fatto contestato, al comportamento ed alla personalità dell'imputato il quale, nonostante le puntuali indicazioni dell'ispettore del lavoro circa la violazione delle regole in termini di sicurezza dei lavoratori, ha insistito nell'affermare la correttezza del suo operato. Si duole infine l'imputato del risarcimento accordato alla parte civile rilevando che la domanda sarebbe inammissibile per la genericità della formulazione, dato che vi erano stati dei pagamenti da parte dell'INAIL.
La doglianza è infondata: come costantemente affermato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, "l'impegno argomentativo necessario a giustificare l'esercizio dell'azione civile nel processo penale dipende dalla natura delle imputazioni e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata; ne consegue che quando tale rapporto sia immediato (come nella specie, in cui si denuncia il reato di minaccia), ad integrare il requisito previsto dall'art. 78, comma primo, lett. d) cod. proc. pen. è sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto" (Cass. 13 dicembre 2006 n. 11544, I. B. e altri) nella specie sicuramente soddisfatto. Le eventuali limitazioni al risarcimento del danno conseguenti all'intervento dell'INAIL sono poi questioni che saranno risolte dal Giudice che provvederà alla liquidazione.
P.Q.M.
Visto l'art. 605 c.p.p.
Conferma la sentenza impugnata e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 1.500,00 maggiorati del 12,5% per spese generali, oltre IVA e CNPA. Fissa il termine di giorni 60 per il deposito della sentenza.