Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 19 dicembre 2011, n. 46839 - Lavori di restauro e risanamento conservativo di una casa colonica, crollo della muratura in pietra e variante esecutiva


Responsabilità per il decesso di un lavoratore e per le lesioni occorse ad altro lavoratore: i due, operai edili, erano intenti ad eseguire lavori di sottofondazione, nell'ambito di lavori di restauro e risanamento conservativo di una casa colonica, quando la muratura in pietra che li sovrastava era crollata per il collasso della "parete in terra" che stavano perforando, al di sotto della quale rimanevano seppelliti.

Si procedeva per i reati, indicati in premessa, a carico del CA. An. , nella qualità di datore di lavoro degli operai, di ME. Pa., nella qualità di Coordinatore della Sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, nonchè di direttore dei lavori e di BE. Ma. Be. qualità di responsabile dei lavori.

Condannati, ricorrono in Cassazione - Rigetto

L'elemento cardine su cui ruota la motivazione della sentenza impugnata è che nell'esecuzione dei lavori non sono state seguite le indicazioni del progetto iniziale che pur prevedeva, in riferimento alla situazione dei luoghi stimati, modalità operative che garantivano la sicurezza dei lavoratori, e nel contempo, di fronte alla diversa situazione reale, non è stato approntato alcun nuovo progetto che sopperisse, con misure idonee, l'erronea valutazione della situazione dei luoghi.

Condivisibile sul piano della logica, in quanto aderente ad una ricostruzione dei fatti incontestabili, è la motivazione, sul punto, della sentenza censurata circa la non ravvisabilità del caso fortuito (piuttosto che della forza maggiore) essendo del tutto prevedibile, in ragione delle modificate modalità operative, e, quindi, evitabile, il crollo del muro che ha cagionato l'evento letale.

Quanto alla posizione del datore di lavoro, infondato è il ricorso e decisivo il rilievo dei giudici di merito: il Ca. non solo non adeguava, sotto il profilo della sicurezza, quella che è risultata essere una vera e propria variante esecutiva ai lavori previsti in progetto (in tal senso egli avrebbe dovuto richiedere un aggiornamento del PSC cui adeguare poi il POS) ma ha persino omesso di rispettare quelle che erano le prescrizioni, comunque, contenute nel PSC per i lavori di sottofondazione.

Altrettanto manifestamente infondate sono le argomentazioni, poste a base dei motivi del ricorso del ME. , relative alla dedotta non riferibilità al ricorrente delle contestate norme antinfortunistiche.


Il Decreto Legislativo n. 494 del 1996 ha introdotto, appunto, la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l'organizzazione della sicurezza in cantiere. E il riferito articolo 5 affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni.

Ed è un dato di fatto che l'esecuzione dei lavori aveva subito una evoluzione ma nessuna modifica era stata apportata al piano di sicurezza e coordinamento, consentendo il ricorrente che si proseguisse, alla presenza di mutate condizioni di lavoro, senza che fossero apportate idonee misure di sicurezza.

In ordine infine alle censure del responsabile dei lavori, non si contesta di non aver contribuito alla modifica del POS o del PSC, quanto di non aver svolto il ruolo espressamente previsto dal Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6 di "trait d'union" tra la ditta esecutrice e coordinatore di sicurezza, non avendo posto in essere i controlli finalizzati, da un lato a garantire che la ditta applicasse le disposizioni contenute nel PSC e nel progetto esecutivo, accettando, invece, che i lavori venissero realizzati in modo del tutto difforme, dall'altro omettendo di sollecitare adeguamenti del PSC in base alla situazione venutasi a creare concretamente, mancando, poi, di verificare la idoneità del POS, risultato sul punto del tutto carente.

Circa i compiti e gli obblighi gravanti sul "Responsabile dei lavori", torna utile prendere le mosse dal disposto di cui al Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6, comma 2, nel testo risultante a seguito delle modifiche ed integrazioni appartate dal Decreto Legislativo n. 528 del 1999, norma la quale prevede che "La designazione di coordinatori per la progettazione e di coordinatori per l'esecuzione dei lavori non esonera il committente e il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 4, comma 1, e articolo 5, comma 1, lettera a)."

 


 

 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe Presidente del 02/11/2 -

Dott. ZECCA Gaetanino Consigliere SENTE -

Dott. D'ISA Claudio rel. Consigliere N. 1 -

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco Consigliere REGISTRO GENER -

Dott. VITELLI CASELLA Luca Consigliere N. 46750/2 -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 


sul ricorso proposto da:

1. ME. PA. n. il (Omissis);

2. BE. MA. n. il (Omissis);

3. CA. AN. n. il (Omissis);

Avverso la sentenza della Corte d'Appello di Ancona n. 2256/2008 del 27.05.2010.

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

Udita in PUBBLICA UDIENZA del 2 novembre 2011 la relazione fatta dal Consigliere dott. CLAUDIO D'ISA;

Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Luigi Riello che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.

Udito il difensore della parte civile - eredi Al. - avv. Francesco Saclone che si è riportato alle conclusioni scritte. Per la parte civile Ta. Fa. , l'avv. Scaloni Francesco, in sostituzione dell'avv. Piattone Savino, che si riporta allae conclusioni scritte.

Per l'imputato ME. l'avv. Serrini Cesare insiste per l'accoglimento del ricorso.

Per l'imputato BE. , l'avv. Riccardo Galazzi chiede l'annullamento della sentenza senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.

Per l'imputato CA. l'avv. Mazzei G. Maria si associa alla richiesta dell'avv. Galazzi.

Fatto



ME. PA. , BE. MA. e CA. AN. ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 27.05.2010, della Corte d'Appello di Ancona che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti dal Tribunale dello stesso capoluogo il 9.10.2007, in ordine i reati di cui agli articoli 113, 40, 589, comma 2 e comma 3, articolo 590 cod. pen., comma 3, ha ridotto per ciascun imputato la pena inflitta in primo grado.

La vicenda processuale che ci occupa riguarda il decesso di Na. Al. e le lesioni occorse, il 2.01.2003, a Ta. Fa. , operai edili, intenti ad eseguire lavori di sottofondazione, nell'ambito di lavori di restauro e risanamento conservativo della casa colonica di proprietà di Gr. Ma. , sita nel Comune di (Omissis).

Il decesso del Na. e le lesioni del Ta. venivano provocati dal crollo della murature in pietra che li sovrastava, cagionato dal collasso della "parete in terra" che stavano perforando, al di sotto della quale rimanevano seppelliti. Si procedeva per i reati, indicati in premessa, a carico del CA. An. , nella qualità di datore di lavoro degli operai, di ME. Pa. , nella qualità di Coordinatore della Sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, nonchè di direttore dei lavori e di BE. Ma. Be. qualità di responsabile dei lavori. All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale, acquisito, sulla base dei risultati probatori, che il crollo della parete, che aveva sepolto le persone offese, era direttamente collegato ad un'esecuzione difforme dei lavori di sottofondazione rispetto alle modalità operative indicate nel progetto, che aveva creato le condizioni di rischiosa riduzione di portanza del terreno sottostante il muro perimetrale, nel tratto interessato dai lavori in corso al momento dell'incidente, individuava le seguenti responsabilità:

- relativamente a Ca. An. , datore di lavoro dell'impresa appaltatrice, per aver disposto l'esecuzione dei lavori in modalità difformi dal progetto strutturale, omettendo di adottare essenzialmente gli accorgimenti necessari per la salvaguardia dell'incolumità dei lavoratori ed omettendo di disciplinare in alcun modo, sotto il profilo della sicurezza, la variante esecutiva legata alla diversa quota del piano di appoggio dei muri, di cui sopra;

- relativamente, all'ing. Me. Pa. , coordinatore della sicurezza, per aver accettato un Piano Operativo di Sicurezza aspecifico ed omesso il controllo circa l'esecuzione di lavori di sottofondazione in modalità difformi da quanto previsto nel Progetto Esecutivo e nel Piano di Sicurezza e Coordinamento, omettendo in ogni caso di adeguare quest'ultimo alla diversa profondità dei muri perimetrali emersa nella concreta esecuzione degli scavi, e di controllare conseguentemente l'applicazione del Piano di Sicurezza e Coordinamento da parte della impresa; - relativamente al geom. Be. Ma. , responsabile dei lavori, per avere in particolare omesso il controllo circa l'osservanza, da parte della impresa, delle disposizioni inerenti alle modalità esecutive delle sottofondazioni contenute nel Progetto Esecutivo e nel PSC. Ed omesso di rilevare l'esecuzione di lavori in modo difforme e di sollecitare conseguentemente opportuni adeguamenti del PSC e verifica di idoneità del POS.

La Corte d'Appello, nel fare proprio il percorso argomentativo della sentenza di primo grado, ha rigettato, all'esito di un'approfondita analisi, gli appelli degli imputati in quanto ritenuti infondati, procedendo unicamente ad una modifica dell'entità della pena.

CA. AN. , con un primo motivo, denuncia difetto di motivazione per non avere la Corte distrettuale motivato in ordine alle prove a discarico offerte dall'imputato, per non aver spiegato le ragioni "per cui tali prove non sono state considerate o sono state disattese dal giudice di primo grado o, comunque, non sono state ritenute sufficienti per addivenire ad una pronuncia assolutoria per l'imputato". La motivazione della sentenza di appello, relativamente alla tesi difensiva, secondo cui il crollo del muro è dipeso dal caso fortuito o dalla forza maggiore, basata essenzialmente sul rilievo che il crollo è conseguenza diretta di erronea modalità di svolgimento dei lavori, è illogica in quanto non sono stati valutati nella giusta misura i dati fattuali offerti a discarico. Primo fra tutti il dato che i lavori di sottofondazione, identici a quelli che gli operai si accingevano ad eseguire il giorno del crollo, erano stati eseguiti con successo per gran parte del perimetro dell'edificio a conferma delle elevate caratteristiche di resistenza del terreno, avvalorando il convincimento dei progettisti, direzione dei lavori ed impresa, che la tecnica di lavorazione utilizzata fosse idonea a garantire la stabilità dell'edificio e l'incolumità dei lavoratori. La carenza di motivazione, dunque, viene evidenziata con riferimento all'assunto della Corte secondo cui la precarietà del terreno ove appoggiava il muro crollato era di tale evidenza che anche un semplice muratore avrebbe potuto vedere quello che gli ingegneri e i geologi non hanno individuato. Si mette in evidenza che: a) non vengono considerati gli elementi indicati come prove a discarico quali la perizia del prof. Pa. e la relazione del geologo Fi. ; b) non vengono considerate le parti della perizia dell'ing. Greco favorevoli all'imputato; c) non si considera il probabile errore progettuale che ha portato ad una modifica dei lavori ed un adattamento degli stessi allo stato dei luoghi; d) non si motiva in ordine a quella singolarità del terreno di cui parla la perizia Gr. che è stata causa del crollo, non prevedibile e non evitabile.

In sostanza, si eccepisce un travisamento dei fatti consistito nel considerare gli elementi a discarico dell'imputato non presenti negli atti processuali.

Con un secondo motivo si denuncia altro vizio di motivazione con riferimento alle modalità di esecuzione dei lavori ed alle difformità dal progetto. I lavori non potevano essere eseguiti in maniera differente da quella adottata rispetto a quella prevista dal progetto. Tale problematica non è stata analizzata dalla Corte. Non è stato considerato il dato,emergente dalle perizie, che tutto il terreno su cui poggia l'edificio garantiva, per la sua compattezza, l'esecuzione dei lavori alle sottofondazioni; purtroppo solo la singolarità del terreno di fondazione proprio in corrispondenza della base dell'arco (zona dell'infortunio) ha determinato condizioni di stabilità completamente diverse da quelle presenti nelle restanti parti dell'edificio.

Quanto alle specifiche responsabilità contestate al CA. si evidenzia che le varianti adottate per il prosieguo dei lavori (realizzazione degli scavi spinti fino a 120 cm anzichè 30 cm. previsti in progetto ed esecuzione dei fori passanti non sulle murature ma sul terreno sotto la base delle murature) non sono e non possono essere state il frutto di decisioni autonome del CA. . Dunque, trattandosi di una carenza di previsione in fase progettuale (quella di non aver ben accertato la profondità delle mura di fondazione), la Corte non ha tenuto conto che di essa non è responsabile l'impresa, ovvero il CA. . Una volta accertata la diversa profondità delle mura di fondazione, non si poteva più operare su di esse ma si doveva necessariamente operare sul terreno sottostante le murature, si trattava di realizzare un nuovo progetto come necessario adattamento dello stato dei luoghi, ed è del tutto inverosimile che adeguamenti così radicali siano stato il frutto di decisioni autonome del ricorrente. Che le modalità operative successivamente adottate non siano state decise dall'impresa è confermato dal fatto che non risulta agli atti che all'impresa sia stato mosso alcun rilievo o contestazione sulle nuove procedure attuative. Per altro il CA. anche sul piano pratico non avrebbe tratto alcun vantaggio dall'eseguire altre modalità di intervento non recepite o concordate dai progettisti e dal direttore dei lavori.

Con il terzo motivo il ricorrente evidenzia carenza di motivazione sulla mancata concessione delle attenuanti generiche da ritenere prevalenti sulla contestata aggravante.

Con il quarto motivo si eccepisce la nullità per omessa notifica degli atti di appello delle altre parti, nonchè l'avviso di fissazione dell'udienza per l'8.04.2010 innanzi alla Corte d'Appello al difensore avv. Mazzei. In particolare, quanto alla omessa notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza, si deduce che l'avv. Mazzei, difensore del ricorrente, ebbe notizia di essa da altri colleghi e si presentò in udienza solo per eccepire la nullità. Ma la Corte d'Appello, preso atto di quanto eccepito, si limitò a rinviare l'udienza al 27.05.2010, senza disporre la rinnovazione della notifica del decreto di citazione a giudizio così incorrendo in una nullità assoluta.

Con il quinto ed ultimo motivo si eccepisce la prescrizione del reato previa concessione delle attenuanti generiche prevalenti alle contestati aggravanti.

L'imputato ME. Pa. , con un primo motivo, denuncia violazione di legge con riferimento al Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articoli 2, 5, 6 e 8, che designano gli obblighi del Coordinatore della sicurezza in fase di esecuzione. Si deduce che si è giunti alla affermazione della responsabilità del ricorrente sulla base di un'errata ed ingiustificata equiparazione della figura del responsabile dei lavori con la figura del Coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione. Si rileva che il CSE non è obbligato alla vigilanza operativa del cantiere ma solo ad una funzione di alta vigilanza che non si confonde nè si fonde con quella del committente, del datore di lavoro e del responsabile dei lavori. Non era, non poteva e non può ritenersi obbligo di ME. verificare momento per momento la corretta esecuzione delle singole lavorazioni in quanto quegli adempimenti sono di competenza di altre figure. Diversamente da quanto evidenziato normativamente la Corte d'Appello ha ritenuto che il ME. sarebbe responsabile dell'evento lesivo perchè non avrebbe giornalmente controllato le dettagliate modalità di lavorazione poste in essere dalla ditta esecutrice.

Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge in riferimento alla errata applicazione delle norme contenute nel Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articoli 5 e 12, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo di travisamento della prova.

La Corte d'Appello ha ritenuto generico il Piano Operativo di Sicurezza (POS) elaborato dall'impresa ed accettato dal ME. . Innanzitutto la Corte, in violazione dell'articolo 5 del richiamato Decreto Legislativo, non ha tenuto conto che il POS è complementare al piano di coordinamento e sicurezza redatto dal ME. . Ma poi è stato acquisito il POS il quale specificamente alla scheda 63 prevede, quale misura di prevenzione e protezione, che "Prima dell'inizio del lavori verificare con la Direzione dei lavori consistenza e stabilità del terreno e della muratura stabilendo la tratta di scavo possibile in funzione di tali parametri". A sua volta il Piano di Sicurezza e Coordinamento, redatto dal ricorrente, a pag. 46, prescrive ulteriormente che "... oltre alle predette procedure previste per l'esecuzione delle fondazioni in condizioni normali, trattandosi di opere su edificio da consolidare con strutture murarie portanti la cui consistenza non è certa, si dovrà procedere per piccoli tratti con continui e comunque non superiori alla lunghezza mi 2,00, possibilmente diametralmente opposti tra loro, previo opportuno punte/lamento delle sovrastanti strutture". Inoltre il ME. con verbale di sopralluogo del 18.09.2002, sottoscritto dal BE. e dal CA. , ha rigorosamente disposto che, ai fini della maggiore sicurezza del cantiere "... stante il verificarsi della situazione di pericolo nel tratto di muratura, anche se la stessa è risultata particolarmente compromessa, si decide di procedere anche per le prossime opere di sottofondazione con valutazione congiunta di opportuni provvedimenti prima dell'esecuzione delle opere stesse.

Con un terzo motivo si eccepisce il travisamento della prova e violazione di legge degli articoli 40,41 e 43, 113, 589 e 590 c.p.. Si è sostenuto nell'impugnata sentenza che il ME. , pur a conoscenza delle diverse modalità di lavorazione, conseguenti alla accertata diversa profondità delle mura di sottofondazione, e contravvenendo agli obblighi su di lui incombenti senza porre in essere quelle azioni di coordinamento, controllo ed adeguamento delle previsioni di sicurezza, ha concorso alla causazione dell'evento. L'affermazione di responsabilità del ricorrente è basata sulla presunta conoscenza sull'avallo e sulla condivisione da parte sua delle diverse modalità di lavorazione che il Ca. ed i suoi dipendenti avevano posto in essere in palese difformità ai progetti ed ai documenti di gestione della sicurezza. Ma tale prova al di là di ogni ragionevole dubbio, non è stata acquisita.

Solo nel caso dell'effettiva conoscenza da parte del ME. di tale circostanza sarebbe stata astrattamente ipotizzabile una causalità tra la condotta del ricorrente e l'evento lesivo.

Si evidenzia la carenza di motivazione su di un punto già oggetto delle censure del ricorso del Ca. quello relativo alla circostanza che la stessa modalità operativa era già stata posta in essere nelle altre zone del fabbricato senza alcuna conseguenza.

La Corte d'Appello travisa il risultato probatorio in forza del quale si presuppone la consapevolezza del ricorrente circa le caratteristiche del terreno sottostante la muratura e soprattutto della circostanza che lo stesso fosse a conoscenza che la esecuzione di quei lavori fosse stata disposta.

La sentenza impugnata, nonostante la Corte del merito fosse stata specificamente sollecitata sul punto con il gravame di merito, avrebbe dovuto indicare ed individuare le fonti di prova idonee a rendere chiara la conoscenza in capo al ME. che in quello specifico tratto con terreno di composizione terrosa si stesse procedendo secondo modalità conformi al progetto e a quanto prescritto nei documenti di sicurezza e di cantiere e che il medesimo avesse tollerato o peggio ancora approvato il meccanismo operativo posto in atto dall'impresa. Il 2 gennaio del 2003 il cantiere doveva essere chiuso, il ME. con lettera del 18.12.2002 comunica al responsabile del cantiere che questo sarebbe rimasto inattivo dal 18 dicembre sino a dopo l'Epifania. Con una telefonata del 1 gennaio 2003 il Ca. impartisce disposizioni al dipendente Ga. di riprendere i lavori l'indomani e di avvertire i dipendenti C. e Ta. . I due operai la mattina de 2 gennaio si recano, su disposizioni del Ca. presso il commercialista della ditta per regolarizzare la loro posizione di poi si recano al cantiere alle 8,45 per riprendere i lavori.

Da tali acquisizioni probatorie emerge che il Ca. da solo ha deciso di riprendere i lavori,' dunque, indipendentemente dal contenuto della lettera del 18.12.2002 a firma del ME. , non si può dubitare del fatto che nessuna ripresa dell'attività lavorativa fosse stata prevista per il 2 gennaio successivo e che per nessuna ragione egli si sarebbe dovuto trovare sul posto quel giorno. La Corte ha ritenuto che il ME. fosse consapevole della ripresa dei lavori sulla base del presupposto che gli scavi nel tratto di mura crollato siano stati effettuati prima del 18 dicembre 2001, in periodi invii cantiere era regolarmente aperto e frequentato dal ME. . Vi è un chiaro travisamento della prova in quanto viene disattesa la valenza probatoria delle dichiarazioni del teste Sp. Um. il quale ha smentito le dichiarazioni sui punto del Ta. del C. e del Ga. , titolare della ditta esecutrice degli scavi.

Il ricorrente BE. con un primo motivo censura il vizio di motivazione già evidenziato dal coimputato B. relativamente alla circostanza; ritenuta acquisita dalla Corte, che i lavori di sbancamento al di sotto della zona del muro ove si è verificato il crollo, siano avvenuti prima del 18 dicembre 2002 e che tale assunto estende la responsabilità del BE. il quale, pur nella consapevolezza che si stava di fatto realizzando una variante esecutiva del programma di lavoro, avrebbe omesso di esercitare un'adeguata azione di controllo imposta dalla sua qualifica.

La sentenza sul punto è illogica in quanto, seppur ritenendo detti lavori di sbancamento già realizzati prima del 18 dicembre 2002, non motiva in relazione a tale convinzione. La documentazione esibita dal ricorrente descrive una situazione opposta, in quanto alla data del 18 dicembre non risultava affatto completato io sbancamento del perimetro esterno dell'edificio, come si evince dalla missiva del 2 dicembre a firma di Me. e Be. , nella quale lo stato dei luoghi è descritto come a quello corrispondente al sopralluogo di novembre con i lavori fermi alla demolizione dei solai. Ci si sofferma ad una analisi delle dichiarazioni testimoniali contrastanti con la richiamata documentazione. Ma ciò che rileva è proprio il contenuto della missiva del 18 dicembre anch'essa a firma congiunta Be. -Me. di sospensione dei lavori e di valutare la situazione alla ripresa degli stessi a causa dei dissesti verificatisi i giorni prima. Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge in quanto i giudici del merito hanno ritenuto di addebitargli l'omissione relativa al necessario controllo della ditta nell'esecuzione delle sottofondazioni, che furono realizzate in modo difforme dal Progetto esecutivo e dal PSC. Tuttavia dal tenore della norma asseritamente violata il Responsabile dei lavori è tenuto unicamente al rispetto delle imposizioni specificate dall'articolo 6 e cioè alla verifica e all'adempimento degli obblighi di cui al Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 5.

Il Responsabile dei lavori deve verificare che siano adempiuti gli obblighi ricadenti in capo al Coordinatore per la Sicurezza non avendo egli alcuna voce in capitolo circa la formazione del PSC e del POS.

Diritto



1. Tutti i motivi esposti, alcuni dei quali non consentiti nel giudizio di legittimità in quanto afferenti ad una diversa valutazione delle risultanze probatorie, sono comunque infondati sicchè i ricorsi vanno rigettati.

Trattandosi di eccezioni procedurali preliminarmente è opportuno rispondere alle censure oggetto del quarto motivo del ricorso del CA. An. (V. parte narrativa).

Quanto alla prima delle due censure, essa è infondata avendo sul punto questa Corte espresso il costante principio giurisprudenziale (V. per tutte da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 3266 del 10/12/2009, Rv. 245859) secondo cui l'omessa notifica dell'atto di appello della pubblica accusa alla parte privata o viceversa non è causa di nullità di ordine generale, nè da luogo all'inammissibilità del gravame, comportando unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da parte del soggetto interessato, dell'eventuale appello incidentale, se consentito.

La seconda censura è parimenti infondata.

L'articolo 601 c.p., comma 5, dispone che al difensore deve essere notificato l'avviso della data fissata per il giudizio di appello nulla specifica circa il contenuto di detto avviso, a differenza di quanto previsto nel comma 6 con riferimento al decreto di citazione dell'imputato.

Dunque, qualora l'omessa notifica al difensore della data fissata per il giudizio di appello, e non del decreto di citazione a giudizio, che va notificato ai sensi del citato articolo 601 c.p.p., comma 1, solo all'imputato, ha comportato la mancata partecipazione del difensore al processo, essa inevitabilmente integra una nullità assoluta ex articolo 178, lettera c); conseguentemente la relativa eccezione può essere fatta valere con il ricorso in cassazione avverso la sentenza di appello, che dovrà essere inevitabilmente annullata, con rinvio al giudice del gravame di merito per la celebrazione di un regolare giudizio che garantisca la partecipazione del difensore.

Diversamente, poichè la funzione dell'avviso di cui all'articolo 601 c.p.p., comma 5 è quella di rendere l'esatta informazione al difensore circa la trattazione del procedimento cui egli è interessato, qualora, come nel caso di specie, non gli sia stato notificato, e, comunque, si presenti in udienza, alla data fissata, eccependo l'omessa notifica, rileva il Collegio che, per sanare la relativa nullità, è sufficiente l'avviso orale del rinvio dell'udienza - con rispetto del termine di venti giorni liberi come prescritto dal citato comma 5 - in quanto esso costituisce mezzo legittimamente sostitutivo della notificazione prescritta dall'articolo 601 c.p.p., n. 5, così come testualmente previsto dalla disposizione di cui all'articolo 148 c.p.p., comma 5.

Nel caso di specie la data di rinvio dell'udienza di trattazione dell'appello, fissata con l'avviso orale, inserito a verbale, alla presenza del difensore, supera il termine di venti giorni.

2. Nell'affrontare l'esame analitico di tutti motivi è d'uopo osservare che, in premessa, la Corte distrettuale, nello specificare che la sentenza del Tribunale aveva già affrontato, sia in punto di fatto che in diritto le questioni poste dagli appellanti (odierni ricorrenti), ne ha fatto un integrale richiamo. Sul punto si osserva che, come è stato più volte affermato da questa Corte, quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicchè è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello.

Siffatto principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l'integrazione delle motivazioni tra le conformi sentenze di primo e secondo grado è possibile soltanto se nella sentenza d'appello sia riscontrabile un nucleo essenziale di argomentazione, da cui possa desumersi che il giudice del secondo grado, dopo avere proceduto all'esame delle censure dell'appellante, ha fatto proprie le considerazioni svolte dal primo giudice.

Più specificamente, va rilevato che l'ambito della necessaria autonoma motivazione del Giudice d'appello risulta correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall'appellante. Se questi si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già adeguatamente esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione ben può motivare per relazione e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati.

Quando invece le soluzioni adottate dal Giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante, sussiste il vizio di motivazione, sindacabile ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure e a richiamare la contestata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi, senza farsi carico di argomentare sulla fallacia o inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione. Ribadita pertanto la legittimità della motivazione per relationem, nei termini sopra indicati, è poi assolutamente necessario che la posizione dell'imputato risulti essere stata specificamente considerata e che i motivi d'appello siano stati esaminati e valutati, sia pure per ritenerli inconferenti o infondati. Nella sentenza in esame, i giudici di appello, pur riportandosi alla motivazione del Tribunale, hanno fornito puntuale risposta alle censure mosse dalle Difese con i motivi di appello.

3. è opportuno, prima di esaminare i primi due motivi del ricorso del CA. ed in parte il secondo motivo del ricorso del ME. , evidenziare un dato di fatto oggettivo, ben sottolineato dalla Corte d'Appello, su cui non v'è assolutamente contestazione di nessuna parte processuale.

Il progetto strutturale, per la esecuzione dei lavori di sottofondazione del muro perimetrale del fabbricato in ristrutturazione, prevedeva la realizzazione di nuove fondazioni attraverso l'esecuzione di due cordoli all'interno ed all'esterno del fabbricato, con base poggiante sul terreno sottostante il vecchio muro per 30 cm.; i due cordoli dovevano essere poi collegati mediante elementi in cemento armato passanti attraverso fori realizzati sulla muratura perimetrale, ad intervalli di un metro.

Nel progetto l'originaria quota di profondità della muratura perimetrale era stata stimata in cm. 104; in realtà, nel corso dei lavori di scavo, ci si rese conto che essa era minore, cioè pari a circa cm. 40, di talchè, nell'adattare i lavori allo stato di fatto della costruzione muraria, il nuovo piano di fondazione veniva appoggiato ad una quota più profonda, tra i 55 e 120 cm, cioè inferiore a quella di 30 cm. prevista dal progetto iniziale. Conseguentemente, l'esecuzione dei fori passanti, a quota più bassa rispetto alle previsioni, veniva ad essere realizzata non sulle murature, ma sulla parete, composta da terreno, sottostante la base delle stesse murature.

Dunque, sulla base di tale oggettiva constatazione, il perito d'ufficio, ing. Gr. , ha concluso che il crollo de quo è strettamente legato a questa esecuzione difforme dal progetto iniziale dei lavori di sottofondazione in quanto ha creato quelle condizioni di rischiosa riduzione di portata del terreno sottostante il muro perimetrale, nel tratto interessato dai lavori in corso al momento dell'incidente.

E' ancora opportuno riportare, per valutare la congruità o meno della motivazione della sentenza impugnata in riferimento alla portata difensiva della tesi propugnata che il crollo debba essere attribuito a caso fortuito o forza maggiore, l'altra circostanza, acquisita sulla base delle concordi dichiarazioni dei testi Ta. , C. e Ga. , che il lavoro di scavo non era stato organizzato per tratti di mt 2, e non corrispondenti tra interno ed esterno, ma provvedendosi alla rimozione del terreno sottostante su tutto il perimetro esterno ed interno delle murature, senza effettuare alcun puntellamento nelle trincee di scavo, non predisponendosi alcuna forma di contenimento delle pareti, nè realizzando alcuna struttura di protezione degli operai al lavoro nelle trincee, addetti alla realizzazione delle aperture.

Dunque, l'elemento cardine su cui ruota la motivazione della sentenza impugnata è che: nell'esecuzione dei lavori non sono state seguite le indicazioni del progetto iniziale che pur prevedeva, in riferimento alla situazione dei luoghi stimati, modalità operative che garantivano la sicurezza dei lavoratori, e nel contempo, di fronte alla diversa situazione reale, non è stato approntato alcun nuovo progetto che sopperisse, con misure idonee, l'erronea valutazione della situazione dei luoghi.

Condivisibile sul piano della logica, in quanto aderente ad una ricostruzione dei fatti incontestabili, è la motivazione, sul punto, della sentenza censurata circa la non ravvisabilità del caso fortuito (piuttosto che della forza maggiore) essendo del tutto prevedibile, in ragione delle modificate modalità operative, e, quindi, evitabile, il crollo del muro che ha cagionato l'evento letale. La rilevanza giuridica del caso fortuito è inesorabilmente legata ad un'azione umana, come riconosce la dottrina assolutamente prevalente, e come è rilevato dalla stessa formulazione dell'articolo 45 cod. pen. che, adoperando l'espressione "commettere", suppone la presenza di un comportamento umano, attivo o negativo. Dall'incrocio di questo con l'avvenimento casuale deriva la produzione dell'evento, nel senso che questo, secondo il principio della equivalenza delle cause, è eziologicamente riconducibile alla condotta dell'uomo, il quale tuttavia non ne risponde per l'intervento del fattore causale imprevedibile. Dunque, il caso fortuito presuppone l'integrità del rapporto di causalità materiale tra la condotta e l'evento, collocandosi come causa (soggettiva) di esclusione della punibilità. Questa concezione è contrastata da quella, oggettiva, secondo la quale il fortuito escluderebbe il rapporto materiale. In linea di principio, questa Corte ritiene che la concezione soggettiva risponda compiutamente alla logica del sistema normativo, sia perchè l'articolo 45, pur non definendo il fortuito, si riferisce a questo come ad un evento (imprevedibile) che si inserisce nel corso di un'azione umana, sia perchè la tesi che esclude il rapporto ha carattere pleonastico dell'articolo 45, che sarebbe un duplicato dell'articolo 41 cpv c.p.; il che sembra inammissibile, per la presunzione di coordinata razionalità che deve pur assistere la redazione di un testo normativo improntato a sistematicità. D'altro canto, questa medesima teoria finisce per ammettere che il caso fortuito esclude la colpevolezza, sia pure come conseguenza riflessa del venir meno del rapporto di causalità materiale (Cass. SU 14 giugno 1980, Felloni; conformi Cass. Ili 18.12.1997, Rosati, RV 209868, CP 1999, 988; Cass. 4 30.10.1990, Lo Migro, RV 186075).

Dunque, l'accadimento fortuito, per produrre il suo effetto di escludere la punibilità dell'agente - sul comportamento del quale viene ad incidere - deve risultare totalmente svincolato sia dalla condotta del soggetto agente, sia dalla sua colpa. Ne consegue che in tutti i casi in cui l'agente abbia dato materialmente causa al fenomeno - solo, dunque, apparentemente fortuito -ovvero nei casi in cui, comunque, è possibile rinvenire un qualche legame di tipo psicologico tra il fortuito e il soggetto agente, (nel senso che l'accadimento, pure eccezionale, poteva in concreto essere previsto ed evitato se l'agente non fosse stato imprudentemente negligente o imperito) non è possibile parlare propriamente di fortuito in senso giuridico. (Cass. 4 9 dicembre 1988, Savelli, RV 180850).

Orbene, per il caso sottoposto al nostro esame, è incontrovertibile, per quanto evidenziato dalla Corte Anconetana, che l'evento sia stato determinato dal fattore umano.

Nè possono essere condivisi i rilievi addotti a sostegno della tesi difensiva, asseritamente non considerati dalla sentenza di appello, tanto da determinarne il denunciato vizio motivazionale.

I rilievi, invero, sono stati oggetto di analisi da parte del Tribunale, la cui motivazione è stata recepita dalla sentenza impugnata.

Innanzitutto, deduce il ricorrente che la Corte del merito trascura il fatto che nelle altre parti dell'edificio le modalità di esecuzione dei lavori erano state le stesse di quelle poste in essere nel punto ove è avvenuto il crollo e che proprio in ragione di tanto l'imputato si sentiva sicuro perchè, anche nei punti caratterizzati da maggiore criticità, i lavori non avevano dato alcun problema sia per quanto riguarda l'esecuzione che la sicurezza degli operai. Per altro, in quel punto era stato eseguito anche un sondaggio da parte del geologo Fi. , che aveva rassicurato circa la bontà della scelta operativa (si rileva che il professionista, nel predisporre la relazione geologica che accompagna il progetto, ha effettuato un sondaggio in esatta corrispondenza della zona del crollo senza trovare e segnalare alcuna variazione stratigrafica degna di nota), e tale dato non può non influire sull'elemento soggettivo del reato circa la non prevedibilità dell'evento, la cui analisi è stata del tutto pretermessa dalla Corte.

Tale argomentazione, a parere del Collegio, non può assolutamente influire sulla prevedibilità del crollo, essendo, invece, prevedibile che, in considerazione della estensione dell'area di intervento, la compattezza del terreno sottostante la muratura potesse variare lungo il perimetro; tutto ciò è stato ben evidenziato dalla sentenza di primo grado. Infatti, sul punto si riporta il rilievo del perito Greco laddove ha evidenziato che il terreno di fondazione, nella zona vicino al crollo, aveva caratteristiche non del tutto conformi a quelle che risultavano nella relazione geognostica, essendo presenti parti di terreno a prevalenza terrosa, di compattezza e resistenza inferiori a quelle marmose presenti in altre parti. Pertanto, in considerazione di tali caratteristiche, gli eventi piovosi del novembre-dicembre 2002 hanno avuto un effetto negativo. Tenuto conto anche della presenza di scavi aperti in trincea in grado di funzionare quali "canali" per accogliere ed accumulare l'acqua a ridosso del piano di fondazione. In ogni caso, stante la componente terrosa del terreno, anche la semplice esposizione all'aria poteva determinare il progressivo decadimento delle caratteristiche geotecniche.

Non va poi sottaciuta la assorbente considerazione del Tribunale, circa la dedotta imprevedibilità del crollo, che tutti gli imputati erano ben a conoscenza della circostanza che già si erano verificati dei dissesti sulla muratura portante perimetrale del lato sud-est dell'edificio, tanto che, a seguito di un sopralluogo in data 18.09.2002, operato dal ME., che provvedeva a redigere il relativo verbale sottoscritto dal CA. e dal BE. , si era deciso di procedere per le ulteriori opere di sottofondazione con valutazione congiunta, intento, poi, rimasto lettera morta in quanto si è continuato a procedere alla stessa maniera sino al verificarsi dell'evento per cui è processo.

Parimenti, non si rivela significativa la deduzione difensiva secondo cui la Corte d'Appello non ha tenuto conto di elementi favorevoli all'imputato quale quello ricavabile dalla relazione geologica del dott. Fi. ; a parte il rilievo che di tale censura non v'è traccia nei motivi di appello (come riportati nella sentenza impugnata), si evidenzia che la relazione accompagnava il progetto iniziale, per cui l'accertamento di una diversa conformazione dei muri di fondazione con la conseguente adozione di una procedura esecutiva non prevista da quel progetto, rendeva del tutto irrilevante la circostanza che il geologo non aveva trovato, nel luogo del crollo, alcuna variazione stratigrafica degna di essere segnalata. Così pure, il dedotto errore progettuale (riguardante la diversa profondità dei muri di fondazione) non può essere assunto a causa giustificatrice della condotta colposa come contestata, in quanto se è vero che ci si è accorti di tale errore, era necessario porvi rimedio con soluzioni adeguate previa redazione di una precisa variante al progetto con adozione di tutte le misure di sicurezza antinfortunistiche.

E' del tutto improponibile, quindi, l'accezione del "travisamento dei fatti" nel ritenere non considerato dal giudice di appello anche circostanze, asseritamente, favorevoli all'imputato.

Tra l'altro il vizio del cd. "travisamento del fatto" va ravvisato solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile "ictu oculi" ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio (cfr. in parte Cass. sez. 2 9 giugno 2006 n. 19848 rv. 234162, le decisioni della sesta sezione citate cui adde Cass. sez. 6 5 ottobre 2006 n. 33435 rv.234364 e Cass. sez. 6 26 ottobre 2006 n. 35964 rv. 234622). Relativamente alle specifiche responsabilità contestate al CA. , sebbene sia condivisibile l'assunto del ricorrente che, una volta accertata la diversa profondità delle mura di fondazione non si poteva più operare su di esse ma si doveva necessariamente operare sul terreno sottostante le murature con la redazione di un nuovo progetto, come necessario adattamento dello stato dei luoghi, e che tali adeguamenti non potessero essere frutto di decisioni autonome del ricorrente, ciò, pur tuttavia, non lo esime da responsabilità, poichè, sebbene resosi conto della nuova situazione, quale titolare della ditta esecutrice e datore di lavoro, ha dato attuazione in concreto a quella diversa modalità di esecuzione dei lavori, ancorchè compulsata da altri, chiaramente inadeguata, come rileva la Corte, per garantire la sicurezza dei suoi diretti dipendenti.

Decisivo è il rilievo dei giudici di merito: il Ca. non solo non adeguava, sotto il profilo della sicurezza, quella che è risultata essere una vera e propria variante esecutiva ai lavori previsti in progetto (in tal senso egli avrebbe dovuto richiedere un aggiornamento del PSC cui adeguare poi il POS) ma ha persino omesso di rispettare quelle che erano le prescrizioni, comunque, contenute nel PSC per i lavori di sottofondazione (sul punto già sono state riportate le testimonianze del Ta. , del C. e del Ga. circa la mancata adozione delle misure idonee ad evitare crolli, V. ante).

In definitiva, a ben vedere, tra il primo e secondo motivo del ricorso del CA. c'è una chiara contraddittorietà, laddove, nel mentre sì contesta la sussistenza del nesso causale tra il comportamento dell'imputato e l'evento, ascrivendo il verificarsi di questo al caso fortuito, dall'altro si addebita ad altri la scelta di quella diversa modalità operativa di realizzazione delle fondazioni, guarda caso attuata in concreto dalla ditta esecutrice.

4. Quanto al terzo e quinto motivo del ricorso del CA. , non risulta che il ricorrente abbia richiesto alla Corte d'Appello di rivedere il giudizio di equivalenza tra le riconosciute attenuanti generiche e la contestata aggravante, comunque, tale giudizio risulta correttamente reso dalla sentenza di primo grado cui ha fatto riferimento quella di appello.

Pertanto, stante il richiamato giudizio di equivalenza tra attenuanti ed aggravante, il termine di prescrizione non risulta perento.

Il rigetto della richiesta di estinzione del reato per prescrizione si estende anche alle conclusioni avanzate in tal senso in sede di discussione dal difensore del BE. .

5. Altrettanto manifestamente infondate sono le argomentazioni, poste a base dei motivi del ricorso del ME. , relative alla dedotta non riferibilità al ricorrente delle contestate norme antinfortunistiche.

In effetti non si contesta, sia con i motivi di appello che con quelli oggetto di questo giudizio, la specifica posizione di "garanzia" del ricorrente derivante dal ruolo di coordinatore in materia di sicurezza e di salute Decreto Legislativo 14 agosto 1996, n. 494, articolo 2, lettera f): "coordinatore in materia di sicurezza e di salute durante la realizzazione dell'opera, di seguito denominato coordinatore per l'esecuzione dei lavori ..." formalmente e sostanzialmente dal medesimo ricoperto, e la Corte d'Appello è stata ampiamente esaustiva nell'indicare le ragioni di fatto e di diritto per cui incombeva in capo al ME. l'obbligo di assicurarsi che la prosecuzione dei lavori avvenisse in tutta sicurezza degli addetti, per il disposto del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 5, come novellato dal Decreto Legislativo 19 novembre 1999, n. 528.

Il Decreto Legislativo n. 494 del 1996 ha introdotto, appunto, la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l'organizzazione della sicurezza in cantiere. E il riferito articolo 5 affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni.

Ed è un dato di fatto, come si è evidenziato in premessa, che l'esecuzione dei lavori aveva subito una evoluzione ma nessuna modifica era stata apportata al piano di sicurezza e coordinamento, consentendo il ricorrente che si proseguisse, alla presenza di mutate condizioni di lavoro, senza che fossero apportate idonee misure di sicurezza. Per altro, è lo stesso ricorrente ad evidenziare che nel corso sopralluogo del 18 settembre 2002, il cui verbale è stato dal medesimo redatto, si era accertata una situazione di pericolo tanto da decidere, insieme al CA. ed al BE. , di procedere per le ulteriori opere di sottofondazione con una valutazione congiunta di opportuni provvedimenti prima dell'esecuzione delle opere stesse. Ma non risulta che ci siano state valutazioni congiunte nonostante sia rimasto provata la prosecuzione dei lavori, interrotti il 18 dicembre, ma proseguiti il successivo 2 gennaio 2003.

6. La questione della consapevolezza da parte del ME. (oggetto del terzo motivo di ricorso) della prosecuzione dei lavori di sottofondazione con le diverse modalità e quella della ripresa dei lavori il 2 gennaio 2003, sono state affrontate esaustivamente dal Tribunale, la cui motivazione è stata fatta propria dalla Corte d'Appello, Una rivisitazione di essa non è consentita a questa Corte. In effetti, le censure appaiono incentrate sulla contestazione dell'apprezzamento delle risultanze processuali compiuta dal Tribunale e fatto proprio dalla Corte d'Appello: risolvendosi in censure in fatto della sentenza impugnata, sono precluse in questa sede di legittimità (articolo 606 cod. proc. pen., comma 3).

E' indubbio lo sforzo argomentativo profuso per far rientrare nella previsione normativa dell'articolo 606 cod. proc. pen., lettera e) quella che è una mera valutazione del fatto; ma se la ricostruzione dei fatti affonda le sue radici nella valutazione critica delle prove raccolte nella istruttoria dibattimentale e se è innegabile che la stessa, così come proposta dai giudici di merito, appaia logicamente corretta, non potendo davvero sostenersi che strida, con la logica, le conclusioni, sul piano del diritto, sono scontate, se si riflette sulla costante giurisprudenza di questa corte quanto alle caratteristiche e ai limiti del giudizio di legittimità.

L'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione - così quella giurisprudenza - ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla corte di cassazione essere limitato, per espressa volontà del legislatore a riscontrare l'esistenza di un apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verifica re l'adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Peraltro, il vizio del c.d. travisamento della prova, specificamente eccepito, si atteggia in maniera differente non solo nelle due differenti fasi, cautelare e cognitiva ordinaria, ma anche nel caso della c.d. doppia conforme o della riforma della sentenza di primo grado da parte di quella d'appello, giacchè i limiti della contraddittorietà e della illogicità concernono l'ultima ipotesi, in quanto, ove le due pronunce siano conformi, non solo vige il limite del "devolutum", che può essere superato solo ove il giudice dell'impugnazione si fondi su atti probatori mai presi in esame (Cass. sez. 2 19 ottobre 2006 n. 35194, rv.234915), ma anche l'obbligo di evidenziare una carenza ed omessa motivazione su determinati punti sottoposti all'esame del giudice del gravame con la specifica e puntuale indicazione degli stessi con il carattere della decisività e della radicale incompatibilità con l'iter motivazionale seguito, giacchè, altrimenti, si richiederebbe una rilettura degli atti processuali ed una rivalutazione delle risultanze, inibita al giudice di legittimità, sicchè una simile censura sarebbe inammissibile.

7. In ordine alle censure, oggetto del primo motivo del ricorso del BE. (V. parte narrativa), ci si riporta a quanto ora argomentato in riferimento al ricorso del ME. , concernendo anch'esse questioni di fatto soprattutto in relazione al completamento, alla data del 18 dicembre 2002, dello sbancamento del perimetro esterno dell'edificio, laddove sono analizzate le dichiarazioni testimoniali, ritenute contrastanti con il contenuto della missiva del 2 dicembre 2002, sottoscritta dal B. e dal BE. , nella quale si evidenzia che lo stato dei luoghi corrisponde a quello corrispondente al sopralluogo di novembre con i lavori fermi alla demolizione dei solai. In effetti, anche la critica mossa alla sentenza impugnata, concernente un asserito vizio di motivazione, di cui al secondo motivo del ricorso è da ritenersi inammissibile in quanto afferisce, non alla dedotta violazione di legge circa gli obblighi incombenti sul responsabile dei lavori, quanto alla verifica del compimento in concreto di tali obblighi. Non si contesta, invero, come si adduce con il motivo in esame, di non aver contribuito alla modifica del PSC o del MSC, quanto di non aver svolto il ruolo espressamente previsto dal Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6 di "trait d'union" tra la ditta esecutrice e coordinatore di sicurezza, non avendo posto in essere i controlli finalizzati, da un lato a garantire che la ditta applicasse le disposizioni contenute nel PSC e nel progetto esecutivo, accettando, invece, che i lavori venissero realizzati in modo del tutto difforme, dall'altro omettendo di sollecitare adeguamenti del PSC in base alla situazione venutasi a creare concretamente, mancando, poi, di verificare la idoneità del POS, risultato sul punto del tutto carente. è rilevante l'annotazione dei giudici di merito nel rilevare, sulla base del risultato probatorio, come il BE. fosse presente nel cantiere in modo continuo e costante tanto che non poteva non rendersi conto da un lato, delle diverse modalità con cui si stavano effettuando i lavori rispetto alle prescrizioni contenute nel PSC, dall'altro, che si stava ponendo i atto una vera e propria variante esecutiva senza conseguentemente aggiornare il PSC ed il POS.

Circa i compiti e gli obblighi gravanti sul "Responsabile dei lavori", ruolo ricoperto dal ricorrente e non contestato, torna utile prendere le mosse dal disposto di cui al Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 6, comma 2, nel testo risultante a seguito delle modifiche ed integrazioni appartate dal Decreto Legislativo n. 528 del 1999, norma la quale prevede che "La designazione di coordinatori per la progettazione e di coordinatori per l'esecuzione dei lavori non esonera il committente e il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 4, comma 1, e articolo 5, comma 1, lettera a)."

Giova aggiungere che il testo originario non conteneva l'espresso riferimento al comma 1, articolo 4 e comma 1, lettera a), articolo 5. Ne deriva che, ai fini dell'attuazione della direttiva 92/57/ CEE in materia delle prescrizioni di sicurezza e di salute da osservare nei cantieri temporanei o mobili, il legislatore del 1999 ha ritenuto opportuno, non solo delineare in termini più specifici gli obblighi dei committenti e dei responsabili dei lavori ma anche ampliarne il contenuto statuendo che essi sono tenuti a svolgere una funzione di super-controllo, verificando che i coordinatori adempiano agli obblighi su loro incombenti qual è quello consistente, non solo nell'assicurare - come nel testo normativo originario - ma anche nel verificare l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento di cui all'articolo 12 nonchè la corretta applicazione delle procedure di lavoro.

E ciò si spiega considerando che essi sono i soggetti nel cui interesse l'opera è svolta, nel rispetto del principio generalissimo del nostro ordinamento "ubi commoda, ibi incommoda". Nè al fine di accertare se il coordinatore abbia rilevato o meno l'eventuale omessa osservanza delle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza occorrono particolari competenze specifiche, trattandosi di un mero raffronto tra ciò che è stato eseguito e ciò che, in base alle prescrizioni contenute nel piano di sicurezza, doveva essere compiuto.

8. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione, in solido, delle spese in favore delle parti civili che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione in solido delle spese in favore della parte civile Ta. Fa. che = liquida complessivi euro 2.250,00 ed in favore delle altre parti civili che liquida in complessivi euro 2.460, oltre, per entrambi, accessori come per legge.