Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 17 gennaio 2012, n. 1436 - Infortunio con una sega circolare e rimozione dei dispositivi di protezione per la necessità di effettuare un lavoro altrimenti impossibile


 

 


Responsabilità di un datore di lavoro per il delitto di lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, ai danni di un suo dipendente, che, in data 14.12.2007, mentre era intento ad eseguire, nel laboratorio della sua ditta di falegnameria, un taglio di un pezzo di legno usando la sega circolare, si procurava l'amputazione del quarto e quinto dito, e la subamputazione del secondo e terzo dito della mano destra.

La parte offesa dichiarava di aver dovuto rimuovere la protezione applicata alla lama dovendo procedere al taglio di un legno di maggiore spessore. Il Tribunale ha ritenuto il ricorrente responsabile del reato ascritto avendo evidenziato a suo carico il comportamento colposo consistito nell'aver omesso di vigilare sull'osservanza dei dispositivi di protezione di cui era dotata la sega circolare.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

La Corte d'Appello, nell'evidenziare il comportamento colposo ascritto all'imputato, ha invero indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio l'impianto argomentativo della sentenza di primo grado, ma recependola in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, confutando la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa dell'imputato.

In particolare si è posto in rilievo che, sebbene l'imputato avesse raccomandato ai suoi dipendenti di non rimuovere il meccanismo di protezione della sega, il disinserimento di esso da parte del lavoratore è avvenuto per la necessità di eseguire un taglio di un legno di maggiore spessore che, altrimenti, non si sarebbe potuto effettuare e che, in determinate occasioni, i meccanismi protettivi venivano smontati a seconda del tipo di lavorazione che si doveva effettuare.

Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.

E, quanto al fatto specifico, rileva correttamente che non può ravvisarsi alcuna estraneità della condotta del lavoratore rispetto al processo produttivo avendo lo stesso dichiarato che l'evento lesivo si è verificato mentre stava effettuando il taglio di un pezzo di legno che non avrebbe potuto effettuare con il meccanismo di protezione inserito sulla sega circolare che stava utilizzando.

 


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 



sul ricorso proposto da:

S.C. n. Il (Omissis);

Avverso la sentenza n. 468/2010 della Corte d'Appello di Caltanissetta del 2.12.2010.

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

Udita in PUBBLICA UDIENZA del 15 novembre 2011 la relazione fatta dal Consigliere dott. CLAUDIO D'ISA;

Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Vito Monetti che ha concluso per l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio limitatamente al 2 e 3 motivo. Rigetto nel resto.

L'avv. Farinella Antonino, difensore dell'imputato, insiste per l'annullamento della sentenza impugnata.

 

 

Fatto

 


S.C. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 2.12.2010, della Corte d'Appello di Caltanissetta di conferma della sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 2.02.2010 dal Tribunale di Nicosia in ordine al delitto di lesioni personali colpose, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, ai danni di C.M., suo dipendente, che, in data 14.12.2007, mentre era intento ad eseguire, nel laboratorio della sua ditta di falegnameria, un taglio di un pezzo di legno usando la sega circolare, si procurava l'amputazione del quarto e quinto dito, e la subamputazione del secondo e terzo dito della mano destra.

La parte offesa dichiarava di aver dovuto rimuovere la protezione applicata alla lama dovendo procedere al taglio di un legno di maggiore spessore. Il Tribunale ha ritenuto il ricorrente responsabile del reato ascritto avendo evidenziato a suo carico il comportamento colposo consistito nell'aver omesso di vigilare sull'osservanza dei dispositivi di protezione di cui era dotata la sega circolare.

La Corte d'appello, facendo proprio l'iter argomentativo della sentenza di primo grado, ha ritenuto infondati i motivi del gravame di merito.

Con un primo motivo si denuncia vizio di motivazione.

Premesso che dall'istruttoria dibattimentale emerge inequivocabilmente che l'imputato ha apprestato tutte le misure possibili e necessarie affinchè l'evento dannoso non si verificasse ed ha impartito al dipendente ogni direttiva necessaria, vigilando in tutte le forme e tempi in modo che nulla di dannoso potesse verificarsi, adduce che l'unica ragione per la quale ebbe a verificarsi l'infortunio è che il C., approfittando di un momento in cui egli si era allontanato dalla falegnameria, inopinatamente e senza chiedere parere a nessuno ha smontato, mediante lo svitamento di un bullone di fissaggio, il meccanismo di protezione della lama ed ha utilizzato la sega circolare, pur potendo utilizzare altra macchina ove gli sarebbe stato più agevole terminare il lavoro di taglio. In ragione di tale dato probatorio censura la motivazione della sentenza impugnata che basa l'affermazione di responsabilità sulla circostanza secondo cui era prassi che in determinate occasioni i meccanismi di protezione venivano smontati a secondo del tipo di lavorazione che si doveva effettuare. Tale affermazione, per il ricorrente, è del tutto ingiustificata ed assolutamente non provata, e quindi frutto di congetture.

In ogni caso si argomenta che non v'è alcun dubbio che il lavoratore abbia posto in essere una condotta assolutamente colposa che non solo appare ma di fatto si concretizza con caratteristiche di assoluta anomalia rispetto alla normale attività lavorativa e quindi certamente imprevedibile da parte del datore di lavoro e come tale inevitabile.

Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.

Con un terzo motivo si denuncia altra violazione di legge per non avere la Corte concesso e disposto la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria corrispondente.

 

Diritto

 



I motivi posti a base del ricorso, di cui il primo non è consentito nel giudizio di legittimità, sono, comunque, manifestamente infondati sicchè il ricorso va dichiarato inammissibile.

Quanto al primo motivo, ricorda preliminarmente il collegio, in punto di connotati dei vizi di motivazione deducibili in sede di legittimità ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e che è inammissibile il motivo di ricorso che si risolva nella prospettazione di una diversa lettura del contesto probatorio, in quanto la Cassazione non è giudice delle prove, non deve sovrapporre la propria valutazione a quella che delle stesse hanno fatto i giudici di merito, ma deve stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se nell'interpretazione del materiale istruttorio abbiano esattamente applicato le regole della logica, le massime di comune esperienza e i criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove; in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (confr. Cass. Sez. Un. 29 gennaio 1996, n. 930; Cass. Sez. 1, 4 novembre 1999, n. 12496): il vizio di motivazione denunciabile ex art. 606, comma 1, lett. e) non può cioè consistere nella mera deduzione di una valutazione del contesto probatorio ritenuta dal ricorrente più adeguata (Cass. pen., sez. 5, 4 ottobre 2004, n. 45420), ma deve essere volto a censurare l'inesistenza di un plausibile e coerente apparato argomentativo a sostegno della scelta operata in dispositivo dal giudicante.

La Corte d'Appello, nell'evidenziare il comportamento colposo ascritto all'imputato, ha invero indicato con puntualità, chiarezza e completezza tutti gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione adottata, facendo proprio l'impianto argomentativo della sentenza di primo grado, ma recependola in maniera analitica, persuasiva e scevra da vizi logici, confutando la diversa valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dalla difesa dell'imputato.

E' da rilevare, infatti, che la tesi oggetto dei motivi del presente ricorso, sotto una veste meramente fattuale, già era stata sottoposta all'esame della Corte d'Appello, la quale, puntualmente, ha evidenziato il comportamento colposo omissivo dell'imputato.

E' non c'è chi non veda come tale motivo inerisca ad una questione di fatto, concernente la esclusione della responsabilità penale, con la quale si contesta la circostanza che il S. fosse a conoscenza dell'abitudine da parte dei suoi dipendenti di disattivare il dispositivo di sicurezza della sega circolare per eseguire il taglio di pezzi di legname di maggiore spessore.

Sul punto prima il Tribunale, e, poi, la Corte distrettuale, sulla base delle dichiarazioni della stessa parte offesa e del teste M. hanno fornito adeguata motivazione, immune da vizi logici, laddove si è posto in rilievo che, sebbene l'imputato avesse raccomandato ai suoi dipendenti di non rimuovere il meccanismo di protezione della sega, il disinserimento di esso da parte del C. è avvenuto per la necessità di eseguire un taglio di un legno di maggiore spessore che, altrimenti, non si sarebbe potuto effettuare e che, in determinate occasioni, i meccanismi protettivi venivano smontati a seconda del tipo di lavorazione che si doveva effettuare. E' innegabile, dunque, che un simile accertamento è esclusivamente di fatto.

Conseguentemente, appare manifestamente infondato l'assunto, anch'esso posto a base del primo motivo, con cui si disancora il nesso causale dal comportamento omissivo (mancato controllo sul corretto uso dei macchinari dell'azienda da parte del dipendente) dell'imputato facendo ricadere la causazione dell'evento unicamente sul comportamento della persona offesa, dimenticando che proprio essa, nonostante il suo ruolo attivo nella esecuzione dell'attività lavorativa, era la destinataria delle garanzie antinfortunistiche.

Con tranquillante uniformità questa Corte ha affermato che l'obbligo di prevenzione si estende agli incidenti che derivino da negligenza, imprudenza e imperizia dell'infortunato, essendo esclusa la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo, solo in presenza di comportamenti che presentino i caratteri dell'eccezionaiità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo, alle direttive organizzative ricevute e alla comune prudenza.

Sul punto la motivazione della sentenza impugnata è più che congrua nel rilevare che, in forza della disposizione generale di cui all'art. 2087 c.c., il datore di lavoro è costituito garante dell'incolumità fisica dei prestatori di lavoro, avendo il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici ed il dovere di organizzare le attività lavorative in modo sicuro, assicurando l'adozione da parte dei dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al minimo i rischi connessi all'attività lavorativa. E, quanto al fatto specifico, rileva correttamente che non può ravvisarsi alcuna estraneità della condotta del C. rispetto al processo produttivo avendo lo stesso dichiarato che l'evento lesivo si è verificato mentre stava effettuando il taglio di un pezzo di legno che non avrebbe potuto effettuare con il meccanismo di protezione inserito sulla sega circolare che stava utilizzando.

Il datore di lavoro non può semplicemente, per esimersi dalla relativa responsabilità, raccomandare ai suoi dipendenti il corretto uso delle macchine o di quant'altro utilizzato nella lavorazione, ma deve continuamente sincerarsi, anche a mezzo di un suo preposto in caso di sua assenza, che i presidi antinfortunistici vengano concretamente utilizzati. L'applicazione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro sottendono proprio allo scopo di evitare che l'errore umano, possibile e, quindi, prevedibile, influente su di una condotta lavorativa diversa da quella corretta, ma pur sempre posta in essere nel contesto lavorativo, possa determinare il verificarsi di un infortunio. Se tutti i dipendenti fossero sempre diligenti, esperti e periti non sarebbe necessario dotare i luoghi di lavoro e le macchine di sistemi di protezione.

Quanto al secondo motivo circa la lamentata mancata concessione della sospensione condizionale della pena, appare evidente la motivazione per relationem della sentenza impugnata avendo sul punto motivato più che congruamente il Tribunale.

Altrettanto dicasi per la deduzione posta con il terzo motivo.

In effetti l'applicazione della pena sostitutiva è una statuizione discrezionale e non dovuta pertanto, è bastevole, nel momento in cui il giudice ritiene che l'imputato non ne sia meritevole, ancorchè in ipotesi concedibile, il richiamo all'elemento che ne viene ritenuto ostativo. Nel caso di specie la Corte ha fatto riferimento ai precedenti dell'imputato.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della Cassa delle Ammende.



P.Q.M.

 


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.