Cassazione Penale, Sez. 4, 21 dicembre 2011, n. 47507 - Infortunio mortale e grave deficit di formazione, informazione e vigilanza da parte dei datori di lavoro nei confronti di un dipendente privo di competenze specifiche


 

 

 

Responsabilità di due datori di lavoro per omicidio colposo in danno di un lavoratore: quest'ultimo, che si trovava sul tetto in eternit di un capannone per sostituire alcune lastre danneggiate, per il cedimento di una di esse, cadde al suolo. Agli imputati, nelle loro vesti di datori di lavoro, è stato mosso l'addebito di non aver apprestato le cautele atte a garantire la sicurezza della lavorazione e di non aver formato il dipendente in ordine allo specifico incarico demandatogli, trattandosi di operaio con qualifica di falegname.

Condannati, ricorrono in Cassazione - La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio. Respinge nel resto i ricorsi.

La pronunzia impugnata pone in luce che il lavoratore era operaio generico addetto alla falegnameria, mansione del tutto diversa da quella inerente alla riparazione del tetto, per la quale non aveva alcuna formazione specifica.
Si aggiunge che, ai sensi dell'art. 2087 c.c., gli imputati, nella loro veste di datori di lavoro, erano gravati da posizione di garanzia.
D'altra parte, le modalità della lavorazione in corso erano dettate dalla scelta aziendale di risparmiare compiendo in proprio un'attività di ripristino rischiosa ed estranea alle mansioni dei dipendenti.
Si è dunque in presenza di una scelta strutturale e non contingente che coinvolge, conseguentemente, la responsabilità di tutti gli imputati.

Inoltre, anche se la vittima fosse tornata sul tetto di sua iniziativa, il fatto non appare eccezionale o imprevedibile e tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro, in quanto si tratta di attività connessa alla riparazione in quota che gli era stata affidata.
Traspare conclusivamente un grave deficit di formazione, informazione e vigilanza da parte dei datori di lavoro nei confronti di un dipendente privo di competenze specifiche.

 


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALBIATI Ruggero - Presidente
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - rel. Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 

 

sul ricorso proposto da:
1) P.E. N. IL (OMISSIS);
2) P.G. N. IL (OMISSIS);
3) P.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 120/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del 29/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.

 


FattoDiritto

 

 

1. Il Tribunale di Verbania ha affermato la responsabilità degli imputati in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di M.S.; e li ha altresì condannati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili.
La pronunzia è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Torino che, concesse a tutti gli imputati le attenuanti generiche, ha rideterminato le pene.
Secondo i giudici di merito, il lavoratore si trovava sul tetto in eternit un capannone per sostituire alcune lastre danneggiate quando una di esse cedette determinandone la letale caduta al suolo.
Agli imputati, nelle loro vesti di datori di lavoro, è stato mosso l'addebito di non aver apprestato le cautele atte a garantire la sicurezza della lavorazione e di non aver formato il dipendente in ordine allo specifico incarico demandatogli, trattandosi di operaio con qualifica di falegname.

2. Ricorrono per cassazione gli imputati con distinti gravami che, nel loro nucleo, risultano identici. P.E. espone che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, si era provveduto ad innalzare un ponteggio all'interno dello stabilimento per sostituire alcune lastre di copertura del tetto che erano state danneggiate dalle intemperie. L'operazione di riparazione era stata compiuta dal ricorrente e dalla vittima operando dall'interno e senza salire sullo stesso tetto. Terminata l'operazione il ponteggio era stato smontato. Successivamente, arbitrariamente, il lavoratore si portò sul tetto forse per recuperare alcuni attrezzi che vi aveva deposto, pose un piede su una lastra in eternit che cedette determinando la caduta al suolo.
Tale ricostruzione degli accadimenti, si assume, emerge da diverse deposizioni testimoniali rese da dipendenti dell'azienda.
In conclusione, il lavoro era stato eseguito in sicurezza e la vittima, con la sua condotta arbitraria e sconsiderata, innescò un fattore causale interruttivo del nesso causale.
D'altra parte, essendosi operato dall'interno, non occorreva valutare la solidità della copertura.
Si lamenta altresì la mancanza di motivazione sulla determinazione del danno da risarcire.
La sentenza d'appello conferma pedissequamente quella del Tribunale senza prendere in considerazione le doglianze difensive.
A tali censure P.G. aggiunge che la responsabilità a suo carico è stata basata su mera responsabilità di posizione.
Egli aveva infatti rassegnato le dimissioni in epoca anteriore al fatto, sebbene esse non fossero state accettate, e non si intromise in alcun modo nella direzione dell'attività lavorativa che era affidata al fratello P.E..
P.A., infine, aggiunge alle indicate censure la considerazione che egli fu del tutto assente dalla scena del fatto in quanto convalescente per un precedente incidente.
Tale incidente, peraltro, è irrilevante giacchè gli era occorso mentre si trovava sul tetto per verificare i danni determinati dal vento.

3. I ricorsi sono fondati solo per ciò che attiene alla motivazione in ordine ai profili risarcitori.

3.1 La pronunzia impugnata pone in luce che il lavoratore era operaio generico addetto alla falegnameria, mansione del tutto diversa da quella inerente alla riparazione del tetto, per la quale non aveva alcuna formazione specifica.
Si aggiunge che, ai sensi dell'art. 2087 c.c., gli imputati, nella loro veste di datori di lavoro, erano gravati da posizione di garanzia.
D'altra parte, le modalità della lavorazione in corso erano dettate dalla scelta aziendale di risparmiare compiendo in proprio un'attività di ripristino rischiosa ed estranea alle mansioni dei dipendenti.
Si è dunque in presenza di una scelta strutturale e non contingente che coinvolge, conseguentemente, la responsabilità di tutti gli imputati, compreso P.G. che rivestiva la qualità di socio e consigliere e non aveva posto in essere alcuna delega di funzioni.
D'altra parte il carattere strutturale della scelta in ordine alle modalità della lavorazione è documentata dalla circostanza che P.A. già in precedenza era incorso in un incidente analogo, essendo precipitato dall'alto nel corso della riparazione del tetto.
La situazione di rischio, d'altra parte, era del tutto evidente, giacchè la vittima era in quello stesso giorno già scivolata sul tetto in circostanze analoghe pur con conseguenze minime.
Elementi univoci, ricavabili dalle consulenze in atti - prosegue la Corte - fanno ritenere che la lavorazione ebbe luogo sul tetto, come documentato dagli strumenti da lavoro che vi furono rinvenuti, dalla circostanza che le stuccatore fra le lastre dovevano essere fatte dal di sopra e che infine quanto meno le ultime lastre dovevano essere di necessità apposte da qualcuno che si trovasse sul tetto.
Sebbene non sia emerso chiaramente il motivo per il quale la vittima si portò nuovamente sul tetto, non vi è dubbio che tale condotta ebbe luogo in relazione al compito affidatogli dai datori di lavoro.
In ogni caso, anche se la vittima fosse tornato sul tetto di sua iniziativa, il fatto non appare eccezionale o imprevedibile e tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro, in quanto si tratta di attività connessa alla riparazione in quota che gli era stata affidata.
Traspare conclusivamente un grave deficit di formazione, informazione e vigilanza da parte dei datori di lavoro nei confronti di un dipendente privo di competenze specifiche.
Si configura pertanto la responsabilità di tutti i datori di lavoro sebbene un ruolo preponderante debba essere attribuito a P. E., che dirigeva le operazioni ed era responsabile per la sicurezza avendo organizzato la riparazione in questione.
Tale apprezzamento risulta basato su plurime ed altamente significative acquisizioni probatorie, analizzate in dettaglio e senza che siano prospettabili vizi logico-giuridici.
Si tratta di tipici apprezzamenti di merito che non possono essere sindacati nella presente sede di legittimità.
Risulta quindi correttamente argomentata l'inferenza finale: le lavorazioni avvenivano in modo pericoloso ed incauto per effetto di una dissennata scelta aziendale volta minimizzare i costi procedendo in economia,
in assenza di impalcature e procedure appropriate nonchè utilizzando personale per nulla formato a governare l'altissimo rischio connesso alla circolazione su un tetto costituito da fragili lastre di eternit.
Trattandosi non di fatto occasionale ma di scelta aziendale, correttamente è stata ravvisata la responsabilità di tutti i ricorrenti.

3.2 E' invece fondata la censura afferente al risarcimento del danno.
Il primo giudice ha provveduto alla definitiva liquidazione e tutti gli imputati hanno contestato con i motivi di appello, il relativo criterio di determinazione.
Al riguardo la pronunzia d'appello ha completamente taciuto, con la conseguenza che si configura il vizio di mancanza della motivazione che impone l'annullamento con rinvio davanti al giudice civile, onde consentire l'esame della questione.


P.Q.M.

 

 

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio davanti al giudice civile competente per valore in grado d'appello.
Respinge nel resto i ricorsi.

Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 30-11-2011) 21-12-2011, n. 47507
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALBIATI Ruggero - Presidente
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere
Dott. D'ISA Claudio - Consigliere
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - rel. Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) P.E. N. IL (OMISSIS);
2) P.G. N. IL (OMISSIS);
3) P.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 120/2009 CORTE APPELLO di TORINO, del 29/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/11/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO
BLAIOTTA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GERACI, che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi.
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Il Tribunale di Verbania ha affermato la responsabilità degli imputati in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di M.S.; e li ha
altresì condannati al risarcimento del danno nei confronti delle parti civili.
La pronunzia è stata parzialmente riformata dalla Corte d'appello di Torino che, concesse a tutti gli
imputati le attenuanti generiche, ha rideterminato le pene.
Secondo i giudici di merito, il lavoratore si trovava sul tetto in eternit un capannone per sostituire alcune
lastre danneggiate quando una di esse cedette determinandone la letale caduta al suolo.
Agli imputati, nelle loro vesti di datori di lavoro, è stato mosso l'addebito di non aver apprestato le cautele
atte a garantire la sicurezza della lavorazione e di non aver formato il dipendente in ordine allo specifico
incarico demandatogli, trattandosi di operaio con qualifica di falegname.
2. Ricorrono per cassazione gli imputati con distinti gravami che, nel loro nucleo, risultano identici.
P.E. espone che, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, si era provveduto ad innalzare un
ponteggio all'interno dello stabilimento per sostituire alcune lastre di copertura del tetto che erano state
danneggiate dalle intemperie. L'operazione di riparazione era stata compiuta dal ricorrente e dalla vittima
operando dall'interno e senza salire sullo stesso tetto. Terminata l'operazione il ponteggio era stato
smontato. Successivamente, arbitrariamente, il lavoratore si portò sul tetto forse per recuperare alcuni
attrezzi che vi aveva deposto, pose un piede su una lastra in eternit che cedette determinando la caduta al
suolo.
Tale ricostruzione degli accadimenti, si assume, emerge da diverse deposizioni testimoniali rese da
dipendenti dell'azienda.
In conclusione, il lavoro era stato eseguito in sicurezza e la vittima, con la sua condotta arbitraria e
sconsiderata, innescò un fattore causale interruttivo del nesso causale.
D'altra parte, essendosi operato dall'interno, non occorreva valutare la solidità della copertura.
Si lamenta altresì la mancanza di motivazione sulla determinazione del danno da risarcire.
La sentenza d'appello conferma pedissequamente quella del Tribunale senza prendere in considerazione le
doglianze difensive.
A tali censure P.G. aggiunge che la responsabilità a suo carico è stata basata su mera responsabilità di
posizione.
Egli aveva infatti rassegnato le dimissioni in epoca anteriore al fatto, sebbene esse non fossero state
accettate, e non si intromise in alcun modo nella direzione dell'attività lavorativa che era affidata al fratello
P.E..
P.A., infine, aggiunge alle indicate censure la considerazione che egli fu del tutto assente dalla scena del
fatto in quanto convalescente per un precedente incidente.
Tale incidente, peraltro, è irrilevante giacchè gli era occorso mentre si trovava sul tetto per verificare i
danni determinati dal vento.
3. I ricorsi sono fondati solo per ciò che attiene alla motivazione in ordine ai profili risarcitori.
3.1 La pronunzia impugnata pone in luce che il lavoratore era operaio generico addetto alla falegnameria,
mansione del tutto diversa da quella inerente alla riparazione del tetto, per la quale non aveva alcuna
formazione specifica.
Si aggiunge che, ai sensi dell'art. 2087 c.c., gli imputati, nella loro veste di datori di lavoro, erano gravati
da posizione di garanzia.
D'altra parte, le modalità della lavorazione in corso erano dettate dalla scelta aziendale di risparmiare
compiendo in proprio un'attività di ripristino rischiosa ed estranea alle mansioni dei dipendenti.
Si è dunque in presenza di una scelta strutturale e non contingente che coinvolge, conseguentemente, la
responsabilità di tutti gli imputati, compreso P.G. che rivestiva la qualità di socio e consigliere e non aveva
posto in essere alcuna delega di funzioni.
D'altra parte il carattere strutturale della scelta in ordine alle modalità della lavorazione è documentata
dalla circostanza che P.A. già in precedenza era incorso in un incidente analogo, essendo precipitato
dall'alto nel corso della riparazione del tetto.
La situazione di rischio, d'altra parte, era del tutto evidente, giacchè la vittima era in quello stesso giorno
già scivolata sul tetto in circostanze analoghe pur con conseguenze minime.
Elementi univoci, ricavabili dalle consulenze in atti - prosegue la Corte - fanno ritenere che la lavorazione
ebbe luogo sul tetto, come documentato dagli strumenti da lavoro che vi furono rinvenuti, dalla
circostanza che le stuccatore fra le lastre dovevano essere fatte dal di sopra e che infine quanto meno le
ultime lastre dovevano essere di necessità apposte da qualcuno che si trovasse sul tetto.
Sebbene non sia emerso chiaramente il motivo per il quale la vittima si portò nuovamente sul tetto, non vi
è dubbio che tale condotta ebbe luogo in relazione al compito affidatogli dai datori di lavoro.
In ogni caso, anche se la vittima fosse tornato sul tetto di sua iniziativa, il fatto non appare eccezionale o
imprevedibile e tale da escludere la responsabilità del datore di lavoro, in quanto si tratta di attività
connessa alla riparazione in quota che gli era stata affidata.
Traspare conclusivamente un grave deficit di formazione, informazione e vigilanza da parte dei datori di
lavoro nei confronti di un dipendente privo di competenze specifiche.
Si configura pertanto la responsabilità di tutti i datori di lavoro sebbene un ruolo preponderante debba
essere attribuito a P. E., che dirigeva le operazioni ed era responsabile per la sicurezza avendo organizzato
la riparazione in questione.
Tale apprezzamento risulta basato su plurime ed altamente significative acquisizioni probatorie, analizzate
in dettaglio e senza che siano prospettabili vizi logico-giuridici.
Si tratta di tipici apprezzamenti di merito che non possono essere sindacati nella presente sede di
legittimità.
Risulta quindi correttamente argomentata l'inferenza finale: le lavorazioni avvenivano in modo pericoloso
ed incauto per effetto di una dissennata scelta aziendale volta minimizzare i costi procedendo in economia,
in assenza di impalcature e procedure appropriate nonchè utilizzando personale per nulla formato a
governare l'altissimo rischio connesso alla circolazione su un tetto costituito da fragili lastre di eternit.
Trattandosi non di fatto occasionale ma di scelta aziendale, correttamente è stata ravvisata la
responsabilità di tutti i ricorrenti.
3.2 E' invece fondata la censura afferente al risarcimento del danno.
Il primo giudice ha provveduto alla definitiva liquidazione e tutti gli imputati hanno contestato con i motivi
di appello, il relativo criterio di determinazione.
Al riguardo la pronunzia d'appello ha completamente taciuto, con la conseguenza che si configura il vizio di
mancanza della motivazione che impone l'annullamento con rinvio davanti al giudice civile, onde
consentire l'esame della questione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili, con rinvio davanti al giudice civile
competente per valore in grado d'appello.
Respinge nel resto i ricorsi.