Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 febbraio 2012, n. 2618 - Natura professionale della malattia sofferta da un aiuto macchinista: "artrosi cervicale con compromissione midollare osteofita e prolusioni discali"


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio - Presidente

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella - Consigliere

Dott. NOBILE Vittorio - Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 


sul ricorso 14912/2009 proposto da:

(Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato STUDIO (Omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato (Omissis), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio degli avvocati (Omissis) e (Omissis) che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2529/2008 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 16/06/2008 r.g.n. 404/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/12/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE BRONZINI;

udito l'Avvocato (Omissis);

udito l'Avvocato (Omissis) per delega (Omissis);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

 



Il Tribunale del lavoro di Bari con sentenza del 6.12.2004 dichiarava la natura professionale della malattia sofferta da (Omissis), aiuto macchinista, dell'"artrosi cevicale con compromissione midollare osteofita e prolusioni discali" con conseguente inabilità nella misura del 35%.

Sull'appello dell'INAIL la Corte di appello di Bari, previa rinnovazione della CTU, accoglieva l'appello dell'INAIL, rigettando la domanda.

La Corte territoriale rilevava che il (Omissis) era risultato affetto da numerose malattie, che per quella artrosica non era emersa una correlazione causale con il lavoro svolto e che i testimoni solo genericamente avevano confermato scuotimenti e vibrazioni nello svolgimento dell'attività. Non era stato provato il nesso eziologico tra l'attività professionale prestata come macchinista e la malattia denunciata.

Ricorre il (Omissis) con quattro motivi; resiste l'INAIL con controricorso.

Diritto



Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione egli articoli 115, 116 c.p.c., e l'illogicità ed insufficienza della motivazione; non vi era alcun cenno nella sentenza impugnata alla consulenza svolta in primo grado ed alle critiche mosse alla CTU di appello.

Il motivo è infondato. Va ricordato l'orientamento di questa Corte secondo cui "in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione, denunciarle in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un'inammissibile critica del convincimento del giudice" (Cass. n. 9988/2009; 8654/2008; 16223/2003). Nel caso in esame tale prospettazione manca del tutto in quanto il ricorso muove mere censure di fatto limitandosi ad invocare l'opinione di altri medici; non viene lamentata l'omissione di indagini mediche essenziali, nè devianze di sorta dalla nozioni correnti della scienza medica. Tali devianze non emergono dal motivo e la sentenza appare motivata in modo molto attento con puntuali riferimenti a quanto accertato dal CTU in grado di appello ed agli argomenti da questi addotti, con richiamo anche ad accertamenti obiettivi radiografici, per escludere la tesi accolta dal CTU di primo grado e, evidentemente, nelle note critiche alla CTU. Va ricordato che "in applicazione del principio secondo cui il controllo di legittimità compiuto dalla Corte di cassazione non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma consiste nella verifica sotto il profilo formale e della correttezza giuridica dell'esame e della valutazione compiuti dal giudice di appello, nel caso in cui il giudice di merito si basi, in un giudizio in materia di invalidità pensionabile, sulle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza è denunciarle in cassazione necessario che siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente, circa, l'entità e l'incidenza del dato patologico, e quella della parte" (Cass. n. 225/2000; cfr. anche Cass. n. 17096/2007); tali carenze diagnostiche non emergono e nel motivo ci si limita in sostanza a contrapporre, come si è già osservato, la tesi di alcuni medici a quella accolta dal CTU nominato in appello.

Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116 e 175 c.p.c. e la carenza motivazione della sentenza impugnata: non era stato considerato quanto riferito dai vesti circa gli scuotimenti e le vibrazioni subiti dal ricorrenti nell'esercizio delle sue mansioni.

Si tratta di censure di merito dirette ad una riqualificazione del fatto, inammissibili in questa sede: la Corte di appello ha valutato la prova testimoniale osservando che le dichiarazioni rese dai testi sul punto erano assolutamente generiche e non circostanziate. La motivazione appare persuasiva e logicamente coerente: nel motivo si contesta al Giudice di appello di non aver usato dei propri poteri di uffici per approfondire il tema, ma non si documenta neppure che la parte ricorrente abbia sollecitato tale approfondimento.

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 41 c.p., e la carenza motivazionale della sentenza impugnata: la patologia artrosica denunciata nel 1984 doveva essere considerata a carattere professionale e quindi doveva essere considerata la sua efficacia concausale nel determinare l'evento di cui è causa.

Anche in questo caso di tratta di una censura di merito: la Corte di appello ha escluso che l'artrosi denunciata come malattia professionale sia stata determinata, anche solo come concausa, dalla sua attività lavorativa e fa un preciso riferimento a quanto è emerso in una radiografia del 1994 dalla quale non emergeva la compromissione del segmento lombare, che maggiormente viene esposto alla sollecitazioni di eventuali scuotimenti e vibrazioni, il che comprova che la detta malattia sia da addebitarsi a fattori diversi da quelli lavorativi. La motivazione appare persuasiva e logicamente coerente; le censure sono di merito.

Con l'ultimo motivo si deduce la carenza motivazionale della sentenza: non si era considerato che le F.S. avevano riconosciuto la malattia come causa di servizio.

Sul punto la motivazione della sentenza impugnata appare del tutto corretta avendo la Corte territoriale richiamato l'orientamento di questa Corte secondo il quale "le differenze tra equo indennizzo e rendita per malattia professionale - esistenti sotto diversi profili - concernono anche il nesso eziologico tra infermità ed attività lavorativa, atteso che, con riferimento all'indennizzo, la riconducibilità delle infermità alle specifiche modalità di svolgimento delle mansioni inerenti alla qualifica rivestita (quali luoghi di lavoro, turni di servizio, ambiente lavorativo, ecc.) rientrano tra i fatti costitutivi del diritto, mentre la rendita - richiedendo che la malattia sia contratta nell'esercizio o a causa della lavorazione svolta - implica uno stretto nesso tra patologia ed attività lavorativa, che in caso di fattori plurimi deve costituire la "conditio sine qua non" della malattia. (In applicazione di tale principio la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in riferimento all'equo indennizzo, non aveva accertato il nesso causale mediante l'analisi - con conseguente motivazione - delle modalità di espletamento del servizio, per di piu' in presenza di malattie con molteplici fattori genetici)" (Cass. n. 17353/2005, cfr. anche Cass. n. 4005/2005 e Cass. n. 18204/2002). Il piu' penetrante ed approfondito esame condotto nella presente controversia ha portato, come detto, ad escludere la genesi professionale della denunciata malattia.

Si deve quindi rigettare il ricorso; stante l'epoca della proposizione della domanda nulla sulle spese.

 

P.Q.M.



La Corte:

rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.