Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 22 febbraio 2012, n. 6966 - Infortunio mortale alla guida di una moto agricola precipitata nel vuoto e necessario coordinamento dei garanti della sicurezza


 

 

 

 

Responsabilità del titolare di un'impresa individuale appaltatrice dei lavori di realizzazione delle rampe e dei muri di fascia presenti nel cantiere e dell'amministratore unico dell'impresa committente ed esecutrice dei lavori di ristrutturazione edilizia di un immobile, nonchè coordinatore per l'esecuzione, per infortunio mortale di un lavoratore.

Quest'ultimo percorreva in discesa la rampa realizzata nel cantiere, caratterizzata da una forte pendenza e priva di parapetti nei tratti prospicienti il vuoto, alla guida di una moto agricola con agganciato un carrello. Per cause imprecisate il veicolo usciva dalla rampa e non riuscendo ad arrestare la corsa in tempo utile, precipitava nella fascia sottostante: a causa dell'impatto il cassone si abbatteva sulla testa della vittima, che riportava lesioni letali.

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Rigetto.

Secondo i giudici di merito la particolarità del luogo e le caratteristiche della moto agricola determinavano una situazione di rischio che avrebbe dovuto essere stimata e governata con azione coordinata dai due garanti. Al contrario, nessun approfondimento era stato compiuto al riguardo. Inoltre la carreggiata molto ridotta e la sua elevatissima pendenza rendevano il mezzo impiegato operativo ai limiti delle sue possibilità. Inoltre la rampa era completamente priva di protezione verso il vuoto.

Ancora, il mezzo era inadeguato per mancanza di una cellula di protezione e di un meccanismo di ritenuta della persona.

La Corte, in breve, condivide la valutazione compiuta dal primo giudice secondo cui, un opportuno coordinamento tra i due garanti della sicurezza avrebbe dovuto condurre, dopo attenta valutazione della situazione, alternativamente alla modifica dell'ambiente di lavoro nel punto di maggior pericolo (ad esempio realizzando una rampa con zona di fuga più ampia, piana, omogenea e protetta verso il vuoto) o all'uso di un mezzo diverso, munito ad esempio cabina o di roll-bar e cinture. Tale predisposizione era imposta oltre che da norme specifiche dalla generale regola di prudenza che governa la materia.


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marc - rel. Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) RA. FR. N. IL (Omissis);

2) FA. CL. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 3240/2009 CORTE APPELLO di GENOVA, del 21/06/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/12/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cedragonolo che ha concluso per il rigetto per To. e l'annullamento con rinvio per Fa. ;

Udito il difensore avv. To. che ha chiesto l'accoglimento dei ricorsi.

FattoDiritto



1. Il Tribunale di Genova ha affermato la responsabilità degli imputati in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro in danno di Co. Ma. . La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Genova.

Il fatto, nei suoi termini essenziali, è stato ricostruito dai giudici di merito nei seguenti termini: il lavoratore percorreva in discesa la rampa realizzata nel cantiere, caratterizzata da una forte pendenza e priva di parapetti nei tratti prospicienti il vuoto, alla guida di una moto agricola con agganciato un carrello. Per cause imprecisate il veicolo usciva dalla rampa e non riuscendo ad arrestare la corsa in tempo utile, precipitava nella fascia sottostante. A causa dell'impatto il cassone si abbatteva sulla testa del C., che riportava lesioni letali.

E' stato mosso addebito colposo nei confronti di Ra. Fr. quale titolare di impresa individuale appaltatrice dei lavori di realizzazione delle rampe e dei muri di fascia presenti nel cantiere; nonchè nei confronti di Fa. Cl. quale amministratore unico dell'impresa committente ed esecutrice dei lavori di ristrutturazione edilizia di un immobile, nonchè coordinatore per l'esecuzione.



2. Ricorrono per cassazione gli imputati.

2.1. Ra.Fr. espone che la pronunzia è priva di reale motivazione circa le ragioni per le quali il mezzo è stato ritenuto inidoneo e sulla rilevanza della assenza dei parapetto che avrebbe dovuto comunque essere finalizzato ad impedire la caduta e non utilizzato come guardrail. Inoltre è contrario al vero che alla riapertura del cantiere siano state imposte prescrizioni, come documentato dallo stralcio di deposizione testimoniale che viene allegato. Si aggiunge che la normativa è finalizzata esclusivamente ad evitare la caduta di persone ed oggetti nel vuoto, sicchè anche la presenza del parapetto non avrebbe evitato la precipitazione.

Si è trascurato che il mezzo utilizzato è l'unico che consente di operare nelle fasce o terrazze, che esso era omologato e che non vi era alcuna normativa che obbligasse il datore di lavoro ad adeguare un mezzo già omologato. Alla stregua della normativa, le protezioni non sono obbligatorie se le attrezzature sono stabilizzate durante il lavoro e nel caso di specie è pacifico che non era presente alcun rischio di ribaltamento.

2.2 Fa.Cl. propone gravame sostanzialmente coincidente, rimarcando in particolare che, è infondata l'affermazione secondo cui la riapertura del cantiere fu consentita a condizione che il materiale fosse movimentato a mano. Essa è frutto di un clamoroso errore di lettura degli atti. Si aggiunge che egli, non essendo datore di lavoro della vittima, non puo' rispondere di violazione connessa al mezzo utilizzato.

3. I ricorsi sono infondati.

Alla luce di quanto esposto nelle pronunzie di merito, emerge che la moto agricola aziendale impegnava a pieno carico una rampa quando, nel punto di massima pendenza (di circa il 42%) e di minor larghezza della carreggiata, aveva luogo l'uscita di traiettoria e la caduta nella terrazza sottostante. Il terreno era scosceso, digradante verso il mare e diviso in fasce. Compito dell'infortunato era quello di trasferire terra e altri materiali di risulta da una terrazza all'altra, percorrendo la stradina di collegamento all'uopo realizzata, a bordo dell'indicato mezzo meccanico.

Secondo i giudici di merito la particolarità del luogo e le caratteristiche della moto agricola determinavano una situazione di rischio che avrebbe dovuto essere stimata e governata. Al contrario, nessun approfondimento era stato compiuto al riguardo. Inoltre la carreggiata molto ridotta e la sua elevatissima pendenza rendevano il mezzo impiegato operativo ai limiti delle sue possibilità. Inoltre la rampa era completamente priva di protezione verso il vuoto.

Ancora, il mezzo era inadeguato per mancanza di una cellula di protezione e di un meccanismo di ritenuta della persona.

In tale situazione, secondo la Corte d'appello si sarebbe dovuta porre in essere una protezione della rampa che escludesse il rischio di caduta. Al riguardo si riscontra violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, articolo 8, comma 7, e del Decreto Legislativo n. 494 del 1996, articolo 12, comma 1, lettera B, norme rivolte a prevenire il rischio di caduta dall'alto senza distinguere tra materiali, mezzi e persone. Tale necessità era ancora più evidente in considerazione del fatto che si utilizzava un veicolo inadeguato in rapporto alle caratteristiche del cantiere, tanto che ne è stata consentita la riapertura a condizione che la movimentazione della terra avesse luogo con veicoli a mano.

La Corte, in breve, condivide la valutazione compiuta dal primo giudice secondo cui, un opportuno coordinamento tra i due garanti della sicurezza avrebbe dovuto condurre, dopo attenta valutazione della situazione, alternativamente alla modifica dell'ambiente di lavoro nel punto di maggior pericolo (ad esempio realizzando una rampa con zona di fuga più ampia, piana, omogenea e protetta verso il vuoto) o all'uso di un mezzo diverso, munito ad esempio cabina o di roll-bar e cinture. Tale predisposizione era imposta oltre che da norme specifiche dalla generale regola di prudenza che governa la materia.

La Corte d'appello ravvisa rilievo causale di tali condotte e si impegna in particolare a dimostrare che, come riferito da un teste, la vittima venne sbalzata dal seggiolino ricavato sul cassone del trattorino e venne quindi colpita dal veicolo in caduta.

Si è in presenza di apprezzamento di merito fondato su plurime, definite e significative acquisizioni probatorie, conforme ai principi che governano la materia e non sindacabile nella presente sede di legittimità. Risulta particolarmente lineare il nucleo della motivazione: si era in presenza di una lavorazione evidentemente rischiosa a causa della conformazione del luogo, del carico che doveva essere trasportato, delle caratteristiche del mezzo. In conseguenza tale ragguardevole rischio avrebbe dovuto essere analizzato e governato con azione coordinata dai due garanti. Avrebbero dovuto essere adottate misure appropriate in ordine a ciascuno degli indicati fattori di rischio onde ricondurre a sicurezza l'attività del lavoratore che si muoveva con un mezzo a pieno carico su una strada scoscesa ed insicura. D'altra parte, risulta priva di pregio la censura, invero non decisiva, relativa all'assenza di prescrizione cui era condizionata la riapertura del cantiere. Invero, la lettura del verbale consente di rilevare che le prescrizioni vennero adottate anche se verosimilmente non comunicate agli interessati.

I ricorsi devono essere conseguentemente rigettati. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.