Cassazione Penale, Sez. 4, 21 febbraio 2012, n. 6841 - Infortunio mortale e responsabilità del direttore tecnico dei lavori di costruzione di una rete fognaria: mancanza dei cd. "blindo scavi"


 

 

 

Responsabilità del direttore tecnico dei lavori per conto di una srl, della quale risultava dipendente, nonchè responsabile del cantiere per infortunio mortale occorso ad un lavoratore durante la realizzazione di una rete fognaria: quest'ultimo stava posizionando, sul fondo di uno scavo lungo circa 20 metri, largo m 1,50 e profondo m,. 3,50, un tubo per la realizzazione della rete fognaria; in precedenza, lungo la stessa direttrice ma più in alto era stato realizzato un altro scavo, dove era stato riposto un tubo del gas stabilizzato con un prodotto a base di cemento e di pozzolana denominato "Duramix". Improvvisamente, un blocco di calcestruzzo si era staccato dalla sovrastante tubazione del gas travolgendo il lavoratore e determinandone la morte. La causa del sinistro era stata accertata nella mancata protezione delle pareti dello scavo con armature di sostegno, i cd. "blindo scavi", paratie finalizzate a rendere sicure le pareti della trincea, impedendo smottamenti e distacchi di materiali.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

Risultava agli atti che l'imputato era colui che giornalmente coordinava i lavoratori delle varie imprese presenti nel cantiere dando le disposizioni in ordine alle varie attività da svolgere. Il prevenuto era stato nominato direttore tecnico dei lavori e addetto alla sicurezza dei cantieri ed in quanto tale egli era investito di una posizione di garanzia analoga a quella del legale rappresentante della ditta, con l'obbligo giuridico di prevenire il verificarsi di eventi lesivi o mortali, attraverso la vigilanza diretta sul cantiere, la direzione delle opere, l'imposizione dell'esecuzione delle stesse in conformità della legge.

 


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. BRUSCO Carlo G. - Presidente

 

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

 

Dott. GALBIATI Ruggero - rel. Consigliere

 

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

 

Dott. VITELLI CASELLA Luca - Consigliere

 

ha pronunciato la seguente:

 

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

 

1. C.M. n. il (OMISSIS);

 

avverso la sentenza n 1813/2009 della Corte di Appello di Roma in data 23/2/2010;

 

udita la relazione svolta dal consigliere Ruggero Galbiati;

 

udito il Pubblico Ministero in persona del dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

 

udito il difensore avv.to Serra Francesco che si è riportato ai motivi di ricorso.

 

 


Fatto

 

 

 

 

1. Con sentenza in data 26/6/2008 all'esito di rito abbreviato, il GUP del Tribunale di Roma dichiarava C.M. colpevole per il reato di omicidio colposo a seguito di infortunio sul lavoro perpetrato a danno del lavoratore T.A.. La responsabilità veniva accertata in relazione alla qualifica rivestita dal C., dipendente della S. s.r.l., di direttore tecnico dei lavori appunto per conto della S. nonchè di responsabile del cantiere sito in Roma via dell'Ape Regina, con poteri di distribuzione ed organizzazione del lavoro dei dipendenti delle Soc. S., E. S.R.L e C.C. S.R.L. Il Giudice dichiarava estinti i reati contravvenzionali contestati perchè prescritti e condannava l'imputato, concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, alla pena di anni uno di reclusione.

 

2. In punto di fatto (29/1/2003), era risultato che il committente Consorzio Colli della Castelluccia aveva appaltato nel novembre 1999 lavori per la realizzazione della rete fognaria alla S.; quest'ultima aveva concluso un contratto di noleggio di mezzi con l'E. S.R.L. ed aveva poi subappaltato lavori specifici di scavo alla Società C.C.; T.A. era dipendente della C.C..

Il giorno dell'occorso, il T. stava posizionando, sul fondo di uno scavo lungo circa 20 metri, largo m 1,50 e profondo m,. 3,50, un tubo per la realizzazione della rete fognaria; in precedenza, lungo la stessa direttrice ma più in alto era stato realizzato un altro scavo, dove era stato riposto un tubo del gas stabilizzato con un prodotto a base di cemento e di pozzolana denominato "Duramix".

 

Improvvisamente, un blocco di calcestruzzo si era staccato dalla sovrastante tubazione del gas travolgendo il lavoratore e determinandone la morte.

 

La causa del sinistro era stata accertata nella mancata protezione delle pareti dello scavo con armature di sostegno, i cd. "blindo scavi", paratie finalizzate a rendere sicure le pareti della trincea, impedendo smottamenti e distacchi di materiali.

 

3. L'imputato proponeva appello.

 

La Corte di Roma, con sentenza in data 23/2/2010, ribadiva che, secondo le dichiarazioni rese dal lavoratore T., dipendente della S., era il C. che giornalmente coordinava i lavoratori delle varie imprese presenti nel cantiere dando le disposizioni in ordine alle varie attività da svolgere. Il prevenuto era stato nominato in data 16/10/2001 direttore tecnico dei lavori e addetto alla sicurezza dei cantieri ed in quanto tale egli era investito di una posizione di garanzia analoga a quella del legale rappresentante della ditta, con l'obbligo giuridico di prevenire il verificarsi di eventi lesivi o mortali, attraverso la vigilanza diretta sul cantiere, la direzione delle opere, l'imposizione dell'esecuzione delle stesse in conformità della legge.

 

La Corte, confermata in punto di responsabilità la decisione di primo grado, riduceva la pena inflitta, pur mantenendo il giudizio di comparazione tra attenuanti ed aggravante come equivalente, a mesi otto di reclusione.

 

4. L'imputato proponeva ricorso per cassazione. Osservava che la documentazione acquisita in atti escludeva che esso istante rivestisse la qualifica di direttore tecnico e che avesse specifiche responsabilità nel settore dell'infortunistica. Invece, la responsabilità per la protezione e prevenzione degli infortuni sul lavoro era stata attribuita a tale dott. M.. Piuttosto, egli aveva solo la qualifica di direttore dei lavori che, anche secondo il disposto di cui al D.P.R. n. 554 del 1999, art. 124 prevedeva lo svolgimento di incombenti concernenti l'interlocuzione con l'appaltatore in merito agli aspetti tecnici ed economici del contratto e la verifica della regolarità della documentazione da tenersi a carico dell'appaltatore in materia di obblighi nei confronti dei dipendenti. In considerazione di detta normativa, il direttore dei lavori non era sicuramente tenuto ad assicurare una presenza continuativa in cantiere.

 

Chiedeva l'annullamento della decisione.

 

 

Diritto

 

 

1. Il ricorso va rigettato perchè infondato.

 

Giova rilevare che il controllo della Corte di Cassazione sulla logicità della motivazione riguarda la coerenza strutturale della decisione, di cui viene delibata la oggettiva "tenuta" sotto il profilo logico- argomentativo. Al Giudice di legittimità è preclusa, in sede di controllo della motivazione, la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti: queste operazioni, infatti, trasformerebbero la Cassazione in altro giudice del fatto ed impedirebbero alla stessa di svolgere proprio la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito rispetti sempre uno standard minimo di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l'iter logico seguito dal Giudice stesso per giungere alla decisione.

 

2. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ricostruito correttamente la vicenda in fatto, indicando gli specifici elementi probatori apprezzandoli ed interpretandoli in modo adeguato. I dati evidenziati in sede di merito hanno messo in luce il ruolo attivo che aveva l'imputato nell'organizzazione dei vari cantieri aperti provvedendo giornalmente ad assegnare le mansioni lavorative da svolgere per ciascun addetto. Ne consegue l'evidente posizione di garanzia a fini di prevenzione antinfortunistica di cui era titolare il predetto, in connessione con le funzioni svolte.

 

D'altro canto, il ricorrente non ha fornito deduzioni in fatto idonee ad inficiare seriamente l'apparato argomentativo prospettato dalla Corte di Appello. Mentre, la motivazione in esame non si palesa logicamente inconciliabile con specifici atti del processo, indicati e rappresentati dallo istante, dotati eventualmente di forza esplicativa tale che la loro rappresentazione possa disarticolare il ragionamento svolto dal Collegio di merito.

 

3. La reiezione del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

 

 

 

P.Q.M.

 

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.