Cassazione Penale, Sez. 4, 12 marzo 2012, n. 9469 - Lavori di posa di una nuova linea elettrica e rimozione della linea precedente: folgorazione letale per cattivo isolamento


 

 

Responsabilità del legale rappresentante di una srl che aveva avuto in appalto l'esecuzione di lavori di posa di una nuova linea elettrica e la rimozione della linea preesistente per infortunio mortale di un lavoratore rimasto folgorato. Nel corso delle lavorazioni veniva male eseguita l'operazione di aggancio e fascettatura della nuova linea a quella preesistente. In particolare le fascette venivano eccessivamente serrate determinando microlesioni al materiale isolante che avvolgeva i cavi elettrici, con conseguente dispersione di energia. L'elettricità si trasmetteva per conduzione alle parti metalliche con cui il cavo era in contatto determinando l'evento letale: il lavoratore Xh. Mu. toccava casualmente un gancio metallico di sostegno del cavo riportandone folgorazione letale. L'evento è stato reso possibile altresì dalla mancanza di una ulteriore guaina di rivestimento della linea nel punto in cui era stata fascettata col cavo portante, come prescritto dalla normativa in materia.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile.

Il cattivo isolamento eseguito dall'impresa dell'imputato costituisce fattore causale dell'evento, giacchè la folgorazione avvenne proprio per effetto della dispersione di elettricità determinata dagli indicati difetti di realizzazione dell'opera.

Ambedue le condotte scorrette poste in essere con riguardo alla incongrua fascettatura ed alla omissione del secondo isolamento sono ascrivibili all'imputato, a causa del mancato rispetto delle regole previste dalla buona tecnica e dalla normativa. In tale situazione, considera la Corte d'appello, è del tutto improprio parlare di caso fortuito o di forza maggiore.

Peraltro l'addebito mosso all'imputato non riguarda la materiale esecuzione dell'operazione di cui si discute; bensì il suo ruolo di datore di lavoro che gli imponeva di progettare ed attuare l'intervento sulla linea elettrica in guisa che, da chiunque fosse eseguito, venissero rispettate le regole di prudenza e perizia del caso. Dunque, le diffusione deduzioni sul soggetto che operò la fascettatura sono del tutto prive di rilievo.


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marc - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) SC. DA. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 2646/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 29/11/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/01/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROCCO MARCO BLAIOTTA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. VOLPE Giuseppe che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione;

Udito il difensore Avv. Ca. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso o, comunque, l'annullamento senza rinvio per prescrizione.

 

FattoDiritto



1. Il Tribunale di Arezzo ha affermato la penale responsabilità dell'imputato in epigrafe in ordine al reato di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro. La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Firenze.

Secondo quanto ritenuto dei giudici di merito, la ditta dell'imputato, denominata It. srl, aveva avuto in appalto l'esecuzione di lavori per la posa di una nuova linea elettrica e la rimozione della linea preesistente. Nel corso delle lavorazioni veniva male eseguita l'operazione di aggancio e fascettatura della nuova linea a quella preesistente. In particolare le fascette venivano eccessivamente serrate determinando microlesioni al materiale isolante che avvolgeva i cavi elettrici, con conseguente dispersione di energia. L'elettricità si trasmetteva per conduzione alle parti metalliche con cui cavo era in contatto determinando l'evento letale: il lavoratore Xh. Mu. toccava casualmente un gancio metallico di sostegno del cavo riportandone folgorazione letale. L'evento è stato reso possibile altresì dalla mancanza di una ulteriore guaina di rivestimento della linea nel punto in cui era stata fascettata col cavo portante, come prescritto dalla normativa in materia.

2. Ricorre per cassazione l'imputato.

Si assume che l'affermazione di responsabilità dell'imputato è basata su una erronea lettura del contesto probatorio ed in primo luogo sulla attribuzione a costui della incongrua operazione di fascettatura che viene ritenuta il fattore iniziale della serie causale sfociata nel tragico evento. In realtà non vi è prova che tale operazione sia stata compiuta dal ricorrente. La Corte trae argomento dalla ammissione in tal senso compiuta dallo Sc. nel corso dell'esame dibattimentale. Essa ha tuttavia travisato il contenuto della prova giacchè l'imputato si è attribuita la responsabilità della giunzione e non della fascettatura che costituisce operazione distinta. A tale riguardo viene trascritto un brano dell'atto dibattimentale nel quale il ricorrente, ammessa la giunzione, ha dichiarato di non ricordare chi abbia successivamente apposto la fascetta.

La stessa Corte d'appello d'altra parte, si deduce ancora, mostra di condividere le valutazioni compiute dal consulente del pubblico ministero in ordine alla erronea esecuzione della fascettatura della nuova linea al cavo portante, da parte della ditta dell'imputato. La Corte liquida le doglianze difensive espresse negli atti d'appello considerando che il Tribunale non ha valutato le considerazioni del consulente della difesa posto che costui ha dichiarato di condividere le conclusioni dell'esperto dall'accusa. Tale valutazione è erronea ed è smentita dalla lettura delle dichiarazioni rese da tale ultimo consulente in sede dibattimentale. Il consulente della difesa ha in particolare contestato che il serraggio delle fascette sia stato erroneo ed abbia provocato lesioni al cavo, attribuibili invece a residui di cemento caduto accidentalmente sul canapo. Anche a tale riguardo vengono trascritti brani della deposizione. In tale atto il ridetto consulente della difesa afferma di aver concordato con le conclusioni dell'esperto dell'accusa salvo che per un piccolo particolare: oltre alle screpolature dei cavi vi erano anche delle lesioni puntiformi.

La Corte d'appello ha inoltre addebitato all'imputato di non aver eseguito il doppio isolamento dei cavi, omettendo di verificare chi avesse fornito quei cavi elettrici alla ditta dell'imputato, privi del doppio isolamento oggetto di contestazione. La questione era stata dedotta e si era in particolare evidenziato che i cavi erano marchiati ENEL e pertanto, fino a prova contraria, non solo erano idonei all'uso ma eventuali contestazioni avrebbero dovuto essere rivolte a quel diverso soggetto e non all'imputato.

Ancora, disattendendo le censure difensive, la pronunzia afferma che si era in presenza di lavoro elettrico e non di carpenteria; in contrasto con quanto ritenuto dallo stesso consulente dell'accusa che ha sottolineato trattarsi di lavorazione non in tensione. Viene trascritto brano della deposizione del detto consulente in cui si evidenzia che i cavi hanno bisogno di un secondo isolamento oltre quello proprio del conduttore e che, in più, la fascetta non andava stretta fino a danneggiare le anime del cavo; ed ha aggiunto di non poter dire chi abbia compiuto l'operazione impropria.

Si lamenta ancora che la pronunzia d'appello ha glissato sul tema relativo all'appalto da En. ad It. .

Inoltre il procedimento logico seguito dalla Corte territoriale non è condivisibile, perchè frutto di una valutazione ex post e non ex ante: non era affatto prevedibile nè evitabile quell'evento e la prova è nel fatto che si sono rese necessarie molteplici verifiche ed accertamenti tecnici, per comprendere da dove venisse la dispersione di energia. Sul punto comunque non si sono formate certezze ma soltanto supposizioni. Si assume che il tragico incidente si verificò del tutto accidentalmente ed al più in occasione non a causa del lavoro svolto dalla ditta dell'imputato, dal che discende la inesigibilità di una condotta diversa. Il fatto è piuttosto frutto del caso fortuito.

Infine si assume che in data 26 dicembre 2010 è maturata la prescrizione.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

La pronunzia d'appello considera in primo luogo che ampia documentazione, che viene analiticamente indicata, dimostra con certezza che i lavori in questione erano oggetto dell'appalto conferito dall'Enel all'azienda dell'imputato. Rileva in particolare, fra l'altro, atto di consegna del gennaio 2003 con cui la ditta dell'imputato assumeva formalmente e senza riserve l'esecuzione dei lavori. D'altra parte, rileva in ogni caso il principio di effettività della condotta. A tale riguardo non vi è dubbio in ordine al coinvolgimento dell'imputato che nell'esame dibattimentale ha ammesso di aver eseguito personalmente l'operazione di fascettatura dei cavi che hanno dato causa alla morte del dipendente. Si esclude in conseguenza che la responsabilità dell'accaduto sia ascrivibile a soggetti diversi dall'imputato. D'altra parte l'imputato, nella sua veste di datore di lavoro, era obbligato ai sensi dell'articolo 2087 c.c. a garantire la sicurezza delle lavorazioni.

La pronunzia prosegue considerando che la consulenza dell'accusa pubblica si basa su precise e scientificamente ineccepibili considerazioni riscontrate anche con indagini di laboratorio: l'eccessivo serraggio delle fascette aveva causato delle microlesioni al materiale isolante che determinavano dispersione di corrente. L'imputato inoltre, in violazione della normativa in materia, richiamata anche nel contratto di appalto, aveva omesso di rivestire la fascettatura con un doppio isolamento in modo da assicurare una protezione ulteriore che avrebbe scongiurato la dispersione in concreto verificatasi. Il cattivo isolamento eseguito dall'impresa dell'imputato costituisce fattore causale dell'evento, giacchè la folgorazione avvenne proprio per effetto della dispersione di elettricità determinata dagli indicati difetti di realizzazione dell'opera.

Ambedue le condotte scorrette poste in essere con riguardo alla incongrua fascettatura ed alla omissione del secondo isolamento sono ascrivibili all'imputato, a causa del mancato rispetto delle regole previste dalla buona tecnica e dalla normativa. In tale situazione, considera ancora la Corte d'appello, è del tutto improprio parlare di caso fortuito o di forza maggiore. Tra l'altro, considera il giudice d'appello, le dispersioni di energia possono essere agevolmente rilevate con appropriati strumenti.

Si considera infine che il Tribunale non ha sottoposto a critica le valutazioni del consulente della difesa, ma ciò non inficia il costrutto motivazionale, atteso che il consulente di parte ha dichiarato di condividere la conclusione di quello dell'accusa. In ogni caso anche ad ammettere in via di ipotesi la difettosità del cavo elettrico, residua comunque la responsabilità dell'imputato per non aver eseguito il prescritto doppio isolamento.

Tale ponderazione appare basata su plurime e significative acquisizioni probatorie e palesemente immune da vizi logico-giuridici. Il gravame, infatti, fraintende il senso della decisione. L'addebito mosso all'imputato non riguarda la materiale esecuzione dell'operazione di cui si discute; bensì il suo ruolo di datore di lavoro che gli imponeva di progettare ed attuare l'intervento sulla linea elettrica in guisa che, da chiunque fosse eseguito, venissero rispettate le regole di prudenza e perizia del caso. Dunque, le diffusione deduzioni sul soggetto che operò la fascettatura sono del tutto prive di rilievo. Per il resto, il gravame tenta impropriamente di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione del merito.

Il gravame è quindi inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di euro 1.000 a titolo di sanzione pecuniaria, non emergendo ragioni di esonero.

La sentenza d'appello è del 29 novembre 2010, sicchè è stata adottata nel rispetto del termine prescrizionale, atteso che il fatto è stato commesso il (Omissis).



P.Q.M.


Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.