Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 19 marzo 2012, n. 10693 - Evento letale all'interno di uno scavo - ricostruzione del fatto: omissione di misure di sicurezza



Responsabilità del presidente del consiglio di amministrazione, responsabile della sicurezza di una s.r.l., e dell'amministratore delegato della stessa per infortunio mortale occorso ad un lavoratore.

Ai due imputati veniva contestato di aver omesso di assumere corrette e necessarie misure di sicurezza: in particolare (Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 12) omettevano di provvedere, nei lavori di escavazione con mezzi meccanici, affinchè fosse vietata la presenza di operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco e di vietare ai lavoratori di avvicinarsi alla base della parete di attacco e, in quanto necessario in relazione o all'altezza dello scavo o alle condizioni di accessibilità del ciglio della platea superiore, di delimitare la zona superiore di pericolo mediante opportune segnalazioni spostabili con proseguire dello scavo.

Il Tribunale ha ritenuto gli imputati responsabili del reato ascritto e ha prospettato tre ipotesi di ricostruzione del fatto.

Secondo la prima la vittima si sarebbe trovata sul ciglio dello scavo ed, a causa di un cedimento del terreno, sarebbe precipitato all'interno da un'altezza di due metri e quaranta; ritenuta dal tribunale meno probabile poichè, per quanto accertato, le pareti dello scavo erano perfettamente verticali e non denotavano le conseguenze di una frana.


In base alla seconda ipotesi, cui il Tribunale da maggiore affidamento, la vittima, mentre si trovava già all'interno dello scavo, sarebbe stata colpito dalla benna della ruspa a seguito di qualche incongrua manovra dell'operatore.

Per la terza ipotesi, quasi una combinazione tra le prime due, il Vo. si trovava sul ciglio dello scavo, sarebbe stato colpito dalla benna o dal braccio della ruspa e, dunque, precipitato a seguito del colpo, all'interno dello scavo. Ipotesi ritenuta poco plausibile dal Tribunale in ragione della presenza di attrezzi da lavoro nello scavo e della posizione del corpo non corrispondente alla verosimile direzione che esso avrebbe assunto laddove colpito dalla benna di ritorno sopra lo scavo dopo aver svuotato la terra di scavo sul camion.

La Corte d'Appello, ha ritenuto infondati i motivi del gravame, optando anch'essa per la ricostruzione dei fatti aderente alla seconda ipotesi in termini di ragionevole certezza.


Ricorso in Cassazione - Rigetto.

Una volta acquisita la ricostruzione dell'infortunio, la Suprema Corte afferma che i profili di colpa evidenziati a carico degli imputati sussistono pienamente in ragione della incontestata posizione di garanzia di cui sono entrambi titolari, il primo quale responsabile della sicurezza della Su. s.r.l., il secondo quale datore di lavoro, in quanto amministratore delegato della stessa.

L'infortunio è eziologicamente dipeso, come è stato accertato dai giudici di merito, non solo dalla mancanza delle suindicate misure e cautele antinfortunistiche la cui predisposizione ed attuazione spettava al datore di lavoro, ma anche dalla omessa e, comunque, insufficiente vigilanza nel senso suddetto addebitabile a colui al quale era stata conferita specificamente la qualifica di responsabile della sicurezza.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere

Dott. GALBIATI Ruggero - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1. SU. MA. n. il (Omissis);

2. SU. GU. n. il (Omissis);

Avverso la sentenza n. 295/11 della Corte d'Appello di Brescia del 16.02.2011;

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;

Udita in PUBBLICA UDIENZA del 20 gennaio 2012 la relazione fatta dal Consigliere dott. CLAUDIO D'ISA;

Udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. ANIELLO Rosario che ha concluso per l'inammissibilità dei ricorsi;

Per Su. Ma. è presente l'avv. Co. Vi. , sostituto processuale del difensore di fiducia avv. Bo. Ma. , che conclude per l'accoglimento del ricorso.

Fatto



SU. GU. e SU. MA. ricorrono in cassazione avverso la sentenza, in data 16.02.2011, della Corte d'Appello di Brescia, che, in parziale riforma della sentenza di condanna emessa nei loro confronti il 22.06.2007 dal Tribunale dello stesso capoluogo, in ordine al delitto di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, ha diminuito la pena inflitta in primo grado.

In breve il fatto per una migliore intelligenza dei motivi posti a base dei ricorsi. In data (Omissis) si verificava un infortunio nel cantiere allestito dalla ditta Su. s.r.l., sito in (Omissis), per lo scavo e la posa delle tubature e strutture di una condotta fognaria in una strada pubblica. Lo scavo, al momento del fatto, interessava un'area in cui era aperta una trincea che risultava, in parte larga circa un metro ed in parte leggermente più ampia, anche l'altezza dello scavo variava risultando, nella parte più stretta, di circa un metro e mezzo e nella parte più larga, ove doveva essere allocata la struttura (cameretta) in cemento armato in corrispondenza del sovrastante tombino, di circa due metri e quaranta. Cr. En. , dipendente della ditta Su. , presente nel cantiere (riferirà poi), dopo aver parlato sul da farsi con l'operaio Vo. An. , che si trovava lontano (di quanto non è stato riferito) dallo scavo, si era avviato, verso la macchina operatrice con cui stava lavorando, dando le spalle allo scavo, convinto che il Vo. lo avesse seguito. Salito sul suo mezzo e riavviatolo, aveva sentito l'escavatorista Ga. El. , a bordo di un escavatore operante nello scavo, urlare e suonare il clacson. A quel punto, ridisceso dal mezzo, si era avvicinato alla trincea rendendosi conto che il Vo. si trovava all'interno ed emergeva rispetto ad una massa di terra solo con la testa. Dava quindi l'allarme per chiamare i soccorsi. Giungeva sul posto, di lì a poco, un'autoambulanza del servizio 118 e la dottoressa Pi. Gi. aveva modo di costatare all'interno dello scavo la presenza di un corpo privo di vita semisommerso da terra e semiprono sul fianco destro, con la testa rivolta verso la parete dello scavo che dava sul campo contiguo alla strada. Il medico annotava, altresì, al disopra dello scavo dalla parte opposta rispetto alla testa del deceduto la presenza di una ruspa.

All'esito dell'autopsia si accertava che il corpo presentava, una ferita lacero-contusa al capo con otorragia destra, ecchimosi periorbitaria destra, escoriazioni diffuse al volto e agli arti con abnorme mobilità della mandibola per frattura, lesioni fratturative al cranio con interessamento dell'encefalo, fratture costali con sangue nel cavo pleurico sinistro e lesioni contusivo-sfacelative nel polmone sinistro, nonchè lacerazione del fegato e della milza.

I ricorrenti venivano rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all'articolo 589 c.p., comma 2 con violazione di una serie di norme antinfortunistiche nella qualità, il primo, di presidente del consiglio di amministrazione e responsabile della sicurezza della Su. s.r.l., ed, il secondo, nella qualità di amministratore delegato della stessa ed, ad entrambi, era stato contestato di aver cagionato l'evento letale omettendo di assumere corrette e necessarie misure, tra cui, quella ritenuta rilevante per i giudici del merito (Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 12) di provvedere nei lavori di escavazione con mezzi meccanici affinchè sia vietata la presenza di operai nel campo di azione dell'escavatore e sul ciglio del fronte di attacco e di vietare ai lavoratori di avvicinarsi alla base della parete di attacco e, in quanto necessario in relazione o all'altezza dello scavo o alle condizioni di accessibilità del ciglio della platea superiore, di delimitare la zona superiore di pericolo mediante opportune segnalazioni spostabili con proseguire dello scavo.

Il Tribunale ha ritenuto gli imputati responsabili del reato ascritto. Pur rilevando, la mancanza di testimoni oculari (il Ga. , imputato di reato connesso, si è avvalso della facoltà di non rispondere) ha prospettato tre ipotesi di ricostruzione del fatto.

Secondo la prima il Vo. si sarebbe trovato sul ciglio dello scavo ed, a causa di un cedimento del terreno, sarebbe precipitato all'interno da un'altezza di due metri e quaranta;ritenuta dal tribunale meno probabile poichè, per quanto accertato, le pareti dello scavo erano perfettamente verticali e non denotavano le conseguenze di una frana.

In base alla seconda ipotesi, cui il Tribunale da maggiore affidamento, Vo. , mentre si trovava già all'interno dello scavo, sarebbe stato colpito dalla benna della ruspa a seguito di qualche incongrua manovra dell'operatore. Per la terza ipotesi, quasi una combinazione tra le prime due, il Vo. si trovava sul ciglio dello scavo, sarebbe stato colpito dalla benna o dal braccio della ruspa e, dunque, precipitato a seguito del colpo, all'interno dello scavo. Ipotesi ritenuta poco plausibile dal Tribunale in ragione della presenza di attrezzi da lavoro nello scavo e della posizione del corpo non corrispondente alla verosimile direzione che esso avrebbe assunto laddove colpito dalla benna di ritorno sopra lo scavo dopo aver svuotato la terra di scavo sul camion.

La Corte d'Appello, ha ritenuto infondati i motivi del gravame, optando per la ricostruzione dei fatti aderente alla seconda ipotesi in termini di ragionevole certezza valorizzando, in particolare, la testimonianza di Be. Gi. , cicloamatore, che in più occasioni con la sua bicicletta era transitato nei pressi dello scavo, ed ha riferito di aver visto diverse volte ed anche nel pomeriggio dell'infortunio, pochi minuti prima, un operaio nello scavo nonostante fosse in movimento lo scavatore, tanto da paventare un infortunio. Si rammaricava, dopo aver appreso della disgrazia, di non aver denunciato alle autorità ciò che aveva notato.

SU. Gu. con il primo motivo denuncia vizio di motivazione rilevante anche ai fini della prova in relazione alle testimonianze della dott.ssa An. An. e della dott.ssa Pi. Gi. .

Con riferimento alla ipotesi (la seconda) accolta dalla Corte circa la ricostruzione del fatto, avvalorata dalla testimonianza del Be. , innanzitutto si rileva che i giudici di appello hanno omesso di considerare che i timori espressi dal teste non concernevano il pericolo di un urto con la benna ma quello di un cedimento del terreno che avrebbe potuto crollare a causa delle vibrazioni prodotte dal movimento della ruspa. Parimenti, per il ricorrente risultano valutate erroneamente le dichiarazioni rese da C. G. , consulente tecnico del coimputato S. S. poi assolto. Si deduce che l'affermazione del teste, secondo cui, date le dimensioni della benna, è certo che è bastato un sol colpo inferto da tale mezzo per giustificare le lesioni riportate dal Vo. riguardanti sia il cranio che il torace, è basata su mere congetture atteso che il teste non ha chiarito quali fossero le dimensioni della benna e non l'ha mai vista. Tra l'altro, ammesso pure di condividere l'affermazione del teste, rimane un dubbio, non superato dalla Corte: non si comprende come avrebbe potuto la benna colpire con la violenza ipotizzata dal C. tanto da produrre così estese lesioni, movendosi all'interno dello scavo molto stretto, atteso che lo stesso consulente ha chiarito che il colpo inferto dalla benna al Vo. è stato determinato da un movimento laterale della stessa di rotazione. Se la benna avesse compiuto un movimento verticale dall'alto verso il basso le lesioni sarebbero state differenti.

La Corte distrettuale ha ignorato le testimonianze delle testi An. e Pi. che escludono che il Vo. sia stato colpito all'interno dello scavo dalla benna, risultando, invece, del tutto plausibile che le lesioni riportate dalla vittima siano conseguenze di una precipitazione dell'alto.

La prima, medico legale, ha escluso che sul corpo della vittima vi fossero segni indicativi di un violento urto con la benna della scavatrice, in contrasto, dunque, con quanto affermato dal C. . Anche la seconda teste ha escluso l'ipotesi del colpo di benna spiegando tra l'altro che la ruspa era troppo lontana. La Corte d'Appello, ritenendo che questa testimonianza non sia decisiva, ha trascurato di valutare e di motivare su un elemento fondamentale: non si tratta di stabilire quanto possa essere esteso il braccio della ruspa, ma di valutare se fosse possibile che tale braccio potesse ruotare a grande velocità all'interno dello scavo. Ancora la Corte non offre una congrua spiegazione del perchè il corpo della vittima era ricoperto di terreno apparendo poco plausibile che si trattasse di quello contenuto nella benna.

Dunque, la Corte del merito ha ricostruito il fatto tramite argomentazioni illogiche e contraddittorie rispetto alle prove acquisite, limitandosi poi ad indicare l'esistenza dell'evento del reato e di possibili violazioni la cui osservanza avrebbe evitato l'evento.

Con un secondo motivo si denuncia violazione di legge nella specie dell'articolo 448 c.p.p. per non avere la Corte d'Appello motivato circa la richiesta di applicazione della pena oggetto di richiesta di patteggiamento, rigettata dal GUP, riproposta innanzi al Tribunale e nuovamente rigettata per la non congruità della pena. Si rappresenta che la Corte nel ridurre la pena inflitta in primo grado ha individuato quella equa in mesi dieci, che si discosta appena di un mese da quella oggetto dalla richiesta di patteggiamento.

Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche sull'aggravante contestata. Il SU. MA. , con il primo motivo, denuncia vizio di motivazione e, comunque violazione di legge, sul punto della ritenuta titolarità della posizione di garanzia. Si argomenta che è rimasto provato che l'imputato non si occupava della sicurezza nel cantiere, affidata al fratello Gu. nominato responsabile della sicurezza. è erronea la valutazione delle testimonianze ( Cr. En. ), poste a base della motivazione, secondo cui il ricorrente era presente nel cantiere e si era potuto rendere conto delle carenze antinfortunistiche e della prassi dell'operaio Vo. di scendere nello scavo anche quando la ruspa era in movimento. Non si tiene conto sul punto delle testimonianze di Cr. An. e P. D. che riferiscono una presenza del ricorrente del tutto sporadica che veniva chiamato solo in caso di guasto dei mezzi meccanici.

Con il secondo motivo, sostanzialmente, si apportano le stesse censure esposte con il primo motivo dall'altro ricorrente in ordine alla ricostruzione del fatto, per vizio di motivazione in riferimento al nesso causale, non avendo la Corte indicato le ragioni per cui non sono state ritenute attendibili le prove contrarie in ordine alla dinamica dell'infortunio, che fanno propendere per l'ipotesi secondo cui il Vo. sia stato urtato dalla benna mentre si trovava fuori dallo scavo, in prossimità dello stesso. Ricostruzione, questa, rilevante con riguardo alla posizione di garanzia attribuita al ricorrente. La difesa, infatti, aveva evidenziato che nel caso l'infortunato fosse stato colpito dall'escavatore mentre si trovava in prossimità dello scavo, l'unico addebito di colpa profilabile era rappresentato dall'omesso controllo in ordine all'applicazione delle disposizioni aziendali, previste in forma scrittacene vietavano ai dipendenti di lavorare nel raggio di azione dell'escavatore con la conseguenza che tale profilo di colpa non poteva essere addebitato a SU.MA. , in quanto all'interno del cantiere vi erano altri soggetti ( Su. Gu. ed il capocantiere Ga. ) rispettivamente delegati e preposti al controllo e alla vigilanza dei lavoratori. Si espongono le stesse considerazioni in merito al tenore della testimonianza della dott.ssa An. e, come dato di fatto, si riportano le dichiarazioni del Cr. En. secondo cui, poco prima dell'infortunio è certo che il Vo. non fosse all'interno dello scavo.

Si critica la valutazione della testimonianza del teste Be. con riferimento alla circostanza che avrebbe visto il Vo. (pochi minuti prima dell'infortunio) all'interno dello scavo, in quanto in contrasto con quanto affermato dal teste Cr. . Con il terzo motivo ci si duole della mancata motivazione in ordine al richiesto giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, omettendo ogni motivazione circa l'avvenuto risarcimento del danno di cui è stata data prova.

Si conclude che, previo giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche, sull'aggravante contestata, il reato venga dichiarato prescritto.

 

Diritto



I ricorsi vanno rigettati.

Le doglianze proposte da entrambi i ricorrenti sono affidate a motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate persuasivamente dalla Corte di merito. Quindi, poichè il sindacato di legittimità ha ad oggetto la verifica del procedimento logico che ha consentito alla Corte d'Appello di pervenire al giudizio di attribuzione del fatto con l'utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di esperienza, non resta che verificare se essa abbia indicato le ragioni del suo convincimento e se queste ragioni siano plausibili. E, per giungere a queste conclusioni, è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità (se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili). Ebbene, relativamente alle censure poste a base dei ricorsi, la motivazione dell'impugnata sentenza è esaustiva e condivisibile non rilevandosi alcuna contraddittorietà logica circa la ricostruzione dell'infortunio ed ha fornito plausibili ragioni per la opzione verso un' ipotesi ricostruttiva rispetto alle altre, con corretta applicazione dei principi in tema di accertamento della colpa e del nesso di causalità.

In particolare, quanto alla ricostruzione dell'infortunio, la Corte Bresciana, sciogliendo le perplessità avanzate dal Tribunale che infatti, pur aderendo alla seconda ipotesi ricostruttiva, ritenendola la più verosimile, aveva anche tenuto conto della terza dalla quale, comunque, emergevano profili di colpa specifica e generica a carico di entrambi gli imputati, ha optato per l'ipotesi (la seconda) per la quale il Vo. sarebbe stato colpito dalla benna della ruspa, per una manovra impropria dell'operatore, nel mentre si trovava all'interno dello scavo, riportando le lesioni refertate e venendo ricoperto dalla terra rovesciata dalla benna ove era contenuta.

La Corte è pervenuta a tale ricostruzione attraverso l'analisi di elementi di natura oggettiva e sulla base delle conclusioni dei consulenti di ufficio e di parte, nonchè delle dichiarazioni testimoniali assunte, a fronte delle quali i rilievi sottoposti all'attenzione del Collegio, da entrambi i ricorrenti, non si ritengono idonei ad incrinare la tenuta logica della motivazione che sorregge la ricostruzione optata. In primis viene analizzata e ritenuta significativa la testimonianza di Be. Gi. , la cui credibilità è evidenziata per la sua posizione di terzo, per la capacità di osservazione e di analisi di quanto è caduto sotto la sua percezione. In sintesi (per la completa analisi della testimonianza si rimanda alla sentenza pag. 10) il teste, che, in ragione della sua passione per la bicicletta, passava ogni giorno e più volte nei pressi del cantiere ed anche il giorno dell'infortunio (pochi minuti prima), aveva avuto modo di verificare che un giovane operaio era solito operare (nessuno contesta che sia proprio il Vo. ), nel mentre era operativa la ruspa, all'interno dello scavo, misurando con un'asta di volta in volta la profondità raggiunta. Le argomentazioni svolte dalla Corte d'Appello per la verifica di credibilità del teste sono pienamente condivisibili e contrastano, in maniera logica, incontrovertibile, tutte le osservazioni sul punto delle due difese. La significatività di tale testimonianza la Corte la rileva laddove, concordando con il Tribunale, afferma che essa evidenzia l'assoluta carenza di cautele nello svolgimento dei lavori di scavo con evidente riferimento alla violazione del divieto di presenza di lavoratori nella zona di operatività del raggio di azione del braccio della ruspa, e che trattavasi di prassi che, non solo era tollerata e non creava problemi per coloro che la seguivano, ma costituiva la costante modalità utilizzata dagli operai sul lavoro, in assenza di un qualsiasi controllo ed intervento del datore di lavoro o di coloro che erano i garanti della sicurezza.

La testimonianza del Be. è rilevante per la Corte distrettuale, anche per ritenere che proprio nel frangente dell'infortunio il Vo. si trovasse all'interno dello scavo. Sul punto si affronta lo stesso rilievo, rappresentato anche con l'odierno ricorso del SU. Ma. , secondo cui la dichiarazione resa dal teste contrasta con quanto riferito dall'altro teste Cr. . La Corte nell'analizzare il riferimento "ai pochi minuti prima" del Be. lo spiega rilevando che il teste ricordava solo con una certa approssimazione l'orario durante il quale era passato in quel punto il pomeriggio precedente ed altrettanto approssimativamente conosceva l'orario in cui era avvenuto l'infortunio. E conclude in maniera convincente: l'importanza di quella affermazione non risiede nella sua testuale indicazione cronologica neppure fornita con certezza dal teste, bensì nel dato che se ne ricava per il quale anche nello stesso pomeriggio e a distanza di tempo non particolarmente ampia dall'infortunio vi era un lavoratore che operava all'interno dello scavo. Per altro, l'eccepito contrasto con le dichiarazioni del Cr. neanche pare evidente, atteso che tale teste ha sì affermato di aver lasciato il Vo. nei pressi dello scavo, ma ha anche riferito che gli ha voltato le spalle, credendo che lo avesse seguito verso il suo mezzo meccanico, venendo poi richiamato dalle grida del ruspista e, tornato sul posto, lo aveva rinvenuto all'interno dello scavo. Tale testimonianza non esclude che, nel tempo in cui il Cr. si era allontanato, il Vo. si fosse calato nello scavo.

Ma che il Vo. si trovasse all'interno e che sia stato colpito dalla benna la Corte lo ricava anche da altro elemento, questo di natura oggettiva: il tipo e l'entità delle lesioni patite dalla vittima.

La Corte, analizzando in modo approfondito (V. pag. 11-12 della sentenza) le dichiarazioni sul punto di tutti i testi che hanno verificato le lesioni o perchè intervenuti sul posto nella qualità di soccorritori ( Pi. Gi. ) o per aver svolto l'ufficio di ausiliare del giudice ( An. medico legale), consulente di parte ( C. ), o attività di P.G. ( sa. si. , dipendente della ASL), anche considerando tutte le obiezioni delle difese, sistematicamente riproposte nei ricorsi, ha fornito una valutazione corretta di tali testimonianze, facendo proprie le conclusioni cui è pervenuto il perito di parte (dell'imputato S. prosciolto) C. G. .

Va riaffermato anche in questa sede, seguendosi un costante orientamento, il principio secondo il quale è devoluta al giudice del merito l'individuazione delle fonti del proprio convincimento, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando, in via logica, taluni mezzi di prova e disattendendone altri, a causa del loro diverso spessore probatorio, con l'unico limite, quanto a censurabilità in sede di legittimità, della adeguata e congrua motivazione sul criterio adottato ed indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l'iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata.

La Corte territoriale, nel ritenere condivisibili le conclusioni del perito C. , rispetto alle osservazioni formulate dal medico legale e dalla Pi. , ha dato conto del perchè di tale adesione in maniera convincente e soprattutto logica in conformità del principio testè enunciato, dando anche contezza della compatibilità tra la posizione del corpo della vittima e la lunghezza del braccio della ruspa, della possibilità di movimento che questa aveva all'interno dello scavo per poter colpire il Vo. .

Altro elemento di fatto, non contestato, cui la Corte del merito ha fatto riferimento è il ritrovamento all'interno dello scavo anche degli strumenti utilizzati dal Vo. per il suo lavoro. In definitiva la ricostruzione dell'infortunio operata dalla Corte non è censurabile.

è, infatti, principio non controverso che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in quanto l'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), non consente alla Corte di Cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (Cass., Sezione 5, 13 maggio 2003, Pagano ed altri). In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del contenuto della prova, in particolare non competendogli un controllo sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio (Cass., Sezione 6, 6 marzo 2003, Di Folco).

Così acquisita la ricostruzione dell'infortunio, i profili di colpa evidenziati a carico degli imputati sussistono pienamente in ragione della incontestata posizione di garanzia di cui sono entrambi titolari, il primo quale responsabile della sicurezza della Su. s.r.l., il secondo quale datore di lavoro, in quanto amministratore delegato della stessa.

L'infortunio è eziologicamente dipeso, come è stato accertato dai giudici di merito, non solo dalla mancanza delle suindicate misure e cautele antinfortunistiche la cui predisposizione ed attuazione spettava al datore di lavoro, ma anche dalla omessa e, comunque, insufficiente vigilanza nel senso suddetto addebitabile a colui al quale era stata conferita specificamente la qualifica di responsabile della sicurezza. Quanto alla censura oggetto del secondo motivo del ricorso del SU. Gu. , essa non è stata oggetto dei motivi di appello, essendo stato unicamente rappresentato, ai fini della richiesta di una diminuzione della pena, che era stato a suo tempo avanzata richiesta di patteggiamento. E, comunque, questa Corte ha affermato (Sez. 3, Sentenza n. 12002 del 15/02/2011 Ud. Rv. 249679) che il giudice non è tenuto, all'esito del dibattimento, ad enunciare specificamente le ragioni per le quali ritiene giustificato il dissenso del P.M. sulla richiesta predibattimentale di applicazione della pena, sussistendo un obbligo di specifica motivazione solo quando, al contrario, ritenga tale dissenso ingiustificato applicando la sanzione. Ed ovviamente a tale obbligo non è tenuta la Corte d'Appello ancorchè vi sia stato specifico motivo dell'imputato.

Entrambi gli imputati hanno eccepito vizio di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle concesse attenuanti generiche con l'aggravante contestata. La censura è infondata, ed infatti, si osserva che, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la cd. motivazione implicita (Cass. sez. 6, 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua" vedi Cass. sez. 6, 4 agosto 1998 n. 9120 rv. 211583), ma afferma, anche, che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 c.p., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908 rv. 229298).

E certamente per il caso di specie non si può affermare che la motivazione sul punto dell'impugnata sentenza sia frutto di arbitrio atteso che la Corte distrettuale ha evidenziato che non si è ritenuto di poter operare un più favorevole giudizio di comparazione tra le concesse attenuanti generiche e la contestata aggravante, in considerazione del peso specifico di quest'ultima e del rilevante grado della colpa attribuita agli imputato.

Il rigetto di entrambi i ricorsi comporta, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del processo.



P.Q.M.


Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali.