Chiara Lazzari

Docente di Relazioni industriali nell'Università di Urbino “ Carlo Bo
Condirettrice di Olympus

Brevi riflessioni in tema di tutela della salute e della sicurezza nel lavoro autonomo 



Sommario : 1. Sicurezza e lavoro autonomo: in particolare, l' art. 1, co. 2, lett. c) , d.d.l. delega S 1507 . 2. (Segue) La sicurezza nel lavoro a progetto fra normativa vigente e prospettive di intervento legislativo. 3. (Segue) Svolgimento della prestazione a progetto al di fuori dell'ambito aziendale e tutela del lavoratore.


     
1. Sicurezza e lavoro autonomo: in particolare, l' art. 1, co. 2, lett. c) , d.d.l. delega S 1507 .

    Com'è noto, l' art. 1, co. 2, dello schema di disegno di legge recante “Delega al Governo per l'emanazione di un testo unico per il riassetto normativo e la riforma della salute e sicurezza sul lavoro, approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile 2007 ed ora all'esame della Commissione Lavoro del Senato in sede referente, inserisce, tra i principi ed i criteri direttivi generali, anche (lett. c) l' “applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutti i lavoratori e lavoratrici, autonomi e subordinati, nonché ai soggetti ad essi equiparati prevedendo: 1) misure di particolare tutela per determinate categorie di lavoratori e lavoratrici e per specifiche tipologie di lavoro o settori di attività; 2) adeguate misure di tutela per i lavoratori autonomi, secondo i principi della Raccomandazione 2003/134/Ce ”.

    Come sottolineato dalle Linee Guida per il Testo unico emanate dal Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale il 22 gennaio 2007, “una tra le novità più rilevanti della legge delega consiste, innanzitutto, nell'ampliamento del campo di applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutti i settori, tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori, indipendentemente dalla qualificazione del rapporto di lavoro che li lega all'imprenditore: quindi oltre al lavoro subordinato, anche lavoro ‘flessibile' e autonomo, al quale le garanzie si applicheranno solo nella misura in cui siano compatibili con tale tipologia di lavoro”. In proposito, può dunque osservarsi come la sfera d'operatività della tutela oggetto di regolamentazione risulti omnicomprensiva (1), in linea con l'orientamento della giurisprudenza più recente secondo il quale le norme di prevenzione dovrebbero intendersi dirette a considerare l'ampio concetto di “ambiente di lavoro”, quale “area complessiva nel cui ambito è destinata a svolgersi l'attività lavorativa” (2). L'obiettivo, pertanto, pare essere quello di creare un quadro normativo unitario della materia (3), all'interno del quale riservare una particolare attenzione alle esigenze di protezione di alcune categorie di lavoratori.

    Lasciando ad altri l'approfondimento del tema relativo alla sicurezza nei contratti di lavoro subordinato flessibili (4), cercherò di occuparmi in questa sede del profilo concernente la tutela della salute dei lavoratori autonomi.

    Al riguardo, è senza dubbio condivisibile l'intento governativo di estendere la disciplina di prevenzione e protezione oltre i confini della subordinazione giuridica (5). In particolare, e sebbene anche la precedente delega del 2003 non negasse la necessità di detto ampliamento in relazione “a tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di contratto stipulato con il datore di lavoro o con il committente” ( art. 3, co. 1, lett. f, l. n. 229/2003 ), unitamente a quella di un contestuale “ adeguamento del sistema prevenzionistico e del relativo campo di applicazione alle nuove forme di lavoro e tipologie contrattuali ” ( lett. g) (6), la previsione – questa volta chiaramente espressa – di misure di tutela in favore dei lavoratori autonomi pare quanto mai opportuna . La novità è di rilievo, perché finora i segnali di protezione dell'ordinamento nei confronti di detta categoria sono stati del tutto episodici e, sotto il profilo qualitativo, sostanzialmente limitati al riconoscimento di diritti d'informazione (7) (la cui attribuzione risulta peraltro conforme alle più recenti linee d'evoluzione del sistema legislativo posto a tutela della salute e della sicurezza, volto a privilegiare, potenziandolo, l'aspetto prevenzionistico (8)) . In proposito, fra le norme di origine comunitaria, può ricordarsi l' art. 5, co. 2, d. lgs. n. 277/1991 , che ribadisce i doveri d'informazione di datori, dirigenti e preposti, in analogia con l' art. 5 d.P.R. n. 547/1955 , orientandoli sulla nocività dei fattori chimici, fisici e biologici, e, soprattutto, l' art. 7 d. lgs. n. 626/1994, che, come noto, si applica in presenza del l'affidamento di un appalto all'interno dell'azienda, o di una singola unità produttiva (nonché, dopo le modifiche apportate dall' art. 1, co. 910, l. n. 296/2006 , “ nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima”) . Inoltre, l'ottica nella quale si muove il legislatore delegante appare diversa da quella sottesa ad altri provvedimenti normativi che si interessano di lavoro autonomo relativamente al profilo della sicurezza. Il riferimento, sempre per rimanere al diritto comunitario, è al l'importante direttiva 92/57/Cee ( richiamata, ma abbastanza impropriamente per i motivi che si diranno tra breve, anche nella Raccomandazione 2003/134/Ce , cui, a sua volta, rinvia il citato art. 1, co. 2, lett. c, d.d.l. delega (9)), attuata nel nostro ordinamento dal d. lgs. n. 494/1996 e successive modificazioni, la quale prevede l'estensione ai lavoratori autonomi di talune disposizioni pertinenti in materia di attrezzature di lavoro e di dispositivi di protezione per quanto riguarda la sicurezza nei cantieri temporanei o mobili , tenuto conto del fatto che essi, come precisato dall'undicesimo considerando, “possono con le loro attività mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Vera ratio di tale direttiva, dunque, non è tanto la tutela dell'integrità fisica dei prestatori d'opera autonomi, benché essa finisca con il produrre anche questo effetto secondario, ma l'esigenza di garantire le legittime aspettative di sicurezza e di salute dei lavoratori dipendenti, la cui attività può interferire con quella dei prestatori non subordinati presenti in cantiere (10). Abbandonando ogni prospettiva meramente strumentale, il d.d.l. delega , invece, al pari della Raccomandazione comunitaria ( rectius : in maniera ancor più netta della Raccomandazione 2003/134/Ce  (11)), si pone condivisibilmente l'obiettivo prioritario di definire misure di tutela che garantiscano, in via immediata, proprio la sicurezza del lavoro autonomo, evidentemente concepito non più quale fattore di rischio, ma ritenuto meritevole di protezione ex se , in piena conformità, del resto, ai principi della Carta costituzionale. Come, infatti, osservato da autorevole dottrina, “ la nostra Costituzione, ancorché per alcuni aspetti abbia considerato in via principale il lavoro dipendente, tuttavia (contiene) spazi sufficienti per comprendere ed assicurare adeguate garanzie anche alle nuove forme di lavoro; e non solo perché lo dice l'art. 35, ma anche perché – in varia misura – lo si desume dall'art. 38 e, perché no?, dall'art. 2 e dallo stesso art. 3, comma 2, che resta (…) la norma cardine dell'intero sistema. Naturalmente, poi, bisognerà vedere in qual modo possano e debbano atteggiarsi le garanzie fondamentali, a seconda delle svariate tipologie: ma questo è il compito naturale del giurista (…) ”  (12).

    A tal proposito, nel medesimo d.d.l. delega si precisa che dette misure di tutela debbono essere “adeguate”: il che sembra significhi che, nell'opera di estensione delle regole e dei principi generali in materia prevenzionistica, non può non tenersi conto della necessità di assicurare al lavoratore autonomo un livello di protezione appropriato, alla luce, evidentemente, delle sue peculiari esigenze di sicurezza, determinate anche dalle particolari modalità di svolgimento della prestazione. In altri termini, l'attribuzione di garanzie effettive – e non meramente formali – al di fuori dell'area cui le stesse sono state tradizionalmente imputate non può derivare solo dall'applicazione, pura e semplice, della regola della parità di trattamento, dovendosi per l'appunto considerare i rischi aggiuntivi e specifici connessi, in primo luogo, proprio alla natura ed alla struttura dei rapporti di lavoro che si vogliono tutelare  (13). Peraltro, richiamandosi al riguardo esclusivamente i principi, invero piuttosto generici, di cui alla citata Raccomandazione del Consiglio 2003/134/Ce , non sfugge all'interprete una certa indeterminatezza del dettato normativo. Sicché, soltanto in sede di attuazione della delega sarà possibile valutare la portata dell'intervento di adeguamento specie nell'area grigia delle collaborazioni coordinate e continuative  (14), ora a progetto.

2. (Segue) La sicurezza nel lavoro a progetto fra normativa vigente e prospettive di intervento legislativo.

    Proprio in relazione a quest'ultima fattispecie contrattuale, merita ricordare che l' art. 66, co. 4, d. lgs. n. 276/2003 fin d'ora estende ai lavoratori a progetto l'operatività del d. lgs. n. 626/1994 , e successive modificazioni ed integrazioni, pur se limitatamente al caso in cui “la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente”  (15), ipotesi, questa, alla quale certa dottrina riconduce anche le cosiddette collaborazioni miste, ossia quelle in cui almeno una parte dell'attività sia effettuata entro l'ambito aziendale  (16). La novità – peraltro anticipata dalla contrattazione collettiva  (17) ed in linea con le più recenti indicazioni di parte comunitaria poc'anzi ricordate  (18) – è subito apparsa di sicuro rilievo, in considerazione dell'orientamento maggioritario che escludeva l'applicazione della normativa in questione ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, tranne che in riferimento al citato art. 7  (19). Proprio per questo, come si è già avuto modo di osservare  (20), non sembra che il rinvio al d. lgs. n. 626/1994 possa essere inteso solo nel senso di confermare l'applicabilità al lavoro a progetto dei diritti minimi previsti da tale norma  (21), perché – se così fosse – esso risulterebbe tutto sommato pleonastico, con buona pace per quel l'obiettivo d' “incremento delle tutele per i collaboratori”, espressamente individuato dalla Circolare del Ministero del Lavoro 8 gennaio 2004, n. 1  (22) tra gli scopi dichiarati dal legislatore del 2003 . Sull'interpretazione “minimale”, qui non condivisa, si attestava, tuttavia, lo schema di Testo Unico in materia di sicurezza varato in via preliminare dal precedente Esecutivo il 18 novembre 2004  (23), e poi, com'è noto, ritirato nel maggio 2005, dopo i rilievi d'incostituzionalità di Regioni e Consiglio di Stato relativamente alla ripartizione delle competenze regolamentari in materia  (24), cui ha fatto seguito la rinuncia del Governo a chiedere una nuova proroga della delega, in scadenza il 30 giugno 2005. Detto schema, infatti, prevedeva (art. 3, co. 5) che “nei confronti dei collaboratori coordinati e continuativi di cui all'art. 409, n. 3, cod. proc. civ., anche nella modalità a progetto di cui agli artt. 61 e ss. d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, si applicano le tutele previste dall'art. 10 del presente decreto”, il quale, a sua volta, stabiliva obblighi e diritti del tutto analoghi e non aggiuntivi rispetto al menzionato art. 7  (25).

    Resta, peraltro, nella prospettiva qui accolta, la problematica operatività del d. lgs. n. 626/1994 nei confronti di lavoratori non subordinati, anche in virtù del fatto che il progetto, secondo l'art. 61, co. 1, d. lgs. n. 276/2003, deve essere gestito autonomamente dal collaboratore, non risultando quindi agevole chiamare a rispondere di eventuali infortuni “un soggetto in ipotesi estraneo alla determinazione delle modalità, anche organizzative, osservate per l'esecuzione”  (26). Sicché, l'apprezzamento in ordine alla decisione d'intervenire in questa materia non può far passare sotto silenzio una certa superficialità nell'affrontare la questione, avendo il legislatore del 2003 preferito richiamare tout court una normativa tarata sul lavoro subordinato piuttosto che enucleare dalla stessa le disposizioni compatibili, attorno alle quali elaborare uno statuto protettivo ad hoc per il collaboratore a progetto  (27) (tanto che, sotto questo profilo, non pare del tutto azzardato ritenere che l' art. 4, co. 1, lett. c, n. 4, l. 14 febbraio 2003, n. 30 , che, in proposito, richiamava la “ previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento”, tra l'altro, “alla sicurezza nei luoghi di lavoro”, sia stato nella sostanza disatteso). Solo per citare una delle antinomie più evidenti, se, a prima vista, non sembra vi siano soverchi problemi di compatibilità con riguardo alle disposizioni che presuppongono l'inserimento nell'area del rischio  (28) – e lo stesso dicasi per quelle concernenti i diritti d'informazione e formazione e la sorveglianza sanitaria  (29), veri capisaldi, anche secondo la Raccomandazione 2003/134/Ce , della disciplina prevenzionistica a protezione del lavoro autonomo –, nondimeno le cose si complicano riflettendo sul fatto che l' art. 66, co. 4 parrebbe aprire la strada ad un superamento altresì della clausola di riserva di cui all' art. 7, co. 3, secondo periodo, d. lgs. n. 626/1994 . Invero, mentre quest'ultima norma conferma “ragioni di assoluta indifferenza rispetto alla tutela del lavoratore autonomo dai rischi specifici propri della sua attività”  (30), tale limite sembrerebbe non operare con riferimento al lavoro a progetto, giacché, ad intendere letteralmente il menzionato art. 66, co. 4 , sul committente parrebbe gravare l'obbligo di valutare non solo i rischi derivanti dalla propria attività, ma pure quelli connessi all'opera del collaboratore, con (forse) conseguente abrogazione tacita dell' art. 7, co. 3, secondo periodo  (31). Tuttavia, anche accedendo a questa lettura, v'è da chiedersi che cosa succeda qualora il lavoratore a progetto ritenga di dover adottare misure di sicurezza diverse da quelle volute dal committente, sulla base di una difforme valutazione dei rischi professionali, potendo in questo caso profilarsi un conflitto fra la sua autonomia ed il programma prevenzionale predisposto dalla committenza  (32).

    Non a caso, la citata circolare ministeriale n. 1/2004 , adottando una “lettura temporeggiatrice”  (33) dell' art. 66, co. 4 , aveva annunciato l'intenzione del legislatore di ritornare sull'argomento proprio nell'ambito dell'attuazione della delega per il riassetto normativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro di cui all' art. 3 l. 29 luglio 2003, n. 229, al fine di “ un adattamento dei principi generali di tutela prevenzionistica alle oggettive peculiarità del lavoro a progetto”. E ciò in considerazione del la “ problematica applicazione nei confronti di figure, come quelle dei collaboratori, fortemente connotate da una componente di autonomia nello svolgimento della prestazione”, di “non poche prescrizioni (…) (per lo più sanzionate penalmente)” del d. lgs. n. 626/1994, stante la ratio del medesimo, “principalmente orientata alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori subordinati, ed alla corrispondente responsabilizzazione dei datori di lavoro”, nonché lo specifico regime di tutela ( art. 7 ) ivi previsto per i lavoratori autonomi . Verosimilmente, dunque, anche l'attuazione della nuova delega costituirà l'occasione per affrontare le questioni testé accennate, per la cui risoluzione non pare si possa prescindere dall'attenta valutazione proprio delle peculiarità di svolgimento della prestazione resa in forma autonoma  (34).

    D'altra parte, l'urgenza di rimettere interamente mano alla materia nasce altresì dalla necessità di adottare una disciplina che superi i confini del lavoro a progetto, sebbene sembri realistico partire proprio dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nell'opera di costruzione di uno statuto protettivo che sfoci nell'approdo finale, evocato dalla Raccomandazione 2003/134/Ce e dalla relazione d'accompagnamento al d.d.l. delega in esame  (35), di un provvedimento legislativo di tutela del lavoro autonomo “a tutto campo”, rivolto, cioè, pure alla figura del prestatore d'opera ex art. 2222 c.c. (e finanche a quella del datore di lavoro che eserciti in prima persona, senza dipendenti al seguito oppure unitamente a questi, un'attività lavorativa, come spesso accade nella realtà dei cantieri  (36)). E ciò specie a causa della difficoltà di fornire tutela a soggetti – quali quelli da ultimo ricordati – che si troverebbero contemporaneamente nella posizione di obbligati e beneficiari della disciplina eventualmente predisposta, risolvendosi di fatto quest'ultima nell'imposizione di comportamenti di auto-protezione. Peraltro, l 'esigenza di una considerazione in qualche misura unitaria della materia pare giustificarsi al la luce della ratio della tutela antinfortunistica, che, come sottolineato dal sesto considerando della citata Raccomandazione del Consiglio, anche per i lavoratori autonomi risiede nel fatto che essi “ possono essere esposti a rischi per la salute e la sicurezza analoghi a quelli che corrono i lavoratori dipendenti”. Occorre quindi dare attuazione al principio, più volte affermato dalla Corte costituzionale, “dell'applicazione delle medesime tutele a tutti i lavoratori esposti ai medesimi rischi”  (37), senza che possano a tal fine rilevare i dati – temporali ed economici – utilizzati ad esempio dal d. lgs. n. 276/2003 per distinguere il lavoro a progetto dalle prestazioni occasionali. D'altra parte, qualora queste ultime fossero ritenute del tutto escluse da ogni disciplina prevenzionale, ci si troverebbe di fronte ad una disparità di trattamento difficilmente giustificabile alla luce dell'art. 3 Cost.  (38). Lo stesso dicasi relativamente alle “vecchie” collaborazioni coordinate e continuative che a tutt'oggi sopravvivono nei casi previsti dal d. lgs. n. 276/2003. In sede di nuovo intervento, inoltre, occorrerà sanare un'ulteriore disparità di trattamento, quella derivante dalla negazione – ad opera del legislatore del 2003 – di uno dei principi basilari del d. lgs. n. 626/1994, ossia l'equiparazione, ai fini della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, del settore privato e di quello pubblico, quest'ultimo, com'è noto, escluso dal campo d'applicazione della cosiddetta “Riforma Biagi”, tranne che in riferimento agli istituti espressamente richiamati (v. l'art. 6 l. n. 30/2003  e l' art. 1, co. 2, d. lgs. n. 276/2003). Il che, sotto il profilo in esame, si rivela di particolare importanza specie in considerazione dell'ampio ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni, a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che, diversamente opinando, rischierebbero di essere tagliati fuori da ogni forma di tutela.

    In ogni caso, se un merito va riconosciuto all' art. 66, co. 4 , è che “il principio dell'estensione ai lavoratori a progetto delle norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al d. lgs. n. 626/1994 , per quanto genericamente formulato” e per questo foriero di tutte le ambiguità ampiamente evidenziate, ha comunque contribuito a far “venir meno la precondizione dell'esistenza di (un rapporto di) lavoro subordinato strictu senso inteso”  (39) per l'operatività della disciplina prevenzionistica, così consolidandosi, nell' imputazione delle tutele, quella “tecnica di progressivo allontanamento dal concetto di lavoratore ex articolo 2094 c.c.”  (40) già sperimentata in quest'ambito. Ed in proposito s embra significativo rilevare come, proprio sulla scorta del menzionato art. 66, co. 4 , alcuni accordi collettivi conclusi dai nuovi soggetti sindacali Nidil-Cgil, Alai-Cisl e Cpo-Uil abbiano cercato di promuovere il coinvolgimento dei collaboratori a progetto nelle problematiche antinfortunistiche, secondo il modello partecipato tipico del d. lgs. n. 626/1994  (41), anche nel tentativo di fornire concrete risposte ai problemi di adeguamento evidenziati in materia  (42).  

3. (Segue) Svolgimento della prestazione a progetto al di fuori dell'ambito aziendale e tutela del lavoratore.

    Peraltro, qualora lo svolgimento dell'attività avvenga in luoghi non di pertinenza del committente, v'è da chiedersi se fin d'ora – ossia ancor prima dell'eventuale intervento sul punto del Testo Unico di cui si discute – ed a prescindere dal sempre possibile inserimento, nel contratto individuale di lavoro, di specifiche misure  (43), non possa essere attivata qualche forma di tutela. Il riferimento, segnatamente, è all' art. 2087 c.c.  (44), norma pure originariamente pensata avendo come esclusivo referente social-tipico il lavoro subordinato. Secondo un'opinione, infatti, in generale (ossia tralasciando, per il momento, le questioni connesse al luogo d'esecuzione della prestazione), l'estensione della disposizione codicistica oltre i confini della subordinazione giuridica potrebbe desumersi finanche da l generico richiamo alla figura dei “prestatori di lavoro” ivi contenuto, che – unitamente alla collocazione della norma in una sezione diversa rispetto a quella nella quale è inserito l'art. 2094 c.c. – potrebbe consentire di includere tra i soggetti meritevoli di tutela tutti coloro che prestano la propria attività lavorativa a favore di un imprenditore, indipendentemente dalla formula giuridica utilizzata a tal fine  (45). Ma la conclusione risulterebbe suffragata soprattutto alla luce di un' “interpretazione ‘evolutiva' (…) che prenda atto della moderna strutturazione del fenomeno ‘imprenditoriale' ”: i n definitiva, “s e la lettura dell' art. 2087 c.c. è stata condizionata nel passato dal modello economico di una impresa quale struttura profondamente gerarchizzata la cui forza lavoro veniva reclutata esclusivamente con lo strumento del contratto di lavoro subordinato, proprio il carattere di ‘norma in bianco' dell' art. 2087 c.c. consente oggi di tenere conto, per finalità garantiste, dell'evoluzione della realtà ‘impresa' e dei rapporti economici e contrattuali sottesi, come peraltro già accaduto nel passato”  (46). D'altra parte, secondo la giurisprudenza più recente ed ormai maggioritaria, “le diverse disposizioni di legge che si riferiscono ai lavoratori subordinati ed ai soggetti ad essi equiparati – fissandone le definizioni – hanno il fine di individuare il presupposto per l'applicazione della normativa di prevenzione ma non quello di limitare a tali soggetti i beneficiari della tutela approntata dal legislatore”, potendo dunque affermarsi l'operatività della stessa “in ogni caso in cui una data attività sia stata prestata indipendentemente dalla qualificazione giuridica da attribuire alla medesima”  (47). Vero è, però, che sul punto specifico dell'applicabilità dell' art. 2087 c.c. ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa la Cassazione si è espressa in senso contrario ad ogni ipotesi di estensione  (48), sebbene sembri che detto orientamento debba ora confrontarsi con quanto previsto – pur nei limiti ivi fissati – dall' art. 66, co. 4, d. lgs. n. 276/2003 a proposito dell'applicazione al lavoro a progetto del d. lgs. n. 626/1994 , attesa la valenza specificativa che pare doversi riconoscere a quest'ultima normativa rispetto all'obbligo di sicurezza, a contenuto aperto, sinteticamente individuato dalla disposizione codicistica  (49). Tuttavia, s e si parte dal presupposto – fatto proprio dal citato art. 66, co. 4 – che, per l'operatività della legislazione prevenzionale, ciò che assume rilevanza preminente è la circostanza che il collaboratore si trovi presente nei luoghi di lavoro del committente, un ulteriore limite all'ampliamento in parola potrebbe essere evidentemente rappresentato dal fatto che, nell'ipotesi de qua , il lavoratore a progetto presta la propria attività al di fuori dell'ambito aziendale .

    Al riguardo, ed in una prospettiva de iure condendo , sembra innanzitutto doversi osservare in linea generale (prescindendo, quindi, nell'immediato dalla considerazione dell' art. 2087 c.c. ) che l'estensione al lavoro autonomo della normativa in materia di sicurezza non può certamente essere indiscriminata, ma va commisurata al grado di dipendenza del collaboratore ed a quello d'integrazione della sua prestazione nell'organizzazione altrui  (50), cioè, in definitiva, all'intensità della relazione che lega il soggetto all'ambiente di lavoro, divenendo allora determinante chiarire la questione – oltremodo delicata stante il carattere assoluto ed indisponibile del bene salute e la presenza di norme penalmente sanzionate – se l'individuazione delle disposizioni applicabili debba essere effettuata direttamente per legge, oppure possa anche essere demandata alla contrattazione collettiva  (51), o, ancora, lasciata all'interprete, attraverso l'utilizzazione di una generica clausola di compatibilità. Se questo è vero, pare, però – ed in ciò sembrerebbe potersi ravvisare un limite nella stessa formulazione del citato art. 66, co. 4 , sul cui eventuale superamento in sede di attuazione dell'attuale delega è aperta la riflessione – che l'esclusione da ogni forma di tutela risulti poco comprensibile allorquando il lavoratore a progetto, pur svolgendo la propria attività all'esterno dei locali del committente, utilizzi ad esempio mezzi e strumenti propri di quest'ultimo. Si vuole dire, in altri termini (facendo astrazione dalla specifica esemplificazione e finanche dalla stessa fattispecie contrattuale di cui all'art. 61, co. 1, d. lgs. n. 276/2003), che il vincolo spaziale non sembra l'unico a dover assumere rilievo, potendo darsi l'esistenza di altri legami, funzionali e materiali, tra la prestazione lavorativa resa in forma autonoma e l'organizzazione imprenditoriale meritevoli di considerazione ai fini che qui interessano  (52). D'altra parte – venendo così più da vicino all' art. 2087 c.c. – non può dimenticarsi la previsione, contenuta sempre nell' art. 66, co. 4 , relativa all'applicazione al lavoro a progetto delle “norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”, a prescindere dal luogo di svolgimento della prestazione. Invero, l'ampiezza della formula utilizzata potrebbe legittimamente indurre ad interrogarsi sulla possibilità di un'interpretazione altrettanto ampia della medesima, tale, cioè, da ricondurre al disposto legislativo non solo la disciplina sull'assicurazione obbligatoria, ma anche l'articolo in questione, quale norma cardine del sistema prevenzionale e di tutela contro gli infortuni  (53). Se così fosse, stante il suo carattere di disposizione di chiusura ed il rilievo in esso dato, ai fini dell'adozione di idonee misure antinfortunistiche, ai criteri della “particolarità del lavoro”, dell' “esperienza” e della “tecnica”, “non solo si potrebbe benissimo giungere a sostenere un obbligo di tutela del collaboratore anche al di fuori dell'ambito aziendale, rendendo ancor più inutile ed irrazionale la limitazione spaziale sull'applicabilità del d. lgs. n. 626 contenuta nell' art. 66, co. 4 , ma finirebbe con il perdere valore anche l' art. 62 del medesimo provvedimento”  (54), che, com'è noto, consente ( lett. e ) d'individuare, indicandole nel contratto, “eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall' art. 66, co. 4 . Trattandosi, infatti, di cautele aggiuntive rispetto a quelle previste da quest'ultima norma, sembra verosimile ipotizzare una loro definizione proprio allorché la prestazione non debba essere effettuata nei luoghi di lavoro del committente, posto che, in caso contrario, soccorre già il menzionato art. 66  (55).

    In tutti i modi, ed in attesa di conoscere le scelte del legislatore delegato, la fattispecie da ultimo considerata ( i. e. : quella concernente lo svolgimento dell'attività al di fuori dell'ambito aziendale) parrebbe costituire un terreno privilegiato per l'intervento della contrattazione collettiva, peraltro in un'ottica più generale che, nel rispetto del principio d'indisponibilità del diritto alla salute, attribuisca comunque rilievo alla possibilità di utilizzare il contratto collettivo per fini di sicurezza sul lavoro, rappresentando le relazioni sindacali “uno degli strumenti più idonei a prendere atto del mutamento del rapporto di lavoro avvenuto a seguito dell'inno vazione tecnologica”  (56) e della diffusione di assetti produttivi diversi rispetto al passato, e dunque meglio in grado di cogliere anche i nuovi fattori di rischio connessi ai processi organizzativi in uso ed alla precarietà spesso ingenerata dalle forme di lavoro “atipiche” . In questo senso, non sembrerebbe improprio – in sede di attuazione del d.d.l. delega – un intervento legislativo di promozione del ruolo delle parti sociali in materia anche con riguardo all'area del lavoro non subordinato, in relazione alla quale potrebbe altresì prodursi il benefico effetto di creare forme di sostegno alla rappresentanza collettiva in ambiti in cui ancora troppo poco radicata è la presenza sindacale  (57), con tutto ciò che ne consegue in termini di quantità, qualità ed effettività delle tutele.


1 Cfr. C. Bizzarro, Il Testo Unico della sicurezza sul lavoro: il nodo della ripartizione di competenze Stato-Regioni , in Bollettino Adapt , 15 gennaio 2007, n. 1, p. 2.

2 L. Fantini , Tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro: orientamenti giurisprudenziali , in Diritto delle relazioni industriali , 2004, p. 136.

3 P. De Vita, Schema di confronto tra disegno di legge delega (dicembre 2006) e legge delega 229/2003, in Bollettino Adapt – Newsletter in edizione speciale , 5 febbraio 2007, n. 2, p. 10.

4 V. il contributo di L. Angelini .

5 Tuttavia, parrebbe in controtendenza rispetto all'affermato principio di estensione della tutela la successiva lettera q) dell'art. 1, co. 2 , che sancisce l' “ esclusione di qualsiasi onere finanziario per il lavoratore e la lavoratrice subordinati e per i soggetti ad essi equiparati in relazione all'adozione delle misure relative alla sicurezza e salute dei lavoratori e delle lavoratrici”, non sembrando che il concetto di “soggetto equiparato”, richiamato nella disposizione, possa essere riferito all'ipotesi che qui interessa ; vero è, peraltro, che anche la Raccomandazione 2003/134/Ce (v. infra , nel testo) sollecita gli Stati membri ad agevolare l'accesso dei lavoratori autonomi agli strumenti informativi e formativi “senza oneri finanziari eccessivi ”.

6 Su tale normativa cfr., per tutti, L. Montuschi, Aspettando la riforma: riflessioni sulla legge n. 229 del 2003 per il riassetto in materia di sicurezza sul lavoro , in Argomenti di diritto del lavoro, 2004, p. 749 ss.

7 Discorso a parte merita la fattispecie – di recente introduzione – del lavoro a progetto (sulla quale v. infra , par. successivo), sebbene anche in questo caso, come si vedrà, sia ancora aperto il dibattito circa l'applicabilità ad essa solo dell' art. 7 d.. lgs. n. 626/1994 , nonché la previsione dell' art. 5 d. lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 , che estende l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ai lavoratori parasubordinati soggetti a rischi specifici.

8 Cfr. T. Vettor , Lavoro autonomo e ambiente di lavoro , in Diritto delle relazioni industriali , 1999, p. 167.

9 L'espresso richiamo alla Raccomandazione 2003/134/Ce non compariva nella bozza del d.d.l. del 14 dicembre 2006, mentre era già presente in quella del 30 dicembre 2006, per essere poi confermato nella bozza del 6 febbraio 2007, oltre che nel d.d.l. delega varato in via preliminare dall'Esecutivo il 16 febbraio 2007.

10 V. anche P. Soprani , Lavori autonomi: prospettive di sicurezza sul lavoro , in Diritto e pratica del lavoro , 2003, p. 1369, il quale, in proposito, rileva altresì la difformità, rispetto alla ratio della normativa comunitaria, del l' art. 7, co. 1, lett. b), d. lgs. n. 494/1996 , che sancisce l'obbligo, per “i lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nei cantieri”, di utilizzare “i dispositivi di protezione individuale conformemente a quanto previsto dal titolo IV del d. lgs. n. 626/1994 ” , stante la valenza protettiva del singolo lavoratore propria di tali misure .

11 Questa, invero, pur segnando un sostanziale avanzamento culturale rispetto alla menzionata direttiva 92/57/Cee , attraverso il riconoscimento che “i lavoratori autonomi (…) possono essere esposti a rischi per la salute e la sicurezza analoghi a quelli che corrono i lavoratori dipendenti” (sesto considerando), non manca di ricordare che “con le loro attività (essi) possono compromettere la sicurezza e la salute di altre persone che lavorano nel medesimo luogo di lavoro” (settimo considerando).

12 C. Smuraglia , Lavoro e lavori: subordinazione, collaborazioni non occasionali, lavoro in cooperativa , in Il lavoro nella giurisprudenza , 2001, p. 1015.

13 Cfr., in proposito, anche M. Biagi-M. Tiraboschi, Lavoro atipico: profili qualificatori e intensità dell'obbligo di sicurezza , in Diritto delle relazioni industriali , 1999, p. 63.

14 M. Tiraboschi, Testo Unico sicurezza a rischio Consiglio di Stato , in Bollettino Adapt – Newsletter in edizione speciale , 5 febbraio 2007, n. 2, p. 2.

15 Conformemente a quanto già sostenuto in dottrina: cfr. M. Biagi-M. Tiraboschi, op. cit. , p. 62; M. Biagi-A. Lopez, Terziario avanzato e nuovi lavori: osservazioni dal punto di vista della normativa prevenzionistica , in Diritto delle relazioni industriali , 2000, p. 311; critico su questa limitazione P. Sciortino, La riforma del mercato del lavoro e le collaborazioni «a progetto» nella prospettiva prevenzionistica , in Massimario giurisprudenza del lavoro , 2004, p. 243 ss .; in argomento v. altresì infra , par. successivo.

16 Cfr. M. Lai, La sicurezza del lavoro nelle nuove tipologie contrattuali , in Diritti lavori mercati , 2005, p. 127.

17 Cfr. M. Lai , Sicurezza del lavoro e rapporto di collaborazione coordinata e continuativa , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2003, p. 320 ss.

18 Cfr. la citata Raccomandazione del Consiglio 18 febbraio 2003, n. 2003/134/Ce (GUCE 28 febbraio 2003 n. L 53), nonché il parere del Comitato economico e sociale 2002/C 241/26, in merito alla proposta di Raccomandazione relativa all'applicazione ai lavoratori autonomi della legislazione sulla salute e la sicurezza del lavoro, che conferma quanto già sostenuto dallo stesso organismo in un precedente parere del 1999 in ordine all'operatività della direttiva quadro nei confronti dei lavoratori parasubordinati.

19 Cfr., anche per ulteriori riferimenti bibliografici, M. Lai , Sicurezza del lavoro , cit., p. 316 ss.

20 Ci si permette di rinviare a C. Lazzari, Nuovi lavori e rappresentanza sindacale , Giappichelli, Torino, 2006, pp. 258-259.

21 Così, invece, A. Bellavista, Sub art. 66 , in E. Gragnoli-A. Perulli (a cura di), La riforma del mercato del lavoro e i nuovi modelli contrattuali , Cedam, Padova, 2004, pp. 774-775; M. Lovo, La difficile transizione dalle collaborazioni coordinate e continuative al lavoro a progetto , in Il lavoro nella giurisprudenza , 2004, p. 852; V. Pinto, Le collaborazioni coordinate e continuative e il lavoro a progetto , in P. Curzio (a cura di), Lavoro e diritti dopo il decreto legislativo 276/2003 , Cacucci, Bari, 2004, p. 343; per l'applicazione dell'intera disciplina del d. lgs. n. 626/1994 cfr. C. De Marco, La gestione della sicurezza nel contratto di somministrazione e nel contratto di lavoro a progetto , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2006, p. 393, nt. 41; M. Lai, La sicurezza del lavoro , cit., p. 125; G. Leone, Le collaborazioni (coordinate e continuative) a progetto , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2004, p. 109; L. Montuschi, Aspettando la riforma , cit., p. 763; A. Viscomi, Lavoro a progetto e occasionale: osservazioni critiche , in G. Ghezzi (a cura di), Il lavoro tra progresso e mercificazione: commento critico al decreto legislativo n. 276/2003 , Ediesse, Roma, 2004, p. 325, nonché le Linee guida della Regione Veneto in tema di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore a progetto , pp. 15-16, in Olympus Focus , 2007, n. 2; secondo A. Tampieri, Brevi riflessioni sugli obblighi di sicurezza nella riforma del mercato del lavoro , in Scritti in memoria di Salvatore Hernandez , in Il diritto del lavoro , 2003, pp. 836-837, il legislatore avrebbe voluto superare la configurazione minimale dell' art. 7 , sebbene, per l'A., l'applicazione della disciplina prevenzionistica al lavoro a progetto non possa essere intesa, nonostante l'ampia formulazione utilizzata dall' art. 66, co. 4 , nel senso di un'assoluta equiparazione rispetto a quanto previsto per i lavoratori dipendenti.

22 Relativa alla “ Disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto”.

23 Sul quale, cfr. per tutti, da prospettive diverse, M. Lai, Prospettive di riforma nello schema di Testo unico , in Diritto e pratica del lavoro , 2005, p. 137 ss. e M. Tiraboschi, Verso il Testo unico della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro , in Guida al lavoro , 2004, n. 48, p. 12 ss.

24 V., in particolare, i pareri del Consiglio di Stato del 31 gennaio 2005 e del 7 aprile 2005 , nonché la posizione assunta dalle Regioni nella seduta del 3 marzo 2005 della Conferenza Stato-Regioni.

25 Secondo il medesimo Testo unico, il datore di lavoro era, poi, tenuto a fornire ai servizi di prevenzione e protezione informazioni in merito alla presenza in azienda di collaboratori coordinati e continuativi, anche nella modalità a progetto (art. 7, co. 2, lett. a, n. 4); infine, l'art. 4, co. 1, lett. k), escludeva i titolari dei rapporti in questione dal computo del numero di lavoratori da cui il decreto faceva discendere particolari obblighi.

26 S. Piccininno, I «nuovi lavori» e l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali , in Argomenti di diritto del lavoro , 2004, p. 158.

27 Nello stesso senso cfr. C. De Marco, op. cit. , pp. 393-394; P. Sciortino, La riforma del mercato del lavoro , cit., p. 244; P. Soprani, Collaborazioni a progetto: quale modello di sicurezza? , in Igiene e sicurezza del lavoro , 2004, n. 2, p. 142.

28 Il riferimento è chiaramente alle prescrizioni relative alla predisposizione del documento di valutazione dei rischi (ed agli obblighi connessi), la cui centralità sembra anzi doversi ribadire e potenziare per un'efficace gestione “a tutto campo” della sicurezza nell'impresa.

29 Relativamente a quest'ultima, merita ricordare che l' art. 1, co. 2. lett. s), d.d.l. delega prevede la “ rivisitazione delle modalità di attuazione della sorveglianza sanitaria, adeguandola alle differenti modalità organizzative del lavoro, ai particolari tipi di lavorazioni ed esposizioni, nonché ai criteri ed alle linee guida scientifici più avanzati, anche con riferimento al prevedibile momento di insorgenza della malattia”.

30 P. Soprani, Nuove tipologie contrattuali e sicurezza del lavoro , in T. Treu et al. , Come cambia il mercato del lavoro , Ipsoa, Milano, 2004, p. 466 ; si ricorda, infatti, che in virtù dell' art. 7, co. 3, d. lgs. n. 626/1994 il dovere del datore di lavoro committente di promuovere la cooperazione ed il coordinamento di cui al precedente comma 2 del medesimo art. 7 “non si estende ai rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o dei singoli lavoratori autonomi”; in proposito, v. già l' art. 5, co. 2, d.P.R. n. 547/1955 , sul quale cfr. le osservazioni di C. Smuraglia, La sicurezza del lavoro e la sua tutela penale , Giuffrè, Milano, 1974, p. 57.

31 Così P. Sciortino, La riforma del mercato del lavoro , cit., p. 244.

32 Pone l'interrogativo ancora P. Sciortino, op. loc. ultt. citt .

33 M. Papaleoni , Sub art. 66 d. lgs. n. 276/2003 , in M. Grandi-G. Pera, Commentario breve alle leggi sul lavoro , Cedam, Padova, 2005, p. 2561.

34 Cfr. in proposito anche le Osservazioni di Cgil, Cisl e Uil del 21 dicembre 2006 sullo schema di d.d.l. delega allo studio del Governo, secondo le quali l'art. 1, co. 2, lett. c), sarebbe stato da formulare nei termini seguenti: “garanzia della applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro a tutte le tipologie aziendali, a tutti i lavoratori e lavoratrici, indipendentemente dal tipo di contratto autonomo o subordinato compreso il volontariato – stipulato con il datore di lavoro o con il committente e tenendo conto delle peculiarità dello svolgimento del lavoro autonomo , predisponendo misure di particolare tutela per alcune categorie di lavoratori e lavoratrici o in relazione a specifiche tipologie di lavoro, inclusi i familiari che collaborano nell'impresa familiare”.

35 Secondo tale relazione, invero, “ la lettera c) dell'art. 1 impone che il campo di applicazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro comprenda tutti i lavoratori e le lavoratrici, anche ‘parasubordinati', in applicazione dell'orientamento, ormai consolidato, che considera beneficiari della normativa stessa tutti coloro che si trovano in un ‘ambiente di lavoro' di cui un datore di lavoro abbia la disponibilità, non importa a quale titolo o con quale tipologia contrattuale. Inoltre, sempre nel criterio c), seguendo le più evolute sollecitazioni comunitarie (per quanto non ancora tradottesi in direttive ma solo nella Raccomandazione n. 2003/134/Ce ), si esplicita la volontà di disciplinare l'applicazione delle norme di salute e sicurezza anche nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici autonomi, in relazione ai quali, tuttavia, tale applicazione non potrebbe – per le peculiarità dello svolgimento del lavoro autonomo – atteggiarsi allo stesso modo di quella riservata agli altri lavoratori e lavoratrici; di qui la necessità di una regolamentazione peculiare”; le prestazioni di lavoro autonomo rese senza vincolo di coordinazione e continuità erano considerate anche nel lo schema di Testo Unico varato dal precedente Esecutivo: v., in proposito, gli artt. 3, co. 6, e 9.

36 Cfr. P. Soprani, Lavori autonomi , cit., pp. 1367-1368.

37 O. Bonardi, La sicurezza del lavoro nella Comunità europea, nella Costituzione e nella legge di semplificazione n. 229/03, in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2004, p. 464, ed ivi per i necessari riferimenti giurisprudenziali; peraltro, sulla necessità di declinare il principio in questione tenendo conto della particolare natura dei rapporti di lavoro autonomo v. altresì quanto osservato supra , sub § 1.

38 Peraltro, poiché l' art. 66, co. 4 , richiama i “rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente capo”, si è ritenuto che tale disposizione – e quindi il rinvio, ivi contenuto, al d. lgs. n. 626/1994 – possa considerarsi fin d'ora applicabile anche nei confronti del lavoro occasionale di cui all'art. 61, co. 2, d. lgs. n. 276/2003: cfr. M. Lai , La s icurezza del lavoro , cit., p. 128 e P. Soprani, Nuove tipologie contrattuali , cit., p. 468; contra C. De Marco, op. cit. , p. 397.

39 P. Soprani, Collaborazioni a progetto , cit., p. 144.

40 M. Biagi-A. Lopez, op. cit. , p. 312.

41 Cfr., ad esempio, gli accordi con l'Università di Siena (24 gennaio 2005), l'Assirm (29 settembre 2004), la Federippodromi (15 luglio 2004), la Pierreci (11 marzo 2004), l'Associazione “Casale Podere Rosa” (19 gennaio 2004), l'Arci nazionale (11 dicembre 2003), nonché l'intesa per le elezioni del Rls conclusa il 2 marzo 2005 con la Call&Call di Genova: in proposito sia consentito il rinvio a C. Lazzari, op. cit. , pp. 260-261; peraltro, per un'ipotesi di nomina del rappresentante per la sicurezza anche prima dell'entrata in vigore delle norme sul lavoro a progetto cfr. l'intesa con la Mibi Multimedia del 23 ottobre 2000 ; non si può, poi, dimenticare che già l'Accordo interconfederale del 22 giugno 1995 sul Rls, siglato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil, aveva conferito l'elettorato attivo in materia a “tutti i lavoratori iscritti a libro matricola”, tra i quali, com'è noto, sono inclusi anche i collaboratori coordinati e continuativi, in virtù dell' art. 5, co. 2, d. lgs. n. 38/2000.

42 Cfr., sul punto specifico, C. Cester , Sicurezza sul lavoro e formazione , in Il diritto del lavoro , 2000, I, p. 299; P. Sciortino, La riforma del mercato del lavoro , cit., p. 244.

43 Cfr., in proposito, anche quanto previsto dall' art. 62, co. 1, lett. e), art. 61, co. 2, d. lgs. n. 276/2003 , sul quale v. infra , nel testo.

44 Risponde positivamente all'interrogativo M.R. Iorio , Più sicurezza per gli «atipici» , in Guida normativa-Le guide operative , settembre 2003, p. 17; Ead., Riforma del mercato del lavoro, forme di lavoro atipico e tutela della salute e sicurezza dei lavoratori , in M. Tiraboschi (a cura di), La riforma Biagi del mercato del lavoro , Giuffrè, Milano, 2004, p. 325; conforme F. Lunardon, La disciplina , in P. Bellocchi-F. Lunardon-V. Speziale ( a cura di ) , Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Certificazione dei rapporti di lavoro , Commentario al d. lgs. 10 settembre 2003, n. 276, coordinato da F. Carinci, Ipsoa, Milano, 2004, t. IV, p. 64.

45 P. Sciortino, Flessibilità sul lavoro e sicurezza sul lavoro: coesistenza o inconciliabilità? , in Il lavoro nella giurisprudenza , 2002, p. 738, per il quale t ale opzione ermeneutica risulterebbe altresì confermata “dalla lettura dell'art. 2095 c.c., nella parte in cui afferma che: «I prestatori di lavoro subordinato si distinguono… », così ammettendo anche l'esistenza di ‘prestatori di lavoro non subordinati', i quali non si vede, perciò, perché non possano rientrare nel campo di applicazione dell' art. 2087, che nessuna specificazione pone”; nello stesso senso v. pure C. De Marco, op. cit. , p. 396 e M. Lai , La sicurezza del lavoro , cit., pp. 129-130; contra R. Romei, Il campo di applicazione del d. lgs. n. 626 del 1994 e i soggetti (artt. 1, 2, 3) , in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza , Giappichelli, Torino, 1997, p. 74, secondo il quale l' art. 2087 c.c., proprio “in virtù della sua collocazione, deve intendersi riferito al solo lavoratore subordinato come definito dall'art. 2094 c.c.”.

46 Così ancora P. Sciortino, op. ult. cit. , pp. 738-739, il quale, a conferma di una tendenza espansiva della disciplina prevenzionistica rilevabile nel diritto vivente, ricorda altresì quel la giurisprudenza di legittimità che, nell'estendere il d.P.R. n. 303/1956 alle Pubbliche Amministrazioni, ha escluso la necessità che le attività svolte dai lavoratori siano inerenti ad un rapporto organico in cui l'amministrazione abbia la qualità di datore di lavoro ; molto più cauto L. Montuschi , L'incerto cammino della sicurezza del lavoro fra esigenze di tutela, onerosità e disordine normativo , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2001, p. 524, per il quale l'interrogativo se l' art. 2087 c.c. possa funzionare anche quando la fattispecie non appartenga all'area del lavoro subordinato è legittimo, “ma l'eventualità pare remota”.

47 L. Fantini , op. cit. , pp. 135-136; in argomento v. pure E. Gaeta, La duttilità applicativa dell'art. 2087 cod. civ. , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2003, p. 323 ss .

48 Cfr., per i necessari riferimenti giurisprudenziali, V. Pasquarella, L'art. 2087 cod. civ. e i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa: un connubio impossibile o difficile? , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2002, p. 489 ss ., nonché C. De Marco, op. cit. , p. 395 e V. Nuzzo, La giurisprudenza in tema di definizione e tutela delle collaborazioni coordinate e continuative alla luce della nuova disciplina del lavoro a progetto , in Diritti lavori mercati , 2003, pp. 743-744.

49 Cfr., in proposito, L. Galantino, Il contenuto dell'obbligo di sicurezza , in Ead. (a cura di), La sicurezza del lavoro , Giuffrè, Milano, 1996, p. 22 ss.; R. Romei, op. cit. , pp. 61-62.

50 In questi termini anche M. Lai , Sicurezza del lavoro , cit., p. 324.

51 Il che, peraltro, potrebbe sollevare ulteriori interrogativi in relazione all'intrinseca debolezza del fenomeno sindacale in questi ambiti: in proposito, sia consentito rinviare a C. Lazzari , op. cit.

52 Cfr. anche P. Sciortino, La riforma del mercato del lavoro , cit., pp. 243-244; conforme C. De Marco, op. cit. , p. 396.

53 In tal senso cfr. M. Lai , La s icurezza del lavoro , cit., pp. 128-129; P. Sciortino, op. ult. cit. , p. 246.

54 P. Sciortino, op. loc. ultt. citt. .

55 Conformi L. Castelvetri, Il lavoro a progetto: finalità e disciplina , in M. Tiraboschi (a cura di), op. cit. , p. 163 e A. Viscomi, op. cit. , p. 326; peraltro, anche qualora la prestazione si svolga in ambito aziendale, con conseguente applicabilità dell' art. 66, co. 4 , non pare preclusa l'attivazione di misure ulteriori rispetto a quelle richiamate per legge: così anche G. Leone, op. cit. , p. 102.

56 A. Vitaliani, Tutela della salute: quadro normativo e nuove realtà produttive , in Il diritto del lavoro , 1987, p. 395; in generale, sul ruolo delle parti sociali in materia cfr. anche M. Lai, Il nuovo «codice» sulla sicurezza del lavoro: spunti di riflessione , in Diritto delle relazioni industriali , 2003, pp. 214-215; A. Tampieri, Azione sindacale e contrattazione collettiva nella tutela delle condizioni di lavoro , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2001, I, p. 551 ss.; C. Zoli, Sicurezza del lavoro: contrattazione e partecipazione , ivi , 2000, p. 613 ss.

57 In proposito, v. supra , nota 51.