Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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TRIBUNALE DI URBINO

sentenza del 13 gennaio 2005

est. SPAZIANI – E.S. (Avv. G.S.) c. L.F. s.r.l. (Avvocati A.B. e N.B.), nonché U.P. s.c.r.l. e S.L.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 27 agosto 2003, E. S. – premesso che aveva prestato attività lavorativa presso il cantiere della L. F. s.r.l., situato ad Acqualagna; che, in data 1° agosto 2001, mentre, nello svolgimento di questa attività, stava operando su di una pressa, aveva subìto un infortunio sul lavoro, riportando trauma da schiacciamento della mano destra, con frattura del IV e del V metacarpo; e, infine, che tale infortunio (per il quale l'INAIL gli aveva riconosciuto un'inabilità temporanea assoluta di 165 giorni e postumi permanenti valutati nella misura del 10%) doveva essere ascritto alla colposa omissione dell'imprenditore, il quale aveva omesso di fornire la pressa dei prescritti requisiti di sicurezza, violando in tal modo la disposizione contenuta nell'art.2087 c.c. o, nell'ipotesi in cui non fosse configurabile un rapporto di lavoro tra le parti, quella contenuta nell'art.2043 c.c. – ha convenuto in giudizio la predetta società, chiedendone la condanna al risarcimento del danno subìto, quantificando lo stesso (tenuto conto della componente biologica, di quella morale e di quella patrimoniale, a sua volta comprensiva del danno emergente per le spese mediche sostenute e del lucro cessante per il pregiudizio alla capacità lavorativa) in Euro 299.024, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.

Con il medesimo ricorso, E. S. – premesso che era stato avviato al lavoro presso l'impresa convenuta per il tramite della U. P. s.c.a.r.l. (cooperativa di servizi avente ad oggetto la fornitura di manodopera ad aziende terze), e che in tale attività era ravvisabile (come emerso a seguito di una ispezione dell'Ufficio del Lavoro di Pesaro, dalla quale era scaturito anche un procedimento penale a carico dei legali rappresentanti delle due società) un'interposizione fittizia di manodopera – ha domandato che fosse dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la L. F. s.r.l. (con conseguente suo inquadramento nel personale dipendente di tale società, sia ai fini retributivi che previdenziali) e che quest'ultima fosse pertanto condannata a corrispondergli tutte le somme dovutegli in relazione alla sua qualifica di operaio, con decorrenza dal 2 luglio 2001 (data di inizio del rapporto di lavoro) sino all'estinzione del rapporto medesimo.

Si è costituita in giudizio la società convenuta, la quale non solo ha resistito ad entrambe le domande (contestando, con particolare riguardo alla pretesa risarcitoria, le circostanze di fatto dedotte dal ricorrente, ed evidenziando come egli stesso avesse invece riferito ai funzionari della Direzione Provinciale del Lavoro che l'infortunio si era verificato, non già durante le lavorazioni alla pressa, ma in occasione della caduta di una trave, durante le operazioni di sistemazione di un bancale), ma ha altresì spiegato chiamata in garanzia della U. P. s.c.a.r.l. e del suo rappresentante, L. S. e, in via pregiudiziale, ha invocato la sospensione del presente procedimento sino alla definizione del parallelo processo penale a carico dei legali rappresentanti delle due società.

Disposta la chiamata in causa della U. P. s.c.a.r.l. e di L. S. (e dichiarata la contumacia degli stessi a seguito della loro mancata costituzione in giudizio), la causa è stata istruita mediante l'esperimento di una prova per testimoni, e, all'esito, è stata discussa e decisa nei termini di cui al dispositivo, del quale si è data lettura in udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Va anzitutto rigettata l'istanza di sospensione del giudizio formulata dalla L. F. s.r.l..

Al riguardo può osservarsi che nel nuovo codice di procedura penale non è stata riprodotta la disposizione di cui all'art.3, 2°co. codice abrogato, né sono state reiterate le altre disposizioni (art.24 s. cod. cit. ) alla stessa collegate, con conseguente eliminazione di ogni riferimento alla c.d. pregiudiziale penale dal testo dell'art.295 c.p.c. in occasione della sua riformulazione ad opera dell'art.35 L. n.353/1990.

Si deve pertanto ritenere che il nostro ordinamento non sia più ispirato al principio, in precedenza imperante, della unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile, e che, viceversa, sia stato instaurato dal legislatore il diverso sistema della pressoché completa autonomia e separazione dei due giudizi nel senso che, tranne alcune particolari ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'art.75, co.3, del nuovo codice di procedura penale (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado) o da specifiche disposizioni di legge (art.211 disp. att. c.p.p.), il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale, e, inoltre, anche nel senso che il giudice civile deve procedere ad autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità (civile) dedotti in giudizio (Cass.28 maggio 2001 n.7242).

Nella vicenda in esame, non ricorre una fattispecie di pregiudizialità penale.

Da un lato, infatti, non possono ritenersi integrate le ipotesi di cui all'art.75, co.3, c.p.p., atteso che dalla copia della sentenza penale prodotta in atti non risulta che, nel procedimento penale svoltosi contro i legali rappresentanti della L. F. s.r.l. e della U. P. s.c.a.r.l. (procedimento conclusosi con l'assoluzione definitiva del primo dal reato di cui all'art.590 c.p., e con l'assoluzione non definitiva del secondo dal reato di cui agli artt. 1 e 2 L. n.1369/1960), il ricorrente si fosse costituito parte civile, mentre deve senz'altro escludersi che l'azione sia stata proposta in sede civile dopo la sentenza penale di primo grado (sentenza che è stata emessa in data 27 maggio 2004, e dunque allorché già era pendente la presente causa civile).

Dall'altro lato, neppure può ritenersi integrata l'ipotesi di cui all'art.211 disp. att. c.p.p., non essendovi alcuna specifica disposizione di legge che stabilisca la sospensione necessaria del processo civile sino alla definizione di quello penale.

2. Venendo al merito delle pretese azionate da E. S., va anzitutto dichiarata l'inammissibilità della domanda di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra il ricorrente e la L. F. s.r.l. (con conseguente suo inquadramento nel personale dipendente di tale società, sia ai fini retributivi che previdenziali), e di condanna di quest'ultima al pagamento delle somme asseritamente dovutegli in ragione della sussistenza del rapporto medesimo.

Al riguardo occorre premettere che, ai sensi dell'art.414 c.p.c., il ricorso introduttivo di una causa di lavoro deve contenere, tra l'altro, “la determinazione dell'oggetto della domanda” (art.414 n.3) e “l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni” (art.414 n.4).

La necessità della specifica indicazione, in ricorso, sia del petitum (nelle due forme del petitum mediato, e cioè del bene della vita al cui ottenimento la domanda è diretta, e del petitum immediato, vale a dire del “tipo” di provvedimento invocato dal giudice) che della causa petendi , è funzionale, da un lato, a garantire appieno il diritto di difesa del convenuto, e dall'altro, a consentire al giudice l'individuazione degli esatti termini della controversia.

Sotto il primo profilo, la mancanza o l'insufficienza di tali elementi non consentirebbe infatti alla controparte di assolvere all'onere (previsto a pena di decadenza dall'art.416 c.p.c.) di prendere precisa posizione circa i fatti affermati dall'attore; di contestare in modo specifico le domande e i fatti che vengono addotti a fondamento di esse; di allegare fatti modificativi, impeditivi od estintivi della pretesa attorea; e di formulare eventuali domande riconvenzionali.

Sotto il secondo profilo, la mancata o insufficiente indicazione del petitum e della causa petendi renderebbe invece impossibile al giudice l'individuazione degli esatti termini della lite, e il conseguente esercizio del potere-dovere di procedere in modo utile all'interrogatorio libero delle parti, al tentativo di conciliazione, e all'ammissione delle prove.

La mancanza o l'insufficiente indicazione dei predetti elementi rende pertanto l'atto introduttivo del giudizio inidoneo al raggiungimento del duplice scopo cui è destinato, e ne determina la nullità, ai sensi e per gli effetti dell'art.156, 2°co., c.p.c..

Nell'ipotesi in cui si chieda l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, l'inquadramento in una determinata qualifica e il pagamento delle relative retribuzioni, l'onere della specifica indicazione del petitum e della causa pretendi presuppone anzitutto che il ricorrente indichi il contratto collettivo ritenuto applicabile nella fattispecie.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, i contratti collettivi di diritto comune devono essere prodotti in giudizio dalla parte che ne invoca l'applicazione, atteso che con riguardo ad essi non trova applicazione il principio “ iura novit curia ” e che la normativa in essi contenuta rientra tra i fatti che la parte ha l'onere di allegare al ricorso ai sensi dell'art.414 n.4 c.p.c.. (Cass.3 dicembre 1986 n.7161; Cass.8 agosto 1987 n.6814; più recentemente, Cass.12 aprile 2000 n.4714).

Allorché l'onere di produzione non venga osservato, assume specifica rilevanza il comportamento della controparte, in quanto, nell'ipotesi in cui quest'ultima abbia mosso contestazioni in ordine all'esistenza e al contenuto dell'invocato contratto collettivo, il giudice deve rigettare la domanda nel merito, trovandosi nell'impossibilità di determinare l' an e il quantum della pretesa fatta valere, mentre, nella diversa ipotesi in cui la contestazione non riguardi l'esistenza e il contenuto del contratto, ma la sua specifica applicabilità al caso di specie, residua, per il giudice medesimo, il potere-dovere di disporne d'ufficio l'acquisizione, ai sensi dell'art.421 c.p.c., sempre che l'attore ne abbia fornito idonei elementi di identificazione (cfr., in termini, Cass.12 aprile 2000, n.4714, cit. ).

Dall'ipotesi della mancata produzione del contratto collettivo invocato deve peraltro distinguersi l'ipotesi della mancata invocazione di uno specifico contratto collettivo e cioè dell'omessa indicazione dello stesso nel ricorso introduttivo.

In tale ipotesi, infatti, non viene in considerazione la fondatezza nel merito della pretesa fatta valere in giudizio, ma la stessa idoneità del ricorso al raggiungimento del duplice scopo cui è destinato, atteso, da un lato, che non può pretendersi dal giudice una diretta conoscenza ed applicazione di norme di carattere negoziale, e considerato, dall'altro, che viene violato il diritto del convenuto di esercitare il diritto di difesa, mediante la contestazione dell'esistenza, del contenuto o dell'applicabilità di una specifica fonte contrattuale.

La mancata indicazione del CCNL determina pertanto la nullità del ricorso ex art.156, 2°co., c.p.c., traducendosi nella omissione di uno specifico fatto costitutivo della domanda, e cioè di un imprescindibile momento della causa petendi .

Ai fini della corretta indicazione del petitum e della causa pretendi la parte che invochi l'accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, l'inquadramento in una determinata qualifica e le relative retribuzioni, ha inoltre l'onere di specificare con precisione il periodo in cui si è svolto il rapporto medesimo, la tipologia delle mansioni concretamente esercitate, e l'orario osservato.

In assenza di tali imprescindibili indicazioni, infatti, mentre da un lato la controparte non è messa in condizione di prendere posizione sulle circostanze di fatto dedotte dall'attore, dall'altro lato il giudice non ha elementi né per delibare la domanda di inquadramento (non potendo effettuare il giudizio di corrispondenza tra le mansioni effettivamente esercitate e quelle contenute nelle declaratorie contrattuali) né per delibare la domanda di condanna (non avendo la possibilità di procedere – attraverso il riferimento alla durata del rapporto, all'orario osservato e alla concreta tipologia delle mansioni – alla individuazione e alla quantificazione del credito retributivo rivendicato).

Nel caso di specie, E. S. ha invocato l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, l'inquadramento nel personale dipendente della società convenuta e la condanna di quest'ultima al pagamento delle retribuzioni, senza indicare il contratto collettivo ritenuto applicabile, senza procedere alla descrizione delle mansioni concretamente svolte (limitandosi a dedurre che aveva lavorato in qualità di operaio), e senza specificare l'orario osservato.

Tali omissioni incidono, per le ragioni surrichiamate, sulla determinatezza della domanda, determinando l'inidoneità dell'atto introduttivo del giudizio al raggiungimento dello scopo.

Né può assumere rilevanza, in senso contrario, la circostanza che la domanda formulata dal ricorrente trovi fondamento nella asserita interposizione illecita nel rapporto di lavoro e nella conseguente applicabilità, alla fattispecie, della disposizione (ancora vigente all'epoca dei fatti) contenuta nell'art.1, 5°comma, L. n.1369/1960 , prevedente la novazione soggettiva del rapporto, mediante la sostituzione del datore di lavoro reale (identificato nella L. F. s.r.l.) al datore di lavoro fittizio (identificato nella U. P. s.c.a.r.l.) .

Il ricorrente infatti non si è limitato ad invocare l'accertamento della predetta interposizione, ma ha domandato il suo inquadramento nelle categorie dei dipendenti della L.F. s.r.l. e la condanna di quest'ultima al pagamento delle retribuzioni.

Il ricorso formulato da E. S. deve allora essere dichiarato parzialmente nullo, e, per l'effetto, deve essere dichiarata inammissibile la domanda in esame.

3. La nullità di una parte dell'atto processuale non colpisce tuttavia le altre parti che ne sono indipendenti (art.159, 2°co., c.p.c.).

Tale principio comporta che, verificata la nullità di una parte del ricorso per indeterminatezza della domanda ivi contenuta, il giudice non può esimersi dal verificare la fondatezza nel merito di eventuali altre domande, allorché queste, a differenza di quella ritenuta inammissibile, si presentino complete di tutti i loro elementi costitutivi.

Nella vicenda in esame, la rilevata inammissibilità della domanda di accertamento del rapporto di lavoro subordinato e di condanna al pagamento delle retribuzioni non esclude dunque che si svolga l'indagine sul merito di quella concernente la condanna della convenuta al risarcimento del danno.

Questa domanda è tuttavia infondata.

Al riguardo, tenendo conto delle deduzioni in diritto contenute nel ricorso (nel quale si è invocata, alternativamente, l'applicazione dell'art.2087 c.c. o dell'art.2043 c.c.) va anzitutto precisato che, in mancanza dell'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro tra le parti, la L. F. s.r.l. può essere chiamata a rispondere soltanto a titolo di responsabilità extracontrattuale, e non anche a titolo di responsabilità contrattuale.

Tale precisazione incide notevolmente sul concreto regime della responsabilità.

Da un lato, infatti, sotto il profilo sostanziale, alla L. F. s.r.l. non potrebbe essere rimproverata l'eventuale inosservanza dell'obbligo di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica dei propri dipendenti (arg. ex art.2087 cc.c.), ma soltanto l'eventuale violazione del generale dovere di neminem laedere , imposto dalla vita di relazione a prescindere dalla sussistenza di una specifica pretesa creditoria (arg. ex art.2043 c.c.).

Dall'altro lato, sotto il profilo processuale, il ricorrente avrebbe dovuto specificamente dimostrare la colpa della convenuta, non potendo avvalersi della presunzione di colpa desumibile dall'art.1218 c.c. (applicabile solo in tema di responsabilità contrattuale), e non potendo pertanto invocare in proprio favore il principio per cui, in tema di violazione dell'art.2087 c.c., spetta all'imprenditore la prova (liberatoria) di aver adottato nell'esercizio dell'impresa tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità del lavoratore.

Tanto premesso, deve anzitutto rilevarsi, nel caso di specie, il mancato assolvimento dell'onere della prova nel senso sopra precisato, atteso che, all'esito della prova testimoniale dedotta ed espletata, è rimasta incerta persino la reale dinamica dell'infortunio occorso al S. in data 1° agosto 2001.

Il teste G. P., Ispettore del Servizio di Prevenzione e Sicurezza Ambienti di Lavoro della ASUR Marche, ha riferito che, dopo essere stato informato dell'infortunio dal Pronto Soccorso di Cagli (ove il S. era stato nell'immediatezza condotto), si era recato personalmente presso la struttura sanitaria per acquisire informazioni personalmente dall'infortunato, e che, nell'occasione, il S. gli aveva riferito di essersi infortunato mentre era intento a sistemare una travetta di ferro.

Precisamente – ha chiarito il teste – il S. aveva dichiarato che all'esterno dell'azienda erano state accatastate alcune sbarre di ferro, una delle quali era scivolata dalla propria sede. Dopo aver recuperato con una mano questa travetta per rimetterla a posto, egli aveva fatto pressione con l'altra mano sull'insieme delle altre. In seguito a tale pressione, peraltro, una delle putrelle gli era caduta sulle dita, provocandogli le lesioni (cfr. il verbale d'udienza del 7 ottobre 2004).

Il teste S. M., ex dipendente della L. F. s.r.l. presente ai fatti, ha invece riferito che il ricorrente si era infortunato mentre era intento a lavorare presso la macchina piegatrice situata all'interno dell'azienda.

Al riguardo, peraltro, il teste, se da un lato ha descritto con precisione le modalità di funzionamento di questa macchina (chiarendo che essa era utilizzata per piegare le lamiere di ferro; che tali lamiere venivano introdotte in una fessura della macchina da due operai situati ai lati della medesima; che, introdotta la lamiera, questa veniva piegata per mezzo di una sbarra d'acciaio di cui la macchina era dotata; che tale sbarra veniva azionata dagli stessi operai facendo pressione su due pedali, l'uno predisposto per farla scendere, l'altro predisposto per farla risalire; che, azionatala, gli operai dovevano continuare a reggere la lamiera, per evitarne lo spostamento, esponendo le mani al raggio d'azione della sbarra; e che, tuttavia, per consentire alla sbarra di terminare la sua corsa era necessario continuare a fare pressione sull'apposito pedale, in mancanza della quale la sbarra medesima si sarebbe fermata), dall'altro lato ha anche chiarito di non essersi accorto sul momento dell'incidente occorso al S., in ragione del rumore presente nell'ambiente di lavoro, e di averne preso atto soltanto dopo circa un'ora (cfr. il verbale d'udienza del 7 maggio 2004 e il verbale d'udienza del 16 dicembre 2004).

Alla luce di tali contrastanti dichiarazioni deve ammettersi che non si è raggiunta la certezza probatoria che l'infortunio si fosse verificato secondo le modalità descritte nel ricorso introduttivo, specie se si consideri, da un lato, che le circostanze di fatto riferite dall'Ispettore P. erano state da lui acquisite direttamente dall'infortunato, e dall'altro lato, che il teste M. non aveva veduto il S. nell'atto di infortunarsi.

Già in ragione di tali risultanze istruttorie, pertanto, la domanda di risarcimento del danno formulata dal ricorrente dovrebbe essere rigettata.

Quand'anche, peraltro, volessero ritenersi accertate le circostanze di fatto allegate nel ricorso, ciò non sarebbe comunque sufficiente ai fini dell'affermazione di un giudizio di responsabilità nei confronti della società convenuta.

L'accertamento di tali circostanze, infatti, se da un lato potrebbe essere invocato ai fini dell'affermazione della violazione dell'obbligo di sicurezza previsto dall'art.2087 c.c. (in ragione dell'inosservanza – peraltro neppure correttamente dedotta nel ricorso – delle prescrizioni contenute nell'art.115 D.P.R. n.547/1955 in tema dispostivi per le presse), dall'altro lato, in assenza del preventivo accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti, non potrebbe invece essere invocato ai fini dell'affermazione della violazione del dovere generale di neminem laedere , specie se si consideri che, alla stregua delle dichiarazioni del teste M., la macchina piegatrice situata presso l'azienda era dotata di organi lavoratori di per se inerti (il cui movimento poteva essere ottenuto soltanto attraverso la pressione sull'apposito pedale), e dunque non costituiva un pericolo per persone non direttamente adibite al suo utilizzo.

Esclusa dunque la sussistenza della responsabilità extracontrattuale della società convenuta, la domanda di risarcimento del danno formulata da E. S. deve essere rigettata.

4. Non vi è luogo a provvedere sulle domande di garanzia spiegate dalla L. F. s.r.l. nei confronti della U. P. s.c.a.r.l. e di L. S., in quanto non si è verificata la condizione (soccombenza della convenuta rispetto alle pretese azionate dal ricorrente) alla quale erano subordinate.

5. Attesa la natura dei diritti di cui si è invocata la tutela, sussistono giusti motivi, ai sensi dell'art.92, 2°co., c.p.c., perché le spese del giudizio siano integralmente compensate tra tutte le parti.

P.Q.M.

Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:

1- dichiara parzialmente nullo il ricorso, e, per l'effetto, dichiara inammissibile la domanda di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e di condanna al pagamento delle somme dovute a titolo retributivo, formulata da E. S. nei confronti della L. F. s.n.c.;

2 – rigetta la domanda di risarcimento del danno formulata da E. S. nei confronti della L. F. s.n.c.;

3- compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Urbino 13 gennaio 2005

IL GIUDICE

Paolo Spaziani