TRIBUNALE DI URBINO

In composizione monocratica quale Giudice del lavoro

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice del lavoro di Urbino, dr. Paolo SPAZIANI, ha pronunciato e pubblicato, mediante lettura del dispositivo, la seguente


 

SENTENZA

nella causa in primo grado iscritta al n.368/2004 R.G.A.C.L. (cui sono riunite le cause iscritte ai nn.455/2004 e 489/2004 R.G.A.C.L.), vertente

TRA

S. M., F. A. , elettivamente domiciliati in Urbino, (omissis); rappresentati e difesi dall'Avv. Mario Del Prete, in virtù di procura a margine dei ricorsi introduttivi; C. W. , elettivamente domiciliato in Urbino, (omissis), presso lo Studio dell'Avv. Enrico D'Ambrosio, che lo rappresenta e difende, in virtù di procura a margine del ricorso introduttivo.

RICORRENTI

E

ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ; rappresentato e difeso dagli Avvocati Pasquale Augelletta e Marco Luzi, come da procure generali alle liti del 7 ottobre 1993 e del 1°settembre 1997 per Notaio F. Lupo di Roma.

RESISTENTE

OGGETTO : maggiorazione del periodo lavorativo ai fini pensionistici, in ragione dell'esposizione ultradecennale all'amianto, ai sensi dell'art.13, comma 8, L. 27 marzo 1992 n.257.

CONCLUSIONI DELLE PARTI : come da ricorsi introduttivi, da memorie difensive e da verbale dell'odierna udienza di discussione.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con distinti ricorsi depositati, rispettivamente, il 18 giugno 2004, il 5 agosto 2004 e il 30 settembre 2004, M . S., A. F. e W. C. – premesso che avevano lavorato alle dipendenze della S. (già I.) s.p.a. (il primo con mansioni di addetto al “reparto infissi”, nel quale si effettuava la sagomatura e la foratura dei pannelli in cemento amianto tagliati nel contiguo “reparto pannelli”; il secondo con mansioni di manutentore degli impianti dei vari reparti, nonché di fuochista addetto alle caldaie utilizzate per asciugare i pannelli di amianto lavorati e verniciati; e il terzo con mansioni dapprima di magazziniere addetto alle operazioni di carico e scarico delle lastre in cemento amianto, e successivamente di operaio addetto al taglio, pulizia, finitura ed assemblaggio delle medesime); che, in ragione dell'esposizione ultradecennale all'amianto (avutasi, per il primo, dal 3 settembre 1975 al 31 dicembre 1992; per il secondo dal 5 novembre 1975 al 31 dicembre 1992; e per il terzo dal 19 giugno 1974 al 6 agosto 1999), avevano presentato all'INPS (rispettivamente, in data 25 agosto 2000; in data 23 ottobre 2000; e in data 4 ottobre 2000) istanza per il riconoscimento della maggiorazione dei periodi di lavoro ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche, ai sensi dell'art.13, comma 8, L .27 marzo 1992 n.257, allegando la domanda di certificazione della predetta esposizione inoltrata all'INAIL; e che tale istanza non era stata accolta ed infruttuosamente era stato esperito il ricorso amministrativo al Comitato Provinciale – hanno convenuto in giudizio l'INPS, invocando la declaratoria del loro diritto alla maggiorazione dei periodi di lavoro ai fini pensionistici per esposizione a fibre di amianto, e la condanna dell'Istituto a riconoscere la maggiorazione medesima.

Con memorie difensive depositate in data 23 settembre 2004 e 23 dicembre 2004 si è costituito nei giudizi l'INPS, il quale, in via pregiudiziale di rito, ha invocato la declaratoria di improponibilità delle domande, sul presupposto dell'applicabilità, ai casi di specie, dell'art.47, comma 5, D.L. 30 settembre 2003 n.269, convertito nella L.24 novembre 2003 n.326, che onera i lavoratori che intendono ottenere il riconoscimento della maggiorazione del periodo lavorativo di presentare all'INAIL domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto, a pena di decadenza, entro 180 giorni dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al successivo comma 6.

Nel merito, il convenuto ha poi invocato il rigetto delle domande, deducendo, da un lato, che, tenuto conto del fondamento della disposizione contenuta nell'art.13, comma 8, L. n.257/1992, i benefici previdenziali da essa previsti dovrebbero essere riconosciuti unicamente ai lavoratori attualmente alle dipendenze di aziende che estraggono o utilizzano amianto (e non già ai lavoratori che, come i ricorrenti, lo siano stati in passato ed abbiano ormai cessato l'esposizione), ed osservando, dall'altro lato, che, in conformità con quanto stabilito nella sentenza n.5/2000 della Corte Costituzionale, ai fini dell'ottenimento dei predetti benefici non sarebbe sufficiente il presupposto dell'esposizione ultradecennale all'amianto, occorrendo altresì la dimostrazione dello specifico rischio morbigeno, da ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi di superamento dei valori massimi di concentrazione previsti dal D.Lgs. 15 agosto 1991 n.277 e successive modifiche.

Con riguardo all'ipotesi che la pretesa dei ricorrenti fosse stata ritenuta fondata, l'INPS ha infine invocato, da un lato, che la rivalutazione assicurativa fosse limitata al solo periodo ultradecennale di accertata esposizione all'amianto (e che non fosse invece estesa all'intero periodo lavorativo), e dall'altro lato, che si tenesse conto della disposizione di cui all'art.47, comma 1, D.Lgs. n.269/2003, prevedente la riduzione da 1,5 a 1,25 del coefficiente previsto dall'art.13, comma 8, L. n.257/92, nonché la limitazione della sua applicabilità ai soli fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche.

Disposta la riunione dei procedimenti ai sensi dell'art.151 disp. att. c.p.c., la causa è stata istruita mediante l'esperimento di una prova per testimoni e di una consulenza tecnico-ambientale d'ufficio e, all'esito dell'odierna udienza di discussione, è stata decisa nei termini di cui al dispositivo, del quale si è data lettura.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre anzitutto individuare le fonti normative che disciplinano le fattispecie dedotte nel presente giudizio, tenendo conto della complessa evoluzione della disciplina legislativa, nonché dell'intreccio tra norme primarie e norme secondarie, nella regolamentazione della materia dei benefici previdenziali connessi con l'esposizione all'amianto.

Ai sensi dell'art.13, comma 8, L. 27 marzo 1992 n.257 (nel testo sostituito dall'art.1 D.L.5 giugno 1993 n.169, convertito, con modificazioni, nella L. 4 agosto 1993 n.271), per i lavoratori che siano stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5.

Ai sensi dell'art.3, comma 1, della stessa L.27 marzo 1992 n.257, la concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro ove si utilizza, si trasforma o si smaltisce tale materiale (ovvero si effettua attività di bonifica dallo stesso) non può superare i valori limite fissati dall'articolo 31 del decreto legislativo 15 agosto 1991 n.277.

Ai sensi dell'art.31 D.Lgs.15 agosto 1991 n.277 (nel testo modificato dall'art.3, comma 4, della citata L. n.257/1992), i valori limite di esposizione alla polvere di amianto nell'aria, espressi come media ponderata in funzione del tempo su un periodo di otto ore, sono pari a 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo, e a 0,2 fibre per centimetro cubo per tutte le altre varietà di amianto sia isolate sia in miscela, ivi comprese le miscele contenenti crisotilo.

Sul sistema delineato dalla normativa richiamata si sono innestate le recenti innovazioni contenute nell'art.47 D.L. 30 settembre 2003 n.269 (convertito, con modificazioni, nella L.24 novembre 2003 n.326) e nel DM 27 ottobre 2004 (emesso dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze in attuazione del citato art.47, ai sensi del comma 6 del medesimo), i quali hanno introdotto modifiche della precedente disciplina sia in relazione all'oggetto della prestazione previdenziale (stabilendo che a decorrere dal 1° ottobre 2003 il coefficiente di moltiplicazione per la maggiorazione del periodo lavorativo è ridotto da 1,5 a 1,25, e si applica unicamente ai fini della determinazione dell'importo delle prestazioni pensionistiche, non anche della maturazione del diritto di acceso alle medesime: art.47, comma 1, D.L. n.269/2003; art.2, comma 1, DM 27 ottobre 2004), sia in relazione ai requisiti costitutivi del diritto (prevedendo la necessità di un periodo non inferiore a dieci anni – e non più ultradecennale – di esposizione all'amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore al giorno: art. 47, comma 3, D.L. n.269/2003; art.2, comma 1, DM 27 ottobre 2004), sia, infine, in relazione al procedimento amministrativo (ponendo, a carico dei lavoratori interessati, l'onere di presentare domanda di certificazione dell'esposizione all'amianto alla sede INAIL di residenza entro 180 giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto interministeriale di cui al comma 6, a pena di decadenza del diritto ai benefici previdenziali: art. 47, comma 5, D.L. n.269/2003; art.3, comma 2, DM 27 ottobre 2004).

Si pone dunque il problema di chiarire se le riferite modifiche normative trovino o meno applicazione nelle fattispecie dedotte nel presente giudizio.

Il problema dell'ambito di operatività della nuova disciplina è stato risolto dallo stesso legislatore, il quale, nell'art.3, comma 132, L.24 dicembre 2003 n.350 (legge finanziaria per il 2004), ha fatto salva l'applicabilità delle norme previgenti alla data del 2 ottobre 2003 (giorno della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge n.269/2003) per i lavoratori che a tale data avessero già maturato il diritto al conseguimento dei benefici previdenziali di cui all'art.13, comma 8, L. n.257/1992 e successive modificazioni, nonché per coloro che avessero già avanzato domanda di riconoscimento all'INAIL o avessero ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la stessa data.

Secondo l'orientamento della giurisprudenza di legittimità, questa disposizione deve essere interpretata nel senso che: a) per “maturazione” del diritto al beneficio deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l'accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva (cfr. Cass.8 novembre 2004 n.21257; Cass.18 novembre 2004 n.21862; Cass.15 luglio 2005 n.15008).

Alla luce della disposizione contenuta nell'art.3, comma 132, L . n.350/2003 e dell'interpretazione fornitane dalla Suprema Corte di Cassazione, deve escludersi che la normativa sopravvenuta trovi applicazione nelle fattispecie dedotte nei presenti giudizi, in quanto, sebbene non sia stato né provato né dedotto che i ricorrenti abbiano maturato il diritto a pensione, risulta invece chiaramente che essi, alla data del 2 ottobre 2003 avevano già avviato una procedura amministrativa per l'accertamento dell'esposizione all'amianto, sia attraverso la presentazione dell'istanza di rivalutazione contributiva all'INPS (cfr. doc. n 1 fascicolo S., da cui risulta che l'istanza era stata da lui presentata in data 25 agosto 2000; doc. n.1 fascicolo F., da cui risulta che l'istanza era stata da lui presentata il 23 ottobre 2000; doc. n.1 fascicolo C. da cui risulta che l'istanza era stata da lui presentata il 4 ottobre 2000) sia attraverso la presentazione della domanda di certificazione della sussistenza e della durata dell'esposizione medesima all'INAIL (cfr. doc. n.3 fascicolo S.; doc. n.4 fascicolo F.; docc. nn.2-3 fascicolo C.).

Le cause introdotte dai ricorrenti devono dunque essere decise facendo applicazione della disciplina delineata dagli artt.13, comma 8, e 3, comma 1, L. 27 marzo 1992 n.257, nonché dall'art.31 D.Lgs.15 agosto 1991 n.277, non potendosi riconoscere alcuna rilevanza alle modifiche introdotte dall'art.47 D.L.30 settembre 2003 n.269 e dal decreto interministeriale emanato in funzione della sua attuazione.

2. Individuata la normativa applicabile, possono non solo essere precisati i requisiti costitutivi del diritto azionato dai ricorrenti, ma possono anche essere agevolmente delibate le eccezioni sollevate dall'INPS.

In particolare, devono reputarsi manifestamente infondate tanto l'eccezione pregiudiziale di rito con la quale si invoca la declaratoria di improponibilità della domanda per mancata presentazione all'INAIL dell'istanza di certificazione nel termine di decadenza di 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto interministeriale, quanto l'eccezione (la quale, sebbene contenuta nella parte finale delle memorie difensive, ha valore di eccezione preliminare di merito, perché attinente all'oggetto della prestazione previdenziale) con la quale si invoca l'applicazione del coefficiente moltiplicatore di 1,25 (anziché di 1,5) e la limitazione della sua applicazione ai soli fini della determinazione dell'importo della pensione e non della maturazione del diritto di accesso alla medesima.

Entrambe le eccezioni, infatti, riposano sulla asserita applicabilità ai casi di specie, della normativa sopravvenuta introdotta dall'art.47 D.L. n.269/2003, la quale, per quanto si è sopra rilevato, non assume invece alcuna rilevanza nei rapporti controversi.

3. Del pari infondate sono le eccezioni (anche queste da qualificarsi come preliminari di merito) con le quali si deduce che il beneficio della maggiorazione del periodo lavorativo a fini previdenziali andrebbe riconosciuto unicamente ai lavoratori attualmente alle dipendenze di aziende che estraggono o utilizzano amianto (e non già ai lavoratori che, come i ricorrenti, lo siano stati in passato ed abbiano ormai cessato l'esposizione), e che la rivalutazione assicurativa dovrebbe comunque essere limitata al solo periodo ultradecennale di accertata esposizione all'amianto (senza possibilità di estenderla all'intero periodo lavorativo).

Sotto tale ultimo profilo va rilevato che la ritenuta applicabilità ai rapporti controversi della disciplina contenuta nella normativa anteriore a quella introdotta con il decreto legge n.269 del 2003, se da un lato esclude che la rivalutazione contributiva possa essere estesa ai periodi lavorativi non soggetti all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali gestita dall'INAIL (limitazione che sembra invece essere stata rimossa dalla normativa sopravvenuta: cfr., in particolare, l'art.1, comma 1, DM 27 ottobre 2004), dall'altro lato, essa rivalutazione non può essere limitata al solo periodo ultradecennale di esposizione all'amianto in misura superiore ai limiti di legge (che costituisce soltanto il presupposto costitutivo del diritto: v. infra ), ma, una volta che tale presupposto costitutivo si sia integrato, va estesa all' “intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto, gestita dall'INAIL”, conformemente alla previsione testuale dell'art.13, comma 8, L.27 marzo 1992 n.257 e successive modificazioni.

Con riguardo invece all'asserita necessità dell' “attualità” dell'esposizione, deve essere ricordato il contrario orientamento giurisprudenziale, assolutamente pacifico e consolidato, secondo cui la maggiorazione contributiva prevista dall'art.13, comma 8, L . n.257/1992 – tenuto conto della ratio della norma (la quale è diretta a consentire o facilitare il conseguimento della pensione ai lavoratori perdenti il posto di lavoro a causa della soppressione della lavorazione dell'amianto ed esclusi dal beneficio del prepensionamento) e del suo tenore letterale (nel quale compare la locuzione “lavoratori”) – non spetta ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge, erano già titolari di pensione di anzianità o di vecchiaia, ovvero di pensione di inabilità, mentre va riconosciuta, sempre che ricorrano gli altri requisiti costitutivi del diritto, a coloro che, alla medesima data, prestavano ancora attività di lavoro dipendente o versavano in stato di temporanea disoccupazione (cfr. Cass.7 luglio 1998 n.6620; Cass.28 luglio 1998 n.7407; Cass.10 agosto 2000 n.10557; Cass. 19 aprile 2001 n.5764; Cass. 9 dicembre 2002 n.17528; Cass.26 febbraio 2003 n.2932; Cass.13 febbraio 2004 n.2849; Cass.27 febbraio 2004 n.4063; Cass.28 aprile 2004 n.8182).

Non rileva dunque l' “attualità” dell'esposizione, ma la sussistenza della qualità di “lavoratore” al momento dell'entrata in vigore della legge, la quale non è controversa nei rapporti dedotti nel presente giudizio.

4. Venendo ora al merito in senso proprio delle domande formulate dai ricorrenti, occorre verificare se essi abbiano dato la dimostrazione della sussistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla invocata maggiorazione contributiva.

Questi requisiti costitutivi, alla stregua del sistema delineato dagli artt.13, comma 8, e 3, comma 1, L. 27 marzo 1992 n.257, nonché dall'art.31 D.Lgs.15 agosto 1991 n.277, consistono, come si è accennato, non solo nell'espletamento, per oltre dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche” quali riposi, ferie e festività), di mansioni comportanti l'esposizione all'amianto, ma anche nel superamento dei valori limite di esposizione (espressi come media ponderata in funzione del tempo su un periodo di riferimento di otto ore) pari a 0,6 fibre per centimetro cubo per il crisotilo, e a 0,2 fibre per centimetro cubo per le altre varietà di amianto, quand'anche consistenti in miscele contenenti crisotilo.

Al riguardo, infatti, non può condividersi la deduzione in diritto avanzata dai difensori degli attori all'odierna udienza di discussione (secondo cui i predetti valori limite sarebbero stati stabiliti esclusivamente in funzione degli interventi del datore di lavoro e degli organi di vigilanza finalizzati alla protezione dei dipendenti e alla rimozione del rischio, e non anche in funzione della attribuzione dei benefici previdenziali, i quali dovrebbero essere riconosciuti indipendentemente dal raggiungimento dei limiti medesimi), atteso che, come correttamente evidenziato dall'INPS nella memoria difensiva, sulla scorta dell'insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n.5 del 2000), è prevalso nella giurisprudenza di legittimità il contrario orientamento secondo cui, ai fini del diritto alla maggiorazione del periodo di lavoro ai fini previdenziali, non solo occorre il superamento dei valori previsti nel D. Lgs. n.277 del 1991 (Cass. 3 aprile 2001 n.4913; Cass.28 giugno 2001 n.8859; Cass. 19 ottobre 2004 n.20467; Cass. 1° agosto 2005 n.16118), ma è altresì necessario che tale superamento concerna non semplicemente la soglia (0,1 fibre per centimetro cubo) di mero allarme indicata nell'art.24 del citato decreto legislativo, bensì quella espressa in valori superiori dall'art.31 del decreto medesimo, unica soglia considerata dall'art.3, comma 1, L. n.257 del 1992 e sulla quale, non a caso, sono intervenute le modifiche apportate dall'art.3, comma 4, stessa legge (Cass. 19 ottobre 2004 n.20464; Cass.26 novembre 2004 n.22300).

5. Tanto premesso in generale, con riguardo ai casi di specie occorre distinguere la posizione di M. S. da quella di A. F. e W. C..

Con riguardo al primo è stata fornita adeguata dimostrazione di entrambi i requisiti costitutivi del diritto.

I testi G.B. e G.M., entrambi ex colleghi di lavoro del S. presso la S. s.p.a., hanno confermato le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo, secondo cui il ricorrente, sin dal 1975, aveva svolto mansioni comportanti la lavorazione di pannelli in cemento amianto ai fini della realizzazione degli infissi (cfr. il verbale d'udienza del 1° febbraio 2005).

Dalla consulenza tecnico-ambientale disposta nel corso del giudizio (e realizzata non solo sulla base delle risultanze della prova testimoniale, ma anche sulla base di apposito sopralluogo presso i locali dell'impresa, nonché delle dichiarazioni rilasciate dal datore di lavoro all'INAIL nel corso della procedura amministrativa per l'accertamento dell'esposizione) è poi emerso che, nel periodo 3 marzo 1975 – 1981, il S. aveva subìto una esposizione mista a crisotilo e anfiboli stimabile, in media sulle otto ore lavorative al giorno per 240 giorni lavorativi all'anno, intorno a 1000 fibre di amianto per litro d'aria, mentre, nel periodo 1981 – 1988 aveva subito una esposizione al solo crisotilo stimabile, secondo gli stessi criteri, intorno a 1000 fibre di amianto per litro d'aria.

Le risultanze della consulenza tecnica d'ufficio sono condivisibili, essendo l'espletata indagine correttamente eseguita ed immune da profili di censurabilità, peraltro non evidenziati da alcuna delle parti.

Poiché allora l'esposizione del ricorrente all'amianto si è protratta per oltre dieci anni e i valori di tale esposizione accertati dal consulente sono superiori a quelli stabiliti dall'art.31 D.Lgs. n.277 del 1991 (1000 fibre/litro equivalgono a 1 fibra/cm cubo), deve dichiararsi che M. S. ha il diritto, ai fini delle prestazioni pensionistiche, alla moltiplicazione per il coefficiente di 1,5 dell'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita dall'INAIL, e deve condannarsi l'INPS a disporre la predetta maggiorazione.

6. Diversa soluzione si impone invece con riguardo ai ricorrenti A. F. e W. C..

Benvero, infatti, se da un lato, alla stregua delle dichiarazioni testimoniali, anche con riguardo a questi lavoratori è stato accertato lo svolgimento di mansioni comportanti l'esposizione all'amianto (cfr., con riguardo al F., la deposizione del teste P.R., che ha confermato le allegazioni contenute nel ricorso introduttivo circa lo svolgimento, dal 1975 al 1992, delle mansioni di manutentore degli impianti dei vari reparti dello stabilimento S. e di fuochista addetto alle caldaie; con riguardo al C. cfr., invece, le dichiarazioni del teste S.L., che ne ha confermato lo svolgimento delle mansioni di magazziniere addetto alla movimentazione delle lastre di amianto e, in alcuni periodi, di quelle di operaio addetto al taglio delle medesime: verbali d'udienza del 1° febbraio 2005), dall'altro lato, all'esito dell'indagine tecnica, è emerso che la predetta esposizione non ha superato (o comunque non ha superato per tutto il periodo necessario) i valori limite stabiliti dall'art.31 D.Lgs. n.277/1991.

Con riguardo al F., il consulente ha accertato che l'esposizione, misurata mediamente sulle otto ore lavorative al giorno, è stata inferiore alle 100 fibre di amianto per litro d'aria tra il 1975 e il 1985, e che nel periodo successivo è stata addirittura pari o inferiore alle 10 fibre di amianto per litro d'aria.

Poiché 100 fibre/litro equivalgono a 0,1 fibre/cm cubo e 10 fibre/litro equivalgono a 0,01 fibre/cm cubo, deve concludersi che il F. non ha mai superato i valori richiesti dalla legge, pari a 0,6 fibre/cm cubo per il crisotilo e a 0,2 fibre/cm cubo per le altre varietà di amianto.

Con riguardo al C., il consulente ha accertato che soltanto nei periodi dal 1978 al 1981, dal 1982 al 1985 e dal maggio 1987 al maggio 1988, l'esposizione avrebbe potuto essere stimata tra le 100 e le 1000 fibre di amianto per litro d'aria, mentre negli altri periodi lavorativi era stata inferiore alle 100 fibre per litro d'aria.

Deve pertanto concludersi che soltanto per un periodo di tempo della durata complessiva di non più di otto anni il C. può essere rimasto esposto all'amianto in misura superiore ai valori di cui all'art.31 D.Lgs n.277/1991, mentre nei restanti periodi l'esposizione è rimasta contenuta entro il valore di 0,1 fibre/cm cubo.

Le domande formulate da A. F. e W. C. devono dunque essere rigettate per mancata integrazione dei requisiti costitutivi del diritto azionato.

7. La natura dei diritti di cui si è invocata la tutela, unitamente agli oggettivi elementi di incertezza circa la normativa applicabile, solo recentemente superati dalla giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, giustificano l'integrale compensazione tra le parti delle spese relative ai rapporti processuali intercorsi tra A. F. e W. C. e l'INPS, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di reddito di cui all'art.152, nuovo testo, c.p.c..

Le spese del rapporto processuale intercorso tra l'Istituto convenuto e M. S. seguono invece la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, senza possibilità tuttavia di disporne la distrazione a favore del difensore, non essendo rinvenibile, nel ricorso introduttivo, una richiesta ai sensi dell'art.93 c.p.c..

8. Le spese della consulenza tecnica espletata vanno poste a definitivo carico dell'INPS.

P.Q.M.

Il Giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:

1- dichiara che M. S. ha il diritto, ai fini delle prestazioni pensionistiche, alla moltiplicazione per il coefficiente di 1,5 dell'intero periodo lavorativo soggetto all'assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall'esposizione all'amianto gestita dall'INAIL, e condanna l'INPS, in persona del legale rappresentante pro tempore , a disporre la predetta maggiorazione;

2- rigetta le domande formulate da A. F. e W. C. nei confronti dell'INPS;

3- compensa integralmente tra le parti le spese dei rapporti processuali intercorsi tra A. F. e W. C. e l'INPS, e condanna quest'ultimo a rimborsare a M. S. le spese del relativo rapporto processuale, che liquida in Euro 1.575,00, di cui Euro 490,63 per diritti, Euro 909,37 per onorari ed Euro 175,00 per spese generali, oltre CP ed IVA;

4- pone le spese della consulenza tecnica espletata a definitivo carico dell'INPS.

Urbino 24 marzo 2006

IL GIUDICE

Paolo Spaziani