Paolo Pascucci

Straordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino “Carlo Bo”
Presidente della Commissione tecnico-scientifica di Olympus


IL REBUS DELL'EFFETTIVITÀ DELLE COSIDDETTE “SANZIONI CIVILI INDIRETTE” IN TEMA DI SICUREZZA SUL LAVORO


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Sommario
: 1. L'effettività delle sanzioni in materia di sicurezza del lavoro. – 2. Le “sanzioni civili indirette” in tema di sicurezza sul lavoro: “nessuna flessibilità per chi non valuta i rischi”. – 3. La precaria effettività delle sanzioni civili indirette. Il caso del contratto a termine. – 4. Qualche proposta per rafforzare l'effettività delle sanzioni civili indirette (tra dubbi e… incertezze). – 5. Ulteriori nodi problematici: l'obsolescenza della valutazione dei rischi e l'effettività delle sanzioni civili indirette nelle piccole imprese. – 6. Le ipotesi di revisione alla luce del diritto comunitario, dell'oggetto della delega e dei principi costituzionali.



1. L'effettività delle sanzioni in materia di sicurezza del lavoro

    Come è ripetutamente emerso nel dibattito di questo convegno, i problemi che angustiano il sistema della prevenzione e della sicurezza sul lavoro non possono essere risolti pensando solo all'inasprimento delle sanzioni. Ancor prima, occorre creare i presupposti per la diffusione di una cultura condivisa della sicurezza (1), mettendo in campo tutti gli strumenti che possano sostenerne lo sviluppo, specialmente nei confronti delle imprese, con una particolare attenzione per quelle di minori dimensioni.

    Tuttavia, se si intende finalmente porre mano ad un credibile sistema di prevenzione, non si può nel contempo non affrontare anche la questione delle sanzioni, che, in materia di sicurezza del lavoro, è tutt'altro che marginale. Una questione che peraltro, più che per l'entità delle sanzioni, merita attenzione a proposito della loro effettività, intesa non solo in termini di certezza della pena, ma anche e soprattutto dal punto di vista della capacità deterrente della stessa (2), appunto in una logica di prevenzione, dato che, in materia di salute e sicurezza del lavoro, nessun rimedio potrà mai adeguatamente ripristinare l'integrità dei beni protetti.

    La ricca esperienza del diritto del lavoro insegna che, nei rapporti interprivati, la solidità del sistema regolativo difficilmente può prescindere da un giusto mix di sanzioni interne ed esterne al rapporto, civili e penali: basta pensare, per citare un esempio classico, al caso del divieto di interposizione illecita sotto l'egida della l. 23 ottobre 1960, n. 1369 che, accanto alla sanzione penale, era presidiato dalla efficace sanzione “civile” della costituzione ex lege del rapporto di lavoro in capo all'effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative (3).

    D'altronde, pretendere di governare il sistema pressoché esclusivamente con la sanzione (penale) esterna al rapporto ha un “costo” organizzativo molto alto che rischia di rendere sostanzialmente ineffettivo l'apparato di tutela.

    Se si scende sullo specifico terreno della sicurezza del lavoro, è agevole rilevare come qui sia da tempo operante quel mix di sanzioni civili e penali di cui si diceva. Basta pensare, da un lato, al vecchio ma inossidabile art. 2087 c.c. (4) che fonda l'obbligo di sicurezza del datore di lavoro – inquadrato come effetto essenziale del contratto di lavoro (5) – con la conseguente insorgenza della responsabilità civile (6); dall'altro lato, alle innumerevoli disposizioni speciali assistite per lo più da sanzioni penali ad hoc , che quindi fanno ancora oggi la parte del leone (7). Ciononostante, il ruggito che ne promana è alquanto flebile, come dimostra il precario livello di osservanza della disciplina che traspare dai tragici bilanci degli infortuni sul lavoro. Per quanto astrattamente giusta (data la rilevanza del bene in gioco: il diritto alla salute tutelato dall'art. 32 Cost . (8)), quella punizione non pare costituire un efficace deterrente.

    Per la verità, troppo spesso si trascura che l'applicazione della disciplina sulla sicurezza del lavoro è considerata da molti datori di lavoro essenzialmente come un costo sociale da scaricare sulla collettività (9) o comunque come un ostacolo alle proprie logiche organizzative. Senonché, fino a quando la sicurezza del lavoro sarà impropriamente inquadrata come un insopportabile “costo”, reputato maggiore di quello connesso alla sanzione, ben poche speranze potranno nutrirsi sulla sua tutela.

    Si avverte quindi l'urgenza di politiche volte a valorizzare la responsabilità sociale delle imprese, in cui rientra a pieno titolo la tutela dell'ambiente di lavoro e della salute dei lavoratori (10). Realisticamente, però, simili politiche possono avere qualche chance di successo soltanto se accompagnate da misure finalizzate a disincentivare, con certezza ed efficacia, i comportamenti devianti, rendendo alto – in termini di certezza e di effettività – il costo economico delle trasgressioni. Dato che incidono sul modo di condurre un'attività economica, quelle politiche non possono prescindere dalla prospettazione di un pacchetto di vantaggi/svantaggi lato sensu economici.

    È evidente come la predisposizione di un testo unico finalizzato al riassetto ed alla riforma delle disposizioni vigenti in materia di salute e sicurezza del lavoro (11) costituisca l'occasione anche per riflettere su politiche come quelle appena evocate.

2. Le sanzioni civili indirette in tema di sicurezza sul lavoro: “nessuna flessibilità per chi non valuta i rischi”

    In questa logica, uno strumento apparentemente interessante è quello delle cosiddette “sanzioni civili indirette” (12), le quali – ancorché limitatamente agli aspetti per i quali sono evocate – potrebbero conferire maggiore effettività al sistema sanzionatorio in materia di sicurezza sul lavoro.

    Come già messo in luce nell'intervento di Luciano Angelini (13), nell'attuale disciplina italiana non mancano indicazioni di questo tipo, anche se si tratta di norme sporadiche e di incerta effettività. Ci si riferisce in particolare a quelle disposizioni che inibiscono ai datori di lavoro “che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi” ex art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994 di utilizzare forme di lavoro flessibili: era già avvenuto nel caso dell'ora soppresso contratto di lavoro temporaneo (art. 1, comma 4, lett. e , l. n. 196 del 1997 , successivamente abrogato) (14) ed accade ancora oggi con riferimento al contratto a tempo determinato (art. 3,comma 1, lett. d, d.lgs. n. 368 del 2001), al contratto di somministrazione di lavoro (art. 20, comma 5, lett. c , d.lgs. n. 276 del 2003) ed al contratto di lavoro intermittente (art. 34, comma 3, lett. c , d.lgs. n. 276 del 2003) (15).

    È evidente come queste previsioni assolvano una duplice funzione, facilmente individuabile dall'angolo visuale dei due soggetti contemplati: dal punto di vista del lavoratore, si tratta di una funzione protettiva ; da quello del datore di lavoro, di una funzione sanzionatoria (16). Per quanto concerne il primo aspetto, tali previsioni mirano ad impedire che lavoratori normalmente più vulnerabili sul terreno della sicurezza come quelli “flessibili” (17) possano essere utilizzati da datori di lavoro che, non avendo adempiuto al principale obbligo in tema di sicurezza (la valutazione dei rischi, compresi quelli specifici), potrebbero metterne seriamente a repentaglio la sicurezza. Per quanto riguarda il secondo aspetto, quelle previsioni puniscono il datore di lavoro inadempiente limitandone l'autonomia negoziale “lavoristica” e, quindi, ostacolandone il normale agire imprenditoriale. Riguardando in particolare la vicenda sotto quest'ultimo profilo, è chiaro che, poiché la violazione dell'art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994 (la mancata valutazione dei rischi) è punita con una sanzione penale ( art. 89, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994 ), il complessivo “prezzo” del reato (18) non è costituito soltanto dalla pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda, ma anche dall'impossibilità di accedere ad importanti strumenti negoziali del mercato del lavoro “flessibile” (19): una conseguenza non irrilevante ove si tenga conto della continua richiesta di flessibilità proveniente dal mondo delle imprese.

    È stato autorevolmente suggerito (20) che sanzioni di questo tipo andrebbero probabilmente estese a tutte le altre tipologie flessibili di lavoro, specialmente considerando i maggiori rischi dei lavoratori non stabili. Di qui la proposta di configurare un vero e proprio divieto generale di accesso alle tipologie flessibili ed a tutte quelle fattispecie che non costituiscono rapporto di lavoro ( stage , borse lavoro, lavori socialmente utili ecc.) (21) a carico dei datori di lavoro inadempienti in materia di sicurezza, e peraltro non soltanto rispetto al precetto della valutazione dei rischi: non a caso, con riferimento al divieto di ricorso al lavoro a termine di cui all'art. 3,comma 1, lett. d, d.lgs. n. 368 del 2001, è stato rilevato che attualmente “sono assolutamente irrilevanti, non integrando gli estremi del divieto, le inadempienze in materia di sicurezza diverse dall'omessa valutazione dei rischi” (22).

    Scendendo più in dettaglio sulla reale portata delle sanzioni civili indirette che precludono il ricorso alle tipologie contrattuali flessibili ai datori di lavoro “… che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi”, è innanzitutto importante accertare che cosa intenda il legislatore con tale espressione.

    È noto che l'effettuazione della valutazione dei rischi costituisce uno dei capisaldi del sistema della sicurezza del lavoro introdotto dal diritto comunitario (l'art. 6, par. 2 della direttiva-quadro 89/391/CE ricomprende la valutazione dei rischi fra i principi generali di prevenzione) e recepito in Italia con il d .lgs. n. 626 del 1994 (23). È altrettanto noto che lo strettissimo collegamento instaurato dall'art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994 tra la valutazione dei rischi e l'elaborazione del relativo documento fa sì che l'effettuazione o meno della valutazione dei rischi debba essere rilevata proprio in relazione a tale adempimento documentale (24). La fattispecie “mancata effettuazione della valutazione” si realizza non solo quando non si sia provveduto a redigere il documento (25), ma anche quando quest'ultimo si riveli insufficiente, incompleto o inadeguato (26), potendo tale inadeguatezza riguardare tanto i parametri di cui all'art. 4, comma 2, quanto “apposite norme in rapporto ad alcuni rischi specifici” (27). Data poi l'intima connessione funzionale e teleologica che lega i contenuti del documento prescritti dal legislatore, si deve ritenere che l'espressione “… che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi” non sia limitata alla omessa elaborazione del documento di valutazione o alla carenza od inadeguatezza, nello stesso, della relazione richiesta nella lettera a dell'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 626 del 1994 , ma riguardi anche la mancanza o l'insufficienza, nello stesso documento di valutazione, di quanto previsto dalle lettere b e c del medesimo art. 4, comma 2 (individuazione delle misure e dei dispositivi; piano di sicurezza).

    È quindi evidente che, lungi dal potersi esaurire in un semplice adempimento formale, la redazione del documento di valutazione dei rischi dovrà riguardare tutti i rischi presenti in azienda, ivi compresi quelli specifici connessi all'utilizzazione di lavoratori “flessibili” (28).

    Più in generale, va osservato che la mancata o inadeguata valutazione dei rischi rileva sul piano sanzionatorio diretto ( presidiato dalle sanzioni penali ex art. 89, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994) ed indiretto (garantito dalle sanzioni civili di cui si è fatto cenno poc'anzi) in modo autonomo , vale a dire a prescindere dalla relazione che può o meno esistere tra la mancata valutazione ed un infortunio sul lavoro. Come è stato messo in luce dalla dottrina penalistica, “l'alterazione della dimensione documentale o procedurale della sicurezza non può essere assunta … come antecedente causale, nell'ambito della responsabilità colposa, di un evento lesivo della vita e della integrità individuale e collettiva” e anche “la carente o l'inefficiente definizione documentale delle misure di sicurezza e precauzionali non rileva nell'accertamento della responsabilità per l'evento”, giacché “solo il piano di sicurezza in concreto attuato, anche in assenza di una sua adeguata ed esaustiva valutazione e documentazione, può assumere rilievo in un processo di imputazione oggettiva e soggettiva dell'evento” (29). Ciò tuttavia non impedisce che la omessa o inadeguata valutazione dei rischi presenti “un contenuto lesivo autonomo, che, svincolato da considerazioni in termini di anticipazione di tutela o di pericolo, possa ugualmente evidenziare l'interesse sotteso alle scelte del legislatore, che giustifica e fonda un giudizio di meritevolezza di pena” (30).

3. La precaria effettività delle sanzioni civili indirette. Il caso del contratto a termine

    Attualmente, anche le sanzioni civili indirette di cui qui si discute sembrano afflitte da seri problemi di effettività, derivanti in parte dalla tecnica quanto mai approssimativa con cui i relativi divieti sono stati costruiti. Ad esempio, se il legislatore del 2001 e del 2003 davvero credeva che quei divieti costituissero un efficace deterrente contro le mancate valutazioni dei rischi, non si comprende perché mai, invece di limitarsi semplicisticamente a vietare l'accesso ai lavori flessibili alle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi (come accade nelle varie previsioni del d.lgs. n. 276 del 2003), non abbia mantenuto la più rigorosa previsione dell'ora abrogato art. 1 della l. n. 196 del 1997 , che configurava il divieto di ricorso al lavoro temporaneo nei confronti delle imprese che non dimostrassero alla Direzione provinciale del lavoro di aver effettuato la valutazione dei rischi (31).

    Per altro verso, anche le sanzioni indirette possono scattare solo ex post , vale a dire ove si accerti la mancata valutazione dei rischi, ponendosi quindi lo stesso problema che affligge le sanzioni penali: la necessità e l'efficacia dei controlli. Ma finora non è stato compiuto alcuno sforzo per costruire un sistema in grado di rafforzare la “percezione” delle sanzioni indirette (insieme a quella delle sanzioni penali di cui esse dovrebbero costituire l'efficace integrazione e completamento), magari facendo leva proprio sull'interesse dei datori di lavoro ad avvalersi delle tipologie contrattuali flessibili.

    Allo stato, le norme vigenti poc'anzi richiamate non sembrano affatto in grado di far percepire ai datori di lavoro la portata delle sanzioni civili indirette. Per rendersene conto, è sufficiente tentare di rispondere a due domande.

    Prima domanda: alla luce di quelle norme, che cosa accade oggi in caso di violazione dei divieti ivi previsti?

    Seconda domanda: chi, e quando, controlla l'osservanza dei divieti posti in quelle norme?

    Alla prima domanda si può rispondere con una certa tranquillità solo per quanto concerne la violazione del divieto di utilizzo di somministrazione di lavoro (art. 20, comma 5, lett. c , d.lgs. n. 276 del 2003). In tal caso, oltre all'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria (art. 18, comma 3, d.lgs. n. 276 del 2003), si prevede che il lavoratore possa chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell'utilizzatore con effetto dall'inizio della somministrazione (art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003) (32).

    Più difficile è invece capire che cosa succeda nel caso del lavoro intermittente, per il quale le norme del decreto del 2003 nulla dispongono. Così come nulla prevede espressamente il d.lgs. n. 368 del 2001 qualora si sia assunto un lavoratore a termine in barba al divieto dell'art. 3 (33).

    Soffermandosi in particolare su quest'ultima fattispecie (che, data la crescente diffusione dei contratti a tempo determinato, è sicuramente quella più interessante) sembrerebbe doversi sostenere che la violazione del divieto dell'art. 3 (in quanto norma imperativa) (34) comporti la nullità del contratto ( art. 1418 c.c.) sub specie, tuttavia, di nullità parziale ex art. 1419 c.c., giacché la nullità riguarda solo il patto relativo al termine, con la conseguenza della validità del contratto di lavoro, ma senza il termine finale. Senonché, come è noto, l'art. 1419, comma 1, c.c. stabilisce che la nullità di singole clausole comporta la nullità dell'intero contratto ove risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è affetta da nullità. Cosicché, secondo un'opinione, il datore di lavoro potrebbe “allegare tempestivamente e comprovare, secondo l'onere su di lui gravante trattandosi di un'eccezione al principio della conservazione del contratto, la volontà ipotetica di non concludere il contratto senza il termine nullo, con la conseguente nullità dell'intero contratto di lavoro” (35).

    La conseguenza di tale impostazione – in base alla quale la nullità dell'intero contratto penalizzerebbe seriamente solo il lavoratore (fermi restando, ex art. 2126 c.c., gli effetti del contratto per il periodo in cui esso ha avuto esecuzione) – potrebbe rivelarsi paradossale, specialmente prestando attenzione alla ratio del divieto previsto dall'art. 3 d.lgs. n. 368 del 2001. Infatti, mentre il legislatore vieta di ricorrere al contratto a termine ai datori di lavoro che non effettuino la valutazione dei rischi, violando il divieto si finirebbe proprio per legittimare di fatto… la temporaneità del contratto di lavoro. In buona sostanza, la “sanzione” per la violazione del divieto non si differenzierebbe granché dal comportamento vietato!

    Per la verità, a quella impostazione potrebbe contrapporsene un'altra di segno diverso che, facendo leva sul noto insegnamento della Corte costituzionale (36), afferma l'inapplicabilità del primo comma dell'art. 1419 c.c . (37): infatti, la nullità della clausola (termine) deriverebbe qui dalla contrarietà di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore, con la conseguenza che la nullità parziale non sarebbe idonea a travolgere l'intero contratto, il quale invece si convertirebbe in un normale contratto di lavoro a tempo indeterminato (come in fondo può desumersi dal comma 2 dello stesso art. 1419 c.c., in base al quale la nullità parziale non importa la nullità dell'intero contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative) (38).

    Se quest'ultima interpretazione sembrerebbe più lineare rispetto alla ratio del d.lgs. n. 368 del 2001, va tuttavia osservato che, senza una concreta iniziativa del lavoratore, l'effettività del divieto rischia di rivelarsi quanto mai aleatoria (39), anche per la cronica casualità dei controlli. Occorrerebbe invece considerare attentamente che stipulare un contratto a termine senza la sussistenza di alcuna delle ragioni indicate dall'art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368 del 2001 è cosa ben diversa dallo stipulare un contratto a termine in violazione dei divieti di cui all'art. 3 dello stesso decreto. Per rendersene conto basta osservare che la sussistenza delle situazioni preclusive indicate nell'art. 3 vanifica l'eventuale presenza di una delle ragioni di cui all'art. 1, comma 1, e ciò per la semplice ragione che, diversamente dall'interesse protetto da quest'ultima norma – quello individuale del lavoratore –, gli interessi protetti dall'art. 3 hanno una valenza collettiva o addirittura pubblica , come certamente accade nel caso della tutela della salute e della sicurezza.

    Se è così, è allora evidente che la verifica della trasgressione del divieto de quo non può essere affidata alla fragile ed improbabile iniziativa del lavoratore, ma richiede ben altro intervento. Il che evoca esattamente il secondo interrogativo posto poc'anzi: chi verifica l'effettiva osservanza del divieto e quando si procede a tale controllo?

    Attualmente è arduo rispondere a tale domanda o, forse, è anche fin troppo facile! Il problema nasce dal fatto che l'attuale normativa in materia di sicurezza sul lavoro prevede soltanto l'obbligo per il datore di lavoro di elaborare il documento di valutazione dei rischi e di custodirlo presso l'azienda (art. 4, comma 3, d.lgs. n. 626 del 1994) . Dopodichè il datore di lavoro che intenda procedere ad assunzioni “flessibili” (ad esempio a termine), all'atto della comunicazione dell'assunzione al Centro per l'impiego (40) si limita a dichiarare di aver effettuato la valutazione dei rischi, senza tuttavia che, a quanto consta, nessuno verifichi in concreto la veridicità o meno della sua dichiarazione.

    Il datore di lavoro che avesse dichiarato il falso (41) potrebbe essere “scoperto” o su iniziativa del lavoratore (il quale, tuttavia, per i noti motivi, non ha molta propensione ad esporsi) o in seguito ad un'ispezione (la cui effettuazione è però quanto mai aleatoria, non dovendosi peraltro trascurare che ben difficilmente, in sede di ispezione, emerge il raccordo tra mancata valutazione dei rischi e presenza di lavoratori “flessibili” ! (42)). Ad ogni buon conto, solo così si potrebbe scovare l'inganno, applicandosi ex post sia la sanzione civile sia quella penale. Senonché, oltre ad essere incerta, la stessa sanzione civile, in quanto postuma, potrebbe di fatto rivelarsi anche priva di sostanziale effetto: si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui la verifica della mancata valutazione dei rischi avvenga quando il contratto a termine sia già ampiamente scaduto ed il lavoratore, nel frattempo, abbia già trovato occupazione altrove.

    C'è da chiedersi se la soluzione del problema possa rinvenirsi in una iniziativa del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, il quale: a ) è consultato dal datore di lavoro in ordine alla valutazione dei rischi ed all'elaborazione del relativo documento (art. 4, comma 6, d.lgs. n. 626 del 1994); b ) nelle piccole imprese, in cui il documento di valutazione è sostituito dall'autocertificazione, è destinatario della trasmissione di quest'ultima ( art. 4, comma 11, secondo periodo, stesso d.lgs.); c ) ha accesso, per l'espletamento della sua funzione, al documento di valutazione ( art. 19, comma 5, stesso d.lgs. ); d ) può fare ricorso alle autorità competenti qualora ritenga che le misure di prevenzione e protezione dai rischi adottate dal datore di lavoro ed i mezzi impiegati per attuarle non siano idonei a garantire la sicurezza e la salute durante il lavoro (art. 19, comma 1, lett. o , stesso d.lgs.) (43).

    Tuttavia, al di là della debolezza dei rappresentanti dei lavoratori in non poche realtà aziendali (44), non può sottacersi il rischio che, di fronte ad una opportunità di assunzione, ancorché mediante una tipologia contrattuale flessibile, il rappresentante eviti di entrare nel merito della vicenda: e ciò non tanto in nome di una ormai sempre più declinante solidarietà di classe con chi cerca lavoro, quanto magari per non porsi in contrasto con i colleghi di lavoro che potrebbero comunque salutare con favore la new entry , specialmente in quelle frequenti situazioni in cui il datore di lavoro tende a contenere il più possibile l'organico aziendale sfruttando al massimo il potenziale dei suoi occupati. Del resto, sarebbe probabilmente eccessivo, e ne snaturerebbe la funzione, pretendere che il rappresentante per la sicurezza assumesse le vesti di un funzionario pubblico in azienda!

    Se neppure questa può essere una credibile soluzione, non appare tuttavia particolarmente consolante la facile constatazione secondo cui l'incertezza della scoperta dell'illecito rientra in fondo nella “normalità delle cose”. Non si deve infatti dimenticare che il sistema dei divieti e delle connesse sanzioni civili dovrebbe valere a rafforzare l'effettività dell'apparato sanzionatorio primario previsto dal d.lgs. n. 626 del 1994: cosicché, stante l'incerta effettività di quel sistema, verrebbe meno la sua finalità e la sua funzione!

4. Qualche proposta per rafforzare l'effettività delle sanzioni civili indirette (tra dubbi e… incertezze)

    A questo punto ci si deve chiedere se il sistema possa essere reso più effettivo, consentendo ai divieti de quibus di riacquistare ex ante la loro naturale e fondamentale funzione preclusiva e dissuasiva. A tal fine potrebbero indicarsi alcuni correttivi da attuare sul piano legislativo, che tuttavia non appaiono del tutto immuni da controindicazioni.

    Innanzitutto si potrebbe utilmente contemplare, per legge, che l'attuale previsione dell'obbligo per il datore di lavoro di custodire il documento di valutazione dei rischi presso l'impresa (art. 4, comma 3, d.lgs. n. 626 del 1994) sia integrata con quella dell'obbligo (45) (per il datore (46)) di trasmettere detto documento nella sua versione integrale – prima di procedere ad un'assunzione di un lavoratore con un contratto di lavoro flessibile – all'organo di vigilanza (47) (l'Azienda sanitaria locale) ai fini della verifica sull'effettuazione e sull'adeguatezza della valutazione dei rischi (48). Contestualmente occorrerebbe prevedere che, acquisendo dal datore di lavoro la necessaria comunicazione di assunzione mediante un contratto flessibile (49), il Centro per l'impiego ne informi (50) l'Azienda sanitaria locale affinché questa provveda tempestivamente a verificare l'esistenza e l'adeguatezza del documento di valutazione dei rischi (51), prevedendosi altresì, in caso di sopravvenuta verifica dell'inesistenza o inadeguatezza del documento di valutazione, l' invalidità del contratto flessibile già stipulato – sotto specie di nullità parziale ex art. 1419, comma 2 , c.c. con la conseguente conversione ex tunc dello stesso in un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato . Tale conclusione dovrebbe valere non solo per il contratto a termine (52), ma anche per il contratto di lavoro intermittente e, soprattutto, per la somministrazione di lavoro (53), per la quale, almeno rispetto alla violazione de qua , la previsione della conversione ex lege in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con l'imprenditore utilizzatore appare una sanzione più convincente di quella attualmente prevista dall'art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 (54).

    Dal punto di vista operativo, il tutto potrebbe avvenire nel seguente modo: verificata la mancanza o l'inadeguatezza del documento di valutazione dei rischi (55), l'Azienda sanitaria locale – per quanto concerne la rilevanza penale della trasgressione (art. 89, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994) – attiverebbe la procedura della prescrizione ex art. 20 d.lgs. n. 758 del 1994 (56); contestualmente – per quanto attiene alla rilevanza “civilistica” della stessa trasgressione – informerebbe la Direzione provinciale del lavoro la quale contesterebbe al datore di lavoro che vi avesse dato corso l'illegittima stipulazione del contratto flessibile, adottando i conseguenti provvedimenti in ordine alla sussistenza di un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (57): provvedimenti che riverbererebbero effetti anche sul piano previdenziale ed assicurativo del rapporto di lavoro e che, sebbene contestabili in giudizio da parte del datore di lavoro, risulterebbero difficilmente confutabili stante la previsione legislativa della nullità – rilevabile d'ufficio anche dal giudice – e della conversione del contratto di lavoro parzialmente nullo. Alla Direzione provinciale del lavoro spetterebbe altresì di informare il lavoratore dell'assunzione “flessibile” contra legem , rendendolo edotto della conversione del suo contratto di lavoro, dei connessi diritti spettantigli e delle azioni esperibili.

    Un sistema come quello descritto non solo presupporrebbe un efficace ed imprescindibile coordinamento tra i diversi organismi pubblici di vigilanza (cosa in sé quanto mai preziosa (58)), ma imporrebbe anche un'istituzionalizzazione dei controlli in tutti i casi di assunzioni “flessibili”. Un sistema, dunque, particolarmente oneroso in termini economici ed organizzativi, giacché l'aumento dei controlli comporterebbe non solo l'aumento del numero degli ispettori (59), ma, correlativamente, una diffusa disponibilità delle specifiche competenze necessarie per l'effettuazione dei controlli medesimi (60). Orbene, se si tiene conto che il disegno di legge delega è stato in origine improvvidamente fondato sul “costo zero”… o quasi (61), nessuno può dubitare della difficoltà di gestire un simile sistema.

    Per ovviare alle menzionate controindicazioni economiche ed organizzative, si potrebbe temperare parzialmente la rigidità della proposta sul versante della istituzionalizzazione dei controlli (in caso di assunzioni “flessibili”) confermando da un lato l'impianto della trasmissione della documentazione e delle comunicazioni fra i vari enti, ma lasciando dall'altro lato alla discrezionalità dell'organo di vigilanza di valutare, caso per caso, la necessità di effettuare un'ispezione in azienda. È chiaro che in tal caso occorrerebbe però poter far leva sull' affidabilità della documentazione presentata dal datore di lavoro: un'affidabilità che, lungi dall'essere oggigiorno percepibile, potrebbe in prospettiva ricavarsi ove l'elaborazione del documento fosse effettuata in conformità ad alcuni criteri e procedure condivisi, tali da condurre anche alla certificazione dello stesso (62). Qui si potrebbe opportunamente valorizzare l'interessante esperienza dei cosiddetti “sistemi di gestione” che, al di là della loro natura puramente volontaria, presentano elementi in grado di offrire un contributo quanto mai interessante in proposito.

    Per altro verso, si potrebbe tuttavia dubitare del fondamento degli esiti della proposta. Infatti, se è certo che – stando ai divieti in esame – la sanzione per il datore di lavoro incurante della valutazione dei rischi consiste nella preclusione dei contratti “flessibili”, potrebbe non essere altrettanto sicuro che essa debba anche consistere nella costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso lavoratore assunto “in via flessibile”. E ciò, si badi bene, non già perché si intenda qui dar credito all'opinione (precedentemente criticata) che fa leva sull'art. 1419, comma 1, c.c. (secondo cui la nullità parziale del contratto travolgerebbe l'intero contratto ove si dimostri che le parti non lo avrebbero altrimenti posto in essere); bensì perché, nel caso di specie, le esigenze di protezione del lavoratore (a cui mirano senz'altro i divieti) non riguardano tanto la stabilità dell'occupazione, quanto l'occupazione in condizioni di sicurezza: condizioni che, se valgono in particolar modo nel caso di un lavoro flessibile, non sono certo irrilevanti nel caso di un lavoro stabile. Di qui almeno una perplessità sul fatto che, nel caso de quo , la sanzione civile debba necessariamente corrispondere a quella applicabile in ipotesi diverse (l'invalidità e la conversione del contratto), laddove potrebbe esclusivamente limitarsi alla preclusione – comunque ex ante – della stipulazione del contratto flessibile.

    Ma non è chi non veda come, per quanto condivisibile, un simile obiettivo sarebbe difficile da garantire in assoluto. È vero che – sempre argomentando in via ipotetica – si potrebbe prevedere (63) una sorta di nulla-osta ad hoc per la conclusione dei contratti “flessibili”, che il Centro per l'impiego potrebbe rilasciare solo dopo che il servizio ispettivo della Azienda sanitaria locale avesse verificato il rispetto dell'art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994. Sennonché, tale soluzione presenterebbe rilevanti controindicazioni. Innanzitutto, la discutibile reintroduzione del nulla-osta (64) rischierebbe di ostacolare l'attività imprenditoriale specialmente nei casi, non infrequenti, in cui l'assunzione “flessibile” non fosse programmabile e servisse a fronteggiare urgenti necessità (si pensi alle ragioni giustificative del contratto a termine) (65). In secondo luogo, la “sospensione” della possibilità di concludere il contratto richiederebbe una ancor più stringente capacità organizzativa da parte degli organi di controllo al fine di rendere il proprio responso in termini quanto mai tempestivi (66). In ogni caso, poi, occorrerebbe fronteggiare quelle ipotesi (e non è detto che siano rari casi di scuola) in cui, nonostante fosse stata verificata la violazione dell'art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994, il datore di lavoro desse comunque esecuzione al contratto “flessibile” malgrado l'assenza del nulla-osta (67). Si potrebbe forse pensare di punire tale comportamento con una sanzione penale ad hoc (68), anche se – al di là delle perplessità sull'uso di una simile pena – resterebbe comunque aperto il problema del contratto di lavoro, poiché, in buona sostanza, il divieto di assunzione “flessibile” rimarrebbe nei fatti del tutto ineffettivo (69) ove si escludesse la possibilità di rendere stabile il contratto di lavoro.

    In realtà – nonostante i dubbi sollevabili sulla sua coerenza con la ratio dei divieti – la soluzione precedentemente proposta della previsione ex lege della conversione del contratto garantirebbe una maggiore tenuta del sistema e si rivelerebbe oltretutto più compatibile con le dinamiche dell'attività imprenditoriale. D'altronde, quei dubbi potrebbero forse essere accantonati valorizzando unitariamente , in una logica di effettività , la duplice finalità dei divieti de quibus : protettiva e sanzionatoria (v. supra § 2). Se – come pare plausibile – il legislatore vuole effettivamente evitare che nelle aziende insicure vi siano contratti “flessibili” e nel contempo effettivamente penalizzare i datori di lavori incuranti dei rischi, si può ragionevolmente ritenere che quelle esigenze di effettività siano adeguatamente garantite mediante la conversione ex lege del contratto di lavoro “flessibile” stipulato contra legem (70).

    In ogni caso, al di là delle diverse opzioni e della loro fondatezza, è evidente che, per poter funzionare adeguatamente, le tecniche di controllo proposte richiederebbero mutamenti di non scarso rilievo nell'approccio ai problemi della sicurezza: mutamenti certamente indifferibili, ma non realizzabili in tempi brevi e riguardanti tutti gli attori del sistema, dai datori di lavoro ai soggetti addetti alla vigilanza, peraltro nella prospettiva di creare un circuito virtuoso in cui controllati e controllori interagiscano fra loro per ottimizzare i propri ruoli. Una prospettiva forse utopistica, ma certamente prefigurabile se si pensa: a ) alla necessità (già menzionata) di individuare adeguati strumenti e procedure atti ad agevolare i datori di lavoro nella realizzazione di una credibile valutazione dei rischi e nell'elaborazione di un affidabile documento; b ) a quanto sia indispensabile valorizzare le competenze degli organi di vigilanza tenendo conto delle finalità non solo di controllo, ma anche di sostegno prevenzionale e promozionale alle imprese secondo una logica che dovrebbe ispirarsi a quella che permea il d.lgs. 23 aprile 2004, n. 124 in materia di razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di lavoro (71).

    In tale prospettiva, non pare azzardato pensare che gli “oneri” delle proposte ipotizzate possano tradursi in interessanti “investimenti” sia per quanto concerne la sicurezza del lavoro sia per quanto attiene alla regolarità dei rapporti di lavoro (72). Da un lato, i datori di lavoro sarebbero indotti a rispettare adeguatamente l'obbligo di valutazione dei rischi per non rischiare di trovare bloccate le strade della flessibilità; dall'altro lato, essendo certi di essere assoggettati ad un controllo all'atto delle assunzioni “flessibili” (ancorché riferito alla sicurezza), gli stessi datori potrebbero essere indotti ad un uso più ponderato di tali tipologie negoziali.

    Purtroppo, resta però sullo sfondo la sensazione che tutto ciò potrà realisticamente concretizzarsi solo quando riusciranno finalmente a combaciare le nuove tessere del mosaico “sicurezza” che si sta ora tentando di comporre con la predisposizione del testo unico. Fino ad allora, le sanzioni civili indirette connesse ai divieti qui in esame rischieranno di restare frammenti dai contorni non facilmente decifrabili, collocati sul delicato terreno della sicurezza da un legislatore presumibilmente interessato più all'effetto dei proclami che all'effettività delle regole!

5. Ulteriori nodi problematici: l'obsolescenza della valutazione dei rischi e l'effettività delle sanzioni civili indirette nelle piccole imprese

    Rispetto alla effettività dei divieti di cui qui si discute, occorre anche chiedersi che cosa accada nel caso in cui la valutazione dei rischi sia stata a suo tempo effettuata, ma sia poi divenuta parzialmente carente rispetto a profili di rischio successivamente emersi (73). Secondo un'opinione (riferita alla disciplina del contratto a termine), “ove il procedimento di ottemperanza sia stato instaurato in termini di adeguata completezza, sulla base delle cognizioni esistenti all'epoca”, si dovrebbe ritenere adeguatamente soddisfatto il requisito richiesto dalla legge: diversamente, infatti, “nessuna valutazione dei rischi potrebbe … ritenersi realmente effettuata, in quanto sempre passibile di successive correzioni e integrazioni e pertanto vanificabile ex post (74).

    Pur comprensibile sul piano della ragion pratica, la menzionata opinione tuttavia non convince, specialmente ove le eventuali carenze della valutazione riguardino proprio gli specifici rischi connessi all'assunzione flessibile. È infatti vero che l'art. 4, comma 7, d.lgs. n. 626 del 1994 richiede la rielaborazione della valutazione dei rischi e del relativo documento “in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori” (75), sembrando quindi riferirsi essenzialmente a variazioni di carattere oggettivo; ma è altresì vero che l'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994 ( nella nuova formulazione introdotta dall'art. 21, comma 2, l . 1° marzo 2002, n. 39 in seguito alle censure della Corte di giustizia europea – sentenza 15 novembre 2001, causa C-49-00 – sull'originaria formulazione della norma del 1994 (76)) impone di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, tali dovendosi intendere anche quelli – spesso alquanto insidiosi – derivanti proprio dalla temporaneità dell'impiego del lavoratore. Non a caso, lo stesso d.lgs. n. 368 del 2001, all'art. 7, comma 1 , stabilisce che “il lavoratore assunto con contratto a tempo determinato dovrà ricevere una formazione sufficiente ed adeguata alle caratteristiche delle mansioni oggetto del contratto, al fine di prevenire rischi specifici connessi alla esecuzione del lavoro”.

    Questa considerazione evidenzia (anche nella ipotesi di riforma qui adombrata) la necessità di un controllo non solo sulla presenza del documento di valutazione, ma anche sul suo contenuto (77). Solo mediante tale controllo si potrebbe garantire l'effettività della previsione dei divieti de quibus , consentendo di verificare ex ante quanto l'assunzione flessibile sia effettivamente compatibile con il sistema di sicurezza dell'azienda. Il che, a ben guardare, permetterebbe di individuare nei divieti in questione e nelle conseguenti sanzioni una funzione inibitoria/afflittiva realmente di carattere prevenzionale , in linea con la ratio che ispira la disciplina comunitaria e nazionale in materia di sicurezza del lavoro.

    Un altro problema, di non minore spessore, riguarda l'applicabilità delle sanzioni civili indirette nei confronti delle aziende di piccole dimensioni.

    Se, come si è precedentemente rilevato, l'effettuazione della valutazione dei rischi può essere verificata proprio grazie al documento di cui all'art. 4, comma 2, desta non poche perplessità lo “sconto” praticato ai datori di lavoro delle aziende familiari e di quelle che occupano fino a dieci addetti, per i quali, pur permanendo l'obbligo di valutare i rischi, non vige quello di elaborare (e quindi anche di custodire) il documento, essendo soltanto tenuti ad autocertificare l'avvenuta effettuazione della valutazione dei rischi e l'adempimento degli obblighi ad essa collegati (art. 4, comma 11, d.lgs. n. 626 del 1994).

    A parte il fatto che oggi, in virtù delle innovazioni tecnologiche, è del tutto da dimostrare che una piccola dimensione occupazionale corrisponda necessariamente ad un datore di lavoro “debole” (“meritevole”, come tale, di non essere “afflitto” con eccessivi obblighi), ciò che qui non convince non è tanto il fatto che il legislatore preveda un trattamento particolare per le imprese di ridotte dimensioni: cosa, fra l'altro, non certo originale nel diritto del lavoro, sol che si pensi al campo di applicazione del titolo terzo e dell'art. 18 della l. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori ). I dubbi riguardano invece il fatto che, non essendo previsto l'obbligo documentale, è quanto mai difficile comprendere come si possa davvero verificare se la valutazione dei rischi sia stata o meno effettuata.

    La verità è che, come già ribadito da Beniamino Deidda (78), in materia di tutela della salute e di sicurezza del lavoro le differenze tra micro e macro imprese hanno scarso significato, giacché l'entità del bene protetto non ammette tutele diversificate. Per quanto concerne poi la valutazione dei rischi, se si conviene che essa rappresenta il primo obbligo di qualsiasi datore di lavoro per realizzare un'efficace prevenzione in azienda, non è dato capire perché mai, per alcuni datori di lavoro, essa non debba risultare attraverso l'unico strumento in grado di evidenziarne la concreta e reale effettuazione (il documento).

    D'altronde, neppure la disciplina comunitaria sembra legittimare sic et simpliciter l'agevolazione prevista dall'art. 4, comma 11 . È vero che l'art. 9, paragrafo 2, della direttiva 89/391/CE prevede che gli Stati membri definiscono, tenuto conto della natura delle attività e delle dimensioni dell'impresa, gli obblighi che devono rispettare le diverse categorie di imprese in merito alla compilazione dei documenti previsti al paragrafo 1, lettere a e b (dove la lettera a si riferisce alla valutazione dei rischi e la lettera b alla determinazione delle misure protettive e dell'attrezzatura di protezione). Ma è del tutto da dimostrare che, affidando agli Stati membri il compito di graduare il contenuto dei predetti obblighi, questa disposizione consenta di prescindere totalmente dalla redazione di un documento di valutazione dei rischi: non a caso, ivi si parla della definizione di obblighi da rispettare “in merito alla compilazione dei documenti…”, ben potendosi ritenere che non già di eliminazione di quei documenti si tratti (come avviene di fatto nel caso dell'autocertificazione), quanto semmai di una loro semplificazione (79).

    Sta di fatto che, oggi, data anche l'incertezza sull'effettuazione dei controlli ispettivi, le sanzioni civili indirette di cui qui si discute sembrano sostanzialmente inapplicabili, fatte salve le ipotesi estreme in cui addirittura manchi l'autocertificazione. Ove poi si desse corso alla riforma qui proposta – istituzionalizzando il controllo a fronte delle assunzioni “flessibili”, pur lasciando all'organo ispettivo la discrezionalità circa l'effettuazione o meno di un'ispezione in azienda –, permanendo la sola autocertificazione il controllo sull'effettuazione della valutazione dei rischi non potrebbe mai prescindere da un'ispezione in azienda!

    Di qui l'esigenza di una revisione dell'attuale disciplina, avendo cura di avvertire che la previsione di un obbligo documentale (magari più semplice) anche per i piccoli imprenditori (80), lungi dal configurarsi come una penalizzazione nei loro confronti, costituisce un valido sostegno per rispettare al meglio la disciplina, agevolandone altresì gli oneri probatori. È dunque quanto mai opportuno che la previsione di cui all'articolo 1, comma 2, lett. d , del disegno di legge n. 1507 – in cui si parla di “ semplificazione degli adempimenti meramente formali in materia di salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro, nel pieno rispetto dei livelli di tutela, con particolare riguardo alle piccole e medie imprese” – non venga intesa come una conferma della discutibile scelta operata con l'art. 4, comma 11, d.lgs. n. 626 del 1994, ma preluda invece ad un ragionevole ripensamento, senza che ciò comporti peraltro un eccessivo appesantimento per le imprese di minori dimensioni.

6. Le ipotesi di revisione alla luce del diritto comunitario, dell'oggetto della delega e dei principi costituzionali

    I faticosi (e forse vani) tentativi qui compiuti di dare un senso, in termini di effettività, ai divieti in esame non sembrano in ogni caso preclusi né dalle previsioni comunitarie né da quanto previsto nel disegno di legge delega n. 1507.

    Per quanto concerne la conformità con il diritto comunitario (81), la direttiva quadro 89/391/CE ricomprende innanzitutto la valutazione dei rischi fra i principi generali di prevenzione ( art. 6, par. 2). Inoltre, dal momento che l'art. 9, par. 1, lett. a , della direttiva impone al datore di lavoro l'obbligo di “disporre” di una valutazione dei rischi, ne deriva un potere di accertamento da parte degli organi competenti che non sembra necessariamente circoscritto alle ipotesi di ispezioni in azienda, ma che ben potrebbe attuarsi anche mediante un sistema come quello qui ipotizzato.

    Per quanto concerne il disegno di legge delega (82), non sembrano emergere ostacoli né dall'art. 1, comma 1, ove si parla di riassetto e riforma delle disposizioni vigenti, né dal primo dei criteri della delega (art. 1, comma 2, lett. a ), là dove si prevede il “riordino e coordinamento delle disposizioni vigenti, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 117 della Costituzione ”. Criterio che, come si legge nella relazione di accompagnamento, consente al legislatore delegato di intervenire su tutte le normative vigenti in materia di sicurezza, in funzione di riordino e coordinamento delle medesime, riorganizzandole e razionalizzandole. Se è difficile contestare che le attuali norme che prevedono le sanzioni civili indirette sono di fatto mal coordinate con il resto della disciplina in materia, non va poi trascurato il riferimento che il disegno di legge fa (art. 1, comma 2, lett. p ) alla razionalizzazione ed al coordinamento delle strutture di vigilanza al fine di rendere più efficaci gli interventi di pianificazione, programmazione, promozione della salute, vigilanza, nel rispetto e nella verifica dei risultati, per evitare sovrapposizioni, duplicazioni e carenze negli interventi e valorizzando le specifiche competenze, anche riordinando il sistema delle amministrazioni e degli enti statali aventi compiti di prevenzione, formazione e controllo in materia e prevedendo criteri uniformi ed idonei strumenti di coordinamento (83).

    Sebbene, per ora, si possa soltanto ipotizzare che il datore di lavoro potrebbe essere indotto a rispettare gli obblighi in tema di sicurezza ove le violazioni di questi ultimi ne limitassero effettivamente le prerogative in ordine alle assunzioni “flessibili” (84), è però certo che un sistema che incidesse in tal modo sugli interessi datoriali sarebbe in linea non solo con il principio costituzionale della tutela della salute (art. 32 Cost.), ma anche con quello della libertà di iniziativa economica privata, la quale – come afferma l'art. 41, comma 2, Cost . – non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (85).

    Un simile sistema (opportunamente rivisitato) potrebbe consentire di rinvigorire l'appannata effettività delle sanzioni dirette (attualmente di natura penale), vale a dire immediatamente conseguenti alle violazioni, restituendo per riflesso autorevolezza ai soggetti titolari del potere di applicarle (86). Senza dire poi che, se quel sistema davvero funzionasse, forse nell'ambito de quo le sanzioni penali potrebbero essere finalmente ricondotte in una prospettiva di sussidiarietà ed inquadrate come extrema ratio (87).

    In altre parole, se si riuscisse a favorire la creazione di una nuova “cultura dell'effettività delle regole” – non più legata alla incerta e spesso purtroppo inutile logica del controllo ex post , ma incentrata essenzialmente su di un controllo preventivo che, come ipotizzato nella proposta formulata, focalizzi i comportamenti nel momento in cui se ne avvia la realizzazione – si potrebbe agevolare la costruzione di una più ampia “cultura della prevenzione e della sicurezza sul lavoro”. Ma, per farlo, questa volta bisogna dimostrare con i fatti di volerlo davvero.


1 Cfr. M. Rusciano , “Retorica”, “cultura” ed “effettività” della sicurezza del lavoro , in questo volume (§ 2). Per alcune proposte in tal senso cfr. M. Lai , T.U. sulla sicurezza: principi e criteri direttivi della delega , in Diritto e pratica del lavoro , 2007, p. 768 ss., qui p. 772.

2 Si veda amplius Ga. Marra , Sicurezza dei luoghi di lavoro e responsabilità da reato delle persone giuridiche. Le condizioni di effettività , in questo volume.

3 Cfr. per tutti M.T. Carinci, La fornitura di lavoro altrui. Interposizione, comando, lavoro temporaneo, lavoro negli appalti , in P. Schlesinger ( a cura di ), Commentario al codice civile , Milano, Giuffrè, 2000. Nel nuovo sistema inaugurato dal d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che ha abrogato la l. n. 1369 del 1960, le sanzioni penali sembrano aver acquistato maggiore centralità rispetto al passato. Infatti, mentre prima del 2003 in caso di interposizione illecita o di illecita fornitura di lavoro interinale la sanzione civile della riconduzione del rapporto di lavoro in capo all'effettivo utilizzatore scattava automaticamente ope legis , oggi in caso di irregolare somministrazione di lavoro quella sanzione civile appare assai più sfumata richiedendo un'apposita domanda del lavoratore. Il perno del sistema sanzionatorio viene così a gravare maggiormente sulle sanzioni penali, peraltro inasprite, secondo una logica in cui, a fronte della concessione alle imprese di maggiore flessibilità, si registra un irrigidimento dell'apparato repressivo. In queste ipotesi, quindi, il maggior peso della sanzione penale pare costituisce il costo della maggiore flessibilità. È ovvio che, affinché un simile sistema funzioni e soprattutto la sanzione penale costituisca un efficace deterrente contro le trasgressioni, occorre tuttavia un diffuso ed efficiente apparato di controllo che, per la verità, nel nostro Paese è ancora lontano dal realizzarsi appieno. Sul d.lgs. n. 276 del 2003 v., tra i tanti, R. De Luca Tamajo, M. Rusciano, L. Zoppoli (a cura di), Mercato del lavoro. Riforma e vincoli di sistema , Napoli, Editoriale scientifica, 2004; F. Carinci (coord.), Commentario al D. Lgs. 10 settembre 2003, n. 276 , I e II, Milano, Ipsoa, 2004; P. Curzio (a cura di), Lavoro e diritti. A tre anni dalla legge 30/2003 , Bari, Cacucci, 2006.

4 Per alcuni spunti critici sull'applicazione di tale norma cfr. M. Cinelli , Il progetto di “testo unico” della sicurezza sul lavoro: alcune osservazioni “a margine” , in questo volume (§ 6).

5 L. Montuschi , Diritto alla salute e organizzazione del lavoro , Milano, F. Angeli, 1989, p. 75. Sulla norma codicistica v. altresì G. Natullo , La tutela dell'ambiente di lavoro , Torino, Utet, 1995, p. 3 ss.

6 M. Franco , Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro , Milano, F. Angeli, 1995.

7 Tra i tanti cfr. C. Smuraglia, La sicurezza sul lavoro e la sua tutela penale , Milano, Giuffrè, 1984; D. Pulitanò, voce Igiene e sicurezza del lavoro (tutela penale) , in Digesto delle discipline penalistiche , Torino, Utet, 1992, VI, p. 102 ss.; L. Montuschi , Sicurezza del lavoro e responsabilità penale , in Il lavoro nella giurisprudenza , 1996, p. 97 ss.; R. Guariniello, Obblighi e responsabilità delle imprese nella giurisprudenza penale , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2001, I, p. 529 ss.; B. Deidda , Testo Unico sulla sicurezza del lavoro: i profili penalistici , in Diritto delle relazioni industriali , 2003, p. 217 ss.; N. Mazzacuva e A. Amati (a cura di), Il diritto penale del lavoro , in Diritto del lavoro , Commentario diretto da F. Carinci , VII, Torino, Utet, 2007.

8 C. Smuraglia , voce Salute. Tutela della salute – dir. lav. , in Enciclopedia giuridica Treccani , Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 1991, XXVII, p. 1 ss.

9 L. Montuschi , Verso il testo unico sulla sicurezza del lavoro , in questo volume (§ 2, lett. o ).

10 Sul tema si veda M. Ricci , Sicurezza sul lavoro e responsabilità sociale d'impresa , in D. Garofalo e M. Ricci (a cura di), Percorsi di diritto del lavoro , Bari, Cacucci, 2006, p. 455 ss.

11 Cfr. (nell' Appendice di questo volume) il disegno di legge n. 1507, approvato dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile 2007 ed attualmente all'esame del Senato, che conferisce al Governo la delega per l'emanazione di un testo unico per il riassetto normativo e la riforma della salute e sicurezza sul lavoro.
Sul progetto, poi fallito, di un testo unico in materia di sicurezza del lavoro nella precedente legislatura in base alla previsione di cui all'art. 3 l. 29 luglio 2003, n. 229 cfr., tra gli altri, L. Montuschi , Aspettando la riforma: riflessioni sulla legge n. 229 del 2003 per il riassetto in materia di sicurezza sul lavoro , in Argomenti di diritto del lavoro , 2004, p. 749 ss.; O. Bonardi , La sicurezza del lavoro nella Comunità europea, nella Costituzione e nella legge di semplificazione n. 229/03 , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2004, p. 437 ss.; M. Lai , Il nuovo «codice» sulla sicurezza del lavoro: spunti di riflessione , in Diritto delle relazioni industriali , 2003, p. 200 ss.; Id. , Prospettive di riforma nello schema di Testo unico , in Diritto e pratica del lavoro , 2005, p. 137 ss.
In precedenza, sui lavori della Commissione ministeriale istituita con d.m. 23 luglio 1996 , si veda Per un Testo Unico in tema di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro , in Diritto delle relazioni industriali , 1998, p. 77 ss.

12 Così le definisce L. Montuschi , Aspettando la riforma , cit., p. 770; cfr. altresì M. Lai , La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva , Torino, Giappichelli, 2002, p. 257.

13 L. Angelini, L avori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro: una criticità da governare , in questo volume .

14 Cfr. A. Tampieri , Sicurezza sul lavoro e modelli di rappresentanza , Torino, Giappichelli, 1999, p. 187.

15 In via interpretativa, a queste tipologie negoziali potrebbe forse aggiungersi anche il contratto di inserimento, almeno ove si ritenga che l'art. 58, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003, richiamando l'applicabilità delle norme sul contratto a termine, ricomprenda anche il divieto ivi previsto (dal menzionato art. 3, comma 1, lett. d , d.lgs. n. 368 del 2001).

16 V. anche M. Lai , La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva , cit., p. 257.

17 Cfr. A. Arganese , Riflessioni sul diritto/dovere di informazione e formazione dei lavoratori nella prospettiva del nuovo testo unico ed alcune proposte di intervento , in questo volume (§ 2).

18 Si permetta il rinvio a P. Pascucci , Il prezzo del reato tra vecchio e nuovo diritto del lavoro , in A. Bondi, Ga. Marra, P. Polidori (a cura di), Il prezzo del reato. Analisi economica e diritto penale , Atti del convegno omonimo svoltosi ad Urbino il 27 aprile 2007 (in corso di pubblicazione).

19 M. Lai, La sicurezza del lavoro nelle nuove tipologie contrattuali , in Diritto e pratica del lavoro , 2003, p. 2427 ss.

20 L. Montuschi , Aspettando la riforma , cit., p. 770.

21 Non ci si occupa qui delle varie tipologie di lavoro autonomo che, peraltro, presentano anch'esse problemi in ordine alla sicurezza del lavoro, come evidenzia C. Lazzari , Brevi riflessioni in tema di tutela della salute e della sicurezza nel lavoro autonomo , in questo volume.

22 A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine , Padova, Cedam, 2001, p. 33.
Altrettanto apprezzabile è la parallela proposta di integrare quanto attualmente disposto dall'art. 36 Stat.lav ., prevedendo che le imprese che intendono accedere a benefici fiscali o creditizi o partecipare ad appalti pubblici, debbano fornire la prova non solo di applicare ai propri lavoratori condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi, ma anche di aver rispettato tutti gli obblighi in tema di sicurezza, ciò potendo risultare da un certificato di regolarità rilasciato dall'organo di vigilanza (cfr. L. Montuschi , Aspettando la riforma , cit., p. 771): si veda in proposito quanto previsto dall'art. 1, comma 2, lett. r , del disegno di legge n. 1507.

23 L'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994 impone al datore di lavoro, in relazione alla natura dell'attività dell'azienda ovvero dell'unità produttiva, di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro. All'esito della predetta valutazione, il datore di lavoro è tenuto ad elaborare un documento contenente: a ) una relazione sulla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro, nella quale sono specificati i criteri adottati per la stessa valutazione; b ) l'individuazione delle misure di prevenzione e di protezione e dei dispositivi di protezione individuale, conseguente alla predetta valutazione; c ) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza (art. 4, comma 2). Il predetto documento è custodito presso l'azienda ovvero l'unità produttiva ( art. 4, comma 3). La legge prescrive al datore di lavoro di effettuare la valutazione e di elaborare il relativo documento “in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente nei casi in cui sia obbligatoria la sorveglianza sanitaria, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza (art. 4, comma 6).

24 Come puntualmente rilevato da L. Angelini , L avori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro , cit. ( passim ).

25 Come invece ritengono, con riferimento al divieto previsto dalla disciplina del contratto a termine, A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine , Padova, Cedam, 2001, p. 33, secondo i quali il contenuto della valutazione, purché formalmente effettuata, è assolutamente irrilevante ai fini dell'integrazione degli estremi del divieto.

26 Cfr. R. Guariniello, Obblighi e responsabilità delle imprese , cit., p. 536; S. Margiotta , Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro , in G. Santoro Passarelli (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e pubblico , IV ed., Collana di Diritto privato diretta da P. Rescigno , Milano, Ipsoa, 2006, p. 1381 ss., qui p. 1393.

27 R. Guariniello, Obblighi e responsabilità delle imprese , cit., p. 536, il quale cita l'ipotesi di un documento che, con riferimento ad un posto di lavoro con videoterminali, trascuri di valutare i rischi per la vista o quelli relativi alla postura o le condizioni ergonomiche e di igiene ambientale. In giurisprudenza v. Cass., 12 gennaio 1996, in Diritto e pratica del lavoro , 1996, p. 572.

28 Proprio la complessità della attività di valutazione potrebbe indurre ad interrogarsi sulla opportunità di individuare dei criteri “di affidabilità” delle valutazioni dei rischi che ovviamente tengano conto delle diverse realtà produttive e delle specificità dei vari rischi da valutare. Su questi aspetti cfr. ancora L. Angelini , L avori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro , cit. ( passim ), nonché infra nel testo § 4.

29 Così V. Torre , I reati in tema di sicurezza sul lavoro previsti dalla legislazione complementare. Il d.lgs. 19.9.1994, n. 626 , in N. Mazzacuva e A. Amati (a cura di), Il diritto penale del lavoro , cit., p. 123 ss., qui p. 144, che richiama T. Padovani , Il nuovo volto del diritto penale del lavoro , in Rivista trimestrale di diritto penale dell'economia , 1996, p. 1157 ss. e D. Pulitanò , voce Igiene e sicurezza del lavoro (tutela penale) , in Digesto delle discipline penalistiche , Aggiornamento, Torino, Utet, 2000, p. 388 ss.

30 V. Torre , op. loc. ultt. citt.

31 Di ciò si accorge puntualmente anche C. De Marco, La gestione della sicurezza nel contratto di somministrazione e nel contratto di lavoro a progetto , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2006, I, p. 379 ss., qui p. 385. Più in generale, sul fatto che la l. n. 196 del 1997 non chiarisse in che modo si dovesse dimostrare l'adempimento dell'obbligo di valutazione dei rischi cfr. M. Lai , La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva , cit., p. 257.

Per la verità, date le competenze in materia di vigilanza, in quella norma ora abrogata sarebbe stato corretto fare riferimento all'Azienda sanitaria locale piuttosto che alla Direzione provinciale del lavoro. Per qualche proposta che valorizzi il raccordo tra questi due soggetti si veda infra nel testo § 4.

32 L'art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003 detta tale previsione quando la somministrazione avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all'art. 20, che contempla anche il citato divieto in caso di mancata effettuazione della valutazione dei rischi. Sul punto v. amplius M. Lai, Flessibilità e sicurezza del lavoro , Torino, Giappichelli, 2006, p. 182.

33 Gli interpreti concordano sul fatto che tale disposizione intenda garantire e promuovere la sicurezza sul lavoro: tra gli altri, cfr. V. Speziale , La nuova legge sul lavoro a termine , in Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali , 2001, p. 361 ss., qui p. 393; A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine , cit., pp. 32-33; M. Papaleoni , Luci ed ombre nella riforma del contratto a termine , in Rivista italiana di diritto del lavoro , 2001, I, p. 367 ss., qui p. 386; R. Altavilla , I contratti a termine nel mercato differenziato , Milano, Giuffrè, 2001, p. 258; L. Ruggiero , L'apposizione del termine nel decreto di attuazione della direttiva Ce 99/70 , in Guida al lavoro , 2001, n. 41, p. II ss., qui p. VIII.

34 L'onere della prova, in tal caso, graverebbe “sul lavoratore che ne afferma la violazione”, giacché il divieto in questione costituisce eccezione “alla regola che consente il termine giustificato, sicché il relativo onere probatorio grava sulla parte che invoca l'eccezione”: così A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine , cit., p. 35.

35 A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine , cit., p. 36, i quali affermano che tale volontà ipotetica “può essere anche di un solo contraente, e quindi anche del solo datore di lavoro, trattandosi di volontà negativa, a differenza di quella prevista dall'art. 1424 cod. civ . per la conversione del contratto”.

36 Corte cost., 11 maggio 1992, n. 210, in Foro italiano , 1992, I, c. 3232 ss.

37 Che, come già ricordato, prevede che la nullità parziale comporti la nullità dell'intero contratto ove risulti che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita da nullità.

38 Per tali considerazioni cfr., anche se più in generale rispetto alla illecita apposizione del termine, V. Speziale , La nuova legge sul lavoro a termine , cit., p. 406 ss.; Id. , Il contratto a termine , in Aa.Vv., Interessi e tecniche nella disciplina del lavoro flessibile , Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro (Pesaro-Urbino, 24-25 maggio 2002), Milano, Giuffrè, 2003, p. 399 ss., qui p. 448 ss.

39 Come del resto accade a proposito della violazione dell'analogo divieto relativo alla somministrazione di lavoro che, come già ricordato nel testo, presuppone un'azione da parte del lavoratore tesa a rivendicare la costituzione del rapporto di lavoro in capo all'utilizzatore.

40 Come è noto, la comunicazione dell'assunzione da parte del datore di lavoro al Centro per l'impiego è prevista dall'art. 9- bis , comma 2, d.l. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 novembre 1996, n. 608. Recentemente, tale comma è stato sostituito dall'art. 1, comma 1180, l . 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) con questi due nuovi commi: “ 2. In caso di instaurazione del rapporto di lavoro subordinato e di lavoro autonomo in forma coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto, di socio lavoratore di cooperativa e di associato in partecipazione con apporto lavorativo, i datori di lavoro privati, ivi compresi quelli agricoli, gli enti pubblici economici e le pubbliche amministrazioni sono tenuti a darne comunicazione al Servizio competente nel cui ambito territoriale è ubicata la sede di lavoro entro il giorno antecedente a quello di instaurazione dei relativi rapporti, mediante documentazione avente data certa di trasmissione. La comunicazione deve indicare i dati anagrafici del lavoratore, la data di assunzione, la data di cessazione qualora il rapporto non sia a tempo indeterminato, la tipologia contrattuale, la qualifica professionale e il trattamento economico e normativo applicato …. 2- bis . In caso di urgenza connessa ad esigenze produttive, la comunicazione di cui al comma 2 può essere effettuata entro cinque giorni dall'instaurazione del rapporto di lavoro, fermo restando l'obbligo di comunicare entro il giorno antecedente al Servizio competente, mediante comunicazione avente data certa di trasmissione, la data di inizio della prestazione, le generalità del lavoratore e del datore di lavoro”.

41 Si prescinde qui dalle ovvie considerazioni sulla rilevanza penale delle eventuali dichiarazioni mendaci rese dal datore di lavoro in sede di comunicazione dell'assunzione.

42 Il che è dovuto essenzialmente alla parcellizzazione delle competenze dei servizi ispettivi delle Aziende sanitarie locali ed al mancato coordinamento tra essi e la Direzione provinciale del lavoro.

43 Non deve poi trascurarsi che, fra gli emendamenti al disegno di legge delega proposti dalla Commissione lavoro del Senato, ve ne è uno che, sostituendo il comma 5 dell'art. 19 d.lgs. n. 626 del 1994, configura in capo al datore di lavoro l'obbligo di consegnare al rappresentante per la sicurezza, su richiesta di questi e per l'espletamento della sua funzione, copia del documento di cui all'articolo 4, commi 2 e 3, stesso d.lgs. (v. infra , in questo volume, Appendice B).

44 Cfr. P. Campanella , La dimensione collettiva di tutela della salute dei lavoratori e la figura del rappresentante per la sicurezza , in questo volume ( passim ).

45 Un obbligo che, per come sarebbe strutturato, potrebbe forse essere inquadrato come un onere.

46 Nel caso di somministrazione di lavoro, spetta ovviamente all'impresa utilizzatrice trasmettere il proprio documento all'organo di controllo.

47 Per tale trasmissione ci si potrebbe avvalere di procedure telematiche opportunamente validate.

48 L'esigenza di tale trasmissione (in quel caso alla Direzione provinciale del lavoro) per dimostrare l'effettuazione della valutazione dei rischi era già stata puntualmente avvertita a proposito del divieto contenuto nella l. n. 196 del 1997 in merito al lavoro temporaneo (sul tema cfr. M. Lai , La sicurezza del lavoro tra legge e contrattazione collettiva , cit., p. 257 ss.), rilevandosi in particolare come non fosse peraltro sufficiente trasmettere una semplice dichiarazione attestante l'avvenuta valutazione dei rischi, ma occorresse fornire copia dell'intero documento inerente alla valutazione dei rischi: cfr., tra gli altri, F. Stolfa , Lavoro interinale e obblighi di sicurezza , in Igiene e sicurezza sul lavoro, 1997, p. 488; A. Lassandari , Prime note sul lavoro temporaneo , in Diritto e pratica del lavoro , 1997, p. 711; G. Pellacani , Il contratto di fornitura di lavoro temporaneo: struttura ed ambito di operatività , in L. Galantino (a cura di), Il lavoro temporaneo. La disciplina legale e contrattuale , Milano, Giuffrè, 2000, 125. Secondo M.T. Carinci, La fornitura di lavoro altrui , cit., p. 298, sarebbe stato invece sufficiente trasmettere la sola relazione sulla valutazione dei rischi di cui all'art. 4, comma 2, lett. a , d.lgs. n. 626 del 1994. La necessità dell'obbligo di trasmissione del documento non risultava tuttavia nei fatti avallata dalla circolare del Ministero del lavoro 5 novembre 1997, n. 141, nella quale sostanzialmente si rilevava come la dimostrazione dovesse essere fornita in azienda in caso di ispezione, o su richiesta sindacale: così, tuttavia, si evidenziava il problema, più volte sottolineato nel testo, della casualità dei controlli e dell'ineffettività del divieto. Secondo R. Bortone, Obblighi dell'impresa utilizzatrice , in F. Liso e U. Carabelli (a cura di), Il lavoro temporaneo , Milano, F. Angeli, 1999, p. 326, il problema non consisteva tanto nella trasmissione del documento, quanto nell'individuazione dei modi per dimostrare l'avvenuta valutazione: senonché, l'unico credibile modo per rendere davvero effettivo il divieto e la connessa sanzione era (ed è tuttora) la trasmissione del documento all'organo di controllo.

49 Per quanto concerne la somministrazione di lavoro, l'obbligo di comunicazione di cui all'art. 9- bis , comma 2, d.l. 1° ottobre 1996, n. 510 , convertito, con modificazioni, dalla l. 28 novembre 1996, n. 608, pare incombere sul somministratore, in quanto formale datore di lavoro del lavoratore somministrato. La finalità e l'economia del presente lavoro – dedicato all'analisi degli aspetti generali e non alle singole questioni di dettaglio di ogni singolo istituto – non consente purtroppo di soffermarsi, come pure meriterebbe, sul raccordo tra somministratore ed utilizzatore in ordine all'assolvimento degli obblighi di sicurezza e sulla questione dell'eventuale concorso di responsabilità tra i due soggetti.

50 Eventualmente anche tramite la Direzione provinciale del lavoro.

51 La verifica dell'adeguatezza del documento appare decisiva, essendo oltretutto quanto mai improbabile la totale inesistenza del documento.

52 Secondo A. Vallebona, C. Pisani , Il nuovo lavoro a termine , cit., p. 33, “la valutazione dei rischi effettuata in ritardo non è sufficiente a legittimare il contratto a termine stipulato in precedenza, mentre consente stipulazioni successive”.

53 Rispetto al quale non deve trascurarsi che l'art. 21, comma 1, lett. d , d.lgs. n. 276 del 2003 contempla, fra gli elementi necessari del contratto, “l'indicazione della presenza di eventuali rischi per l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate”: indicazione che, nella logica di quanto proposto nel testo, dovrebbe risultare – in termini di integrazione – anche dal documento di valutazione dei rischi dell'impresa utilizzatrice. Sulla sicurezza nel contratto di somministrazione cfr., tra gli altri, C. De Marco, La gestione della sicurezza , cit. , p. 379 ss.; F. Bacchini , Salute e sicurezza nella riforma del lavoro: il «Decreto Biagi» , in Diritto e pratica del lavoro , 2003, p. 663. Più in generale, con riferimento alla tutela della sicurezza nel caso di fornitura di lavoro altrui, cfr. M. Tiraboschi, Lavoro temporaneo e somministrazione di manodopera. Contributo allo studio del lavoro intermittente tramite agenzia , Torino, Giappichelli, 1999, p. 330 ss.

54 Fermo restando che, come anticipato nel testo, sarebbe quanto mai opportuno estendere il divieto a tutte le tipologie flessibili.

55 Ove invece si trattasse soltanto di mancata trasmissione di un documento effettivamente elaborato, si potrebbe prevedere una sanzione amministrativa, peraltro di non esiguo importo.

56 Su tale previsione v. G. Insolera, L'estinzione delle contravvenzioni in materia di sicurezza e di igiene del lavoro (artt. 19-25, D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758) , in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, salute e sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro , Torino, Giappichelli, 1997, p. 307 ss.

57 Stante la portata imperativa dei divieti di cui si sta parlando, non pare ammissibile prevedere l'eventuale salvezza della diversa volontà del lavoratore, quand'anche fosse eventualmente verificata e confermata davanti alla stessa Direzione provinciale del lavoro: infatti, i divieti penalizzano i datori di lavoro non rispettosi della sicurezza sul lavoro impedendo loro in particolare di procedere ad assunzioni “flessibili” che, proprio per la inosservanza delle regole della sicurezza, appaiono maggiormente a rischio. Di qui l'irrilevanza della eventuale e possibile diversa volontà del lavoratore che, magari per ragioni personali, sia interessato soltanto a stipulare un contratto di lavoro flessibile (si pensi al caso di uno studente universitario che, per sostenersi agli studi, sia interessato ad un contratto a tempo determinato soltanto per il periodo delle vacanze estive). La tutela della salute non è materia disponibile e non pare consentire deroghe ai divieti in esame. D'altro canto, nelle discipline legislative in cui sono previsti, gli stessi divieti sono chiaramente configurati come un limite al potere organizzativo del datore di lavoro, non potendo essere quindi “aggirati” facendo leva sulla volontà del lavoratore.

58 Ed evocata a chiare lettere fra i criteri del disegno di legge n. 1507 (cfr. l'art. 1, comma 2, lett. p : “ razionalizzazione e coordinamento delle strutture centrali e territoriali di vigilanza nel rispetto dei principi di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758, e dell'articolo 23, comma 4, del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, al fine di rendere più efficaci gli interventi di pianificazione, programmazione, promozione della salute, vigilanza, nel rispetto e nella verifica dei risultati, per evitare sovrapposizioni, duplicazioni e carenze negli interventi e valorizzando le specifiche competenze, anche riordinando il sistema delle amministrazioni e degli enti statali aventi compiti di prevenzione, formazione e controllo in materia e prevedendo criteri uniformi ed idonei strumenti di coordinamento”) . Sul punto cfr. M. Lai , T.U. sulla sicurezza , cit., p. 773.

59 Il che costituisce peraltro un tema “all'ordine del giorno”, se si considera che, fra gli emendamenti al disegno di legge delega governativo proposti dalla Commissione lavoro del Senato ve ne è uno che autorizza il Ministro del lavoro ad assumere tutti coloro che siano risultati idonei in un recente concorso per ispettore del lavoro, prevedendosi all'uopo le relative risorse (v. infra , in questo volume, Appendice B). Vero è, tuttavia, che l'aumento degli ispettori dovrebbe riguardare anche le Aziende sanitarie locali, che rappresentano l'organo di vigilanza primario in materia di sicurezza del lavoro.

60 È evidente che, diversamente dalla verifica della mera esistenza del documento di valutazione, quella relativa all'adeguatezza dello stesso presuppone, in capo ai soggetti preposti al controllo, il possesso di conoscenze e capacità che meritano peraltro di essere valorizzate anche mediante un'opportuna attività formativa.

61 Cfr. l'art. 1, comma 7, del disegno di legge n. 1507, ma si vedano altresì le integrazioni operate dalla Commissione lavoro del Senato (in questo volume, Appendice A e B).

62 Come giustamente proposto da L. Angelini , L avori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro , cit. (§ 5), al quale si rinvia per approfondimenti, anche per quanto riguarda il coinvolgimento dei vari soggetti in grado di offrire un contributo in merito.

63 Fermo restando quanto proposto in precedenza nel testo circa l'obbligo di trasmissione del documento di valutazione all'Azienda sanitaria locale e la necessaria informazione a quest'ultima, da parte del Centro per l'impiego, una volta ricevuta la comunicazione dell'assunzione “flessibile”.

64 Istituto ben noto nel precedente sistema del collocamento italiano.

65 Sebbene questa parziale limitazione dell'iniziativa economica privata potrebbe forse giustificarsi nella logica dei limiti (la sicurezza) ad essa posti dall'art. 41, comma 2, Cost .

66 A tal fine si potrebbe pensare anche all'adozione del meccanismo del silenzio-assenso, anche se non ci si possono nascondere i rischi di un suo abuso nei casi di carente organizzazione dei servizi di controllo.

67 Ferme restando, ovviamente, le conseguenze di cui all'art. 2126 c.c .

68 Ovviamente distinta da quella prevista dall'art. 89, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994 per la mancata valutazione dei rischi.

69 Giacché, comunque, nei fatti un contratto “flessibile” vi sarebbe comunque stato.

70 D'altro canto, ove mai si ritenesse preferibile la tecnica del nulla-osta, la previsione della conversione del contratto potrebbe eventualmente rappresentare l' extrema ratio nei casi di utilizzazione del lavoratore malgrado l'assenza del nulla-osta.

71 Che, come è noto, riguarda tuttavia l'attività ispettiva delle Direzioni provinciali del lavoro e non anche delle Aziende sanitarie locali: cfr. F. Stolfa , Quattro (più uno) punti di crisi della sicurezza sul lavoro in Italia (riflessioni a margine del disegno di legge delega sul testo unico) , in questo volume (§ 2).

72 Per alcune interessanti osservazioni sul concetto di “lavoro irregolare” cfr. P. Tullini , Sicurezza e regolarità del lavoro negli appalti , in questo volume (§ 1).

73 Il problema è posto da M. Papaleoni , Luci ed ombre nella riforma del contratto a termine , cit., p. 386, con riferimento al divieto in tema di contratto a termine di cui all'art. 3, d.lgs. n. 368 del 2001.

74 M. Papaleoni , Luci ed ombre nella riforma del contratto a termine , cit., p. 386.

75 L'osservanza di tale norma è presidiata da sanzione penale ex art. 89, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994.

76 Secondo la Corte , l'originaria formulazione dell'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 626 del 1994 aveva ristretto la valutazione dei rischi ad una limitata gamma di ipotesi, laddove la direttiva n. 89/391/CE impone di prendere in considerazione l'insieme dei rischi, senza limitazione a fattispecie specifiche.

77 Nella logica della proposta qui avanzata, il controllo dovrebbe essere compiuto dall'organo di vigilanza (l'Azienda sanitaria locale, a cui, come già detto, il datore di lavoro che intenda effettuare un'assunzione flessibile dovrebbe trasmettere il documento di valutazione nonché le sue eventuali successive modifiche ed integrazioni ) nel momento in cui riceva l'informazione dal Centro per l'impiego (eventualmente anche tramite la Direzione provinciale del lavoro) circa la comunicazione dell'assunzione “flessibile” da parte del datore di lavoro.

78 B. Deidda , Il testo unico sulla sicurezza del lavoro , in questo volume (§ 4).

79 Su questo aspetto cfr. L. Angelini , L avori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro , cit., il quale rileva puntualmente come gli attuali commi 10 ed 11 dell'art. 4 d.lgs. n. 626 del 1994 non attuino correttamente i precetti contenuti della direttiva quadro CE n. 391/1989 e richiama opportunamente la sentenza della Corte di giustizia CE 7 febbraio 2002 (causa C-5/2000) che ha condannato la Repubblica federale tedesca perché non ha garantito che l'obbligo di disporre di documenti contenenti la valutazione dei rischi sia applicato in tutte le circostanze per i datori di lavoro aventi dieci lavoratori o meno.

80 Sul punto cfr. L. Angelini , L avori flessibili e sicurezza nei luoghi di lavoro , cit.; M. Lai, T.U. sulla sicurezza , cit., pp. 770-771.

81 Cfr. M. Biagi (a cura di), Tutela dell'ambiente di lavoro e direttive Cee , Rimini, Maggioli, 1991.

82 A proposito della iniziale proposta del disegno di legge delega cfr. Promemoria per una delega valida ed efficace per la redazione di un testo unico della sicurezza e igiene del lavoro , in Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale , 2007, I, p. 277 ss.

83 Si pensi, ad esempio, rispetto alla proposta qui avanzata, alla distinzione di compiti tra Azienda sanitaria locale e Direzione provinciale del lavoro, che, pur coordinandosi e cooperando tra loro, vedrebbero esaltate le proprie rispettive competenze funzionali.

84 Come osserva più in generale L. Montuschi , Aspettando la riforma , cit., p. 771, sistemi del genere avrebbero lo scopo di “retribuire attraverso pene atipiche, di sicuro impatto economico, il datore inadempiente”.

85 Cfr. per tutti F. Galgano , Art. 41 , in G. Branca (a cura di), Commentario alla Costituzione, Art. 41-44 , Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1982, p. 1 ss.
Per quanto concerne il riparto di competenze legislative delineato dal nuovo titolo V della Costituzione, la proposta di cui si è parlato, riguardando la validità e l'efficacia dei contratti di lavoro, non può che ricondursi nell'“ordinamento civile”, assegnato dall'art. 117, comma 2, lett. l , Cost. alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (cfr. per tutti F. Carinci , Riforma costituzionale e diritto del lavoro , in Argomenti di diritto del lavoro , 2003, p. 17 ss., qui p. 57); alla stessa competenza, per relationem , sembrerebbero doversi ascrivere le eventuali previsioni della stessa proposta sui controlli a ciò finalizzati, non dovendosi per altro verso dimenticare che la materia sembra rientrare anche nella previsione della lett. m della stessa norma costituzionale, che assegna esclusivamente al legislatore statale la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. In generale sul tema cfr. G. Natullo , La disciplina della sicurezza sui luoghi di lavoro nel labirinto delle competenze legislative di Stato e Regioni , in questo volume.

86 Ovviamente, tale considerazione tiene nel debito conto il menzionato meccanismo della prescrizione di cui all'art. 20 d.lgs. n. 758 del 1994, che si riferisce a trasgressioni penalmente rilevanti.

87 Si veda amplius Ga. Marra , Sicurezza dei luoghi di lavoro e responsabilità da reato , cit.