Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 25 maggio 2012, n. 20227 - Esposizione ad amianto e responsabilità per numerose morti


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - rel. Presidente

Dott. D'ISA Claudio - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA



sul ricorso proposto da:

1) (Omissis) N. IL (Omissis);

2) (Omissis) N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 2124/2008 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 21/06/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/01/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANINO ZECCA;

Letti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi

Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Sante Spinaci, che ha concluso per la inammissibilità dei ricorsi;

Uditi per l'imputato ricorrente (Omissis), l'Avvocato (Omissis) che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nonchè per l'imputato ricorrente (Omissis), l'Avvocato (Omissis) che ha concluso per l'accoglimento del ricorso proposto.

Fatto



La Corte di Appello di Venezia ha riformato la sentenza pronunziata dal Tribunale di Padova nei confronti di (Omissis) e (Omissis), in primo grado assolti per non aver commesso il fatto dai reati a loro addebitati per taluni addebiti di omicidio colposo e di lesioni colpose, con formula perchè il fatto non sussiste per altri addebiti, e con formula di non doversi procedere per essere i reati addebitati estinti per prescrizione per talune lesioni colpose, e di impromovibilità dell'azione penale per mancanza di querela o per intempestività della querela in altri tre casi di lesioni colpose.

Ai due imputati, con capi di imputazione (espressi negli iniziali procedimenti 87/97 e 5073/99 Gip nonchè 4986/2001 e 4264/03 Gip), che coinvolgevano anche (Omissis) e (Omissis), poi giudicati separatamente in forza delle diverse scelte processuali da costoro adottate, erano state addebitate numerose morti di lavoratori dipendenti delle (Omissis) causate da carcinoma polmonare, da mesotelioma pleurico, da mesiotelioma peritoneale, da lesione pleuropolmonare; da asbestosi polmonare e carcinoma laringeo; da asbestosi polmonare; da carcinoma broncogeno nonchè lesioni colpose per un totale di oltre centoventi eventi dei quali un numero inferiore giudicati nel procedimento di appello che ne occupa. Il dispositivo, che esprime la decisione di merito che impegna il giudizio della Corte nell'attuale, è infatti circoscritto ad un numero più limitato di eventi secondo quanto qui di seguito si legge.

La decisione di appello esprime una pronunzia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione (riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti) nei confronti di entrambi gli imputati relativa a dieci casi di morte e nei confronti del solo (Omissis) per ulteriori cinque morti. Eguale pronunzia di non doversi procedere per intervenuta prescrizione è stata resa per i due imputati relativamente a sette casi di lesioni personali ( (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), e (Omissis)). Per una ottava imputazione di lesioni colpose superata da intervenuta morte del lavoratore la Corte territoriale ha annullato la decisione di primo grado quanto alle lesioni in danno di (Omissis) e ha disposto la restituzione degli atti al PM per l'eventuale esercizio della azione penale in ordine al diverso reato di omicidio colposo eventualmente configurabile in luogo delle inizialmente contestate lesioni. Le morti addebitate sono state rapportate a specifiche e differenziate cause materiali (carcinoma polmonare per otto lavoratori: (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis); mesiotelioma pleurico per sei lavoratori (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis); asbestosi polmonare e carcinoma laringeo per un lavoratore ( (Omissis)); Le morti di (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis) sono state addebitate al solo imputato (Omissis). Ancora la Corte di Appello ha confermato la sentenza di primo grado nei confronti di entrambi gli imputati (non aver commesso il fatto) quanto alle morti di (Omissis) e (Omissis) e nei confronti del (Omissis) (non aver commesso il fatto) quanto alle morti di (Omissis), (Omissis) e (Omissis).

Gli imputati (Omissis) e (Omissis) hanno proposto ricorso per cassazione avverso la statuizione di Appello appena sopra richiamata.

(Omissis) dopo una premessa (comune al ricorso (Omissis)) intesa a sostenere la ammissibilità del ricorso per cassazione e delle conclusioni assunte, avverso sentenza dichiarativa della intervenuta causa estintiva della prescrizione per gli omicidi colposi e le lesioni colpose, aggravati dalla violazione di norme antinfortunistiche, denunzia: 1) violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza assoluta di motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato la reformatio in pejus della sentenza di primo grado nelle sue statuizioni assolutorie variamente declinate (non aver commesso il fatto, fatto non sussiste) e nelle statuizioni di improseguibilita dell'azione penale per difetto di querela, quanto alle contestazioni per le lesioni colpose.

La assenza di motivazione si dispiegherebbe tanto sulla adeguatezza delle ragioni di riforma che non avrebbero proposto una giustificazione della statuizione adottata capace di sostituire a tutto campo le ragioni portate a supporto della prima decisione, quanto sul mancato esame delle tesi decisive della difesa proposte a supporto di una motivazione di primo grado compiutamente e correttamente motivata. La sentenza di appello non avrebbe confutato l'accertamento di primo grado secondo il quale i lavoratori morti per mesiotelioma (da qualificare come malattia non dose-correlata) avrebbero subito il contatto patogeno con la dose di innesco o dose grilletto o dose killer, nella prima fase di esposizione alla noxa e dunque in epoche non determinabili e non rapportabili con certezza a coeve posizioni di garanzia dell'imputato e a sue responsabilità per la salute dei lavoratori di (Omissis). La stessa sentenza di appello non avrebbe espresso , quanto al carcinoma polmonare, malattia a causalità multifattoriale, alcuna motivazione in ordine alla alternativa causale sufficiente, rappresentata dall'accertato tabagismo dei lavoratori. La sentenza di appello avrebbe travisato le indicazioni di carattere tecnico scientifico fornite da periti e consulenti e solo per causa di tale travisamento avrebbe affermato la correlazione della malattia con la dose di esposizione e l'effetto di accelerazione corrispondente al crescere della esposizione medesima, acriticamente accreditando un modello della cancerogenesi correlato alla intensità e alla durata della esposizione e altrettanto acriticamente rifiutando la teoria della dose Killer o innesco o grilletto. Di fronte alle incertezze della scienza, il giudice penale avrebbe dovuto, astenendosi dal proporre leggi scientifiche di sua creazione e attenendosi al ruolo di utilizzatore delle leggi scientifiche, affermare la inattingibilità di una certezza della causalità, oltre ogni ragionevole dubbio.

2) la sentenza di appello sarebbe carente di motivazione e comunque si svilupperebbe con motivazione illogica in relazione alle doglianze e alle deduzioni difensive.

La motivazione censurata non avrebbe trattato i temi pur illustrati dalla difesa della conoscibilità della pericolosità dell'amianto all'epoca dei fatti oggetto di contestazione, della evitabilità del rischio riconducibile alla esposizione ad amianto, alla insussistenza di profili di colpa in capo allo stesso (Omissis). Ancora la sentenza impugnata avrebbe del tutto trascurato la ricostruzione del quadro normativo in tema di amianto ripercorso dalla difesa che asseriva non avere il legislatore prima del 1994 apprestato alcuna cautela che non fosse meramente assicurativa (Decreto del Presidente della Repubblica 13 aprile 1994, n. 336) e avere egli vietato l'uso dell'amianto solo a far data dal 1992. Rammenta ancora il ricorrente che il problema relativo al rischio da esposizione ad amianto si affacciò nel comparto ferroviario solo dopo il 1989 mentre indagini svolte presso l'Oms dall'Istituto di medicina del lavoro dell'Università di (Omissis) nel 1982 si disinteressò della presenza di eventuali polveri di amianto così emergendo che non è esigibile dal datore di lavoro o dai titolari di posizione di garanzia in ordine al problema salute una consapevolezza che neppure gli istituti di Medicina del Lavoro e di Igiene Industriale mostravano ancora di avere benchè la sentenza impugnata faccia risalire al 1940 l'esistenza di un sapere scientifico ampio e condiviso sulla noxa rappresentata dall'asbesto.

3) violazione dell'articolo 606, lettera c) ed e) per erronea applicazione del disposto di cui agli articoli 521- 598 c.p.p. e per manifesta illogicità della motivazione rispetto alle emergenze processuali riguardanti il lavoratore (Omissis), indicato in rubrica come parte lesa del delitto di lesioni colpose, venuto a morte dopo la conclusione del giudizio di primo grado e prima della fissazione del dibattimento di appello.

4) La Corte con motivazione contraddittoria e contrastante con pacifiche evidenze di carattere scientifico e medico legale ma anche trascurando altrettante indiscusse emergenze probatorie, affermando che la morte del (Omissis) andava ricondotta ad una presunta ingravescenza della malattia rivelata dalla presenza di placche pleuriche avrebbe proposto una conclusione destituita di fondamento sul piano scientifico e sul piano probatorio.

Il ricorso di (Omissis) illustra una tesi preliminare (comune all'altro ricorrente (Omissis)) intesa a sostenere la ammissibilità del ricorso per cassazione e delle conclusioni assunte, avverso sentenza dichiarativa della intervenuta causa estintiva della prescrizione per gli omicidi colposi e le lesioni colpose aggravati dalla violazione di norme antinfortunistiche, e ancora intesa a fare proprie le difese e le censure del ricorso (Omissis) per quanto riguarda la violazione dell'articolo 606, lettera c) ed e), per erronea applicazione del disposto di cui agli articoli 521 e 598 c.p.p., e per manifesta illogicità della motivazione con riferimento all'annullamento della sentenza di primo grado e rinvio degli atti alla Procura per la morte del lavoratore (Omissis). Lo stesso ricorso espone quattro ulteriori premesse intese a segnare una linea metodologica per il sollecitato giudizio di legittimità.

Una prima premessa illustra una breve storia dei cambi di proprietà delle (Omissis) che consentirebbe di delimitare il periodo temporale della esistenza di posizioni di garanzia per i proprietari (Omissis) e (Omissis) fino al 12/10/73 (anno della vendita di (Omissis) al (Omissis)), per il dott. (Omissis) a partire dal 12/10/1973, e per l'ing. (Omissis) fra il 22/6/79 e il 28/2/1991.

La seconda premessa cataloga la successione delle vicende processuali nelle quali si è divisa l'intera vicenda per un arco temporale molto ampio; Il ricorso elenca tutti i procedimenti sorti intorno alla vicenda amianto nella (Omissis) verso gli imputati (Omissis)- (Omissis) e (Omissis)- (Omissis) e individua un primo percorso processuale iniziato nel 1995 contro i quattro, poi scisso nel 98 secondo le opzioni in rito esercitate dagli imputati e le sentenze conclusive di Cass. Pen. 11/7/2002 n. 988 che rigetta i ricorsi degli imputati (Omissis) e (Omissis) nonchè di Cass. Pen. Sez. 4 del 29/11/2004 n. 7630 con annullamento di sentenza di appello assolutoria di (Omissis) e altro, senza rinvio, per intervenuta prescrizione. Un secondo percorso nasce nel 1997 verso gli stessi imputati per altri eventi sempre collegati all'impiego di amianto nelle lavorazioni di impresa. Anche questo secondo percorso processuale si divide in due processi diversi secondo le opzioni esercitate in rito dagli imputati. Il processo riguardante (Omissis) e (Omissis) deciso da Corte di Appello di Venezia all'udienza de 21/7/2010 è l'oggetto del ricorso per cassazione che oggi è in scrutinio. la terza premessa illustra i mutati scenari costituzionali, normativi e nomofilattici che hanno modificato il sistema dello standard probatorio con riguardo alla qualità e quantità della prova esigibile dall'accusa e lo standard della quantità e qualità di una sentenza di condanna. Per il ricorrente ciò determina la necessità di valutare criticamente l'apporto di precedenti decisioni in materia di morti ritenute causate dall'amianto, decisioni maturate in un ambito normativo e culturale ad oggi profondamente modificato la quarta premessa elabora una prima analisi quantitativa della motivazione impugnata con la formulazione ulteriore di prime critiche qualitative che investono la denunziata inconferenza dell'utilizzo di precedenti giurisprudenziali pronunziati durante stagioni legislative e giurisprudenziali tramontate a seguito della importante novellazione intervenuta a livello costituzionale (il testo dell'articolo 111 Cost.) e a livello ordinario, la assenza di motivazione adeguata al ribaltamento della decisione di primo grado, l'erroneità della tesi secondo la quale la comunità scientifica accrediterebbe l'opinione che il mesiotelioma pleurico possa essere catalogato come malattia dose-correlata.

Il ricorrente (Omissis) denunzia in particolare:

1) violazione dell'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per mancanza assoluta di motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato la reformatio in pejus della sentenza di primo grado nelle sue statuizioni assolutorie variamente declinate (non aver commesso il fatto, fatto non sussiste) e nelle statuizioni di improseguibilità dell'azione penale per difetto di querela quanto alle contestazioni per le lesioni colpose.

Le argomentazioni utilizzate dalla sentenza di appello in punto di individuazione della causalità dei singoli eventi raggruppati in due categorie legate alla descrizione dell'affezione assunta quale causa della morte, ignorerebbero la incidenza del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio sulla formazione del convincimento del giudice in punto di accertamento della causalità, trascurerebbero che le condotte di riduzione oggettiva del rischio, provatamente poste in essere dagli imputati escluderebbero il nesso di causalità tra noxae denunziate e morti accertate, non avrebbero riguardo al principio di causalità multipla invece correttamente valorizzato dal primo giudice per negare la possibilità di raggiungere nel caso concreto una certezza processuale in ordine al prodursi delle cause di morte oggetto di ricerca giudiziale. Le omissioni denunziate avrebbero determinato l'errore di accreditare una tesi non più scientificamente accettabile circa l'effetto acceleratore della esposizione per il mesiotelioma e di accreditare una tesi causale monofattoriale per i carcinomi polmonari escludendo erroneamente la pur accertata esistenza della causalità esclusiva per tabagismo, invece ben apprezzata dal giudice del primo grado e offrendo una lettura distorta (nonchè illogica e contraddittoria) dei principi somministrati da Cass. SU pen 10/7/2002 n. 30328 Franzese.

2) violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e), per carenza e illogicità della motivazione.

La sentenza impugnata non avrebbe esaminato e valutato le affermazioni dei periti di ufficio che avrebbero sostenuto la assenza di correlazione tra dosi della esposizione alla noxa e il mesotelioma, avrebbero sul punto accreditato la esattezza scientifica della teoria della dose Killer, e affermato la ricorrenza di quella correlazione per il caso di carcinoma al polmone. La sentenza impugnata avrebbe con errore decisivo trascurato la cronologia del diffondersi dei saperi circa la pericolosità dell'asbesto dal mondo della scienza al mondo dell'industria (diffondersi fissato in ambito medico negli anni 65/71 e nell'ambito industriale negli anni 80 ricorso pg 22) e non avrebbe considerato i "dubbi insorti nella scienza (ricorso pg 20) " e le difficoltà ulteriormente rafforzate ... di trovare conclusioni definitive circa il rischio di cancro al polmone per basse esposizioni";

3) violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera e)., per carenza e illogicità della motivazione in ordine alle rilevantissime considerazioni espresse dai CT della difesa e dall'intero apparato delle doglianze e/o deduzioni difensive;

Il ricorrente fa proprie sul punto le censure espresse alle pgg da 22 a 24 del ricorso (Omissis) e richiama 370 pgg di argomentazioni difensive risultanti dagli allegati stenotipici delle udienze 24 Aprile 2007; 21 gennaio 2008; 28 gennaio 2008, 5 marzo 2008 dichiarando di farle tutte proprie. Per completezza espositiva il ricorrente esprime valutazioni fortemente svalutative sull'aggiornamento tecnico e sulla validità della collocazione scientifica di taluni dei tecnici le cui indicazioni sono state condivise dalla sentenza di appello impugnata.

4) violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli articoli 40 e 41 c.p., il ricorrente argomenta variamente in ordine al significato delle formule nelle quali si esprime l'esercizio della funzione della Corte di cassazione e denunzia l'assenza nella motivazione impugnata della individuazione di una legge specifica di copertura, la eventuale integrazione di una tale legge con gli elementi probatori raccolti; il passaggio dalla probabilità statistica alla probabilità logica e l'approdo ad una certezza processuale oltre ogni ragionevole dubbio secondo lo statuto costituzionale del nesso causale fissato dalla molte volte citata SU 30328/2002.

5) violazione dell'articolo 606 c.p.p., lettera b, per inosservanza o erronea applicazione della legge penale con riferimento agli articoli 42 e 43 c.p..

La sentenza impugnata ha errato nell'applicare le regole giuridiche che presiedono all'accertamento della colpa non svolgendo alcuna accettabile motivazione sulla prevedibilità dell'evento e sulla sua certa evitabilità in caso di osservanza della condotta alternativa lecita. Il ricorrente suggerisce la erroneità di un riferimento in materia alle condotte (e ai saperi) di un ipotetico agente modello. Sottolinea la incidenza non rilevata della abrogazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1956, articolo 21, contenuta nel Decreto Legislativo n. 277 del 1991 che escludeva la utilità dei presidi personali contro l'amianto richiesti (si tratterebbe di condotta alternativa lecita) fino al divieto del 1991 d'ogni impiego dell'amianto, divieto certamente non utilizzabile per rilevare colpe retroattive. La censura addebita alla sentenza impugnata l'assenza di ogni motivazione circa la prevedibilità del danno e circa la evitabilità dell'evento e circa la evitabilità dell'evento mediante condotte appropriate non più identificabili nelle cautele volute dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, articolo 21 abrogato da Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articolo 59. La clausola generale di cui all'articolo 2087 c.c. del 1942 nella sua funzione di regola cautelare innominata, secondo il suo richiamo di regole conformi alla particolarità del lavoro, alla esperienza e alla tecnica, dovrebbe secondo il ricorrente soggiacere a quella limitazione dell'attività dell'interprete che sarebbe valorizzata da Corte Cost. 18/25 Luglio 1996 n. 312 in modo da assicurare il principio di determinatezza delle norme incriminatici anche attraverso la riduzione dei comportamenti cautelari esigibili ai soli comportamenti già accolti negli standards di produzione industriale.

6) violazione dell'articolo 606, lettera c) ed e) per erronea applicazione del disposto di cui agli articoli 521- 598 c.p.p. e per manifesta illogicità della motivazione rispetto alle emergenze processuali riguardanti il lavoratore (Omissis), indicato in rubrica come parte lesa del delitto di lesioni colpose, venuto a morte dopo la conclusione del giudizio di primo grado e prima della fissazione del dibattimento di appello.

All'udienza del 17/1/2010 i ricorsi sono stati decisi dopo il compimento degli incombenti prescritti dal codice di rito.

 

Diritto



La sentenza impugnata segnala che sono stati acquisiti, ai sensi dell'articolo 493 c.p.p., comma 3, verbali e sentenza del procedimento n. 5222/1995 nei confronti dei medesimi imputati per analoghe fattispecie di reato nei confronti di altre parti offese e di avere valutato gli atti di una perizia collegiale eseguita con incidente probatorio in fase di indagini, nonchè le relazioni dei consulenti delle parti, acquisite previo esame orale dei consulenti medesimi e, da ultimo, la documentazione relativa ad una indagine epidemiologica con dati relativi alle malattie da asbesto presso le officine Stanga.

Il contesto spazio temporale nel quale - accertatamente e senza impugnazione alcuna- si sono svolte le vicende oggetto del presente procedimento è quello dello stabilimento (Omissis) nella zona industriale di (Omissis) operativo dal 1970, prevalentemente impegnato da commesse delle (Omissis). L'utilizzo massivo di amianto nella riparazione (cessata nel 1994) e costruzione di rotabili per le (Omissis) è accertata tramite la documentazione delle commesse (Omissis), il registro dei rifiuti dello stabilimento e le deposizioni testimoniali raccolte. La sentenza di appello accerta ancora che le riparazioni che comportavano dispersioni di fibre di amianto erano eseguite in diversi reparti non isolati l'uno rispetto all'altro. I ricorsi proposti sono ammissibili posto che essi tendono, quantomeno, ad evidenziare, (dopo che sono state rese in appello su impugnazione del PM, pronunzie di estinzione per prescrizione mentre la pronunzia assolutoria di primo grado non consentiva agli imputati assolti, impugnazione alcuna in ordine alla formula assolutoria adottata) che dagli atti risulta la evidenza che i fatti addebitati non sono stati commessi dagli imputati o non costituiscono reato, sicchè le domande proposte si configurano come richiesta di immediata applicazione dell'articolo 129 c.p.p., comma 2. Tanto assorbe ogni ulteriore questione circa la possibilità di annullamento nella prospettiva del vizio di motivazione di sentenza che ha dichiarato, dopo una assoluzione in primo grado, la estinzione per prescrizione dei reati addebitati.

In apertura di motivazione è anche necessario sottolineare che la rilettura delle pagine della sentenza di appello da 3 a 6, consente di verificare come entrambi i giudici del merito abbiano individuato la storia prima e la realtà poi della organizzazione produttiva e dei moduli lavorativi che furono cornice agli eventi giudicati, accertandoli attraverso un percorso motivazionale che per questa parte deve essere ritenuto, anche in conseguenza di espliciti richiami, un compendio motivazionale unitario e omogeneo.

In relazione alle censure indirizzate verso l'accertamento della causalità materiale delle morti e delle lesioni addebitate è necessario sottolineare ancora che le morti addebitate sono state rapportate a specifiche e differenziate cause materiali (carcinoma polmonare per otto lavoratori:

(Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis); mesiotelioma pleurico per sei lavoratori (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis); asbestosi polmonare e carcinoma laringeo per un lavoratore ( (Omissis)). Le morti di (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis) e (Omissis) sono state addebitate al solo imputato (Omissis).

Si legge già nelle prime pagine (pg. 3) del ricorso (Omissis), che il giudice di appello avrebbe rivelato una sua vocazione ad assumere il ruolo di produttore di leggi causali piuttosto che di utilizzatore di esse, ma censura analoga è espressa nel ricorso (Omissis), laddove si denunzia lo scostamento della sentenza impugnata dalle evidenze scientifiche che sottolineano la indipendenza delle malattie oggetto di controversia (mesotelioma pleurico, cancro al polmone e placche pleuriche) dalla "dose" di esposizione alle fibre di amianto realizzatasi nel tempo e a causa dello svolgimento di attività lavorativa nelle (Omissis). Lo stesso ruolo improprio sarebbe rivelato dalla mancanza o erroneità della motivazione in ordine alla presenza di causalità alternative (tabagismo di alcuni lavoratori) suscettibili di dar causa da sole agli eventi invece addebitati agli imputati.

Le censure proposte in ordine alla individuazione della causalità dei singoli eventi (raggruppati in categorie legate alla descrizione dell'affezione assunta quale causa della morte) e alla individuazione delle colpe dei due imputati, impongono una giustapposizione la più incisiva tra metodologie e percorsi dell'accertamento in fatto operato dalla sentenza impugnata, e utilizzo di principi di diritto capaci di verificare, anche secondo il tempo, il quadro medico-legale e il quadro normativo applicabile, la effettiva incidenza delle omissioni addebitate. Le Sezioni Unite in punto di prova della causalità materiale e della causalità della colpa nei reati omissivi impropri (con focalizzazione su ipotesi di colpa medica), e questa quarta Sezione con più specifico riguardo alla responsabilità per eventi delittuosi ascrivibili all'impiego dell'amianto in tutte te sue forme di presentazione e nello svolgimento di attività di lavoro, hanno affermato principi decisivi per il raggiungimento della verità processuale tale da inverare il giusto processo. Questi principi, nella ricchezza delle loro modulazioni, impongono al giudice di legittimità, e pur necessariamente entro i limiti della cognizione di cui all'articolo 609 c.p.p., una verifica che, integrando la logica formale e la logica giuridica, i saperi del giudice con gli apporti di specialisti e consulenti, e ancora operando un riscontro anche empirico centrato sulle evidenze probatorie, nonchè un riscontro della ragionevolezza degli approdi cui giungono le diverse conclusioni proposte, svolga la più penetrante delle analisi che si possa operare (Cass. Pen. Sez. 4 27/1/2010 n. 24732), nella verifica delle motivazioni che hanno raccordato la realtà della organizzazione del lavoro alla legge che disciplina le obbligazioni di garanzia dei soggetti a tali obbligazioni tenuti, le acquisizioni della medicina del lavoro e della scienza medica in genere, ai fatti che hanno legato l'organizzazione del lavoro e lo svolgimento del lavoro a malattie anche mortali.

Sempre sul piano del metodo della interpretazione deve essere tenuto ben fermo che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l'esito di accreditare la esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale che limiti la libera formazione del convincimento del giudice (su libero convincimento e libertà della prova Cass. Pen. Sez. 5 14/10/2010 n. 42679; Cass. Pen. Sez. 5 20/11/2008 n. 43383). Il ricorso a competenze specialistiche con l'obbiettivo di integrare i saperi del giudice rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell'uomo comune, stratificati nell'esperienza delle generazioni, è espressamente disciplinato dal codice di rito (articoli 220 e ss c.p.p.) e si sviluppa in una procedimentalizzazione nella quale hanno preciso significato le circostanze che la stessa decisione dell'incarico, la formulazione dei quesiti e la partecipazione del perito e dei consulenti alla elaborazione dei quesiti (si argomenti ex articolo 226 c.p.p.) costituiscano atti ad impulso del giudice (tra le molte Cass. Pen. Sez 5 17/11/2011 n. 3900) e a formazione progressiva. A proposito del rapporto generale tra cd. leggi scientifiche di copertura e individuazione della eziopatologia di affezioni da asbesto deve anche essere fortemente sottolineata la perfettibilità delle acquisizioni della medicina del lavoro e dunque, a proposito del carattere dinamico delle cautele imposte dall'articolo 2087 c.c. e dal corteo di norme che ad esso si correla, deve essere tenuto ben fermo l'insegnamento impartito da Corte Cost. 18/2/1988 n. 179 che fin da tempi oggi lontani opponeva alla staticità del sistema della doppia tabellazione gli effetti del progresso delle tecnologie diagnostiche della medicina del lavoro. Per quanto qui interessa è da lunghissimo tempo nota anche nel mondo del diritto la limitata stabilità delle cd. leggi scientifiche e la non oggettività dei postulati di ogni teoria generale che sempre richiede adeguato controllo critico e specifico riscontro con la realtà che quei postulati solo in test rappresenterebbero adeguatamente. Negata, anche per le ragioni da ultimo espresse, l'esistenza di un sistema di prova legale o a formazione obbligata del convincimento, è allo stesso tempo ben evidente che nel processo penale nè le parti, nè il giudice, nè i tecnici di cui il processo si avvale, sono protagonisti solitari, produttori di soluzioni (o proposte di soluzione) totalmente tra loro indipendenti. I periti e i consulenti aggiungono, entro i diversi limiti dei rispettivi ruoli, rilevazioni e valutazioni ma queste, non possono in ogni caso surrogarsi alla necessaria sintesi critica (sulla necessità del controllo del giudice circa la rilevanza e la affidabilità delle conclusioni peritali Cass. Pen. Sez. 1 3/10/1994 n. 10893) che su tutto il processo è alla fine operata dal giudice (Cass. Pen. Sez. 4 29/1/2009 n. 4278).

In conclusione deve qui essere sottolineata la specifica complessità della strumentazione necessaria nel giudizio di cassazione in tema valutazione delle decisioni di merito in punto di prova della colpa e in una prospettiva post-positivista di decisività dell'opinione giudiziale, (si vedano in proposito Cass. Pen. Sez. 4 27/1/2010 n. 24732, nonchè, con diverse declinazioni in punto di indicazione e utilizzo delle cd. leggi di copertura e di identificazione dei soggetti mediatori autorevoli della ricognizione dei saperi scientifici disponibili, e come tali officiati solo di fornire materiali di conoscenza del significato dei fatti assoggettati a giudizio, Cass. Pen. Sez. 4 10/6/2010 n. 38981 e Cass. Pen. Sez 4 17/9/2010 n. 43786) si deve ribadire che le stesse conclusioni peritali con le proposte relative alla rilevanza di cd. leggi di copertura indicate come strumento per la soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato (in un quadro alieno da arbitrarie opinioni personali del giudice), costituiscono solo un elemento tra i molti che, (all'esito di un contraddicono in condizioni di parità costitutivo del fondamento necessario e caratterizzante di qualsiasi processo), confluiscono, ai fini della realizzazione del giusto processo ex articolo 111 Cost., nella sintesi critica del giudizio, sulla cui correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa interviene la valutazione di legittimità.

Il ricorso (Omissis) ha cura di evidenziare una cronologia dei giudizi correlati alle morti e alle malattie dei lavoratori delle (Omissis) tale che i mutamenti costituzionali, legislativi e giurisprudenziali, elencati e intervenuti nell'ampio arco di tempo identificato da quella cronologia, renderebbe inutilizzabili le precedenti decisioni, sfavorevoli agli imputati, relative ad alcune di quelle morti e di quelle malattie (diverse da quelle considerate nel presente processo). Di contro si deve rilevare che le decisioni passate in giudicato accertano irrevocabilmente i fatti oggetto di quei giudizi e una lettura diacronica dell'ordinamento, della giurisprudenza e dello sviluppo della medicina del lavoro, non vale a rimuovere oggi per allora i fatti che furono accertati. La osservazione appena ora richiamata, la quale peraltro non allega la sopravvenienza di alcuna "abolitio criminis" conseguente ad abrogazione delle norme incriminatici applicate dal giudice di merito, non costituisce poi censura specifica della sentenza di appello che qui si considera, ma si propone piuttosto come chiave di lettura della giurisprudenza di legittimità secondo1 criteri di riduzione della sua validazione che deriverebbero necessariamente dallo scorrere del tempo e dai cambiamenti che da tale scorrere ha su diversi piani - tutti qui rilevanti- prodotto. Ma la chiave di lettura adottata dalla stessa giurisprudenza di legittimità che riflette su se stessa in relazione ai mutamenti prodotti sui diversi piani dallo scorrere del tempo, (si rimanda a Cass. Sez. 4 n. 17/9/2010 ( (Omissis)) n. 43786 a proposito di Cass. Sez. 4 11/7/2002 n. 988 ( (Omissis))), annota come la selezione della ipotesi eziologica più attendibile sia avvenuta in quel processo (Omissis) dopo la confutazione delle ipotesi causali alternative e come il confronto, operato dal giudice di merito e ritenuto corretto dalla sentenza di legittimità, abbia posto a confronto una ipotesi di minimo rischio teorico con una realtà di rischio concreto infinitamente più grave. Cass. Pen. 43786/2010 sottolinea con forza il valore metodologico e la positiva utilità del realismo che deve caratterizzare la giurisprudenza di legittimità e che nella sentenza 988/2002 ebbe correttamente a selezionare l'ipotesi eziologica conferente al caso concreto della esposizione ad amianto dei lavoratori delle (Omissis) accreditando quella che faceva perno su una concreta e speciale esposizione lavorativa che il giudice di merito aveva fotografato come vorticare (per anni) di fibre patogene nell'aria spinte da getti d'aria e dai colpi di scopa.

Il primo motivo di censura del ricorso dell'imputato (Omissis) denunzia la mancanza assoluta di motivazione in ordine alle ragioni che hanno determinato la "reformatio in pejus" della sentenza di primo grado. Tale mancanza non è affatto ravvisatale. La sentenza di appello dopo aver dato ragione della assenza di conclusioni delle parti civili, ha indicato tutto il materiale relativo ad altri procedimenti per malattie o morti registrate nelle (Omissis), ritualmente acquisito al processo di appello (sentenze, verbali, atti di perizia collegiale eseguita in sede di incidente probatorio, relazioni di periti e consulenti , esaminati anche nel dibattimento di appello, che si erano occupati dei casi di malattia e di morte verificatisi prevalentemente tra il 1997 e il 2001) ed ha anche menzionato e, con ampio ragionamento critico, analizzato i risultati di una indagine epidemiologica presso le (Omissis) svolta con riferimento alla frequenza delle morti per carcinoma polmonare nel tempo di interesse per il processo penale.

La sentenza di appello ha sviluppato una analisi dettagliata della organizzazione del lavoro e della esposizione sistematica, diretta e senza cautela alcuna, dei lavoratori all'amianto, evidenziando le tipologie di lavorazione e i moduli di lavoro praticati (indubitabilmente efficace è l'accertamento dell'impiego di un mezzo meccanico di rimozione delle polveri, chiamato dai lavoratori "scopa della morte e l'accertamento relativo alla origine di quella denominazione) ma anche la quasi totale mancanza di compartimentazione dei diversi ambienti di lavoro con la evidenziazione di una intensa esposizione diretta connessa alle lavorazioni proprie delle mansioni assegnate ed una esposizione ambientale legata alla specifica organizzazione di stabilimento (si ricordino i principi generalissimi affermati dalla giurisprudenza sul rischio ambientale, sviluppatasi nel diverso ambito della previdenza obbligatoria fin dai primi anni ‘80; per tutte a cominciare da Cass. Sez. Lav. 12/3/1982 n. 1608 o da Cass. Sez. Lav. 23/1/1987 n. 660).

La sentenza di appello riporta in proposito ampi stralci dell'accertamento di primo grado che dunque, e per questa parte, è comune alle due sentenze di merito e non abbisogna di alcuna giustificazione del contrasto - fin qui inesistente- tra le due statuizioni.

La differenziazione tra le due statuizioni di merito, trova consapevole fondamento nel riferimento a leggi di copertura diversificate quanto alla dinamica di produzione del solo mesotelioma, posto che la sentenza di primo grado esclude la correttezza di una teoria della cancerogenesi correlata alla intensità e alla durata della esposizione, e la sentenza di appello di quella rifiutata teoria si serve per riconoscere al mesotelioma pleurico la qualità di malattia dose-dipendente. L'altra diversità si coglie nella circostanza che la sentenza di primo grado, escludendo la possibilità di accertare una causalità unica delle altre malattie, pur ritenute dose-dipendenti, ha ritenuto incerta la correlazione causale tra esposizione all'amianto e sviluppo di quelle malattie. La distanza motivazionale è rimarcata a pg 10 della sentenza di appello ed è superata con riferimento realistico alla accertata realtà della esposizione collegata alle scelte del sistema produttivo e organizzativo , nonchè alla giurisprudenza di legittimità (tra tutte Cass. 14/1/2003 n. 988, (Omissis)) che ha ritenuto corretta, anche per il mesotelioma, la teoria scientifica di un processo patologico che mette in crisi la teoria della "dose killer o dose trigger" - teoria della dose "trigger" che la sentenza di appello squalifica come frutto di artificio, menzionando espressamente la tesi in tal senso esposta in causa da un perito del PM (indicato per nome a pg 14 della sentenza di appello), ritenuto insigne tra i maestri della medicina del lavoro- il quale individua un rapporto esponenziale tra dose di cancerogeno assorbita e durata della latenza, durata della malattia, anticipazione della morte. è il caso di rammentare che la lettura della giurisprudenza di legittimità largamente successiva al 2002 evidenzia una notevole frequenza di situazioni processuali nelle quali alla sentenza di merito oggetto di controllo di legittimità è stata proposta come legge scientifica di copertura in tema di eziopatogenesi del mesotelioma quella che privilegia la qualità dose correlata della malattia (tra le tante Cass. Pen. Sez. 4 27/10/2005 n. 39393). La sentenza di appello qui impugnata ha anche descritto le incertezze della scienza medica come doveroso frutto del dubbio che è alla base di ogni ricerca, e ha preso partito tra le diverse teorie attualmente proposte dalla scienza in tema di causalità del mesotelioma (tutte descritte e scandagliate dalla giurisprudenza disponibile) occupandosi anche del rapporto tra individuazione di leggi di copertura validamente utilizzabili e ragioni di superamento dei dubbi manifestati dalla scienza medica. La sentenza di appello ha cioè confrontato le ragioni di base dell'una e dell'altra tesi scientifica e senza limitarsi ad esporre le ragioni logiche di preferenza per la teoria della correlazione tra insorgenza ed evoluzione del mesotelioma pleurico e la esposizione alla "noxa", ne ha riscontrato la concreta pertinenza per il caso giudicato, alla luce delle evidenze probatorie rappresentate dal numero e dalla qualità degli eventi analizzati. Anche sulla causalità alternativa del tabagismo individuata dal primo giudice, la sentenza di appello si sofferma adeguatamente con valutazioni misurate sui casi concreti, con descrizione delle discontinuità e degli errori della applicazione della causalità da tabagismo anche a soggetti accertatamente non fumatori, e con analisi relative alle caratteristiche della cancerogenesi del mesotelioma, alle pgg. 15 e 16. Inoltre la sentenza impugnata ha ulteriormente riscontrato le conclusioni raggiunte senza esonerarsi dalla esplicita considerazione dei mutamenti sopravvenuti nel tempo nei diversi campi del sapere scientifico e della regolazione normativa della colpa (a partire dagli approdi di SU 10/7/2002 n. 30328) e, in particolare, dei mutamenti intervenuti nel quadro scientifico con dettagliato riguardo alla efficacia eziologia di ulteriori esposizioni alla "noxa" patogena rispetto al periodo di latenza del mesotelioma pleurico, ed in relazione al riconoscimento del nesso causale tra esposizione a basse dosi di amianto e insorgenza del carcinoma polmonare.

La adozione di tecniche di eliminazione o di riduzione della esposizione massiva alle polveri o alle fibre di amianto, avrebbe, secondo la sentenza impugnata, eliminato o ridotto, con elevato grado di credibilità razionale, e in assenza - per causa della neutralizzazione della congettura relativa alla causalità da tabagismo- di decorsi causali alternativi, gli eventi antigiuridici individuati nei capi di imputazione (e sintetizzati dalla sentenza di primo grado come una "numerosa e dolorosa sequenza di decessi") sicchè la concreta organizzazione del lavoro tenuta negli anni dagli imputati, e accertata da entrambi i giudici del merito con riguardo alla stagione ancorata alla realtà del nuovo stabilimento di corso Stati Uniti, avrebbe configurato una piena ipotesi di esistenza del vincolo causale (Cass. Pen. Sez. 4 15/572008 n. 19512) tra condotta (violativa di divieti giuridici) , omissioni (violative di precetti cautelari) ed eventi. I miglioramenti di processo allegati dal ricorrente con riguardo allo stabilimento di Corso Stati Uniti sono stati oscurati (e dunque ritenuti insufficienti) per causa del grave quadro di esposizione dettagliatamente accertato. Peraltro le affermazioni della Corte di Appello relative all'intera vicenda, correttamente si pongono entro il principio secondo il quale la pur necessaria prevedibilità dell'evento non può riguardare la configurazione dello specifico fatto in tutte le sue articolazioni ma la classe di eventi nei quali, quello oggetto del processo, si colloca (Cass. Pen. Sez. 4 26/10/2007 n. 39606) A fronte di così articolato sviluppo del discorso giustificativo espresso dalla sentenza di appello, risulta evidente che la non condivisione da parte del ricorrente, della motivazione sviluppata dalla sentenza di appello (si vedano a pg 11 del ricorso per cassazione le espressioni di radicale dissenso che precedono il primo motivo di censura), non è ragione sufficiente per dare fondamento ad una denunzia di mancanza assoluta di motivazione in punto di sovvertimento della statuizione di primo grado. Ancora la motivazione impugnata dopo aver ben considerato la metodologia del dubbio come garanzia di progressivo affinamento scientifico, ha tuttavia individuato realisticamente, con ricognizione completa ed esente da contraddizioni, aporie, apoddissi, tautologie, una esposizione alla "noxa" patogena così prolungata nel tempo e così massiva da superare, una volta esclusa ragionatamente ogni ipotesi causale alternativa, e una volta individuata la infondatezza delle pur eccepita dinamica alternativa della dose "trigger", ogni ragionevole dubbio circa la causa delle malattie e delle morti.

Il primo motivo di censura del ricorso (Omissis) è infondato in ogni sua parte. Anche il secondo motivo che denunzia carenza e illogicità della motivazione in punto di caratteristiche della vicenda causale del mesotelioma e in punto di datazione delle conoscenze relative agli stadi di pericolosità dell'asbesto nel mondo scientifico e al tempo di travaso delle conoscenze scientifiche nel mondo industriale, è infondato. In punto di caratteristiche della vicenda causale del mesotelioma si rileva quanto segue.

La sentenza accerta, dopo una puntigliosa ricognizione delle attività svolte nello stabilimento in corso Stati Uniti a (Omissis), del materiale utilizzato e della organizzazione di processo che si affidava alla più completa assenza di cautele verso i lavoratori che erano a continuo e diretto contatto con l'amianto o che erano comunque esposti agli effetti dell'impiego di quella sostanza per costruzioni meccaniche, riparazioni e bonifiche, per causa di rischio ambientale, la massiccia esposizione all'amianto protratta negli anni (la sentenza di primo grado richiamata dalla motivazione di appello annota che negli anni 1988-1992 documentalmente risultano smaltiti nell'impianto migliaia di kg di amianto nella forma di "crisotilo") in relazione a diverse tipologie di attività industriali della (Omissis) e seleziona tra le teorie scientifiche acquisite al processo a mezzo di consulenti, periti e dati epidemiologia, quella teoria che richiamando il concetto di "dose-risposta" e richiamando la tesi del perito del PM per il quale nessuna dose di amianto per quanto piccola può ritenersi innocua, non elimina i dati di realtà (tutti rappresentati in sentenza di appello e, con essenziale crudezza alle pgg. 9-11 della motivazione di primo grado richiamata in appello) della intensità e della durata delle esposizioni, della frequenza in ambito (Omissis) delle malattie da asbesto e delle morti conseguenti da mesotelioma pleurico, peraltro legandosi ad una opinione scientifica per nulla isolata (nell'attuale ancora più accreditata) di altissimo rilevo. La causalità in tema di eziopatogenesi dei carcinomi, a sua volta, non è affatto dichiarata per errata adesione ad una visione monofattoriale di tale causalità, ma è accertata con articolata motivazione che esclude la ricorrenza provata e adeguatamente rilevante del fattore tabagismo così come esclude la esposizione ad altre sostanze cancerogene diverse dall'asbesto. Il ragionamento probatorio esplicato dalla sentenza impugnata è in ogni caso adeguato ai principi somministrati da Cass. Pen. Sez. 4 6/2/2007 n. 4675. Si deve in proposito aggiungere quanto poco sopra già evidenziato a proposito della correttezza della motivazione in punto di accertamento delle effettiva causalità delle malattie oggetto di questo processo in relazione al tempo di riferibilità al (Omissis) di titolarità di posizione di garanzia e di responsabilità per la tutela della salute dei lavoratori attivi nelle (Omissis).

In punto di conoscenza e di obbligo di conoscenza della pericolosità delle lavorazioni che comportano il contatto dei lavoratori con l'amianto, le informazioni recate dalla sentenza di primo grado e dai ricorsi per cassazione, che trasformano quelle informazioni in profili di censura, richiedono qualche specifica considerazione.

Sul piano del diritto penale la conoscenza della pericolosità dell'asbesto per la salute di chi per cause lavorative diverse è esposto a quel minerale, pericolosità già nota dai primi anni del 1900, da luogo alla situazione di colpa in cui si trova ogni soggetto che , rivestendo una posizione di garanzia, è in grado di rappresentarsi come conseguenza certa o anche solo probabile della sua azione od omissione, proprio l'evento in concreto verificatosi pur prescindendo dalle concrete modalità di verificazione (Cass. Pen. Sez. 4 3/2/2009 n. 4675). In proposito è stato affermato (Cass. Pen. Sez. 4 20/372000 n. 3567) che il datore di lavoro imprenditore ha l'obbligo ex articolo 2087 c.c. di aggiornarsi sulle tecniche di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e non può addurre a propria scusa la mancata informazione.

La nocività delle fibre di amianto è nota sia dagli inizi del secolo scorso, le conseguenze nocive della esposizione professionale ad amianto sono infatti riconosciute dalla letteratura medica internazionale, i cui primi lavori sul tema sono databili ai primi anni del 1900. Il riconoscimento dei primi casi di asbestosi in operai negli stabilimenti tessili in Gran Bretagna è datato nel 1907. Nel 1927 Cooke conia il termine asbestosi per le fibrosi polmonari evolutive e potenzialmente mortali indotte dalla inalazione delle fibre di amianto. Nel 1930 la medicina industriale italiana ha piena contezza del legame causale tra esposizione all'amianto e asbestosi che dunque viene classificata come malattia professionale causata dall'esposizione ad amianto.(Vigliani EC: Asbestosi Polmonare, Rassegna di medicina industriale, (6), 1939). Negli anni 60 del 1900 l'esposizione all'amianto viene associata al mesotelioma maligno. Nel 1966 le placche pleuriche vengono identificate come utile indicatore della esposizione ad amianto. Negli anni 80 del secolo scorso è ormai acquisita dalla dottrina medica la compiuta consapevolezza degli effetti cancerogeni dell'amianto con particolare riguardo ai mesoteliomi.

Nelle realtà di fabbrica l'uso dell'amianto specialmente in lavorazioni a secco era noto per la sua pericolosità anche in lavorazioni marginali (tra le molte Cass. Pen. Sez. 4 3/6/2008 n. 22165).

Ma la consapevolezza della nocività delle lavorazioni che si svolgono con l'uso e il contatto con l'amianto nelle sue diverse presentazioni non è confinato nelle sedi di ricerca scientifica se è vero che la Legge 12 aprile 1943, n. 455, articolo 4 (Pubblicata in GU 14/6/1943 n. 137) comprende, appunto fin dal 1943, tra le malattie professionali assicurate l'asbestosi, mentre l'articolo 4 di quella legge poi raccolta in ordine sistematico con adeguate modificazioni dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, fu trasfuso nel nuovo articolo 144 del Decreto del Presidente della Repubblica che utilizzando nella prospettiva di assicurazione sociale un sistema definitorio rigido, detto per la sua filosofia di utilizzo, della doppia tabellazione, definiva con tecnica classificatoria l'asbestosi come una fibrosi polmonare che provocata da inalazione di polvere di amianto si manifestava particolarmente ma non esclusivamente, con presenza negli alveoli, nei bronchioli e nel tessuto interstiziale di corpuscoli dell'asbestosi con tracheo bronchite ed enfisema, e, all'esame radiologico, con velatura del campo polmonare e con striature od intrecci reticolari più o meno intensi, maggiormente diffusi alle basi. Il mutare delle dinamiche sociali e il progredire della scienza medica portarono alla Legge 27 dicembre 1975, n. 780 che a mezzo del suo articolo 2 abbandonava quella limitata tecnica definitoria e utilizzava un sistema di rinvio dinamico al sistema della tabellazione e dei suoi aggiornamenti, procedimentalizzati dalle leggi per l'assicurazione infortuni e malattie professionali ma variamente spinti dalla soggettività operaia e dalla scienza medica (secondo le anticipazioni già note alla Legge n. 300 del 1970, articolo 9, che le recepiva in normazione mobile di legge).

Il sistema di individuazione delle "noxae" lavorative si completava con la sentenza 18.02.1988 n. 179 della Corte Costituzionale per la quale "la malattia professionale (indennizzabile nella assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali e gli infortuni sul lavoro) consiste in qualsiasi fatto morboso di cui sia comunque provata la causa professionale" determinandosi con ciò la massima apertura critica in tema di potenzialità di un sistema di prova "ragionevole".

Il Decreto del Presidente della Repubblica 13 aprile 1994, n. 336 introduceva nel sistema tabellare Inail, come malattie indennizzabili, le neoplasie provocate dall'amianto, cristallizzando sul piano della assicurazione obbligatoria acquisizioni ormai definitivamente accolte dalla medicina del lavoro. In precedenza e su un piano più generale, la Legge 27 marzo 1992 n. 257, intitolata "norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto" aveva regolato, tra l'altro, la decontaminazione e la bonifica di siti contaminati dall'amianto e, in particolare, quello della miniera di (Omissis) nella quale, principalmente, tale minerale era stato fino ad allora estratto, ma, per quanto qui rileva, aveva definito come utilizzazione dell'amianto la lavorazione e la produzione di prodotti contenenti amianto libero o legato in matrice friabile o in matrice resinoide, o di prodotti che comunque possano immettere nell'ambiente fibre di amianto. La Legge n. 257 del 1992 aveva operato rinvio ai valori limite di fibre per centimetro cubo tollerati secondo il Decreto Legislativo 15 agosto 1991, n. 277 poi modificato. La triade asbesto -malattie professionali- malattie mortali, era all'evidenza già largamente nota al legislatore fin dagli anni '40, per diventare man mano oggetto di sempre più ampia regolazione legale nella prospettiva della tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro. Le norme cautelari da osservare erano quantomeno quelle, note dal 1942, imposte dalla clausola generale dell'articolo 2087 c.c. la cui violazione era stata ritualmente (in forma e in sostanza) contestata nel capo di imputazione. Il capo di imputazione addebitava, tra l'altro, l'omessa denuncia all'Inail di lavorazioni che implicano l'impiego dell'amianto e dunque bene la sentenza impugnata evidenzia, nel contrappunto tra capo di imputazione e riscontro della ipotesi accusatoria, la reale e specifica consapevolezza degli imputati circa la pericolosità della sostanza il cui impiego neppure era denunziato in spregio di norme di legge che comportano per il denunziante non irrilevanti oneri contributivi speciali. La saldatura tra norme dell'ordinamento di diritto civile, di diritto della previdenza obbligatoria e norme dell'ordinamento penale, si realizza attraverso la regolazione contenuta nell'articolo 2087 c.c. che fin dai 1942 individua, con norma di chiusura ancora decisiva dopo l'inizio del terzo millennio, l'ambito delle obbligazioni di garanzia che investono il datore di lavoro imprenditore nei confronti dei lavoratori dipendenti in punto di tutela del loro diritto alla salute.

L'articolo 2087 c.c., impone al datore di lavoro imprenditore di adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare la integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Torna in proposito utile rammentare che Secondo Cass. Pen. Sez. 4 14/5/2009 n. 41782, risponde del delitto di omicidio colposo in danno di più lavoratori addetti a uno stabilimento di produzione di manufatti e deceduti per asbestosi, l'amministratore delegato della società proprietaria dello stabilimento che abbia omesso di vigilare sull'andamento generale della gestione di impresa e di adempiere alle obbligazioni di garanzia della salute e della integrità dei lavoratori che, secondo legge (a partire dalla norma generale di chiusura di cui all'articolo 2087 c.c. e a finire con le altre norme specifiche in materia) gravavano su di lui, in quelle obbligazioni comprese le obbligazioni di sicurezza, la obbligazione di apprestare risorse economiche per la bonifica, la obbligazione di allontanamento degli ammalati dalla fonte morbigena, le obbligazioni di informazione sul carattere dannoso della specifica organizzazione del lavoro adottata come scelta strategica di impresa, la obbligazione residuale di fornire presidi personali adeguati alla protezione dei singoli lavoratori, senza che possa opporre inconsapevolezze consustanziali alle omissioni, costitutive, proprio in quanto tali, della struttura del delitto colposo in quanto il non sapere di chi ha obbligo di sapere (in funzione dell'adeguato provvedere) è fattore costitutivo della colpa omissiva.

D'altro canto Cass. Pen. Sez. 4 30/9/2008 n. 37089 ha affermato che ai fini della integrazione dell'elemento della colpa, non è necessario che l'imputato si sia prefigurato il rischio di insorgenza di tumori, essendo sufficiente la consapevolezza e, quindi, la prevedibilità della generica nocività della respirazione delle polveri originate dalla attività lavorativa svolta.

In prima conclusione anche il secondo motivo del ricorso (Omissis) infondato e deve essere rigettato.

Il terzo motivo è espresso in forma non adeguatamente specifica e con richiamo di interi documenti il cui testo non è riportato, nè riassunto nè illustrato . Le doglianze relative alla validità della collocazione scientifica di taluni tecnici le cui conclusioni sono state condivise dalla sentenza impugnata si risolvono in argomentazioni "ex auetoritate" ormai estranee all'ordinamento positivo, argomentazioni suscettibili di introdurre nel sistema processuale classifiche e graduatorie pregiudiziali e incontrollabili circa la attendibilità delle fonti di prova e della efficacia dei contributi di consulenti e periti che viceversa devono essere ragionatamente e motivatamente scandagliate.

Anche il terzo motivo di censura del ricorso (Omissis) deve essere rigettato. Il quarto motivo di censura del ricorso (Omissis) è infondato alla luce degli argomenti sopra già sviluppati in apertura di motivazione . La sentenza impugnata ha dato puntuale applicazione ai principi enunciati da questa Corte in tema di rapporto di causalità e in tema di concorso di cause motivatamente soffermandosi sulla eziopatologia del mesotelioma pleurico e del carcinoma polmonare, sulla esclusione della ricorrenza di cause alternative del prodursi degli eventi illeciti con particolare attenzione alla confutazione specifica di ogni fondamento delle tesi che hanno ritenuto di individuare nell'uso del tabacco (abituale, minimo o inesistente secondo i diversi casi analizzati) una causa alternativa delle patologie e degli eventi infausti ad esse spesso seguiti e con applicazione a chiusura e a fronte della irricusabile esposizione alla "noxa" da asbesto, del principio della equivalenza della pluralità dei fattori concausali di cui all'articolo 41 c.p.. Ancora la sentenza impugnata, secondo quanto più sopra si è indicato, ha fornito corrette risposte motivazionali in punto di valutazione della prova, formazione del convincimento, utilizzo dei saperi dei tecnici ritualmente introdotti nel processo, metodologia dell'accertamento della verità oltre ogni ragionevole dubbio mediante verifica (anche empirica e riscontrata attraverso le evidenze probatorie) del vincolo di causalità identificato anche mediante la scelta di una tra le cd. leggi di copertura astrattamente impiegabili.

Ma anche il quinto motivo del ricorso (Omissis) deve essere rigettato. Il sopravvenire nel 1991 di un divieto dell'utilizzo dell'amianto non può essere assunto a titolo di liceità dell'impiego di amianto senza cautele fino al giorno di quella esplicitazione più categorica di divieto. Le due sentenze di merito hanno ampiamente accertato la irragionevolezza di una esposizione illimitata e senza forma di prudenza alcuna, sinteticamente definite in sentenza come "grande superficialità gestionale". Fino alla abrogazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 305 del 1956, articolo 21 e anche dopo quella abrogazione, sono rimaste vigenti le ordinarie regole di cautela generale la cui violazione è stata specificamente contestata e resta rilevante nella prospettiva degli eventi di cui agli articoli 589 e 590 c.p.. Tutte le regole cautelari poste a tutela del diritto alla salute si riferiscono ad attività umane non interdette per il cui svolgimento è necessaria l'osservanza di regole cautelari generali, ma non per questo indeterminate e non per questo configurabili come violative del principio di tipicità di cui all'articolo 1 c.p., norme generali il cui rispetto non deve venire meno neppure dopo aver dato osservanza stretta (ma egualmente insufficiente) a regole6 cautelari specifiche (Cass. Pen. Sez. 4 26/7/2007 n. 25962 peraltro in tema di circolazione stradale). Infine, contrariamente all'assunto di ricorso, la sentenza impugnata, proprio attraverso la dimostrazione della qualità di malattia dose correlata del mesiotelioma pleurico pone in evidenza che l'adozione di restrizioni alla esposizione avrebbe quantomeno allungato il periodo di latenza della malattia o avrebbe allontanato il giorno della morte, in ogni caso aprendo spazi a terapie riparative non rese vane da accumulo di mutazioni cellulari o, nel migliore dei casi avrebbe impedito o allontanato l'insorgenza della malattia medesima. La prevedibilità degli eventi accaduti è iscritta nella successione di leggi relative all'impiego dell'amianto applicate in Italia dal 1934 in poi. D'altro canto ai fini del giudizio di prevedibilità dell'evento deve aversi riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita alla situazione di danno (non a caso la sentenza impugnata stigmatizza la gestione superficiale e irragionevolmente incurante della esposizione) e non anche alla rappresentazione ex ante dell'evento dannoso (Cass. Pen. Sez. 4 19/5/92 n. 5919).

Il ricorso (Omissis) è infondato in ogni sua parte e deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Anche il ricorso (Omissis) deve essere rigettato per causa della sua totale infondatezza.

Il primo motivo del ricorso (Omissis) deve essere rigettato in forza di quanto fin qui argomentato in punto di ben rilevabile presenza di un testo scritto di motivazione peraltro implementato da adeguate argomentazioni in punto di condivisione della ricostruzione in fatto operata dalla sentenza di primo grado circa la organizzazione del lavoro presso le (Omissis) e in punto di motivato scostamento della decisione di appello dalle valutazioni assolutorie della sentenza di primo grado fondate su una criticata costruzione della causalità dei fatti rilevanti nel processo e su una diversa valutazione della corretta formazione del convincimento del giudice non meccanicamente legato alle conclusioni peritali o alle indicazione dei consulenti di parte. Ribadita la diversa valutazione della teoria della indipendenza del mesotelioma pleurico dalla intensità e dalla durata della esposizione alla "noxa" amianto, motivatamente il giudice di appello ha statuito all'esito dell'accertamento al di là di ogni ragionevole dubbio della causalità dei fatti addebitati e della colpa degli imputati per il tempo di loro posizione di garanzia.

La ricostruzione del quadro ordinamentale relativo all'impiego dell'amianto nell'industria italiana, e della vicenda del nascere e dell'evolversi delle conoscenze di medicina legale in tema di malattie da asbesto, comporta il rigetto per infondatezza anche del secondo motivo di censura del ricorso (Omissis) che oppone alla motivazione di appello la reiterazione delle ragioni già adeguatamente rifiutate dal quel giudice di secondo grado, sia in tema di conoscenza del carattere nocivo dell'uso dell'amianto ai tempi considerati in rubrica, sia in tema di evitabilità del rischio individuata dalla sentenza di appello nella riduzione o nell'abbattimento della esposizione alle polveri o alle fibre liberate per causa della di lavorazione , sia in tema di sussistenza della colpa dell'imputato affermata a fronte della posizione di garanzia da lui rivestita, ed accertata dalla sentenza. Il terzo motivo di censura deve essere rigettato posto che il provvedimento di annullamento della assoluzione di primo grado per le lesioni in danno del lavoratore (Omissis) con invio degli atti al PM del primo grado per esaminare sotto specie di omicidio colposo (così stabilito a fronte della morte del lavoratore sopravvenuta nelle more del giudizio) un fatto già giudicato dalla sentenza di primo grado come fatto di lesioni, costituisce puntuale applicazione del combinato degli articoli 521 e 528 c.p.p. e allo stesso tempo costituisce adeguato provvedimento di garanzia del diritto di difesa degli imputati.

Le considerazioni svolte costituiscono in ogni caso risposta complessiva a tutte le doglianze svolte dai due ricorsi ancorchè la dimostrazione motivazionale sia svolta in forma distinta con lo scopo di seguire più specificamente i percorsi delle due impugnazioni.

In conclusione entrambi i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.