Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 giugno 2012, n. 9650 - Malattia (linfoma non-Hodgkin) e presunta causa di servizio


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro - Presidente

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere

Dott. VENUTI Pietro - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. TRIA Lucia - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA


sul ricorso proposto da:

(Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato STUDIO Avv. (Omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato (Omissis);

- ricorrente -

contro

(Omissis) S.P.A., (già (Omissis)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 502/2010 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 01/02/2010 R.G.N. 2473/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/04/2012 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l'Avvocato (Omissis);

udito l'Avvocato (Omissis) per delega (Omissis);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto



1- La sentenza attualmente impugnata rigetta l'appello proposto da (Omissis) avverso la sentenza del Tribunale di Bari del 20 giugno 2006, di rigetto della domanda della stessa volta ad ottenere la condanna della (Omissis) s.p.a. (già (Omissis) s.p.a.) alla corresponsione, in proprio favore, dei benefici spettanti per legge al marito (Omissis), già dipendente delle (Omissis), deceduto il (Omissis) per malattia (linfoma non-Hodgkin) asseritamente contratta per causa di servizio.

La Corte d'appello di Bari, per quel che qui interessa, precisa che:

a) tutti i consulenti tecnici di ufficio e anche il consulente tecnico di parte hanno riconosciuto che l'eziopatogenesi dei linfomi non-Hodgkin è ancora sostanzialmente ignota;

b) il c.t.p., specialista in oncologia, ha specificato che - pur nella consapevolezza "della mancanza di attendibili conferme per qualsivoglia ipotesi etiologica in merito a tali neoplasie" - va considerato che il (Omissis), nel corso della sua attività lavorativa, è stato certamente esposto al creosoto, sostanza derivata dal petrolio adoperata come preservante del legno delle traversine (onde renderlo impermeabile rispetto agli agenti atmosferici), utilizzate dalle (Omissis) per poggiare i binari (che venivano ivi imbullonati per ragioni di stabilità) e che vi era l'abitudine di bruciare le traversine dismesse per riscaldare le garitte di guardia;

c) il suddetto specialista ha aggiunto che la IARC (International Agency for Research on Cancer - Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro) ha classificato il creosoto, come composto cancerogeno di seconda categoria, il che comporta che esso sia considerato come sostanza chimica che, per contatto, si configura come ;un probabile agente causale di neoplasie, in senso generale, cioè senza con questo "voler in alcun modo suggerire azzardate ipotesi etiologiche";

d) lo stesso oncologo ha anche posto l'accento sullo stress connesso al tipo di condizioni climatiche e ambientali in cui il (Omissis) nello svolgimento, protrattosi per lunghi anni, dell'attività di casellante ferroviario è stato chiamato ad operare ed ha sottolineato che le fonti di stress cui è stato esposto il lavoratore (privazioni del sonno, solitudine, lunga permanenza in ambienti freddi) sono comprese tra quelle che rendono più alta la probabilità di neoplasie (sempre in generale);

e) va, peraltro, sottolineato che tutti e tre i c.t.u., concordemente, hanno affermato che - ferma restando l'origine ancora ignota della genesi, evidenziata anche dal c.t.p. - i fattori che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, sembrano essere la causa più probabile dei Linfomi non-Hodgkin sono diversi da quelli che, a detta del c.t.p., possono essere avere efficacia causale per l'insorgenza delle neoplasie, in generale, ma non specificamente dei linfomi non-Hodgkin;

f) sono da condividere le conclusioni dei tre c.t.u. perchè sorrette da ampia motivazione, fondate su rigorose valutazioni medico-legali, immuni da carenze o deficienze diagnostiche e per nulla sconfessate, sul piano scientifico, dalle argomentazioni del c.t.p. richiamate nell'atto di appello;

g) in questa situazione, l'attività istruttoria sollecitata dall'appellante è del tutto inutile perchè tende a dimostrare fatti (le modalità particolari di svolgimento dell'attività lavorativa) che, come hanno illustrato i consulenti d'ufficio, anche se sussistenti non possono aver avuto alcuna incidenza causale nell'insorgenza della malattia del (Omissis);

h) conseguentemente, è anche da escludere che si debba disporre la quarta c.t.u., come richiesto dall'appellante.

2- Il ricorso di (Omissis) domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resiste, con controricorso, illustrato da memoria, (Omissis) s.p.a.

 

Diritto



1 - Sintesi dei motivi di ricorso.

1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5, vizio di motivazione, ovvero erronea e insufficiente (ma per alcuni aspetti omessa) motivazione.

Si sostiene che la Corte territoriale abbia ignorato elementi scientifici di primaria importanza - perchè attestanti il ruolo concausale della specifica attività di casellante ferroviario svolta dal (Omissis) rispetto alla genesi della patologia linfomatosa esitata poi nel decesso tutti riportati nell'elaborato dell'unico consulente specialista in oncologia.

Si sottolinea che, invece, la Corte barese ha copiato parte degli elaborati del primo e del secondo c.t.u., non contenenti una vera e propria disamina di carattere scientifico sui rischi lavorativi presenti nell'attività del (Omissis), e comunque non ha espresso alcun apprezzamento nè ha effettuato alcuna valutazione al riguardo, nè ha spiegato le ragioni della condivisione delle conclusioni dei suddetti consulenti.

Lo stesso è accaduto con le conclusioni del terzo c.t.u., di maggiore pregio scientifico, benchè sempre orientate a disconoscere il rapporto causale o concausale tra l'attività lavorativa e la malattia denunciata.

Inoltre, si rileva la Corte territoriale non ha effettuato alcuna indagine - nè ha verificato l'operato dei tre c.t.u. al riguardo (nessuno dei quali ha esaminato le cartelle cliniche del lavoratore, debitamente allegate) - in merito alla presenza, nella storia clinica del (Omissis), di alcuno dei fattori che, secondo i consulenti d'ufficio, potevano essere causa della insorgenza della patologia denunciata. Infatti, l'esclusione della presenza di tali specifici fattori - facilmente apprezzabile dalla sola lettura delle cartelle cliniche avrebbe agevolmente consentito di valutare, con la dovuta serenità, l'incidenza causale di altri elementi quelli derivanti dall'attività lavorativa che, invece, sono stati trascurati da tutti e tre i c.t.u. e dai Giudici, pur essendo stati evidenziati dall'oncologo e dal medico del lavoro (consulenti di parte del lavoratore) e perfino richiamati dal terzo consulente d'ufficio.

In particolare si sottolinea che - posto che i consulenti (d'ufficio e di parte) avevano indicato, almeno in via ipotetica, alcune cause genetiche dei linfomi non-Hodgkin e posto che dalla documentazione sanitaria in atti risulta l'assenza nel (Omissis) delle patologie che i c.t.u. indicano come predisponenti - allora avrebbero dovuto essere presi in considerazione gli altri fattori di rischio - rilevati dai c.t.p. ma anche riferiti da uno dei c.t.u. - legati all'attività lavorativa svolta dal (Omissis).

In quest'ultimo ambito, avrebbero dovuto essere specificamente accertati - anche per mezzo della formulazione di adeguati quesiti ai consulenti - non soltanto i fattori di rischio "diretto" (come l'esposizione ai fumi di combustione delle traverse, iniettate con creosoto), ma anche quelli di rischio "indiretto", quali l'abbassamento delle difese immunitarie derivante dalle particolari modalità di svolgimento delle mansioni di casellante ferroviario.

A tale elemento - cui si fa riferimento già nel primo dei certificati medici in atti - l'oncologo consulente di parte ha attribuito uno specifico ruolo concausale nella genesi del linfoma, ma anche uno dei consulenti d'ufficio l'ha indicato come un "possibile" rischio per l'insorgenza della malattia, sicchè si tratta di un aspetto importante, che invece la Corte barese ha del tutto disatteso, limitandosi a prendere in considerazione gli ipotizzati fattori di rischio diretto.

2- Con il secondo motivo di ricorso si denuncia:

a) in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5, erronea motivazione in ordine ai mezzi istruttori richiesti (peraltro ritualmente esperiti in primo grado), mancata valutazione e omessa motivazione delle risultanze di tale attività istruttoria;

b) in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ..

Si sottolinea che la Corte barese non si è pronunciata sullo specifico motivo di appello dell'attuale ricorrente con il quale era stata denunciata l'omessa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado relative alle particolari modalità di svolgimento dell'attività lavorativa del (Omissis) e inoltre non ha ammesso i mezzi istruttori richiesti sul punto considerandoli inutili, sull'assunto secondo cui i consulenti d'ufficio avrebbero escluso qualsiasi incidenza causale delle suddette modalità nell'insorgenza della malattia.

Comunque, la Corte territoriale non ha tenuto conto delle risultanze istruttorie espletate, al riguardo, in primo grado e, per tale ragione, ha violato gli articoli 115 e 116 cod. proc. civ..

3.- Con il terzo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 175, 115 e 116 cod. proc. civ.

Si contesta che la Corte barese, essendo stata informata degli effetti dannosi dell'inalazione delle sostanze delle quali erano impregnate le traverse dei binari (in particolare: il creosoto), non abbia avviato d'ufficio tutte le indagini necessarie a stabilire il rischio concreto al quale inconsapevolmente era stato esposto il lavoratore per un lungo periodo. Sarebbe, altresì, stato necessario che il Giudice d'appello accertasse tale aspetto sulla base del fascicolo personale e del fascicolo sanitario del lavoratore che la società non ha mai esibito (nonostante apposita richiesta dell'interessata effettuata in primo grado e rinnovata in appello).

2 - Esame delle censure.

4.- I motivi - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione - non sono da accogliere.

4.1.- In linea generale, va osservato che, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell'intestazione del secondo e del terzo motivo, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti.

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all'ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all'articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

4.2.- Inoltre, per quanto riguarda le condizioni per la configurabilità del vizio di motivazione derivante dalla valutazione dei risultati di più consulenze tecniche (d'ufficio e/o di parte) espletate nel giudizio di merito, va ricordato che in base ai consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte - elaborati sul presupposto che le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice, il quale può legittimamente disattenderle ma soltanto attraverso una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e logicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico-giuridici per addivenire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u. (vedi, per tutte: Cass. 3 marzo 2011, n. 5148) si è stabilito che:

1) le consulenze tecniche di parte non costituiscono mezzi di prova ma allegazioni difensive di contenuto tecnico, prive di autonomo valore probatorio, che, se non confutate esplicitamente, devono ritenersi implicitamente disattese, senza che ciò dia luogo a vizio di motivazione, non trattandosi di circostanze acquisite alla causa attraverso prove orali o documentali (Cass. 29 gennaio 2010, n. 2063; Cass. 18 aprile 2001, n. 5687; Cass. 22 settembre 2011, n. 19399; Cass. 29 agosto 1997, n. 8240; Cass. SU, 9 marzo 1965, n. 375);

2) invece, qualora il giudice di merito, a fronte di precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte alle risultanze della consulenza tecnica d'ufficio, non le abbia in alcun modo prese in considerazione e si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio, giacchè il potere di detto giudice di apprezzare il fatto non equivale ad affermare che egli possa farlo immotivatamente e non lo esime, in presenza delle riferite contestazioni, dalla spiegazione delle ragioni - tra le quali evidentemente non si annovera il maggior credito che egli eventualmente tenda a conferire al consulente d'ufficio quale proprio ausiliare - per le quali sia addivenuto ad una conclusione anzichè ad un'altra, incorrendo, altrimenti, proprio nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass. 1 marzo 2007, n. 4797; Cass. 24 aprile 2008, n. 10688; Cass. 2 dicembre 2011, n. 25862; Cass. 16 giugno 2001, n. 8165);

3) ciò vale, del resto, anche nell'ipotesi in cui nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze tecniche d'ufficio in tempi diversi con risultati difformi, nel senso che, anche in questo caso, il giudice può seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene purchè sia adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento, senza limitarsi ad una adesione acritica alle conclusioni del secondo dei consulenti priva di giustificazioni della propria preferenza, a meno che le ragioni per le quali vengono disattese le conclusioni del primo consulente risultino criticamente esaminate dalla nuova relazione, cui il giudice aderisce (arg. ex Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063; Cass. 16 giugno 2001, n. 8165);

4) inoltre, il giudice può discostarsi da tutte le differenti soluzioni prospettate dai diversi consulenti nominati nel corso del giudizio di merito in tempi diversi, ma soltanto dando adeguata giustificazione del suo convincimento, mediante l'enunciazione dei criteri probatori e degli elementi di valutazione specificamente seguiti, nonchè, trattandosi di una questione meramente tecnica, fornendo adeguata dimostrazione di avere potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizioni proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (vedi, per tutte: Cass. 3 marzo 2011, n. 5148).

4.3.- Ne deriva che la Corte barese si è del tutto uniformata ai suddetti principi perchè ha valutato i risultati di tutte le consulenze - di ufficio e di parte - espletate nel corso del giudizio, dando conto di tale valutazione in modo adeguato - diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente - ed ha spiegato, in modo congruente e logico, le ragioni che l'hanno indotta ad escludere, in base allo stato attuale delle conoscenze scientifiche quale riportato nelle relazioni dei consulenti, un nesso causale tra l'attività lavorativa di casellante ferroviario svolta pure in condizioni estremamente disagevoli e stressanti, protrattesi per molti anni - dal (Omissis) e l'insorgenza della forma di linfoma non-Hodgkin che ne ha causato il decesso.

La Corte territoriale ha mostrato di avere valutato con l'attenzione e lo scrupolo che la delicatezza del caso necessitavano - tutti gli elementi esaminati dai diversi consulenti tecnici ed ha posto l'accento, in particolare, sulle seguenti considerazioni: 1) tutti i consulenti - d'ufficio e di parte, compreso lo specialista in oncologia hanno sottolineato che i fattori di rischio per l'insorgenza dei linfomi non-Hodgkin non sono ancora noti con certezza alla scienza medica; 2) i tre c.t.u., concordemente, hanno anche affermato che i fattori di rischio indicati dal consulente di parte possono essere avere efficacia causale per l'insorgenza delle neoplasie, in generale, ma non specificamente dei linfomi non-Hodgkin (come, del resto, risulta dalle stesse conclusioni del c.t.p. e dagli studi della scienza medica); 3) i pochi fattori di rischio (o predisponenti) che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, sembrano essere la causa più probabile specificamente dei linfomi non-Hodgkin sono diversi da quelli indicati dal c.t.p..

Per le suddette ragioni, la Corte barese ha ritenuto di condividere le conclusioni dei tre c.t.u. - concordi tra loro sui suddetti punti fondamentali ed assorbenti - perchè le ha considerate sorrette da ampia motivazione, fondate su rigorose valutazioni medico-legali, immuni da carenze o deficienze diagnostiche e per nulla sconfessate, sul piano scientifico, dalle argomentazioni del c.t.p. richiamate nell'atto di appello.

4.4.- La suddetta adesione ha determinato, logicamente, l'inutilità non solo di dare conto dell'esame della documentazione medica del (Omissis) richiamata nel presente ricorso ma anche di espletare una quarta consulenza tecnica d'ufficio, come richiesto dalla (Omissis).

Ed anche tali scelte - nei limiti in cui sono suscettibili di vaglio in questa sede - appaiono del tutto immuni dalle censure formulate nel ricorso.

Va, infatti, considerato che, in linea generale, è jus reception che, ai fini dell'adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dall'articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, articoli 115 e 116 cod. proc. civ., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell'esito dell'esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite (Cass. 4 marzo 2011, n. 5241; Cass. 27 luglio 2006, n. 17145).

D'altra parte, poichè l'articolo 116 cod. proc. civ. prescrive come regola di valutazione delle prove quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione - da fare ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 4 - è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l'ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure che il legislatore prevede per una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui trattasi), mentre la circostanza che il giudice, invece, abbia male esercitato il prudente apprezzamento della prova è censurabile solo ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 5 (vedi, per tutte: Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

Inoltre, il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali denunciabile in sede di legittimità - peraltro, nel rispetto del principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, i cui confini sono stati definiti, da ultimo, da Cass. SU 3 novembre 2011, n. 22726 - deve riguardare specifiche circostanze oggetto della prova o del contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, sulle quali il giudice di legittimità può esercitare il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse (arg. ex Cass. 30 luglio 2010, n. 17915; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486).

Infine, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell'opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d'ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in loto, le indagini, sostituendo l'ausiliare del giudice, e che l'esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità, ove ne sia data adeguata motivazione, immune da vizi logici e giuridici (Cass. 30 marzo 2010, n. 7622; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063; Cass. 14 novembre 2008, n. 27247; Cass. 11 maggio 2007, n. 10849).

4.5.- Nel caso di specie, la conclusione cui è pervenuta la Corte barese in adesione alle conclusioni dei tre c.t.u. (non smentite sul piano scientifico dal c.t.p.) è quella secondo cui tra i pochi fattori di rischio (o predisponenti) che, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, sembrano essere la causa più probabile specificamente dei linfomi non-Hodgkin non vi sono quelli - collegati alle disagevoli e particolari modalità dell'attività lavorativa del (Omissis) e alla inalazione di creosoto - indicati dal c.t.p. specialista in oncologia, che rientrano tra i fattori di rischio che possono essere avere efficacia causale per l'insorgenza delle neoplasie, in generale, ma non specificamente dei linfomi non-Hodgkin.

In particolare, la Corte d'appello tiene anche conto del fatto che il secondo dei c.t.u. ha evidenziato che, tra i possibili fattori di rischio dei linfomi non-Hodgkin - patologie che insorgono prevalentemente in soggetti di sesso maschile aventi una età compresa tra i quaranta e i sessanta anni - la scienza ha individuato alcuni agenti chimici (alchilanti), fisici-(radiazioni ionizzanti) e virali (virus di Epstein-Barr). Tuttavia, la Corte sottolinea che è stato accertato anche che, tra tali agenti, non è al momento compreso il creosoto - che veniva utilizzato come preservante del legno il quale secondo la IARC (International Agency for Research on Cancer - Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro) - che fa parte dell'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) n.d.r. - ha un ruolo carcinogenetico dimostrato nelle neoplasie cutanee, mentre l'incidenza dell'esposizione a tale sostanza sulla comparsa dei linfomi è allo stato sperimentale (sui topi).

La Corte barese precisa, altresì, che anche il terzo consulente d'ufficio ha confermato - con dati ulteriormente aggiornati - l'assenza di probanti correlazioni tra l'esposizione al catrame e agli oli minerali - e, quindi, al creosoto, che è una miscela di diversi fenoli ed eteri fendici ottenuta per distillazione del catrame di legno di faggio - con la patologia neoplastica che ha causato il decesso del (Omissis) ed ha quindi affermato l'impossibilità di attribuire, allo stato delle conoscenze, un rapporto causale e/o concausale tra l'attività lavorativa del casellante e il linfoma non-Hodgkin da questi contratto.

4.6.- Date queste univoche emergenze scientifiche negative - dipendenti dall'attuale stato sperimentale sia degli studi sui fattori di rischio dei linfomi non-Hodgkin (che, per la scienza medica costituiscono tuttora un gruppo eterogeneo di tumori sia dal punto di vista istologico che clinico) sia degli studi sulla cancerogenicità del creosoto, rispettivamente per contatto e per inalazione - non vi erano le premesse per effettuare ulteriori indagini (nella documentazione medica del (Omissis)) ovvero per disporre una nuova consulenza tecnica d'ufficio, in quanto come ha espressamente ed esaurientemente precisato la Corte d'appello per la quarta c.t.u. - si sarebbe comunque trattato di approfondimenti purtroppo inutili.

Infatti, l'eventuale assenza di fattori endogeni predisponenti e causali, quali le immunodeficienze, le malattie autoimmuni (come la tiroidite di Hashimoto e la malattia celiaca o altro) ovvero l'infezione da virus di Epstein-Barr e l'eventuale conferma dell'avvenuta inalazione per lungo tempo di creosoto in condizioni di lavoro stressanti non avrebbero mai potuto consentire di affermare una incidenza causale e/o concausale dell'attività lavorativa svolta rispetto alla malattia letale contratta, tale da essere rilevante del presente giudizio.

A tale ultimo riguardo, basta pensare, del resto, che nell'ambito dell'Unione europea, pur essendosi affermata la sicura nocività del creosoto, come risulta dalla direttiva 2001/90/CE del 26 ottobre 2001, che ha vietato la vendita ai consumatori di alcuni prodotti della famiglia dei creosoti a causa della loro cancerogenità, tuttavia non se ne è del tutto vietata l'utilizzazione a scopi industriali (pur limitandosene l'ambito applicativo), anche se, come è stato affermato da questa Corte (Cass. pen. 14 aprile 2004, n. 23988) le traversine di legno impregnate di olio di creosoto una volta dismesse vanno classificate come rifiuti pericolosi, in quanto non sussiste in ogni caso la fondamentale condizione dell'assenza di pregiudizio per l'ambiente.

In altri termini, anche da questo punto di vista, l'operato della Corte barese appare del tutto conforme alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nell'ipotesi di malattia ad eziologia multi fattoriale (non tabellata) il nesso di causalità con l'attività lavorativa svolta non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di concreta e specifica dimostrazione - quanto meno in via di probabilità - in relazione alla concreta esposizione al rischio ambientale e alla sua idoneità causale alla determinazione dell'evento morboso, salvo restando che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un notevole grado di probabilità e il giudice può giungere al giudizio di ragionevole probabilità sulla base della consulenza tecnica d'ufficio che ritenga compatibile la malattia non tabellata con la noxa professionale utilizzando, a tale scopo, anche dati epidemiologici, per suffragare una qualificata probabilità desunta anche da altri elementi, sicchè in tal caso, il dato epidemiologico (che di per sè attiene ad una diversa finalità) può assumere un significato causale e pertanto la mancata utilizzazione di tale dato da parte del giudice, nonostante la richiesta della difesa corroborata da precise deduzioni del consulente tecnico di parte, è denunciarle per cassazione (arg. ex Cass. 13 luglio 2011, n. 15400; Cass. 10 febbraio 2011, n. 3227).

Nel caso di specie, come si è detto, la rilevanza dell'origine professionale della malattia è rimasta allo stato di mera eventualità (più che di possibilità), non avendo nessuno dei consulenti - nè di ufficio nè di parte prefigurato un rapporto causale in termini di probabilità, sulla base dei risultati delle sperimentazioni scientifiche più accreditate del momento.

3. - Conclusioni.

5.- Per le suesposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 20,00 per esborsi, euro 1500,00 (millecinquecento/00) per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.