Cassazione Civile, Sez. Lav., 14 giugno 2012, n. 9704 - Amianto e soglia di esposizione al rischio


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella - Presidente

Dott. MANNA Antonio - Consigliere

Dott. BERRINO Umberto - Consigliere

Dott. MELIADò Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. ESPOSITO Lucia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA



sul ricorso 5587/2011 proposto da:

(Omissis) (Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

I.N.P.S. - ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (Omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l'Avvocatura Centrale dell'Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati (Omissis), (Omissis), (Omissis), (Omissis), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 4399/2010 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 26/08/2010 R.G.N. 2667/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/05/2012 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADò;

udito l'Avvocato (Omissis);

Udito l'Avvocato (Omissis);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto



Con sentenza in data 12.5/26.8.2010 la Corte di appello di Roma confermava la decisione di primo grado che rigettava la domanda proposta da (Omissis) ai fini del riconoscimento del beneficio previdenziale di cui alla Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, con conseguente ricostituzione del trattamento pensionistico.

Osservava la Corte territoriale che, in esito all'istruttoria disposta nel corso del giudizio, era rimasta indimostrata l'adibizione ultradecennale della lavoratrice a mansioni comportanti un effettivo e personale rischio morbigeno a causa della presenza nei luoghi di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto tale da superare la soglia prevista dal Decreto Legge n. 277 del 1991.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso (Omissis) con tre motivi.

Resiste con controricorso, illustrato con memoria, l'INPS.

Diritto

 



1. Con il primo motivo il ricorrente prospetta vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, osservando che la Corte territoriale aveva omesso di motivare in ordine ai rilievi svolti alla relazione di consulenza, con particolare riferimento alla carenza di specifica competenza tecnica dell'ausiliare nominato, alla mancata acquisizione di dati su campioni di area per il periodo antecedente al 1987, alle numerose neoplasie che avevano interessato i dipendenti dell' (Omissis).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (Legge n. 257 del 1992, articolo 13 comma 8, Decreto Legislativo n. 277 del 1991) in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, ed, al riguardo, osserva che erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto la concessione del beneficio condizionata, oltre che ad una esposizione ultradecennale, al superamento anche di una specifica soglia di rischio, laddove la Legge n. 257 del 1992, non contenendo alcun riferimento al Decreto Legislativo n. 277 del 1991, aveva attribuito il diritto alla supervalutazione contributiva a tutti i lavoratori già esposti, per come dimostrava pure la previsione del Decreto Legge n. 269 del 1993, articolo 47, conv. nella Legge n. 326 del 2003, che tale concorrente requisito aveva ex uovo espressamente introdotto.

Con il terzo motivo viene denunciata, infine, violazione e falsa applicazione degli articoli 2699 e 2700 c.c., osservando che la Corte di merito, con erronea valutazione, aveva omesso di porre a fondamento del proprio convincimento il verbale dell'USL del 18.7.1987, che aveva disposto la decontaminazione dell'edificio, sebbene si trattasse di atto pubblico, assistito da presunzione di legittimità ed avente l'efficacia probatoria prevista dall'articolo 2700 c.c..

2. Il primo motivo è infondato.

Giova, al riguardo, preliminarmente ribadire come, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, il controllo del giudice del merito sui risultati dell'indagine svolta dal consulente tecnico d'ufficio si risolve in un tipico apprezzamento di fatto, incensurabile in cassazione, se assistito da motivazione sufficiente (v. ad es. Cass. n. 19661/2006), e che rientra, in particolare, nei poteri discrezionali dello stesso la valutazione dell'opportunità di disporre indagine tecniche suppletive o integrative, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico d'ufficio sulla relazione già depositata ovvero di rinnovare, in parte o in tutto, le indagini già espletate (cfr. ad es Cass. n. 27427/2008).

Nel caso in esame, la Corte territoriale, dopo aver dato atto della "particolare esperienza nella materia" del consulente nominato, ha puntualmente richiamato le valutazioni tecniche dallo stesso operate (e dalle quali conclusivamente era emerso che, nel periodo in cui il ricorrente aveva lavorato nell'edificio di (Omissis), le condizioni di potenziale inquinamento "corrispondevano a concentrazioni ambientali di amianto comprese tra zero e poche unità di fibre per litro d'aria" e che tali condizioni, sulla base delle numerose indagini tecniche al tempo espletate, non si erano modificate neppure durante i lavori di bonifica dell'amianto), ed ha, altresì, rilevato che le censure mosse dal ricorrente si fondavano su argomentazioni che risultavano "già contraddette dalle osservazioni di cui alle pagine 21 e 22 di detta relazione".

A fronte di tali considerazioni, che danno conto della adeguatezza della motivazione adottata dai giudici di appello e del vaglio critico dagli stessi operato sulle indagini tecniche espletate, il ricorrente, pur lamentando la mancata considerazione dei propri rilievi, nemmeno ha documentato, per come era pur imposto dal canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione, il contenuto delle osservazioni richiamate dalla Corte territoriale, e dalla medesima ritenute idonee a superare le contestazioni prospettate, nè, tanto meno, ha documentato di aver contestato, già al momento della sua nomina, il difetto di "competenza specialista"del consulente d'ufficio.

Ne deriva che la decisione impugnata, in quanto idonea ad individuare le fonti del proprio convincimento e a giustificare in modo logicamente plausibile la decisione, non risulta, con riferimento al motivo in esame , sindacabile in sede di legittimità.

3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.

Il motivo, infatti, contrasta con consolidati precedenti di questa Suprema Corte, ed, in particolare, con l'arresto che il disposto della Legge n. 257 del 1992, articolo 13, comma 8, deve essere interpretato nel senso che il beneficio pensionistico ivi previsto spetta unicamente ai lavoratori che, in relazione alle lavorazioni cui sono stati addetti e alle condizioni dei relativi ambienti di lavoro, abbiano subito per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate le pause fisiologiche, quali riposi, ferie e festività) una esposizione a polveri di amianto superiori ai limiti previsti dal Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articoli 24 e 31 (v. ex multis ad es. Cass. n. 12866/2007; Cass. n. 27451/2006; Cass. 16119/2005; Cass. n. 17988/2010; Cass. (ord) n. 21089/2010).

Questa linea interpretativa (che si collega con l'orientamento del giudice delle leggi, che ha ripetutamente rilevato che la norma in esame ha una portata precettiva delimitata dalla previsione del periodo temporale minimo di esposizione a rischio e dalla riferibilità a limiti quantitativi inerenti alle potenzialità morbigene dell'amianto contenuti nel Decreto Legislativo n. 277 del 1991, e succ. mod.: sent n. 5/2000 e n. 434/2002) si riconnette all'esigenza di individuare una soglia di esposizione al rischio che valga a dare concretezza alla nozione di esposizione all'amianto presa in considerazione dalla disposizione di legge, che non contiene, nella mera formulazione letterale, quegli elementi di delimitazione del rischio, quali sono, invece, rappresentati, nella previsione del comma 6, dal particolare tipo di lavorazione (nelle cave o nelle miniere di amianto), o, in quella del comma 7, dalla insorgenza di una malattia professionale correlata all'esposizione stessa.

In tal contesto, si è, quindi, precisato, con orientamento che può ritenersi ormai acquisito, che, del riferimento complessivo al Decreto Legislativo n. 277 del 1991, articoli 24 e 31, è rilevante in concreto il dato emergente dalla prima norma, la quale indica (o meglio, indicava, stante l'abrogazione di tutto il capo 3 del Decreto Legislativo n. 277 del 1991, comprendente sia l'articolo 24 che l'articolo 31, da parte del Decreto Legislativo 25 luglio 2006, n. 257, articolo 5, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria 2003/18/CE del 27 marzo 2003, inserendo la novellata disciplina nel Decreto Legislativo n. 626 del 1994) il valore di 0,1 fibre di amianto per centimetro cubo, in rapporto ad un periodo lavorativo di otto ore, quale soglia il cui superamento implica la valutazione della relativa posizione di lavoro come esposta ad un rischio qualificato e concreto, richiedente l'adozione di apposite misure di prevenzione e monitoraggio (quali l'obbligo di notifica all'organo di vigilanza, l'informazione periodica al lavoratore circa i rischi, la delimitazione dei luoghi esposti al rischio, con restrizione di accesso ai medesimi e messa a disposizione in favore dei lavoratori dei mezzi individuali di protezione, la misurazione periodica dei livelli di esposizione, l'apprestamento di particolari misure in ordine agli indumenti di lavoro) (v. ad es. Cass. n. 16256/2003; Cass. n. 16119/2005; Cass. n. 400/2007; Cass. n. 18495/2007; Cass. n.29660/2008; Cass. n. 849/2009; Cass. 4650/2009 ed ult. cit.).

Merita soggiungere che il Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 59 decies, introdotto dal Decreto Legislativo n. 257 del 2006, articolo 2, ha ormai fissato (in attuazione della già rammentata direttiva comunitaria) nel valore di 0,1 fibre per centimetro cubo il limite massimo di esposizione ad amianto.

E che la stessa soglia è stata recepita, con utilizzazione di una diversa unità di misura, dal Decreto Legge n. 269 del 2003, articolo 47 (conv. con modificazioni nella Legge n. 326 del 2003 e la cui portata è stata ulteriormente precisata dalla Legge n. 350 del 2003, articolo 3, comma 132), che, se ha modificato ratione temporis la portata e la misura del beneficio contributivo accordato, ha, comunque, confermato la necessità, anche con riferimento al periodo pregresso, di una soglia di esposizione quantitativamente precisata (cfr. Cass. 21257/2004; Cass. n. 400/2007).

Alla luce di tali precedenti, il ricorso non offre elementi per non dare continuità all'orientamento già espresso dalla Corte.

4. Nel rigetto dei precedenti motivi resta assorbito l'esame dell'ultimo mezzo di impugnazione, il quale evidenzia, comunque, anche un vizio di autosufficienza, per fondarsi lo stesso sulla asserita inadeguata valutazione di atti, il cui contenuto non risulta documentato, in seno al ricorso, attraverso idonea trascrizione.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla sulle spese, in applicazione dell'articolo 152 disp. att. c.p.c., e nel testo (anteriore alla novella di cui al Decreto Legge n. 269 del 2003, articolo 42, comma 11, conv. nella Legge n. 326 del 2003, entrato in vigore il 2.10.2003) vigente ratione temporis.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.