Cassazione Civile, Sez. 6, Ordinanza 26 giugno 2012, n. 10657 - Nesso tra attività lavorativa di insegnante di sostegno e grave stato di depressione che aveva determinato il suicidio




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno - Presidente

Dott. LA TERZA Maura - rel. Consigliere

Dott. TOFFOLI Saverio - Consigliere

Dott. MAMMONE Giovanni - Consigliere

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



ORDINANZA


sul ricorso proposto da:

(Omissis) (Omissis), elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), rappresentata e difesa dall'avvocato (Omissis), giusta mandato in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE (Omissis) e MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITà E DELLA RICERCA - già della Pubblica Istruzione (Omissis) in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende, ope legis;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 1417/2009 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO del 17.12.09, depositata il 30/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/04/2012 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;

è presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARCELLO MATERA.

 

FattoDiritto



Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Catanzaro, all'esito di nuova consulenza medica e dopo avere autorizzato il deposito di note, confermando la statuizione di primo grado, rigettava la domanda proposta da (Omissis) nei confronti dei Ministeri dell'Economia e della Pubblica Istruzione per far dichiarare che il decesso del coniuge, prof. (Omissis), avvenuto per suicidio il (Omissis), era da porre in relazione causale con la prestazione lavorativa di insegnante di sostegno nella scuola pubblica, con conseguente diritto alla liquidazione dell'indennità per causa di servizio e dell'equo indennizzo. Affermava infatti la Corte territoriale che non era stato dimostrato il nesso tra l'attività lavorativa ed il grave stato di depressione che aveva determinato il suicidio del coniuge.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione con un motivo la parte soccombente; I Ministeri hanno resistito con controricorso.

Si lamenta difetto di motivazione per essersi la Corte discostata dalla consulenza medica espletata in primo grado, nonchè dalla relazione di parte depositata in appello;

letta la relazione resa ex articolo 380 bis cod. proc. civ. di manifesta infondatezza del ricorso;

Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili;

Infatti si è già ritenuto ( Cass. n. 9988 del 29/04/2009) che "In materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie relative allo stato di salute dell'assicurato, il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio è ravvisabile in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico formale traducendosi, quindi, in un'inammissibile critica del convincimento del giudice".

Nella specie non è ravvisabile alcuna devianza dalle nozioni correnti della scienza medica e neppure la mancata considerazione di elementi decisivi tali da condurre ad una decisione di segno diverso.

Inoltre, in relazione al riconoscimento della causa di servizio, è principio costante (tra le tante Cass. n. 15074 del 26/06/2009) che "Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità o di una lesione non coincide con il presupposto richiesto per l'attribuzione della rendita per malattia professionale, differenziandosi i due istituti - in particolare - per l'ambito e l'intensità del rapporto causale tra attività lavorativa ed evento protetto, nonchè per il fatto che il riconoscimento in oggetto non consente di per sè alcun apprezzamento in ordine all'eventuale incidenza, sull'attitudine al lavoro dell'assicurato, di altri fattori di natura extraprofessionale.

Pertanto, ai fini del riconoscimento della causa di servizio occorre che l'attività lavorativa possa con certezza ritenersi concausa efficiente e determinante della patologia lamentata, non potendo farsi ricorso a presunzioni di sorta e non trovando applicazione, diversamente dalla materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, la regola contenuta nell'articolo 41 cod. pen., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni.

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.



La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro duemila/00, oltre le spese prenotate a debito.