1 Il riferimento è ai seguenti provvedimenti:
1. Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995;
2. Primo Protocollo di quest’ultima, fatto a Dublino il 27 settembre 1996;
3. Protocollo concernente l’interpretazione, in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, della citata Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996; Atto del Consiglio - datato 19 giugno 1997 - che fissa il Secondo Protocollo - addizionale - della stessa Convenzione, dove viene sancito l’obbligo per ciascun Stato membro di introdurre la responsabilità delle persone giuridiche per una serie di delitti;
4. Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale siano coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione Europea, fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, siglata a Parigi il 17 settembre 1997.

2.Quanto precede trova conferma anche in sede giurisprudenziale, ove è la stessa Cassazione:
- Sez. Vi, Penale, con la sentenza n. 36083/09, a prospettare il nuovo sistema come "tertium genus rispetto ai noti e tradizionali sistemi di responsabilità penale e responsabilità amministrativa", soggiungendo che, in forza del rapporto d'immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l'ente risponde per fatto proprio, senza involgere minimamente il divieto di responsabilità penale per fatto altrui posto dall'art. 27 Cost.;
- Sezioni Unite, con la sentenza n. 26654/2008, ad affermare che “ne è derivata un’architettura normativa complessa che ... evidenzia una fisionomia ben definita, con l’introduzione nel nostro ordinamento di uno specifico ed innovativo sistema punitivo per gli enti ... finalizzato ad integrare un efficace strumento di controllo sociale. Il sistema ... opera certamente sul piano della deterrenza e persegue una massiccia finalità special preventiva ... ”.

3. La ratio dell’esenzione, come si rileva dalla relazione di accompagnamento e dalla giurisprudenza di legittimità, è quella di preservare enti rispetto ai quali le misure cautelari e le sanzioni applicabili ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 sortirebbero l’effetto di sospendere funzioni indefettibili negli equilibri costituzionali.

4. Sul punto una recente conferma è offerta dalla Corte di Cassazione, Sez. II, penale, con la sentenza n. 28699/2010, in cui, pronunciandosi con riguardo ad una società di capitali cd. "mista”, cioè a partecipazione pubblico-privata, operante nel settore sanitario, è stato chiarito che il tenore testuale della norma è inequivocabile nel senso che la natura pubblicistica di un ente è condizione necessaria, ma non sufficiente, all’esonero dalla disciplina di cui al D. Lgs. n. 231/2001, dovendo altresì concorrere la condizione che l’ente medesimo non svolga attività economica. Condizione quest’ultima contraddetta, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, dalla veste stessa di società per azioni dell’ente in questione, che in quanto tale è destinata all’esercizio di un’attività economica al fine di dividerne gli utili, finalità quest’ultima che, nel percorso argomentativo del massimo Organo di legittimità, consente di superare anche l’assunto richiamato dalla difesa secondo cui la mera rilevanza costituzionale di uno dei valori più o meno coinvolti nella funzione dell’ente basterebbe a far scattare l’esonero da responsabilità ex D. Lgs. n. 231/2001. Sulla stessa linea le conclusioni contenute nella sentenza n. 234/2011 della stessa Corte di Cassazione, in cui, pur evidenziando che la disciplina del D.Lgs. n. 231/2001 non si applica agli "enti pubblici non economici”, è stata riconosciuta la responsabilità di un A.T.O. costituito in società per azioni per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti affidata dal Comune, nella considerazione che ciò che rileva non è la natura pubblicistica dell’ente ma l’assenza dell’esercizio di un’effettiva attività economica, comprovata invece nel caso di specie anche dalla struttura societaria prescelta.

5. Tra le prime applicazioni sanzionatorie in tema di D.Lgs n. 231/2001 nei confronti di società cooperative Onlus si attira l’attenzione sulla sentenza n. 820/2011 del GIP del Tribunale di Milano.

6. Art. 2497-sexies c.c. “Presunzioni”: “Ai fini di quanto previsto nel presente capo, si presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'articolo 2359”.

7. Art. 2359 c.c. “Società controllate e società collegate”: ”Sono considerate società controllate: 1) le società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le società in cui un'altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le società che sono sotto influenza dominante di un'altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le società sulle quali un'altra società esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati’’.

8. Art. 26 D.Lgs n. 127/1991 “Imprese controllate”: ”1. Agli effetti dell'art. 25 sono considerate imprese controllate quelle indicate nei numeri 1) e 2) del primo comma dell'art. 2359 del codice civile. 2. Agli stessi effetti sono in ogni caso considerate controllate: a) le imprese su cui un'altra ha il diritto, in virtù di un contratto o di una clausola statutaria, di esercitare un'influenza dominante, quando la legge applicabile consenta tali contratti o clausole; b) le imprese in cui un'altra, in base ad accordi con altre voci, controlla da sola la maggioranza dei diritti di voto. 3. Ai fini dell'applicazione del comma precedente si considerano anche i diritti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persone interposte; non si considerano quelli spettanti per conto di terzi".

9. Art. 2497-septies c.c. “Coordinamento fra società”: “Le disposizioni del presente capo si applicano altresì alla società o all'ente che, fuori dalle ipotesi di cui all'articolo 2497-sexies, esercita attività di direzione e coordinamento di società sulla base di un contratto con le società medesime o di clausole dei loro statuti".

10. In senso conforme cfr. Cass., Sez. V, sent. n. 24583/2011.

11. Cfr. Tribunale di Bari, ordinanza in data 16 luglio 2007.

12. In senso conforme anche G.I.P. presso il Tribunale di Roma, ordinanza in data 30 maggio 2003.

13. Art. 7 c.p. “Reati commessi all'estero”: “E' punito secondo la legge italiana il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero taluno dei seguenti reati: 1. delitti contro la personalità dello Stato italiano; 2. delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e di uso di tale sigillo contraffatto; 3. delitti di falsità in monete aventi corso legale nel territorio dello Stato, o in valori di bollo o in carte di pubblico credito italiano; 4. delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato, abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni; 5. ogni altro reato per il quale speciali disposizioni di legge o convenzioni internazionali stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana".

14. Art. 8 c.p. “Delitto politico commesso all’estero”: “Il cittadino o lo straniero, che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati nel n. 1 dell'articolo precedente, è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro della giustizia. Se si tratta di delitto punibile a querela della persona offesa, occorre, oltre tale richiesta, anche la querela. Agli effetti della legge penale, è delitto politico ogni delitto, che offende un interesse politico dello Stato, ovvero un diritto politico del cittadino. E' altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato, in tutto o in parte, da motivi politici".

15. Art. 9 c.p. “Delitto comune del cittadino all’estero”: “Il cittadino, che, fuori dei casi indicati nei due articoli precedenti, commette in territorio estero un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato. Se si tratta di delitto per il quale è stabilita una pena restrittiva della libertà personale di minore durata, il colpevole è punito a richiesta del ministro della giustizia ovvero a istanza, o a querela della persona offesa. Nei casi preveduti dalle disposizioni precedenti, qualora si tratti di delitto commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito a richiesta del ministro della giustizia, sempre che l'estradizione di lui non sia stata conceduta, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto".

16. Art. 10 c.p. “Comune dello straniero all’estero”; “Lo straniero, che, fuori dei casi indicati negli articoli 7 e 8, commette in territorio estero, a danno dello Stato o di un cittadino, un delitto per il quale la legge italiana stabilisce la pena di morte o l'ergastolo, o la reclusione non inferiore nel minimo a un anno, è punito secondo la legge medesima, sempre che si trovi nel territorio dello Stato, e vi sia richiesta del ministro della giustizia, ovvero istanza o querela della persona offesa. Se il delitto è commesso a danno delle Comunità europee, di uno Stato estero o di uno straniero, il colpevole è punito secondo la legge italiana, a richiesta del ministro della giustizia, sempre che: 1. si trovi nel territorio dello Stato; 2. si tratti di delitto per il quale è stabilita la pena di morte o dell'ergastolo, ovvero della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni; 3. l'estradizione di lui non sia stata concessa, ovvero non sia stata accettata dal Governo dello Stato in cui egli ha commesso il delitto, o da quello dello Stato a cui egli appartiene”.

17. In senso conforme, di recente, si è espressa la Corte di Cassazione, sentenza n. 42701/2010, con la quale, pronunciandosi in ordine ad un’ipotesi di corruzione internazionale operata da due società con sede nel territorio nazionale, ha statuito la possibilità di applicazione nei loro confronti delle misure interdittive previste dall’art. 25, comma 5, rinviando al giudice di merito per le decisioni di competenza.

18. Art. 19 c.p.c. “Foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute”: "Salvo che la legge disponga altrimenti, qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha sede. E' competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento e un rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l'oggetto della domanda. Ai fini della competenza, le società non aventi personalità giuridica, le associazioni non riconosciute e i comitati di cui agli e seguenti del codice civile hanno sede dove svolgono attività in modo continuativo".

19. La citata convenzione è nata dalla necessità di elaborare uno strumento internazionale idoneo a contrastare la criminalità organizzata che, negli ultimi decenni, con la progressiva apertura delle frontiere e delle economie nazionali, ha preso sempre più ad operare a livello transnazionale, sfruttando le opportunità offerte dalla globalizzazione attraverso un processo di trasformazione che ha portato alla mimetizzazione delle strutture criminali e ad una progressiva assunzione delle modalità operative tipiche dell’impresa criminale.

20. Per ulteriori dettagli sulla tipologia di reati-presupposto è stato predisposto l’allegato n. 62 consultabile nel documento on line (Volume IV) “Manualistica e documentazione di supporto”.

21. Articolo aggiunto dall’art. 7 della L. n. 48/2008.

22. Articolo aggiunto dall’art. 2, comma 2, della L. n. 94/2009.

23. Articolo aggiunto dall’art.6 del D. L. n. 350/2001, convertito con modificazioni dalla L. n. 409/2001 e modificato dall’art. 15, comma 7 della L. n. 99/2009.

24. Articolo aggiunto dall’art. 15, comma 7 della L. n. 99/2009.

25. Articolo aggiunto dall’art.3 del D. Lgs. n. 61/2002, modificato dalla L. n. 262/2005.

26. Articolo aggiunto dall’art.3 della L. n. 7/2003, di ratifica ed esecuzione della citata convenzione.

27. Articolo aggiunto dall’art. 8 della L. n. 7/2006.

28. Articolo aggiunto dall’art. 5 della L. n. 228/2003.

29.Articolo aggiunto dall’art. 9 della L. n. 62/2005.

30. Per un maggiore approfondimento in merito ai citati delitti si rinvia al Volume II, Capitolo 2, del presente manuale.

31. Articolo aggiunto dall’art. 9 della L. n. 123/2007.

32. Articolo aggiunto dall’art. 63, comma 3, del D. Lgs. n. 231/2007.

33. L’art. 64 dello stesso D.Lgs n. 231/2007 ha abrogato i commi 5 e 6 dell’art. 10 della L. n. 146/2006 che viceversa prevedeva tale responsabilità solo per condotte di riciclaggio/reimpiego aventi il carattere della transnazionalità. In sostanza dal 12/04/2006 al 30/04/2008 sono punite solo condotte di riciclaggio/reimpiego individuate nell’ambito della criminalità transnazionale. Dal 30 aprile tutte le condotte di riciclaggio costituiranno reato presupposto senza limitazioni all’ambito esclusivo della transnazionalità, come invece prevedeva la precedente normativa;

34. Articolo aggiunto dalla L. n. 99/2009.

35. Articolo aggiunto dall’art. 4 della L. n. 116/2009, come sostituito dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs n. 121/2011.

36. Articolo aggiunto dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs n. 121/2011.

37. Tale conclusione è stata confermata dalla Cassazione, con la sentenza n. 32626/2006, in cui, giudicando una fattispecie nella quale il giudice di merito aveva imposto all’impresa di dotarsi del modello organizzativo, è stato statuito che siffatto provvedimento non è giustificato dal D. Lgs. n. 231/2001 il quale non "... prevede alcuna forma di imposizione coattiva dei modelli organizzativi, la cui adozione, invece, è sempre spontanea in quanto è proprio la scelta di dotarsi di uno strumento organizzativo in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società a determinare in alcuni casi la esclusione della responsabilità, in altri un sollievo sanzionatorio e che, nella fase cautelare, può portare alla sospensione o alla non applicazione delle misure interdittive ...”.

38. A conferma del traghettamento da una mera facoltà ad un “sostanziale ed irrinunciabile” obbligo in tema di adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo, da parte dell’organo dirigente dell’ente, si segnala la sentenza n. 1774/2008 del Tribunale di Milano con la quale è stata riconosciuta la responsabilità civile di un amministratore executive nei confronti della società ex art. 2392 c.c. per non aver assolto l’onere (dovere) di attivare il Consiglio di Amministrazione a valutare l’adozione di un adeguato modello di prevenzione del rischio commissione dei reati, in presenza di reati che l’adozione del modello avrebbe potuto impedire.

39. Per le medesime considerazioni occorrerà valutare con attenzione la nomina di alcuno dei sindaci quale membro dell’ODV, anche se nella prassi tale attribuzione è sempre più frequente. Infatti, in tale situazione il “sindaco” potrebbe trovarsi in una situazione di “conflitto d’interessi” nel ruolo di controllore, quale componente dell’ODV, dell’attività svolta dal collegio sindacale, rilevante ai fini di alcuni dei reati societari presupposto. È altresì da escludere, relativamente alla prevenzione dei reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose commessi con violazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, il conferimento del ruolo di ODV al “responsabile del servizio di prevenzione e protezione” di cui al D.Lgs. n. 626/1994, in possesso di un appropriato bagaglio di strumenti e tecniche specialistiche (professionalità). È, però, indubbio come lo stesso soggetto svolga un ruolo operativo e sia quasi sempre inserito all’interno di precise gerarchie aziendali dalle quali dipende o, quando esterno all’azienda, vincolato da rapporti contrattuali con esponenti delle predette gerarchie aventi ad oggetto le attività di controllo in parola.

40. Tale previsione normativa consente che i compiti di cui alla lett. b) dell’art. 6, comma 2, siano assolti dall’organo dirigente, il quale tenuto conto delle molteplici responsabilità ed attività su cui quotidianamente deve applicarsi, potrà avvalersi di professionisti esterni cui affidare l’incarico di svolgere verifiche sul rispetto e l’efficacia del modello.

41. Art. 133 c.p. “Gravità del reato: valutazione agli effetti della pena”: “Nell'esercizio del potere discrezionale indicato nell'articolo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta: 1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione; 2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; 3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa. Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta: 1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo; 2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo, antecedenti al reato; 3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato; 4. dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo’’.

42. Art. 133-bis c.p. “Condizioni economiche del reo; valutazione agli effetti della pena pecuniaria”: “Nella determinazione dell’ammontare della multa o dell'ammenda il giudice deve tener conto, oltre che dei criteri indicati dall'articolo precedente, anche delle condizioni economiche del reo. Il giudice può aumentare la multa o l'ammenda stabilite dalla legge sino al triplo o diminuirle sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa”.

43. La disciplina delle sanzioni interdittive ha subito una riforma significativa con l’introduzione del D. Lgs. n. 197/2004; la nuova previsione normativa ha fatto sì che le sanzioni interdittive di cui all’art. 9 comma 2, irrogate nei confronti di una banca, di una SIM, di una SGR o di una SICAV, non vengano eseguite dal PM ma dalla Banca d’Italia o dalla Consob, ciascuna nel’ambito delle proprie competenze.

44. In ordine al concetto “profitto di rilevante entità’’ si rinvia alla Parte II, Capitolo IV, paragrafo 1 .a. del presente volume.

45. Per le sanzioni interdittive previste nei primi due commi il legislatore lascia, dunque, discrezionalmente al giudice la facoltà di applicarle.

46. Avere evidenziato questo particolare aspetto serve a sottolineare con maggior forza l’efficacia selettiva della sanzione, la quale deve dimostrare di poter incidere esclusivamente sulla parte di attività che ha originato l’illecito, evitando un’applicazione generalizzata sull’attività dell’ente nel suo complesso. Solo nel caso in cui la sanzione costituisca espressione di una generale propensione al conseguimento degli illeciti, si applicherà la sanzione stessa in maniera indivisa. In ragione di ciò l’art. 69, comma 2, prevede che in caso di applicazione delle sanzioni interdittive la sentenza d i condanna deve sempre indicare l’attività o le strutture oggetto della sanzione. In tal senso il Tribunale di Milano, con ordinanza in data 05.05.2004, ha evidenziato che l’irrogazione di sanzioni interdittive deve essere preceduta da un’appropriata scelta della specifica attività della persona giuridica nei cui confronti deve aver effetto la sanzione da applicarsi, dovendo tener conto dell’idoneità della sanzione a prevenire illeciti del tipo di quello commesso.

47. Ad esempio l'art. 24 prevede che potranno essere applicate soltanto le misure interdittive richiamate nel comma 3 - vale a dire quelle di cui alle lettere c), d) ed e) - mentre per i reati di cui all'art. 25 potranno essere irrogate tutte le misure interdittive, ma con esclusivo riferimento al delitto di corruzione propria, di corruzione in atti giudiziaria o di istigazione alla corruzione propria, restando escluso il reato di corruzione impropria.

48. Il Tribunale di Bari, con ordinanza in data 18.04.2005, ha ravvisato gli estremi del servizio di pubblica necessità nell’attività svolta da una impresa di pulizia che lavorava all’interno di ospedali e aziende sanitarie locali.

49. Sul punto si rinvia un’approfondita analisi alla Parte II, Capitolo 3, paragrafo 4., lett. e. del presente Volume.

50. Un punto di contatto con il dettato dell’articolo 12, comma 2, è stabilito dal requisito temporale richiesto, che viene individuato nella dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Le condotte successive a tale termine possono comunque rilevare per ottenere la conversione in sanzione pecuniaria. Le stesse condotte, così come disposto dall’art. 49, rilevano anche al fine della sospensione e della revoca delle misure cautelari.

51. Art. 157 c.p. “Prescrizione. Tempo necessario a prescrivere”: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria. Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell'aumento massimo di pena previsto per l'aggravante. Non si applicano le disposizioni dell'articolo 69 e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma. Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni. I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli 449 e 589, secondo, terzo e quarto comma, nonché per i reati di cui all'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall'imputato. La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, anche come effetto dell'applicazione di circostanze aggravanti”.

52. Art. 161 c.p. “Effetti della sospensione e della interruzione”: “La sospensione e l'interruzione della prescrizione hanno effetto per tutti coloro che hanno commesso il reato. Salvo che si proceda per i reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l'interruzione della prescrizione può comportare l'aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, della metà nei casi di cui all'articolo 99, secondo comma, di due terzi nel caso di cui all'articolo 99, quarto comma, e del doppio nei casi di cui agli articoli 102, 103 e 105".

53. In merito si rinvia per maggiori dettagli alla Parte II, Capitolo 4, Paragrafo 1.b. del presente Volume III.

54. Tale norma esclude ogni possibile rivalsa nei confronti del patrimonio dei soci e degli associati anche nel caso in cui questi rispondano solidalmente e illimitatamente. Tutto questo in deroga alla disciplina comune, secondo la quale solo le società di capitali e le altre società con un’autonomia patrimoniale perfetta rispondono con il proprio patrimonio senza mai coinvolgere direttamente i singoli soci; cosa che invece accade normalmente per le società in nome collettivo o in accomandita semplice o ancora per gli enti privi di personalità giuridica, le fondazioni e le associazioni non riconosciute.

55. Gli articoli del decreto legislativo sopra richiamati, facendo esplicito riferimento alla disciplina del codice di rito (art. 2768 c.c. e art. 316, comma 4, c.p.p.), ribadiscono quella che è un’anomalia rispetto agli altri privilegi. Infatti, presupposto della prelazione non è la nascita del credito ma l’autorizzazione e la successiva esecuzione del sequestro conservativo, nonché l’attualità del sequestro nel momento in cui interviene sentenza irrevocabile di condanna.

56. Art. 2768 c.c “Crediti dipendenti da reato”: “Per i crediti dipendenti da reato hanno privilegio sulle cose sequestrate lo Stato e le altre persone indicate dal codice penale, secondo le disposizioni del codice stesso e del codice di procedura penale".

57. In particolare, l’art. 28 disciplina la trasformazione dell’ente e prevede che in tale caso “....resta ferma la responsabilità dello stesso per i reati anteriormente commessi". In questa circostanza l’evento modificativo non va ad incidere sull’identità dell’ente e sulla continuità dei suoi rapporti con i terzi, ma implica solo un mutamento del modello organizzativo interno all’ente stesso. Per tale motivo, la responsabilità permarrà sempre in capo al medesimo soggetto.
L’art. 29 disciplina l’ipotesi di fusione e dispone che la responsabilità amministrativa sia addebitata in capo all’ente risultante dall’operazione di modifica. L’art. 30 disciplina invece l’ipotesi della scissione prevedendo che:
a. in caso di scissione parziale, la società scissa rimane responsabile per i reati commessi anteriormente alla data in cui la scissione ha avuto effetto, in quanto la società non si estingue ma continua ad esistere con un patrimonio ridotto;
b. sia in caso di scissione parziale che totale, gli enti saranno responsabili in solido nei limiti del patrimonio netto ad essi trasferito. Tuttavia, la limitazione di responsabilità del patrimonio trasferito non opera rispetto agli enti ai quali risulta devoluto, anche solo in parte, il ramo di attività nel cui ambito è stato commesso il reato. L’ente beneficiario al quale sia stato trasferito il ramo d’azienda nel quale è commesso il reato, sarà dunque responsabile oltre i limiti altrimenti previsti, anche per i reati commessi anteriormente alla data in cui la scissione ha avuto effetto.

58. Art. 238 c.p.p. “Verbali di prove di altri procedimenti”: “1. E' ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento. 2. E' ammessa l'acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza che abbia acquistato autorità di cosa giudicata. 2-bis. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati contro l'imputato soltanto se il suo difensore ha partecipato all'assunzione della prova o se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile. 3. E' comunque ammessa l'acquisizione della documentazione di atti che non sono ripetibili. Se la ripetizione dell'atto è divenuta impossibile per fatti o circostanze sopravvenuti, l'acquisizione è ammessa se si tratta di fatti o circostanze imprevedibili. 4. Al di fuori dei casi previsti dai commi 1, 2, 2-bis e 3, i verbali di dichiarazioni possono essere utilizzati nel dibattimento soltanto nei confronti dell'imputato che vi consenta; in mancanza di consenso, detti verbali possono essere utilizzati per le contestazioni previste dagli articoli 500 e 503. 5. Salvo quanto previsto dall'articolo 190-bis, resta fermo il diritto delle parti di ottenere a norma dell'articolo 190 l'esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1, 2, 2-bis e 4 del presente articolo”.

59. Art. 238-bis c.p.p. “Sentenze irrevocabili”: “Fermo quanto previsto dall'articolo 236, le sentenze divenute irrevocabili possono essere acquisite ai fini della prova di fatto in esse accertato e sono valutate a norma degli articoli 187 e 192, comma 3”.

60. Tale divieto è funzionale ad assicurare la piena garanzia del diritto di difesa al soggetto collettivo imputato in un procedimento penale; diritto che risulterebbe del tutto compromesso se fosse ammessa la possibilità che l'ente partecipasse al procedimento rappresentato da un soggetto portatore di interessi confliggenti da un punto di vista sostanziale e processuale. Per questa ragione l'esistenza del "conflitto" è presunta iuris et de iure dall'art. 39 e la sua sussistenza non deve essere accertata in concreto, con l'ulteriore conseguenza che non vi è alcun onere motivazionale sul punto da parte del giudice.
Il divieto di rappresentanza posto dall'art. 39 vale anche nell'ipotesi in cui il rappresentante dell'ente sia soltanto indagato, in quanto la ratio della disposizione va individuata nella necessità di evitare situazioni di conflitto di interesse con l'ente, verificabili soprattutto nelle prime e delicate fasi delle indagini, "di fondamentale importanza per le acquisizioni richieste per gli atti propulsivi del procedimento'' (cfr. Cass., Sez. VI, sentenza n. 15689/2008).
Il divieto di cui all’art. 39 produce necessariamente conseguenze sul piano processuale, in quanto tutte le attività svolte dal rappresentante "incompatibile" all'interno del procedimento penale che riguarda l'ente devono essere considerate inefficaci. La riprova di questa soluzione radicale è costituita dall’art. 43, comma 2, che individua l'unica eccezione al divieto di rappresentanza, in quanto riconosce espressamente l'efficacia delle notifiche eseguite mediante la consegna al legale rappresentante "anche se imputato del reato da cui dipende l'illecito amministrativo (cfr. Cass., Sez. VI, penale, sentenza n. 41398/2009, più sopra citata).

61. In entrambi i casi il soggetto collettivo parteciperà al procedimento instaurato a suo carico previa costituzione nelle forme di cui al secondo comma e potrà pienamente difendersi.

62. Art. 100, comma 1, c.p.p. “Difensore delle altre parti private”: “1. La parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria stanno in giudizio col ministero di un difensore, munito di procura speciale conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata. 2. La procura speciale può essere anche apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte civile, del decreto di citazione o della dichiarazione di costituzione o di intervento del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. In tali casi l'autografia della sottoscrizione della parte è certificata dal difensore. 3. La procura speciale si presume conferita soltanto per un determinato grado del processo, quando nell'atto non è espressa volontà diversa. 4.
Il difensore può compiere e ricevere, nell'interesse della parte rappresentata, tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati. In ogni caso non può compiere atti che importino disposizione del diritto in contesa se non ne ha ricevuto espressamente il potere. 5. Il domicilio delle parti private indicate nel comma 1 per ogni effetto processuale si intende eletto presso il difensore".

63. Vgs. successiva nota 77.

64. Cfr. Cass. pen. Sez. VI, (ud. 19-06-2009) 28-10-2009, sentenza n. 41398.

65. Cfr. Cass., Sez. VI, penale, sentenza n. 43642/2007.

66. Art. 106 c.p.p. “Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento”: “1. Salva la disposizione del comma 4-bis la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili. 2. L'autorità giudiziaria, se rileva una situazione di incompatibilità, la indica e ne espone i motivi, fissando un termine per rimuoverla. 3. Qualora l'incompatibilità non sia rimossa, il giudice la dichiara con ordinanza provvedendo alle necessarie sostituzioni a norma dell'articolo 97. 4. Se l'incompatibilità è rilevata nel corso delle indagini preliminari, il giudice, su richiesta del pubblico ministero o di taluna delle parti private e sentite le parti interessate, provvede a norma del comma 3. 4-bis. Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o collegato ai sensi dell'articolo 371, comma 2, lettera b). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dei commi 2, 3 e 4”.

67. L’art. 154, comma 3, c.p.p. dispone che: “Se si tratta di pubbliche amministrazioni, di persone giuridiche o di enti privi di personalità giuridica, le notificazioni sono eseguite nelle forme stabilite per il processo civile".

68. Art. 19, secondo comma, c.c. “Limitazioni del potere di rappresentanza”: “Le limitazioni del potere di rappresentanza, che non risultano dal registro indicato nell'articolo 33, non possono essere opposte ai terzi, salvo che si provi che essi ne erano a conoscenza".

69. Art. 30 D.P.R. n. 200/1967 “Notificazioni, rogatorie, dichiarazioni ed istanze”: “L'autorità consolare: provvede, direttamente o tramite le autorità locali, in conformità alle convenzioni internazionali ed alle leggi dello Stato di residenza, alla notificazione degli atti ad essa rimessi a norma delle vigenti disposizioni; compie gli atti istruttori ad essa delegati dalle autorità nazionali competenti; riceve le dichiarazioni, anche giurate da chiunque rese, che debbano valere in giudizi nazionali; le istanze di gratuito patrocinio relative a giudizi nazionali; le istanze di procedimento o le querele e la loro remissione; gli atti di impugnativa avverso provvedimenti emessi da autorità nazionali. Essa trasmette direttamente gli atti espletati o ricevuti all'autorità nazionale competente”.
Art. 75 D.P.R. n. 200/1967 “Rimessione ad altro ufficio consolare”: “Qualora l'ufficio consolare delegato ad atti istruttori, o che debba provvedere a notificazioni, venga a conoscenza che l'interessato si trova nella circoscrizione di altro ufficio, rimette gli atti a quest'ultimo per competenza, avvertendone l'autorità delegante o il Ministero degli affari esteri".

70. Vgs. successiva nota 72.

71. Art. 391-nonies c.p.p. “Attività investigativa preventiva”: “1. L'attività investigativa prevista dall'articolo 327-bis, con esclusione degli atti che richiedono l'autorizzazione o l'intervento dell'autorità giudiziaria, può essere svolta anche dal difensore che ha ricevuto apposito mandato per l'eventualità che si instauri un procedimento penale. 2. Il mandato è rilasciato con sottoscrizione autenticata e contiene la nomina del difensore e l'indicazione dei fatti ai quali si riferisce ”.

72. Art. 391-bis c.p.p. “Colloquio, ricezione di dichiarazioni e assunzione di informazioni da parte del difensore”: “1. Salve le incompatibilità previste dall'articolo 197, comma 1, lettere c) e d), per acquisire notizie il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici possono conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa. In questo caso, l'acquisizione delle notizie avviene attraverso un colloquio non documentato. 2. Il difensore o il sostituto possono inoltre chiedere alle persone di cui al comma 1 una dichiarazione scritta ovvero di rendere informazioni da documentare secondo le modalità previste dall'articolo 391-ter. 3. In ogni caso, il difensore, il sostituto, gli investigatori privati autorizzati o i consulenti tecnici avvertono le persone indicate nel comma 1: a) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell'obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; d) della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; f) delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione. 4. Alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero non possono essere richieste notizie sulle domande formulate o sulle risposte date. 5. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da una persona sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato, è dato avviso, almeno ventiquattro ore prima, al suo difensore la cui presenza è necessaria. Se la persona è priva di difensore, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore di ufficio ai sensi dell'articolo 97. 6. Le dichiarazioni ricevute e le informazioni assunte in violazione di una delle disposizioni di cui ai commi precedenti non possono essere utilizzate. La violazione di tali disposizioni costituisce illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede all'organo titolare del potere disciplinare. 7. Per conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta, il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione del giudice che procede nei confronti della stessa, sentiti il suo difensore ed il pubblico ministero. Prima dell'esercizio dell'azione penale l'autorizzazione è data dal giudice per le indagini preliminari. Durante l'esecuzione della pena provvede il magistrato di sorveglianza. 8. All'assunzione di informazioni non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parti private. 9. Il difensore o il sostituto interrompono l'assunzione di informazioni da parte della persona non imputata ovvero della persona non sottoposta ad indagini, qualora essa renda dichiarazioni dalle quali emergano indizi di reità a suo carico. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 10. Quando la persona in grado di riferire circostanze utili ai fini dell'attività investigativa abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, il pubblico ministero, su richiesta del difensore, ne dispone l'audizione che fissa entro sette giorni dalla richiesta medesima. Tale disposizione non si applica nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento e nei confronti delle persone sottoposte ad indagini o imputate in un diverso procedimento nelle ipotesi previste dall'articolo 210. L'audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande. Anche con riferimento alle informazioni richieste dal difensore si applicano le disposizioni dell'articolo 362. 11. Il difensore, in alternativa all'audizione di cui al comma 10, può chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza o all'esame della persona che abbia esercitato la facoltà di cui alla lettera d) del comma 3, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 392, comma 1 ”.

73. Art. 334-bis c.p.p. “Esclusione dell'obbligo di denuncia nell'ambito dell'attività di investigazioni difensiva”: “1. Il difensore e gli altri soggetti di cui all'articolo 391-bis non hanno obbligo di denuncia neppure relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte".

74. Il comma 2 dell’art. 55, facendo espresso richiamo alla disciplina dell’art. 355 c.p.p., regolamenta il diritto di accesso al registro delle notizie di reato, estendendo all’ente e al suo difensore gli stessi diritti che spettano all’indagato e alla sua difesa e prevedendo dei limiti alla possibilità di ottenere informazioni in merito alle iscrizioni, nel caso in cui si proceda per uno dei delitti di cui all’art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p.; in particolare, tale limite alle comunicazioni dell’annotazione è stato ampliato con riferimento all’introduzione, tra i reati presupposto, delle fattispecie indicate dall’art. 25-quater e 25- quinquies del decreto in rassegna. Inoltre, qualora sussistano specifiche esigenze attinenti l’attività di indagine, il Pubblico Ministero può comunque disporre con decreto motivato il divieto sul diritto all’accesso al registro per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile.

75. Art. 407 c.p.p. “Termini di durata massima delle indagini preliminari”: “1. Salvo quanto previsto all'articolo 393 comma 4, la durata delle indagini preliminari non può comunque superare diciotto mesi. 2. La durata massima è tuttavia di due anni se le indagini preliminari riguardano: a) i delitti appresso indicati: 1) delitti di cui agli articoli 285, 286, 416-bis e 422 del codice penale, 291-ter, limitatamente alle ipotesi aggravate previste dalle lettere a), d) ed e) del comma 2, e 291- quater, comma 4, del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43; 2) delitti consumati o tentati di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, e 630 dello stesso codice penale; 3) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo; 4) delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci anni, nonché delitti di cui agli articoli 270, terzo comma e 306, secondo comma, del codice penale; 5) delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse, di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo escluse quelle previste dall'articolo 2, comma terzo, della legge 18 aprile 1975, n. 110; 6) delitti di cui agli articoli 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, e 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni; 7) delitto di cui all'articolo 416 del codice penale nei casi in cui è obbligatorio l'arresto in flagranza; 7-bis) dei delitti previsto dagli articoli 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, comma 1, 601, 602, 609-bis nelle ipotesi aggravate previste dall'articolo 609-ter, 609-quater, 609-octies del codice penale, nonché dei delitti previsti dall’articolo 12, comma 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni; b) notizie di reato che rendono particolarmente complesse le investigazioni per la molteplicità di fatti tra loro collegati ovvero per l'elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese; c) indagini che richiedono il compimento di atti all'estero; d) procedimenti in cui è indispensabile mantenere il collegamento tra più uffici del pubblico ministero a norma dell'articolo 371. 3. Salvo quanto previsto dall'articolo 415-bis, qualora il pubblico ministero non abbia esercitato l'azione penale o richiesto l'archiviazione nel termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice, gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine non possono essere utilizzati".

76. Art. 406 c.p.p. “Proroga del termine”: “1. Il pubblico ministero, prima della scadenza, può richiedere al giudice, per giusta causa, la proroga del termine previsto dall'articolo 405. La richiesta contiene l'indicazione della notizia di reato e l'esposizione dei motivi che la giustificano. 2. Ulteriori proroghe possono essere richieste dal pubblico ministero nei casi di particolare complessità delle indagini ovvero di oggettiva impossibilità di concluderle entro il termine prorogato. 2-bis. Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi. 2-ter. Qualora si proceda per i reati di cui agli articoli 589, secondo comma, e 590, terzo comma, del codice penale, la proroga di cui al comma 1 può essere concessa per non più di una volta. 3. La richiesta di proroga è notificata, a cura del giudice, con l'avviso della facoltà di presentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione, alla persona sottoposta alle indagini nonché alla persona offesa dal reato che, nella notizia di reato o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere esserne informata. Il giudice provvede entro dieci giorni dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie. 4. Il giudice autorizza la proroga del termine con ordinanza emessa in camera di consiglio senza intervento del pubblico ministero e dei difensori. 5. Qualora ritenga che allo stato degli atti non si debba concedere la proroga, il giudice, entro il termine previsto dal comma 3 secondo periodo, fissa la data dell'udienza in camera di consiglio e ne fa notificare avviso al pubblico ministero, alla persona sottoposta alle indagini nonché, nella ipotesi prevista dal comma 3, alla persona offesa dal reato. Il procedimento si svolge nelle forme previste dall'articolo 127. 5-bis. Le disposizioni dei commi 3, 4 e 5 non si applicano se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 51 comma 3-bis e nell'articolo 407, comma 2, lettera a), numeri 4 e 7-bis. In tali casi, il giudice provvede con ordinanza entro dieci giorni dalla presentazione della richiesta, dandone comunicazione al pubblico ministero. 6. Se non ritiene di respingere la richiesta di proroga, il giudice autorizza con ordinanza il pubblico ministero a proseguire le indagini. 7. Con l'ordinanza che respinge la richiesta di proroga, il giudice, se il termine per le indagini preliminari è già scaduto, fissa un termine non superiore a dieci giorni per la formulazione delle richieste del pubblico ministero a norma dell'articolo 405. 8. Gli atti di indagine compiuti dopo la presentazione della richiesta di proroga e prima della comunicazione del provvedimento del giudice sono comunque utilizzabili sempre che, nel caso di provvedimento negativo, non siano successivi alla data di scadenza del termine originariamente previsto per le indagini”.

77. Vgs. nota precedente.

78. Vgs. precedente nota 72.

79. Art. 369 c.p.p. “Informazione di garanzia”: “1. Solo quando deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere, il pubblico ministero invia per posta, in piego chiuso raccomandato con ricevuta di ritorno, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa una informazione di garanzia con indicazione delle norme di legge che si assumono violate della data e del luogo del fatto e con invito a esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. 2. Qualora ne ravvisi la necessità ovvero l'ufficio postale restituisca il piego per irreperibilità del destinatario, il pubblico ministero può disporre che l'informazione di garanzia sia notificata a norma dell'articolo 151 ”.

80. Art. 369-bis c.p.p. “Informazione della persona sottoposta alle indagini sul diritto di difesa”: “1. Al compimento del primo atto a cui il difensore ha diritto di assistere e, comunque, prima dell'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi del combinato disposto degli articoli 375, comma 3, e 416, il pubblico ministero, a pena di nullità degli atti successivi, notifica alla persona sottoposta alle indagini la comunicazione della nomina del difensore d'ufficio. 2. La comunicazione di cui al comma 1 deve contenere: a) l'informazione della obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale, con l'indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini; b) il nominativo del difensore d'ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico; c) l'indicazione della facoltà di nominare un difensore di fiducia con l'avvertimento che, in mancanza, l'indagato sarà assistito da quello nominato d'ufficio; d) l'indicazione dell'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio ove non sussistano le condizioni per accedere al beneficio di cui alla lettera e) e l'avvertimento che, in caso di insolvenza, si procederà ad esecuzione forzata; e) l'indicazione delle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato".

81. In merito si rinvia a quanto più diffusamente esposto nel successivo Capitolo 2, Paragrafo 3.

82. Art. 63 c.p.p. “Dichiarazioni indizianti”: “1. Se davanti all'autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata ovvero una persona non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, l'autorità procedente ne interrompe l'esame, avvertendola che a seguito di tali dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e la invita a nominare un difensore. Le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese. 2. Se la persona doveva essere sentita sin dall'inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate”.

83. Art. 197 c.p.p. “Incompatibilità con l'ufficio di testimone”: “1. Non possono essere assunti come testimoni: a) i coimputati del medesimo reato o le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera a), salvo che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444; b) salvo quanto previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c), le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), prima che nei loro confronti sia stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444; c) il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria; d) coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, pubblico ministero o loro ausiliario nonché il difensore che abbia svolto attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte ai sensi dell'articolo 391-ter ”.

84. Art. 197-bis c.p.p. “Persone imputate o giudicate in un procedimento connesso o per reato collegato che assumono l'ufficio di testimone”; “1. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12 o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sempre sentito come testimone quando nei suoi confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di proscioglimento, di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444. 2. L'imputato in un procedimento connesso ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettera c), o di un reato collegato a norma dell'articolo 371, comma 2, lettera b), può essere sentito come testimone, inoltre, nel caso previsto dall'articolo 64, comma 3, lettera c). 3. Nei casi previsti dai commi 1 e 2 il testimone è assistito da un difensore. In mancanza di difensore di fiducia è designato un difensore di ufficio. 4. Nel caso previsto dal comma 1 il testimone non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento egli aveva negato la propria responsabilità ovvero non aveva reso alcuna dichiarazione. Nel caso previsto dal comma 2 il testimone non può essere obbligato a deporre su fatti che concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti. 5. In ogni caso le dichiarazioni rese dai soggetti di cui al presente articolo non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei procedimenti e delle sentenze suddette. 6. Alle dichiarazioni rese dalle persone che assumono l'ufficio di testimone ai sensi del presente articolo si applica la disposizione di cui all'articolo 192, comma 3”.

85. In tale ottica la relazione di accompagnamento al decreto, nel paragrafo dedicato alle indagini preliminari e all’udienza preliminare, afferma che “Nello schema nulla si dice sulla possibilità di sottoporre ad interrogatorio l'ente attraverso il proprio rappresentante legale, tuttavia deve ritenersi che tale evenienza sia del tutto plausibile, dal momento che è stata operata una piena parificazione dell'ente all'imputato. Il rappresentante legale sarà sottoposto ad interrogatorio "per conto dell'ente", con tutte le facoltà ed i diritti riconosciuti all'imputato, compresa la facoltà di non rispondere: la parificazione del rappresentante alla figura dell'imputato ha come conseguenza quella della applicabilità delle regole previste dall'art. 63 c.p.p.. E' ovvio che quanto più la persona giuridica sarà avvicinata alla figura dell'imputato, tanto maggiori saranno le garanzie di cui potrà godere’’. Tuttavia, in tema di partecipazione dell’ente al processo, la relazione al decreto evidenzia che: “In realtà, la parificazione all'imputato viene effettuata con riferimento all'ente in quanto tale, non al rappresentante legale, per il quale è previsto un regime peculiare che non lo esclude dalle garanzie riservate all'imputato, ma in taluni casi lo considera anche un testimone (v. art. 44)”.

86. Per maggiori approfondimenti sul punto si rinvia al successivo Capitolo 3, Paragrafo 3.a. (4) e (5).

87. Le cause estintive disciplinate dal c.p. sono il decorso del termine di sospensione precauzionale della pena (art. 163), la morte del reo prima della condanna (art. 150), la remissione della querela (art. 152), la prescrizione (art. 157), l’oblazione (art. 162), il perdono giudiziale per i minori degli anni diciotto (art. 169).

88. Art. 357 c.p.p. ‘‘Documentazione dell'attività di polizia giudiziaria”: “1. La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova. 2. Fermo quanto disposto in relazione a specifiche attività, redige verbale dei seguenti atti: a) denunce, querele e istanze presentate oralmente; b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; c) informazioni assunte, a norma dell'articolo 351; d) perquisizioni e sequestri; e) operazioni e accertamenti previsti dagli articoli 349, 353 e 354; f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero non ha impartito le direttive per lo svolgimento delle indagini. 3. Il verbale è redatto da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nelle forme e con le modalità previste dall'articolo 373. 4. La documentazione dell'attività di polizia giudiziaria è posta a disposizione del pubblico ministero. 5. A disposizione del pubblico ministero sono altresì poste le denunce, le istanze e le querele presentate per iscritto, i referti, il corpo del reato e le cose pertinenti al reato".

89. Art. 115 disp. att. c.p.p. "Annotazioni e verbali della polizia giudiziaria”: “1. Le annotazioni previste dall'articolo 357 comma 1 del codice contengono l'indicazione dell'ufficiale o dell'agente di polizia giudiziaria che ha compiuto le attività di indagine, del giorno, dell'ora e del luogo in cui sono state eseguite e la enunciazione succinta del loro risultato. Quando assume dichiarazioni ovvero quando per il compimento di atti si avvale di altre persone, la polizia giudiziaria annota altresì le relative generalità e le altre indicazioni personali utili per la identificazione. 1-bis. Le annotazioni di cui al comma 1, se riguardanti le attività di indagine condotte da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria nel corso delle operazioni sotto copertura ai sensi dell’articolo 9 della legge 16 marzo 2006, n. 146, e successive modificazioni, contengono le generalità di copertura dagli stessi utilizzate nel corso delle attività medesime. 2. Copia delle annotazioni e dei verbali redatti a norma dell'articolo 357 del codice è conservata presso l'ufficio di polizia giudiziaria".

90. Si pensi alla querela in relazione a talune fattispecie di reato societario disciplinate dall’art. 25-ter D. Lgs. n. 231/2001.

91. Come si legge nella relazione illustrativa, “la particolare tenuità ha ad oggetto non il reato, che potrebbe essere tutt’altro che lieve, ma l’illecito dell’ente, segnatamente il suo grado di coinvolgimento nell’illecito: coinvolgimento minimo sia sul versante della colpevolezza, atteso che l’autore del reato ha agito per un interesse prevalentemente personale o di terzi, sia sul versante oggettivo, visto che nessun vantaggio, o comunque un vantaggio minimo, è stato ricavato dall’ente".

92. Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto sussistente il vantaggio nell’ipotesi di accreditamento sul c/c bancario riconducibile all’ente di un contributo da parte del già Ministero dell’Industria, indebitamente ottenuto e costituente l’illecito profitto del delitto previsto e punito dall’art. 640-bis, somma successivamente sottratta dall’amministratore.

93. Come, a mero titolo esemplificativo, per l’acquisto di un cespite impiegato nel processo produttivo, ipotesi in cui sembra evidente come sarà assai difficile per l’ente medesimo negare la sussistenza del requisito del vantaggio previsto dalla norma di riferimento.

94. Tale orientamento è peraltro contenuto nelle linee guida di Confindustria approvate dal Ministero della Giustizia in data 8 aprile 2008, laddove sul punto si legge che il “ ....criterio dell’interesse risulta tuttavia incompatibile con i reati di natura colposa, proprio perché non è configurabile rispetto a essi una finalizzazione soggettiva dell’azione. Pertanto, nelle ipotesi di commissione dei reati contemplati dall’art. 25 septies, la responsabilità prevista dal D.lgs n. 231/2001 è configurabile solo se dal fatto illecito ne sia derivato un vantaggio per l’ente, che, nel caso di specie, potrebbe essere rinvenuto in un risparmio di costi o di tempi...”.

95. Sempreché, come ha chiarito la Cass. sent. 22334/2011, sia provata la sua ingerenza nella gestione della società all’epoca dei fatti oggetto di contestazione in sede penale.

96. All’interrogativo se, sulla base della lettera dell’art. 5, lettera b), che estende la disciplina a tutte le “persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo" dell’ente, con una portata estremamente ampia, e tenuto conto della non tassatività dell’elencazione contenuta nella lettera a) dello stesso articolo, fosse possibile ricomprendere tra i soggetti rilevanti anche i sindaci, ha risposto, in senso negativo, la stessa relazione illustrativa precisando che tali soggetti “non esercitano un dominio penetrante sull’ente", difettando quella capacità di indirizzo gestionale che la norma richiede. Pertanto, resta escluso che si possa attribuire una responsabilità all’ente nell’ipotesi di una condotta delittuosa relativa allo svolgimento di una funzione che si risolve in un controllo sindacale di fatto.

97. In tali ipotesi, come si rileva dalla Cass., ord. n. 11481/2011, l’equiparazione è tale da non richiedere la prova specifica di una delega ad hoc da parte del rappresentante legale (o della persona occupante una posizione organizzativa apicale) al preposto alla singola struttura o unità organizzativa autonoma.

98. Con specifico riferimento alla materia della sicurezza del lavoro e, conseguentemente, ai reati-presupposto di cui all’art. 25-septies del D.Lgs. n. 231/2001, introdotti dalla L. n. 123/2007, si sottolinea che il D.Lgs n.81/2008 (c.d. T.U. in materia di "Sicurezza sul lavoro”), all’art. 16 disciplina normativamente, per la prima volta, la delega di funzioni esercitabile dal datore di lavoro, ad eccezione delle ipotesi espressamente escluse di cui al successivo art. 17. Sul punto, la Cassazione, con sentenza n. 46747/2009, ha confermato l’applicazione della citata previsione normativa statuendo la responsabilità penale del rappresentante legale di una società (datore di lavoro) in assenza di una specifica ed espressa delega al "capocantiere” per omicidio colposo. Infine, sul punto, si segnala che il citato art. 16, nell’introdur re specifici limiti e condizioni all’esercizio della delega di funzioni, accettata per iscritto dal delegato e destinataria di adeguata pubblicità, sancisce che la stessa deve risultare da atto scritto recante data certa e che il delegato debba possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate, nonché autonomia di spesa e tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate.

99. Quali, a mero titolo esemplificativo, il conferimento di reali poteri decisionali e di una concreta ed operativa autonomia gestionale e finanziaria, necessari per assolvere correttamente le responsabilità derivanti dall’attribuzione delegata.

100. Sul punto, l’Assonime con la circolare n. 44/2009 ha evidenziato che quella del dirigente preposto è una nuova figura dirigenziale che si inserisce in un ufficio o funzione della società, cui è legata da un rapporto di lavoro, prevalentemente, di natura subordinata a tempo indeterminato sino alla revoca. Inoltre, nella citata circolare è chiarito che tale figura/funzione non può essere assolta da un amministratore, per chiare ragioni di tutela di una più efficiente organizzazione e di un miglior controllo dei rischi d’impresa, mentre può essere assunto dal direttore generale.

101. Si tratta di soggetti spesso legati al preponente da vincoli contrattuali tali che, se da un lato lasciano intatta l’autonomia formale della figura professionale, dall’altro obbligano, sostanzialmente, gli stessi a soggiacere ad un potere/dovere di controllo e di vigilanza da parte dell’ente preponente, previsto anche da altre espresse disposizioni normative. Tali figure agiscono per conto dell’ente nell’ambito dei poteri loro affidati, attraverso il cui esercizio ben possono rendersi autori di condotte illecite che riverberano i loro effetti nella sfera giuridica dell’ente stesso nei termini richiesti per configurarne la conseguente responsabilità amministrativa.

102. In tale ambito, possono emergere alcuni dubbi in relazione alla figura del medico competente (definito dall’art. 2, comma 1 lett. h) del citato D.Lgs. n. 81/2008). In effetti, nell’esercizio della sua funzione di prevenzione antinfortunistic a sul luogo di lavoro, il medico può agire quale lavoratore subordinato, ovvero nella veste di libero professionista quale collaboratore esterno. Nella prima ipotesi tale figura rientrerà de plano tra i soggetti sottoposti; analogamente, nella seconda ipotesi, sussistendo in concreto rapporti di direzione e controllo, anche quale collaboratore esterno, sulla base delle considerazioni sopra riportate, tale figura sarebbe inquadrabile nella categoria dei soggetti sottoposti.

103. Cfr. circolare 340000 in data 22.10.2004 del Comando Generale - I Reparto - Ufficio Ordinamento.

104. A tal riguardo il G.I.P. presso il Tribunale di Milano, con ordinanza in data 20.09.2004, ha statuito che “Nell’ipotesi di una pluralità di società operanti sotto la direzione unificante di una società capogruppo o holding, le società controllate rispondono amministrativamente per i reati commessi da un soggetto in posizione apicale nella società controllante nel caso in cui la capogruppo sia direttamente coinvolta nell’attività d’impresa delle partecipate e l’autore del reato abbia agito nell’interesse di queste ultime".

105. Sul punto, il G.I.P. presso il Tribunale di Milano, con ordinanza in data 26.02.2007, ha statuito che “ove si aderisse all’interpretazione restrittiva del concetto di “interesse dell’ente”, si sposerebbe una visione inattuale dell’ente, concepito come una monade isolata all’interno del complesso sistema economico attuale, con conseguenti evidenti lacune di tutela tutte le volte in cui l’interesse perseguito sia ricollegabile non all’ente di cui fa parte l’autore del reato, ma ad una società controllata o controllante, oppure al gruppo nel suo insieme", aggiungendo che “Il concetto d’interesse di gruppo, del resto, era già stato riconosciuto in una serie di decisioni di legittimità prima della riforma ed è stato espressamente preso in considerazione nella legge delega per la riforma del diritto delle società di capitali ed ha determinato l’inserimento nel codice civile delle norme di cui agli artt. 2497 e 2497 ter c.c.".

106. In merito a quanto precede si riporta l’esempio che segue. Si consideri l’ipotesi di una tangente pagata da un amministratore della società controllata, al fine di consentire a quest’ultima l’aggiudicazione di un appalto. Se la controllante svolge la medesima attività della società “figlia”, il vantaggio, in termini di benefici economici, derivante dall’aggiudicazione dell’appalto sarà “diretto” posto quest’ultimo verosimilmente genererà un incremento dei rapporti commerciali tra controllante e controllata. Se, invece, la capogruppo ha un oggetto sociale differente rispetto a quello della controllata, l’interesse/vantaggio sarà indiretto e connesso alla possibile distribuzione di dividendi da parte di quest’ultima società, in relazione all’utile realizzato a seguito dei ricavi rivenienti dall’aggiudicazione dell’appalto, ovvero all’incremento della partecipazione societaria detenuta dalla holding.

107. Ai fini dell’individuazione del rapporto qualificato tra autori del reato presupposto e società capogruppo, andrà escluso il ricorso alla tesi secondo cui gli amministratori della controllata possano essere considerati “persone sottoposte alla direzione” dei vertici della controllante, per il sol fatto che questa eserciti, ai sensi degli articoli 2497 e ss. del codice civile, funzioni di “direzione e coordinamento” sulle altre società del gruppo, dal momento che se si accedesse a tale conclusione ne conseguirebbe, anche in tal caso, un’automatica responsabilità della capogruppo anche per fatti ascrivibili esclusivamente ad amministratori della controllata.

108. Ciò avuto anche riguardo al contenuto dell’articolo 12, comma 1, lettera a), del D. Lgs. n. 231/2001, che, come già evidenziato in precedenza, configura una speciale attenuante nel caso in cui l’ente non consegua un vantaggio economicamente apprezzabile, con la conseguenza che la fattispecie costitutiva della responsabilità prevista dalla norma citata rimane inalterata anche allorquando non sia stato conseguito alcun vantaggio.

109. Sulla necessità di un concorso di persone si è espresso con parere del 11.01.2005 anche il Consiglio di Stato, Sez. III, il quale, su richiesta del Ministero delle Attività Produttive, dopo aver chiarito che nel caso di gruppi societari, ove il provvedimento che irroga la misura cautelare faccia riferimento alla sola società capogruppo, lo stesso riguarderà esclusivamente quest’ultima e non le società partecipate o controllate, ha aggiunto che “la responsabilità di altre società rientranti nel gruppo potrà ... ipotizzarsi solo quando sia dimostrato che i rispettivi soggetti in posizione apicale o i rispettivi dipendenti hanno contribuito alla commissione del reato in concorso con quelli della capogruppo, sempre che la singola società non possa produrre la prova liberatoria prevista dal ... primo comma dell’art. 6 del D. Lgs. n. 231/2001". In senso conforme, cfr. anche G.I.P., Sez. XXXIII, Penale, presso Tribunale di Napoli, ordinanza in data 26.06.2007.

110. Sul punto la relazione di accompagnamento evidenzia che, affinché venga meno la responsabilità dell’ente, non è sufficiente che ci si trovi di fronte ad un apicale infedele, ma si richiede, altresì, che non sia ravvisabile colpa alcuna da parte dell’ente stesso, il quale - attraverso il suo ODV - deve aver vigilato anche sull’osservanza dei programmi intesi a conformare le decisioni del medesimo secondo gli standard di “legalità preventiva”.

111. Cfr. Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D. Lgs. n. 231/2007 elaborate da Confindustria.

112. Potrebbero, ad esempio, non essere state individuate specificamente le attività a rischio reato ovvero potrebbe non essere presente, nella capogruppo, un organismo di vigilanza con le caratteristiche prescritte.

113. In punto di idoneità ed efficacia dei modelli organizzativi il G.I.P. presso il Tribunale di Milano, con ordinanza in data 20 settembre 2004, ha avuto modo di chiarire che essi “devono qualificarsi per la loro concreta e specifica efficacia e per la loro dinamicità e scaturire da una visione realistica ed economica dei fenomeni aziendali e non esclusivamente giuridico-formale’’: per una concreta idoneità ad assolvere le esigenze normative, i modelli non devono riproporre pedissequamente il mero dettato di legge, bensì debbono articolarsi in concreto e adattarsi alla realtà dell’azienda in tutte le sue peculiarità.

114. Quanto più dettagliata e specifica è la regolamentazione dell’iter di ogni processo, tanto più si riduce il rischio che la singola attività sia occasione di commissione di illeciti.

115. L’idoneità dei citati codici di comportamento di categoria, ex art. 6 comma 3, deve essere valutata, preventivamente, dal Ministero della giustizia, cui devono essere preventivamente inviati, di concerto con i Ministeri competenti, che, entro trenta giorni, devono formulare le proprie osservazioni. Il Ministero con il D.M. n. 201/2003 ha emanato il c.d. Regolamento, destinato alla fattispecie delle “Linee guida interassociative”, per l’emissione coordinata di modelli delle aziende riunite in associazioni.
Nella relazione illustrativa si legge che tale previsione normativa (elaborazione delle linee guida), suscettibile di fornire al giudice un prezioso termine di confronto per la valutazione dell’idoneità dei singoli programmi, consente la formalizzazione dell’idoneità tecnico-operativa dei modelli organizzativi predisposti dalle citate associazioni di categoria (evitando in tal modo la proliferazione di codici “di comodo” o di “mera facciata”) e, nel contempo, assolvere ad una importante funzione di orientamento degli enti.
In merito, tuttavia occorre evidenziare che la mera validazione dell’idoneità tecnico-operativa dei modelli organizzativi da parte del Ministero della giustizia non attribuisce ex se, in caso di adozione da parte degli enti, la completa esenzione da
responsabilità, posto che competerà comunque alla competente A.G. valutare la congruità del modello rispetto alle previsioni normative, non potendosi riconoscere efficacia scusante a quei codici di comportamento che, anche se non hanno ricevuto osservazioni critiche, deviano dall’impronta, strutturale e funzionale, che la legge assegna ai modelli.
Se è vero che la positiva valutazione ministeriale dei codici di comportamento, ai quali si fossero ispirate le società e gli enti nella costruzione dei loro modelli di prevenzione, non è affatto vincolante per il giudice, è altrettanto vero, però, che nell’attività di valutazione da parte dell’A.G. la validazione ministeriale, sulla cui base il modello è stato costruito, rappresenta un’autorevole opinione, che potrà anche essere disattesa, ma in presenza di valide motivazioni.

116. In sede giurisprudenziale è stato evidenziato che “il modello deve rappresentare l'esito di una efficace analisi di rischio e di una corretta individuazione delle vulnerabilità oggettive dell’ente in rapporto alla sua organizzazione ed alla sua attività" (cfr. G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, ordinanza in data 26.06.2007), e deve, altresì, tener conto delle caratteristiche degli altri soggetti operanti nel settore nonché della storia, anche giudiziaria, dell’ente (cfr. G.I.P. presso il Tribunale di Milano, ordinanza in data 09.11.2004). In merito, infine, si ritiene opportuno segnalare che il Tribunale di Milano, Sezione XI, con l’ordinanza di riesame in data 28 ottobre 2004, ha statuito che “non può essere considerato idoneo a prevenire i reati e ad escludere la responsabilità amministrativa dell’ente un modello aziendale di organizzazione e gestione, adottato ai sensi degli artt. 6 e 7 d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, che non preveda strumenti idonei a identificare le aree di rischio nell’attività della società e a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti, quali la presenza di conti correnti riservati all’estero, l’utilizzazione di intermediari esteri al fine di rendere più difficoltosa la scoperta della provenienza dei pagamenti, la periodicità dei pagamenti in relazione alle scadenze delle gare di appalto indette dalla società".

117. In sede giurisprudenziale è stato chiarito che la progettazione di un adeguato sistema disciplinare non si può fondare su un richiamo a clausole di ordine generale rispetto al rapporto tra violazione e sanzione, essendo necessaria, invece, una specificazione del tipo di omissione o violazione rispetto alla sanzione che troverà applicazione.

118. Particolare attenzione va riservata alle figure specifiche operanti in tale ambito (RSPP - Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, ASPP - Addetti al Servizio di Prevenzione e Protezione, RLS - Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, MC - Medico Competente, addetti primo soccorso, addetto emergenze in caso d’incendio). Devono, inoltre, essere tenute in considerazione anche le figure specifiche previste da altre normative di riferimento quali, ad esempio, il già citato D.Lgs. n. 494/1996 e successive modifiche ed integrazioni, nonché i requisiti e la documentazione relativa a presidio della sicurezza.

119. Sulla rilevanza della formazione e dell’informazione quali elementi caratterizzanti un “idoneo” ed “efficace” modello organizzativo, ex multis, cfr. G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, ordinanza in data 26.06.2007, e G.I.P. presso il Tribunale di Milano, ordinanza in data 20.09.2004.

120. Una definizione di codice etico di condotta è contenuta nelle Linee Guida elaborate da Confindustria (che ne riportano anche i contenuti minimi), ove si legge che trattasi di documento ufficiale dell’ente contenente “l’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità dell’ente nei confronti dei portatori di interesse (dipendenti, fornitori, clienti, Pubblica Amministrazione, azionisti, mercato finanziario, eccetera)’’.

121. In sede giurisprudenziale, il Tribunale di Trani, con la già richiamata sentenza in data 29.10.2009, ha statuito la necessità che l'impianto del modello, allorquando non siano coinvolti soggetti dipendenti dell’ente, preveda comunque l’adozione di cautele e regole per evitare che dipendenti di enti terzi possano subire lesioni o perdere la vita per infrazioni commesse dai loro datori di lavoro nell’esecuzione delle attività lavorative loro assegnate. In particolare, è stato chiarito che il controllo dei rischi non può esaurirsi nell'ambito della struttura organizzativa ed aziendale della società in questione, ma deve essere esteso anche all'osservanza delle medesime regole da parte dei soggetti che con quest’ultima entrano, direttamente o indirettamente, in rapporti lavorativi.

122. Il riesame e l'eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro ovvero in occasione di mutamenti nell'organizzazione e nell'attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.

123. Confindustria, nelle sue linea guida indirizzate agli associati, validate dal Ministero della Giustizia, si è particolarmente soffermata sulle problematiche degli organismi di vigilanza nelle imprese facenti parte di un gruppo. Sul punto, tuttavia, occorre rilevare che la scelta degli enti di non adeguare il proprio modello ad alcune indicazioni contenute nelle linee guida elaborate dalla propria associazione di riferimento non inficia la validità dello stesso.

124. Una soluzione organizzativa di questo tipo potrebbe, invece, risultare inadeguata nei gruppi con controllate quotate (per le quali il D.Lgs. n. 58/1998 già prevede la figura del preposto ai controlli interni) o di grandi dimensioni; ciò a causa della complessità che in queste realtà inevitabilmente assume il modello previsto dal D.Lgs. n. 231/2001 e, conseguentemente, l’attività di vigilanza sulla sua effettiva efficacia. L’ingente mole di controlli da svolgere continuativamente su tutta l’organizzazione e le frequenti necessità di adeguamento del modello in occasione di ristrutturazioni interne, inducono a ritenere indispensabile l’istituzione, nelle società controllate di questo tipo, di un organismo di vigilanza dotato di risorse adeguate, fatta sempre salva la possibilità di “commissionare” verifiche sul funzionamento del modello, a forte contenuto specialistico, a figure professionali esterne, siano esse appartenenti a società di consulenza o all’omologo organismo della capogruppo.

125. Pur non contenendo la normativa in commento alcuna indicazione circa i requisiti di onorabilità dei componenti l’ODV, sarebbe opportuno, per ragioni di coerenza di sistema, ed anche per rispondere alle censure che potrebbero essere sollevate in sede giurisprudenziale (cfr. G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, ordinanza in data 26.06.2007 e G.I.P. presso Tribunale di Milano, ordinanza in data 09.11.2004), che il modello organizzativo, anche per rinvio ad altri settori della normativa vigente, prevedesse apposite cause di ineleggibilità quale componente del citato organo di controllo e di incompatibilità alla permanenza nella carica quali, a titolo esemplificativo:
- la condanna con sentenza anche non irrevocabile per aver commesso uno dei reati di cui al D. Lgs. n. 231/2001 ;
- la condanna ad una pena che comporta l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici ovvero l’interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche.

126. Sul punto si sottolinea che, in sede giurisprudenziale (cfr. G.I.P. presso il Tribunale di Milano, ordinanza in data 20 settembre 2004), proprio il possesso di specifiche competenze in tema di attività ispettiva e di analisi, e delle connesse tecniche, sono stati individuati come indispensabili requisiti dell’ODV.

127. Conseguentemente in assenza della predisposizione di una adeguata “reportistica" all’ODV il modello stesso non potrà dirsi efficace. In merito, si segnala che la mancata previsione dell’obbligo “per i dipendenti, i direttori, gli amministratori della società di riferire all’organismo di vigilanza notizie rilevanti e relative alla vita dell’ente, a violazioni del modello o alla consumazione di reati ... “ e l’assenza di indicazioni procedurali da seguire per poter attivare i canali d’informazione verso tale organismo sono stati individuati dal G.I.P. presso il Tribunale di Milano, ordinanza in data 09.11.2004, tra i motivi a sostegno della decisione di inidoneità del modello organizzativo adottato dall’ente.

128. Sul punto la Cassazione, nella sentenza appena sopra richiamata, ha statuito che "... è soprattutto lo stato dell’organizzazione dell’ente a dover essere valutato per una prognosi sulla pericolosità in quanto l’ente che non è attrezzato da questo punto di vista, che cioè non ha attuato modelli organizzativi idonei a prevenire i reati, è un soggetto pericoloso nell’ottica cautelare’’.

129. Avente per oggetto un’ipotesi di truffa aggravata perpetrata per ottenere l’aggiudicazione di un appalto pubblico per l’esecuzione di prestazioni di servizi.

130. È solo questa l’ipotesi in cui il profitto s’identifica con l’utile netto, essendo tale confisca collegata ad un’attività le cita, proseguita da un commissario giudiziale, sotto il controllo del giudice, nell’interesse della collettività e non può che ave re ad oggetto, proprio per il venire meno di ogni nesso causale con l’illecito, la grandezza contabile residuale.

131. Nella citata sentenza delle Sezioni Unite si legge che il profitto richiamato negli artt. 13, 16, 24 comma 2, 25 comma
3, 25-ter comma 2 e 25-sexies comma 2, evoca un concetto di profitto “dinamico", rapportato alla natura e al volume dell’attività d’impresa, ricomprendente vantaggi economici anche non immediati, comunque conseguiti attraverso la realizzazione dell’illecito, ma di prospettiva in relazione alla posizione di privilegio che l’ente collettivo può acquisire sul mercato in conseguenza delle condotte illecite poste in essere dai suoi organi apicali o da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di questi.

132. Tale conclusione trova fondamento nella considerazione che il crimine non rappresenta in alcun ordinamento un legittimo titolo di acquisto della proprietà o di altro diritto su un bene e il reo non può, quindi, rifarsi dei costi affrontati per la realizzazione del reato: accedendo al diverso criterio del “profitto netto” si finirebbe per riversare sullo Stato il rischio di esito negativo del reato ed il reo, e per lui l’ente di riferimento, si sottrarrebbero a qualunque rischio di perdita economica.

133. Non coincidendo il comportamento penalmente rilevante con la stipulazione dell’accordo, di per sé andando ad intaccare solo il processo formativo della volontà medesima ovvero la fase esecutiva del programma negoziale divisato dalle parti, la Suprema Corte afferma che “è possibile enucleare aspetti leciti in quanto assolutamente lecito l’accordo e di per sé valido ed efficace il contratto”, con la conseguente conclusione che, in tale ipotesi, fintantoché il contraente legittimato ad eccepire il vizio non ne chieda la pronuncia costitutiva di annullamento, il contratto rimane valido ed efficace e tanto “va ad incidere inevitabilmente sull’entità del profitto illecito tratto dall’autore del reato e quindi dall’ente di riferimento".

134. Il massimo Organo di legittimità ancora la propria conclusione alla previsione dell’art. 19 del D.Lgs. n. 231/2001, nella parte in cui la disposizione in oggetto sottrae alla confisca quella parte del profitto che può essere restituita al danneggiato. Al riguardo, la pronunzia precisa che nell’ambito di un rapporto sinallagmatico a maggior ragione l’utilità tratta dal danneggiato dallo svolgimento di prestazioni lecite, seppure incardinate nell’ambito di un affare illecito, non può essere imputata all’ente come profitto illecito.

135. Tale principio è stato poi ulteriormente confermato dalla Cass., con le sentenze n. 38691/2009 (SS.UU. Penali,), n. 17897/2009 e n. 42300/2008 (Sez. VI, Penale). Nell’ultima sentenza richiamata, analizzando un’ipotesi di aggiudicazione di un appalto dalla pubblica amministrazione a seguito di un’attività di corruttela, il Collegio svincola la nozione di profitto di reato tanto dalla concezione aziendalistica (e cioè utile netto di gestione depurato dei relativi costi di esercizio) tanto da quella strettamente giuridica e quindi “totalizzante” che, cioè, comprende qualunque ricavo conseguito per effetto dello stipulato contratto di appalto. In particolare, afferma che “in presenza di un contratto stipulato con la pubblica amministrazione ad esecuzione pluriennale, sebbene avente causa illegittima per essere stato il processo di formazione della volontà contrattuale con la p.a. distorto ed inquinato da una vicenda di corruzione propria antecedente, il profitto che l’ente societario o collettivo consegue dall’appalto criminosamente ottenuto dai suoi esponenti apicali non può globalmente omologarsi all’intero valore del rapporto sinallagmatico (a prestazioni corrispettive) in tal modo instaurato con l’amministrazione. Rapporto che impone di scindere il profitto confiscabile, quale direttamente derivato dall’illecito penale genetico del conseguito appalto pluriennale, dal profitto determinato dal corrispettivo di una effettiva e corretta erogazione di prestazione di comunque svolta in favore della stessa amministrazione, prestazioni che non possono considerarsi per immediato automatismo traslativo colorate da illiceità (per derivativa illiceità della causa remota)".

136. Quanto, invece, al perimetro del beneficio aggiuntivo di tipo patrimoniale si ritiene che in esso debba rientrare anche la mancata diminuzione patrimoniale determinata dall’omesso esborso di somme per costi che si sarebbero dovuti sostenere, tipico del “vantaggio” realizzato dall’ente nelle ipotesi dei reati-presupposto in materia di tutela e sicurezza sul lavoro.

137. In punto di oneri scomputabili dal profitto del reato, il Tribunale di Milano, con funzione di riesame, ordinanza in data 22.10.2007, ha ammesso quale unica detrazione la tassazione effettivamente versata onde scongiurare ingiustificate, ossia sine titulo, duplicazioni alla fonte e in seconda istanza, in sede di confisca. Il caso giudicato dal Tribunale meneghino riguardava il sequestro finalizzato alla confisca del profitto del reato comprensivo dei costi a fronte di attività illecite e penalmente rilevanti ovvero di attività di per sé stesse lecite ma di fatto dispiegate e finalizzate alla realizzazione del reato(-presupposto) di manipolazione del mercato, ma con scomputo, invece, degli oneri fiscali relativi a tale profitto già trattenuti alla fonte ex D. Lgs. n. 461/1997.

138. Occorrerà individuare una correlazione diretta del profitto con il reato ed una stretta affinità con l’oggetto di questo, dovendosi escludere qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale che possa scaturire, pur in difetto di un nesso diretto di causalità, dall’illecito.

139. Art. 321 comma 3-ter c.p.p. “Oggetto del sequestro preventivo”: “3-ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3-bis ovvero se il giudice non emette l'ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell'ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate”.

140. Art. 322 c.p.p. “Riesame del decreto di sequestro preventivo”: “1. Contro il decreto di sequestro emesso dal giudice l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell'articolo 324. 2. La richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento ”.

141. Art. 322-bis c.p.p. “Appello”: “1. Fuori dei casi previsti dall'articolo 322, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero. 1-bis. Sull'appello decide, in composizione collegiale, il tribunale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il provvedimento. 2. L'appello non sospende l'esecuzione del provvedimento. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell'articolo 310”.

142. Art. 323 c.p.p. “Perdita di efficacia del sequestro preventivo”: “1. Con la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere, ancorché soggetta a impugnazione, il giudice ordina che le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto, quando non deve disporre la confisca a norma dell'articolo 240 del codice penale. Il provvedimento è immediatamente esecutivo. 2. Quando esistono più esemplari identici della cosa sequestrata e questa presenta interesse a fini di prova, il giudice, anche dopo la sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere impugnata dal pubblico ministero, ordina che sia mantenuto il sequestro di un solo esemplare e dispone la restituzione degli altri esemplari. 3. Se è pronunciata sentenza di condanna, gli effetti del sequestro permangono quando è stata disposta la confisca delle cose sequestrate. 4. La restituzione non è ordinata se il giudice dispone, a richiesta del pubblico ministero o della parte civile, che sulle cose appartenenti all'imputato o al responsabile civile sia mantenuto il sequestro a garanzia dei crediti indicati nell'articolo 316".

143. In merito, occorre segnalare che con la sentenza n. 27750/2010, la Suprema Corte, Sez. VI, penale, confermando che il profitto è individuabile soltanto in un effettivo arricchimento patrimoniale acquisito, ha escluso che lo stesso possa essere individuato nella liquidità ottenuta dalla cessione pro-solvendo ad un istituto di credito, di crediti vantati nei confronti della P.A., posto che tale credito, non ancora liquido ed esigibile, pur concretandosi in una temporanea.

 


Circolare 19 marzo 2012, n. 83607