Tribunale di Novara, 26 ottobre 2010 - Responsabilità dell'ente per omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro: colpa gestionale ed organizzativa


 

TRIBUNALE DI NOVARA
Sezione Gip/Gup


REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

Il Giudice Dott. Gianfranco Pezone
nella udienza in camera di consiglio

del 1/10/2010,

con l'intervento del P.M. in persona del S. Procuratore della Repubblica dr.ssa Mara De Donà, degli Avv.ti …
ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA

 

nella causa penale di primo grado

CONTRO

1) (A), nato a …
- libero - presente
2) (B), nato a …
- libero - contumace
3) (C), nato a …
- libero - contumace
4) (D), nato a …
- libero - presente
5) (E), nato a …
- libero - presente
6) (F), nato a …
- libero - presente
7) (G), nato a …
- libero - presente
8) (H), nato a …
- libero - presente
9) (I), nato a …
- libero - presente
10) (L), nato a Milano il 10. 10.1967, res. in Trecate, via Parazzolo n. 31/B;
- libero -
presente
11) Società (W), CO.P.S., in persona del legale rapp.te p.t. …
presente
12) Società (X) S.r.l., in persona del legale rapp.te p.t. …
presente
13) Società (Y) S.p.a., in persona del legale rapp.te p.t. …
presente

IMPUTATI

A) delitto p. e p. dall'art. 113 c.p. e 589, 1° e 3° comma c.p. perchè, in cooperazione colposa - anche con (M) nei confronti del quale si è proceduto separatamente -, ognuno nella qualità e titolare delle qualifiche di seguito indicate:
(A), presidente del Consiglio di Amministrazione di (W) Co.P.S., società cooperativa esercente attività di servizi alle aziende pubbliche e private, servizi di pulizia, raccolta rifiuti, gestione mense ed altro con sede legale in … e unità operativa presso (X) …, datore-di lavoro di (Z);
(M), macchinista dipendente (Y) S.p.A.,
(B), capo zona di (Y) S.p.A.;
(C), manovratore dipendente di (Y) S.p.A.;
(D), consigliere nell'ambito di (W) CO.P.S. e preposto;
(F), datore di lavoro di (Y) S.p.A. in qualità di dirigente di Area …;
(E), dirigente di (Y) S.p.A. in qualità di responsabile dello impianto primario "Boschetto" di Novara;
(G), consigliere delegato di (X) s.r.l. e datore di lavoro, come da verbale del C.d.A. del 16.5.2005;
(H), presidente del C.d.A. di (X) s.r.l. e datore di lavoro come da verbale del C.d.A. del 16.5.2005;
(I), capo terminal, dirigente di (X) s.r.l.;
(L), preposto e Responsabile del Servizio di Prevenzione e di Protezione (RSPP) di (X) s.r.l. nominato in data 27.6.1996;
per colpa generica, dovuta a imprudenza negligenza, ed imperizia e per colpa specifica dovuta alla violazione delle norme poste a tutela della sicurezza negli ambienti di lavoro in seguito specificate per ognuno di essi, causavano la morte di (Z), socio lavoratore di (W) Co.P.S. dal 5.3.2007 con mansione di spuntatone dei treni.


L'infortunio avveniva presso il piazzale (X) del Centro Interportuale Merci, … S.p.A. con sede legale e operativa in ….
Per comprendere dinamica, cause e responsabilità dell'infortunio, è necessario descrivere la struttura organizzativa del Centro Interportuale Merci di Novara (CIM), le modalità di gestione e logistica, nonché individuare i soggetti che operano all'interno del terminal e le competenze degli stessi.
Il terminal ferroviario è ubicato presso la nuova area intermodale denominata CIM (centro interportuale merci) alla periferia Est della città di Novara.
Nel lato Ovest del piazzale è posizionata la palazzina uffici di (X) che occupa una superficie di circa 90 mq alla quale si aggiungono circa 80 mq di superficie per l'ufficio amministrativo e gli spogliatoi del personale. Adiacente alle palazzine si estende un'area destinata a parcheggio degli automezzi.
Ad ovest della palazzina uffici vi è l'ingresso del terminal che introduce nel piazzale con una superficie operativa di circa 150.000 mq.
Nel piazzale sono inseriti n° 7 binari a raso della lunghezza di circa 500/600 metri che terminano con dei paraurti mentre la pavimentazione è costituita da blocchetti di cemento autobloccanti.
Lateralmente ai binari e lungo la recinzione di confine sono posizionatele aree di stoccaggio delle UTI (sigla per i container). In corrispondenza del vecchio ingresso del CIM, vi sono due container: uno adibito ad attrezzeria, dove sono conservati materiali per la manutenzione dei mezzi (gru), mentre nel secondo sono stoccati i materiali di scarto della manutenzione: sempre in questa zona è ubicata una cisterna del gasolio per il rifornimento dei mezzi e una struttura adibita ad uffici per i soci della (W) Co.P.S..
I 7 binari, che si trovano nell'area del terminal provengono dallo scalo di Novara "Boschetto" da dove parte un binario principale che si divide poi in due tronchi. A sua volta, dal primo tronco si diramano i binari 1, 2, 3 e 4 mentre dal secondo tronco i binari 5, 6 e 7.
Lungo i binari posti all'interno del terminal è stata tracciata una riga di colore giallo, distante circa 70 cm. dal binario, che delimita la zona di passaggio per le persone a piedi, percorso che, stando alle procedure di (X), viene utilizzato solo quando non vi sono treni in transito o operazioni di carico e scarico dei container da parte dei gruisti. In alcuni punti del piazzale vi sono degli attraversamenti pedonali e lungo tutta la recinzione e nella zona di ingresso dei treni sono installate delle torri faro per l'illuminazione.

L'attività all'interno del terminal all'epoca dell'infortunio avveniva nel seguente modo: a seguito di richiesta telefonica, o via fax, del responsabile dell'ufficio di (X), il capo nucleo di (Y) autorizzava la squadra di manovra ad entrare nel terminal per prelevare o introdurre i treni o i carri vuoti da caricare.
Se si trattava di treni, il personale di (Y) li posizionava sul binario richiesto da (X), sganciava la motrice e rientrava in "Boschetto", dopodiché i gruisti di (X) provvedevano allo scarico dei container, posizionandoli o a terra nelle aree di stoccaggio, oppure caricandoli direttamente sui camion degli autotrasportatori.
Nel caso invece di carri vuoti, il capo ufficio di (X) consegnava ai gruisti e agli spuntatori una lista con l'elenco dei container da caricare. I gruisti posizionavano i container sui carri mentre, gli spuntatori controllavano la corrispondenza con la lista dei codici sia dei carri che dei container, inoltre verificavano che non vi fossero delle anomalie relative a carri e/o container.

L'attività di spunta dei treni veniva effettuata sia dal personale di (W) Co.P.S. che da personale di (Y), operazione che poteva essere svolta insieme o in maniera separata. Terminata la spunta era loro compito riconsegnare copia della lista verificata al capo ufficio di (X), il quale provvedeva a comunicare a (Y) che il treno era stato formato e quindi era pronto per essere prelevato. Il personale di (W) Co.P.S spesso provvedeva a inviare la lista verificata agli uffici di (X) tramite fax posizionato nella loro baracca posta al vecchio ingresso del terminal.
In data 01/01/1999 è stata stipulata una convenzione con (X) nella quale … S.p.A. affidava in sub-concessione "la gestione dei servizi di movimentazione di unità di carico diverse, quali i servizi di carico e scarico, di controllo, di temporanea custodia, di ausilio ai servizi doganali e servizi terminali di sopporto, quali ad esempio le trazioni ferroviarie".
(X) s.r.l. nel contratto si impegnava a effettuare la manutenzione "ordinaria" degli immobili e delle infrastrutture e ad effettuare il carico e lo scarico dei container dai treni tramite proprio personale (gruisti) mentre l'attività di verifica e la spunta dei treni veniva affidata alla cooperativa (W) che deve controllare il carico (container) dei treni in arrivo e in partenza.
In funzione di un accordo stipulato in data 1.2.1999, il personale di macchina di (Y) S.p.A. ha il compito di effettuare le manovre di. introduzione o estrazione dei treni sia vuoti che pieni; le manovre ferroviarie devono avvenire all'interno del terminal solo a seguito di richiesta da parte di (X).

 

Fatta questa necessaria premessa, il giorno 26 ottobre 2007 (Z), preso servizio presso il terminal alle ore 5.00, si recava in ufficio e chiedeva a (L), responsabile dell'ufficio (X), alle 6,10 circa, quali erano i treni che doveva controllare.
(L) gli forniva la lista del treno sul 5° binario, quella del treno sul 2° binario e del treno che sarebbe arrivato nella mattinata sul 1° binario.

(Z) usciva dagli uffici per recarsi a controllare il treno sul 5° binario.

Erano le ore 6.30 circa quando, all'estremità del treno in direzione Boschetto, incontrava ..., la quale stava controllando il treno (50027) sul 5° binario sul lato del 6° binario.

Insieme decidevano di controllare anche l'altro lato del treno sul 5° binario.
Terminata la spunta del treno posizionato sul 5° binario, sia (Z) che ... rientravano in ufficio da (L); nell'occasione (Z) cambiava la radio, che non funzionava, e lasciava la collega ... che erano circa le ore 7.00 - 7.10.
Nel frattempo la squadra di (Y), entrata in servizio alle ore 6,00 e composta da (M) (macchinista), (C) (manovratore) e (B) (capo zona), era stata incaricata dal capo nucleo … di introdurre un treno con carri vuoti sul 7° binario presso il terminal di (X).

Nell'operazione (M) era alla guida del locomotore che spingeva la fila di carri, (C) si trovava in cabina con lui, mentre (B) era alla testa dei carri, su un predellino esterno, in quanto avrebbe dovuto, di lì a poco, manovrare gli scambi per direzionare il treno nel binario corretto. Infatti, arrivati all'ingresso del terminal di (X), (B) scendeva ed a piedi si avvicinava al 1° scambio azionandolo per direzionare il treno sul 7° binario. Quando il treno giungeva sul binario lo (C) scendeva dal locomotore e lo sganciava; nel frattempo (B) che si trovava in fondo ai carri, attraversava a piedi i binari 6, 5, 4, 3 e 2 per recarsi sul 1° binario.
(M) e (C) tornavano indietro con il locomotore sino allo scambio posto vicino al container "UBC", per incanalarsi sul secondo tronco ed andare sul 1° binario a recuperare il collega (B); raggiuntolo sul 1° binario, erano circa le ore 7.20, il locomotore rientrava in "Boschetto".

Nel frattempo, (Z) dopo aver lasciato l'ufficio di (X), verso le ore 7.00 -7.10, si dirigeva verso la struttura della (W) Co.P.S. adibita ad uffici, e mentre attraversava i binari, in corrispondenza del passaggio pedonale previsto dalla viabilità interna, alle ore 7.20 circa, veniva investito dal locornotore che proveniva dal 1° binario.
Dopo l'investimento, il personale di (Y) entrava e usciva dal terminal almeno altre due volte senza accorgersi di quanto accaduto. Solo alle ore 8.00, un operaio addetto alla manutenzione dell'autogrù, recatosi nella sua postazione di lavoro vicino all'ingresso ferroviario dell'interporto, si accorgeva del corpo del (Z) e allertava i soccorsi.
All'atto del sopralluogo, il cadavere di (Z) veniva rinvenuto supino al suolo, a scavalco su una rotaia ferroviaria, sezionato apparentemente in due tronconi a livello del passaggio fra addome ed emibacino di desta, tronconi mantenuti fra loro grossolanamente contigui e ravvicinati dagli indumenti indossati dalla vittima.
L'autopsia accertava che la causa della morte, da collocarsi tra le ore 7.15 e le ore 8.00 del giorno 26 ottobre 2007, era da ascriversi ad un ''grande traumatismo da investimento ferroviario con primario trauma contusivo alla regione toracica posteriore sinistra e terminale sezione completa del corpo al passaggio fra bacino e arti inferiori''.

La colpa specifica è individuata per ognuno degli indagati nella violazione delle seguenti norme:

 

(A)
1. art. 2087 c.c. in quanto, datore di lavoro, non adottava nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie e a tutelare l'integrità dei lavoratori.
2. art. 4, comma 2° del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, nella qualifica sopra riportata, non valutava i rischi relativi alla attività lavorativa. Ed infatti nel documento di valutazione dei rischi, datato 15/03/2007 (ancorché l'attività della cooperativa presso (X) fosse iniziata nel novembre del 2001) in riferimento all'attività svolta da (Z), spuntatore di treni, nel capitolo "aree di transito" è indicato un rischio pari a 8 che dovrebbe significare rischio elevato con la conseguente necessità di attivare misure urgenti di prevenzione e protezione. Misure che non sono state dettagliate nel documento di valutazione dove è indicata solo la necessità di procedere all'informazione del personale esponendo i rischi cui il personale è esposto, informazione che (W) ha svolto in maniera del tutto inadeguata e insufficiente nei confronti dei suoi dipendenti.
3. art. 7, comma 2° lett. a) e b) del D.Lgs 626/94 e s.m.i. in quanto non cooperava con i datori di lavoro di (X) srl e (Y) S.p.A. all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi incidenti sulla attività lavorativa esercitata presso il CIM e non coordinava con i datori di lavoro di (X) srl e (Y) S.p.A. gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi, informandosi reciprocamente al fine di eliminare tutti i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese, operanti al CIM, ivi incluso (Z);
4. art. 22, comma 1°, del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto non forniva a (Z) e agli altri soci della cooperativa, un'adeguata formazione in materia di sicurezza e salute, con particolare riferimento ai rischi relativi all'attività di spuntatore dei treni e qualunque altra attività da svolgersi presso il terminal di (X) srl.

 

(D)
art. 5, comma 2° lett. d) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, nella qualifica sopra indicata, nonostante il personale di (W) gli avesse segnalato più volte il comportamento tenuto dalle squadre di (Y), consistente nel percorrere con i locomotori binari vuoti, senza avvisare nessuno, manovra altamente pericolosa tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operano all'interno del piazzale del terminal, ometteva di segnalare immediatamente le condizioni di pericolo al datore di lavoro.

 

(M)
1. art. 5, comma 2° lett. a) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, macchinista dipendente di (Y) S.p.A, alla guida del locomotore che investiva (Z), non osservava le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro e contenute sia nel documento di coordinamento che nel modello M47 procedure di lavoro, predisposte da (Y) S.p.A..
2. art. 5, comma 2° lett. f) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto compiva di propria iniziativa, insieme ai colleghi, una manovra pericolosa tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operano all'interno del piazzale del terminal, spostandosi con il locomotore dal 7° binario a 1° binario senza avvisare nessuno dello spostamento, investendo (Z).

 

(C)
1. art. 5, comma 2° lett. a) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, manovratore dipendente di (Y) S.p.A, presente sul locomotore che investiva (Z), non osservava le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro e contenute sia nel documento di coordinamento che nel modello M47 procedure di lavoro, predisposte da (Y) S.p.A..
2. art. 5, comma 2° lett. f) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto compiva di propria iniziativa, insieme ai colleghi, una manovra pericolosa tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operano all'interno del piazzate del terminal, pianificando con essi lo spostamento con il locomotore dal 7° binario a l° binario senza avvisare nessuno dello spostamento, investendo (Z).

(B)
1. art. 5, comma 2° lett. a) del D.Lgs, 626/94 e s.m.i. in quanto, capo zona dipendente di (Y) S.p.A., presente sul locomotore che investiva (Z), non osservava le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro e contenute sia nel documento di coordinamento che nel modello M47 procedure di lavoro, predisposte da (Y) S.p.A..
2. art. 5, comma 2° lett. f) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto compiva di propria iniziativa insieme ai colleghi una manovra pericolosa tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operano all'interno del piazzale del terminal, pianificando con essi lo spostamento con il locomotore dal 7° binario a 1° binario senza avvisare nessuno dello spostamento, investendo (Z).

 

(E)
1. art. 7, comma 2 lett. A) e B) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, nella qualifica sopra indicata, non cooperava con i datori di lavoro di (X) srl e (W) all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa esercitata presso il CIM e non coordinava, con i datori di lavoro di (X) srl e(W) , gli interventi di protezione e di prevenzione dai rischi, informandosi reciprocamente al fine di eliminare tutti i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese operanti al CIM, ivi incluso (Z).
2. art. 7, comma 3° del D. Lgs. 626/94 come modificato dall'art. 3 comma 1° della Legge 123/07 in quanto non provvedeva ad elaborare, in collaborazione con (W) e (X) srl, un unico documento di valutazione dei rischi indicante le misure da adottare per eliminare i rischi e le interferenze per l'attività da svolgersi presso il piazzale del terminal. I più documenti disgiunti presentati al Servizio pre.s.a.l. non valutano in maniera esauriente il rischio di investimento durante l'attività lavorativa degli addetti alla spunta dei treni, ed inoltre non indicano quali misure di sicurezza sarebbero state attuate al fine di prevenire tale rischio.
3. art. 35, comma 4 bis lett. a) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto ometteva di esigere il rispetto delle regole di circolazione dei treni presso il Terminal di (X), secondo le procedure riportate sia nel documento predisposto ex art. 7 del D.Lgs. 626/94 da (Y) sia nel Modello M47, riportante le procedure di lavoro per le squadre di manovra.

 

(F)
1. art. 2087 c.c. in quanto, datore di lavoro, non adottava nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessario a tutelare l'integrità dei lavoratori.
2. art. 7, comma 2 lett. A) e B) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, nella qualifica sopra indicata, non cooperava con i datori di lavoro di (X) srl e (W) all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa esercitata presso il CIM e non coordinava, con i datori di lavoro di (X) srl e (W) gli interventi di protezione e di prevenzione dai rischi, informandosi reciprocamente al fine di eliminare tutti i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese operanti al CIM, ivi incluso (Z).
3. art. 7, comma 3° del D.Lgs. 626/94 come modificato dall'art. 3 comma 1° della Legge 123/07 in quanto non provvedeva ad elaborare, in collaborazione con (W) e (X) srl, un unico documento di valutazione dei rischi con indicazione delle misure da adottare per eliminare i rischi e le interferenze per l'attività da svolgersi presso il piazzale del terminal. I più documenti disgiunti presentati al Servizio pre.s.a.l. non valutano in maniera esauriente il rischio di investimento durante l'attività lavorativa degli addetti alla spunta dei treni ed inoltre non indicano quali misure di sicurezza sarebbero state attuate al fine di prevenire tale rischio.

 

(G) e (H)
1. art. 2087 c.c. in quanto, entrambi datori di lavoro, non adottavano nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l'integrità dei lavoratori.
2. art. 4, comma 2° del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, entrambi datori di lavoro, redigevano il documento di valutazione dei rischi, che tra l'altro porta la firma solo di (G), in modo non esaustivo, posto che i rischi presenti nell'ambiente di lavoro non sono completamente individuati né sufficientemente dettagliati; ad esempio: a pag. 13 dove vengono descritti i luoghi di lavoro e i locali, la relazione è sommaria, non viene descritto nel dettaglio il piazzale e quali sono le infrastrutture e il tipo di segnaletica messa in essere, parte che dovrebbe essere anche corredata da disegni e planimetrie esplicative; a pag. 18 del documento si fa riferimento a un questionario utilizzato per redigere la valutazione del rischio che però non viene allegato e dettagliato; alle pagg. 33 e seguenti vengono riportate le schede con l'analisi dei rischi in merito alle attività svolte nel piazzale per la spunta dei treni: viene evidenziato il fattore "investimento" la cui causa è individuata nell' "inoltro carri nel piazzale da parte del personale FS", ma la probabilità di accadimento viene indicata come "bassa" e soprattutto il rischio viene definito "tollerabile", ancorché i danni siano indicati "gravi temporanei". Per quanto poi concerne le misure di prevenzione e protezione, a pag. 34 sono riportate indicazioni sommarie e di carattere generale e non si fa riferimento a nessun tipo di sistema di controllo per l'ingresso e l'uscita dal terminal dei treni, (ancorché un minimo di controllo, sia pure di scarsa efficacia, fosse stato adottato, come ad esempio i sensori posti all'ingresso del piazzale dove si diramano i binari che attivano una sirena). Pertanto il documento è incompleto, non esaustivo e di scarsa efficacia.
3. art. 7, comma 2 lett. A) e B) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, nella qualifica sopra indicata, non cooperavano con i datori di lavoro di (Y) S.p.A. e (W) all'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi incidenti sull'attività lavorativa esercitata presso il CIM e non coordinavano con i datori di lavoro di (Y) S.p.A. e (W) gli interventi di protezione e di prevenzione dai rischi informandosi reciprocamente al fine di eliminare tutti i rischi dovuti alle interferenze tra i lavoratori delle diverse imprese operanti al CIM, ivi incluso(Z).
4. art. 7, comma 3° del D.Lgs. 626/94 come modificato dall'art. 3 comma 1° della Legge 123/07 in quanto non provvedevano ad elaborare in collaborazione con (W) CO.P.S. srl e (Y) S.p.A. un unico documento di valutazione dei rischi con indicazione delle misure da adottare per eliminarci rischi e le interferenze per l'attività da svolgersi presso il piazzale del terminal. I più documenti disgiunti presentati al Servizio pre.s.a.l., non valutano in maniera esauriente il rischio di investimento durante l'attività lavorativa degli addetti alla spunta dei treni, ed inoltre non indicano quali misure di sicurezza sarebbero state attuate al fine di prevenire tale rischio.
5. art. 35, comma 4-bis, lett. b) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto non provvedevano ad adottare misure organizzative, tali da evitare che i lavoratori a piedi si trovassero nell'area di transito delle autogrù e dei locomotori, esposti, all'interno del piazzale del terminal, al rischio di investimento o contatto con tali mezzi.
6. art. 11, comma 6 del D.P.R. 547/55 in quanto omettevano di dotare il piazzale del terminal di sufficiente illuminazione: in, particolare nella zona di ingresso dei treni, luogo dove è avvenuto l'infortunio, la torre faro, rotta da tempo, non era mai stata sostituita.

(I)
1. art. 5, comma 2° lett. d) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto responsabile del terminal e dirigente di (X) non provvedeva a segnalare immediatamente le condizioni di pericolo ai datori di lavoro (H) e (G), nonostante fosse a conoscenza del comportamento tenuto dalle squadre di (Y) consistente nel percorrere con i locomotori i binari vuoti, senza avvisare nessuno, manovra altamente pericolosa tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operano all'interno del piazzale del terminal.

 

(L)
art. 5, comma 2° lett. d) del D.Lgs. 626/94 e s.m.i. in quanto, responsabile dell'ufficio di (X) ed RSPP aziendale, non provvedeva a segnalare immediatamente le condizioni di pericolo al datore di lavoro, nonostante fosse a conoscenza del comportamento tenuto dalle squadre di (Y) consistente nel percorrere con i locomotori i binari vuoti, senza avvisare nessuno, manovra altamente pericolosa tanto da compromettere la sicurezza delle persone che operano all'interno del piazzale del terminal.
Inoltre, per colpa professionale nella sua veste di responsabile del servizio di prevenzione e di protezione (RSPP) nominato da (H) il 27.6.1996 non svolgeva i compiti che l'art. 9 del D.Lgs 626/94 rubricato "Compiti del servizio di prevenzione e di protezione" pone a carico del responsabile del servizio. In particolare, non individuava adeguatamente i fattori di rischio all'interno dell'ambiente di lavoro, rischio che comunque sottovalutava: non valutando in maniera idonea o valutando in maniera riduttiva il rischio di investimento dei lavoratori si rendeva inadempiente ai suoi obblighi e induceva così datore di lavoro e dirigenti ad omettere l'adozione di doverose ed adeguate misure prevenzionali.

 

Con l'aggravante - per tutti - di avere causato il fatto con violazione delle norme che disciplinano la sicurezza e la salute negli ambienti di lavoro.
In Novara, il 26.10.2007

 

 

Società (W) Co.p.s. in persona del legale rappresentante p.t.:

 

B) dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25 septies comma 2° del D.Lgs. 231/01 perché nella sua qualità di legale rappresentante in relazione alle condotte di cui al capo A) - da intendersi qui integralmente richiamato - poste in essere nell'interesse e nel vantaggio dell'ente, perché intervenute nell'esercizio dell'attività imprenditoriale peraltro connotata dalla adozione di tecniche atipiche e meno costose, non avendo adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello accaduto, rendeva possibile la commissione del reato descritto al capo A).

 


Società (X) S.r.l. in persona del legale rappresentante p.t.:

 

C) dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25 septies comma 2° del D.Lgs. 231/01 perché nella sua qualità di legale rappresentante in relazione alle condotte di cui al capo A) - da intendersi qui integralmente richiamato - poste in essere nell'interesse o comunque nel vantaggio dell'ente, perché intervenute nell'esercizio dell'attività imprenditoriale peraltro connotata dalla adozione di tecniche atipiche e meno costose, non avendo adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello accaduto, rendeva possibile la commissione del reato descritto al capo A).

 


Società (Y) S.p.A. in persona del legale rappresentante p.t.:

 

D) dell'illecito amministrativo di cui all'art. 25 septies comma 2° del D.Lgs. 231/01 perché nella sua qualità di legale rappresentante in relazione alle condotte di cui al capo A) - da intendersi qui integralmente richiamato - poste in essere nell'interesse o comunque nel vantaggio dell'ente, perché intervenute nell'esercizio dell'attività imprenditoriale peraltro connotata dalla adozione di tecniche atipiche e meno costose, non avendo adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello accaduto, rendeva possibile la commissione del reato descritto al capo A).
Le parti hanno concluso come segue:
(omissis)


FATTODIRITTO

 

A conclusione delle indagini preliminari il PM formulava a carico degli imputati, nonché di (M), la richiesta di rinvio a giudizio in ordine al reato indicato in rubrica sub A), con contestuale elevazione della contestazione in materia di responsabilità amministrativa nei confronti delle società epigrafate nel cui ambito operativo avveniva il sinistro nel quale rimaneva vittima (Z).

(omissis)

 

 

LA RESPONSABILITA' AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI


 

La responsabilità delle società coinvolte nella vicenda in relazione alla fattispecie di cui all'art. 25 septies D.L.vo n. 231/01 richiede, oltre al perfezionamento degli elementi costitutivi del fatto-reato da cui scaturisce, che lo stesso sia stato commesso da uno dei soggetti qualificati indicati nell'art. 5 del decreto legislativo citato nell'interesse o vantaggio dell'ente medesimo a cui possa riconoscersi la colpa gestionale o organizzativa.
Segnatamente, nell'ipotesi in cui - come nel caso di specie - il reato sia stato commesso da soggetti aventi posizione apicale che, di certo, non agivano nell'interesse esclusivo proprio o di terzi, l'ente deve senz'altro rispondere a meno che, giusto art. 6 D.L.vo citato, non fornisca la prova di avere adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato, un modello di organizzazione e di gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (cfr., Cass. pen., sez. VI, 9.7.2009 n. 36083).

E' noto che il decreto legislativo in oggetto ha introdotto un nuovo sistema di responsabilità sanzionatoria, un tertium genus rispetto ai noti e tradizionali sistemi di responsabilità penale e di responsabilità amministrativa, prevedendo un'autonoma responsabilità amministrativa propria dell'ente, allorquando è stato commesso un reato (tra quelli espressamente elencati nella sezione III del D.L.vo) da un soggetto che riveste una posizione apicale nell'interesse o vantaggio della società, sul presupposto che il fatto-reato commesso da un soggetto che agisca per la società è fatto della società, di cui essa deve rispondere.
In forza del rapporto d'immedesimazione organica con il suo dirigente apicale, l'ente risponde per fatto proprio, senza involgere minimamente il divieto di responsabilità penale per fatto altrui posto dall'art. 27 Cost..
L'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente si basa su fatto proprio di quest'ultimo imputabile non a titolo oggettivo, sebbene per colpa di organizzazione, dovuta alla omessa predisposizione di un insieme di accorgimenti preventivi idonei ad evitare la commissione del reato presupposto: è il riscontro di tale deficit organizzativo che consente l'imputazione all'ente dell'illecito penale realizzato nel suo ambito operativo.
La sussistenza dell'interesse (considerato dal punto di vista soggettivo) o del vantaggio (considerato dal punto di vista oggettivo) è sufficiente all'integrazione della responsabilità fino a quando sussiste l'immedesimazione organica tra dirigente apicale ed ente.

 

Quest'ultimo non risponde solo allorchè il fatto è stato commesso dal singolo "nell'interesse esclusivo proprio o di terzi" (cfr., art. 5 co. 2), non riconducibile neppure parzialmente all'interesse dell'ente, ossia nel caso in cui non sia più possibile configurare la citata immedesimazione.

 

Al di fuori di tale ipotesi, per non rispondere per quanto ha commesso il suo rappresentante l'ente deve provare di avere adottato le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello realizzato.
Ne consegue l'inversione dell'onere della prova e la necessità che l'ente fornisca innanzitutto "la prova che l'organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e dì gestione idonei a tal fine'" (cfr., art. 6, lett. a)).
La mancata adozione di tali modelli, in presenza dei mentovati presupposti oggettivi e soggettivi, è sufficiente a costituire quella "rimproverabilità" posta a fondamento della fattispecie sanzionatoria, costituita dall'omissione delle previste doverose cautele organizzative e gestionali idonee a prevenire talune tipologie criminose.

 

In tale concetto di "rimproverabilità" è implicata una nuova forma normativa di colpevolezza per omissione organizzativa e gestionale, avendo il legislatore ragionevolmente tratto dalle concrete vicende occorse in questi decenni, in ambito economico e imprenditoriale, la legittima e fondata convinzione della necessità che qualsiasi complesso organizzativo costituente un ente adotti modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire la commissione di determinati reati, che l'esperienza ha dimostrato funzionali ad interessi strutturati e consistenti, giacché le "principali e più pericolose manifestazioni di reato sono poste in essere da soggetti a struttura organizzativa complessa" (cfr., Relazione ministeriale).
Si tratta, in definitiva, di colpa organizzativa e gestionale presunta, stante l'inversione dell'onere della prova.
Tanto premesso, occorre anzi tutto precisare - con riguardo al caso di specie - che il breve arco temporale, pari a circa due mesi, intercorso tra l'entrata in vigore della normativa contestata e la commissione del fatto-reato non comporta in sé l'inesigibilità della condotta.
Il principio della non esigibilità di una condotta diversa, sia che lo si voglia collegare alla "ratio" della colpevolezza riferendolo ai casi in cui l'agente operi in condizioni soggettive tali da non potersi da lui "umanamente" pretendere un comportamento diverso, sia che lo si voglia ricollegare alla "ratio" dell'antigiuridicitá riferendolo a situazioni in cui non sembri coerente ravvisare un dovere giuridico dell'agente di uniformare la condotta al precetto penale, non può trovare collocazione e spazio al di fuori delle cause di giustificazione e delle cause di esclusione della colpevolezza espressamente codificate, in quanto le condizioni ed i limiti di applicazione delle norme penali sono posti dalle norme stesse, senza che sia consentito ai giudice di ricercare cause ultra legali di esclusione della punibilità attraverso l'analogia juris.

 

Il vigente ordinamento penale è fondato sul principio di legalità e al giudice non è lasciato alcun margine per l'individuazione della condotta punibile.

 

La mancanza di una disciplina transitoria, ovvero di un termine a cui ancorare la decorrenza degli effetti della nuova disciplina sanzionatoria, comporta che era obbligo immediato per le società adottare e attuare i modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire incidenti sul lavoro del tipo di quello poi verificatosi.
L'adozione dei modelli organizzativi costituisce una incoercibile scelta positiva dell'ente di dotarsi di uno strumento organizzativo che, al di là del mero adempimento formale e burocratico, ove preventivamente attuato ed in grado di eliminare o ridurre il rischio di commissione di illeciti da parte della società comporta l'esclusione della responsabilità amministrativa.
Ove sussistano situazioni di rischio, non c'è dubbio che sia necessario agire tempestivamente a tutela di valori fondamentali (quali la vita e l'incolumità personale), adottando tutte quelle misure adeguate a prevenire eventi lesivi, non potendosi altrimenti sacrificare i beni protetti in ragione di inefficienze organizzative e di gestione.
L'obbligo di fattibilità dei modelli va correlato ai rischi specifici di commissione degli illeciti, avuto riguardo alle dimensioni, all'organizzazione, alla natura dell'attività svolta e alla stessa "storia" operativa dell'ente, di guisa che più elevato è il pericolo nel caso concreto, più urgente e prioritario è l'obbligo di adozione dello strumento organizzativo.
Né vale invocare, astrattamente, la procedura opzionale di cui all'art. 6 co. 3°, D.L.vo n. 231/01 al fine di ritenere che non vi fossero le condizioni esecutive per adottare i modelli organizzativi, laddove – come nel caso di specie – alcuna attivazione di tale procedura vi è stata (o comunque era praticabile) da parte dell'ente interessato.
Del resto, a ben vedere, la responsabilità amministrativa dell'ente non trova fondamento, in sé, nella mancata adozione e attuazione dei modelli organizzativi, sebbene nella introdotta colpa di organizzazione, di guisa che l'adempimento in questione costituisce una "facoltà" finalizzata ad esonerarsi da tale responsabilità.
Vale a dire che l'ente risponde in ragione del nuovo illecito amministrativo stabilito dall'ordinamento e che se vuole evitare tale responsabilità deve dimostrare di aver provveduto ad attuare idonei rimedi preventivi nella sua organizzazione interna da cui possono originarsi determinati delitti.
Dunque, si tratta di un "onere" da soddisfare, nei termini ritenuti appropriati, nel proprio interesse, essendo rimesso all'ente la scelta di usufruire o meno dell'efficacia "scusante" dei modelli idonei.
Orbene, alla luce delle superiori considerazioni svolte sui fatti accaduti, è risultato provato il nesso eziologico tra l'evento morte di (Z) e la colpevole violazione di una delle discipline speciali richiamate dall'art. 25 septies D.L.vo n. 231/01.

 

E' il caso di ribadire che il panorama della legislazione speciale in materia di sicurezza sul lavoro non esaurisce quello dei doveri di prevenzione dell'imprenditore, che è comunque destinatario del generale obbligo di tutela degli ambienti di lavoro sancito dall'art. 2087 c.c., anche in assenza di specifiche previsioni normative.
Sicchè, atteso il generico riferimento contenuto nella norma contestata alla normativa prevenzionale, può configurarsi la responsabilità dell'ente anche qualora il rimprovero all'autore del reato presupposto sia fondato proprio sulla inosservanza di questo generale dovere di diligenza.
Con riferimento alle società (X) S.r.l. e (W) è risultata dimostrata - non solo sotto il profilo presuntivo - la chiara colpa organizzati va e gestionale, soprattutto quanto alla omessa cooperazione e coordinamento tra di esse, nonostante l'evidenza dei rischi connessi alla circolazione dei treni nel terminal.

 

L'adozione del modello organizzativo da parte di (X) S.r.l. é avvenuta solo dopo i fatti, avendo a ciò provveduto solo in data 15.10.2009 (cfr., doc. prodotta in udienza).
(W) è rimasta tuttora inerte.
Quanto all'interesse o vantaggio per le società, va osservato che, in linea con quanto già prospettato nella stessa Relazione allo schema del D.Lvo n.231/01, l'espressione normativa con cui si individua tale connotato funzionale del reato presupposto non contiene un'endiadi, poiché i termini riguardano concetti giuridicamente diversi, dotati di autonomia concettuale, laddove il primo evoca l'interesse prefigurato "a monte" come indebito arricchimento conseguente all'illecito, ed il secondo il vantaggio effettivamente conseguito dalla sua consumazione (cfr., pure, Cass. pen., sez. II, 30.1.2006 n. 3615).
D'altronde, al di là della presenza nella norma della congiunzione disgiuntiva "o" (e non quella copulativa "e") tra le parole "interesse" e "vantaggio", anche la previsione di cui all'art. 12 del decreto, per la quale la sanzione è ridotta se l'autore del reato lo ha commesso nel prevalente interesse proprio o del terzo e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo, conduce ad ipotizzare che lo stesso legislatore ha previsto, come possibile, il concorso dei due presupposti, preoccupandosi di disciplinare il caso sul piano dell'entità delle sanzioni.
Anche il principio di conservazione dei valori giuridici implica che i due termini non siano usati come sinonimi, perché diversamente opinando si assisterebbe ad una interpretatio abrogans di uno dei due presupposti oggettivi di ascrizione della responsabilità al soggetto collettivo previsti dalla non-nativa in questione.

 

In caso di reati colposi, non c'è dubbio che il "vantaggio" costituisca il criterio naturalmente più idoneo a fungere da indice di collegamento tra ente e illecito, e dunque a selezionare le ipotesi in cui l'ente possa rispondere sul piano della responsabilità amministrativa.
Esso può essere ravvisato laddove un soggetto agisca per conto dell'ente, con sistematiche violazioni di norme cautelati così da far rientrare quella condotta nella politica di impresa volta alla svalutazione della gestione in materia di sicurezza con conseguente abbattimento dei costi e spese per l'adozione ed attuazione dei presidi antinfortunistici, nonché ottimizzazione dei profitti.
Né va esaltata la distinzione tra i reati colposi di evento e quelli di pura condotta stante le ulteriori difficoltà di ipotizzare e dimostrare che i primi (omicidio colposo e lesione personale colposa in danno di un lavoratore) possano essere commessi nell'interesse o a vantaggio dell'ente, e cioè che l'evento lesivo (mortale o comunque pregiudizievole dell'incolumità psico-fisica del lavoratore) abbia comportato un vantaggio o utilità per la società.

 

In effetti, ritiene il Giudice che l'interesse o vantaggio può essere correlato anche a tali reati colposi, rapportando i due criteri non all'evento delittuoso, bensì alla condotta violativa di regole cautelati che ha reso possibile la consumazione del delitto.
Non c'è dubbio che solo la violazione delle regole cautelari poste a tutela della salute del lavoratore può essere commessa nell'interesse o vantaggio dell'ente, e cioè allo scopo di ottenere un risparmio dei costi di gestione, mentre l'evento lesivo (in sé considerato, semmai controproducente per l'ente) deve essere ascritto all'ente per il fatto stesso di derivare dalla violazione di regole cautelati.
I criteri di interesse o vantaggio devono, quindi, essere riferiti non già al reato (e quindi all'evento di morte o lesione della vittima), bensì alle condotte costitutive di esso, e, quindi, alla violazione di regole cautelare connesse al determinismo dell'evento.
Sicché, il collegamento finalistico che fonda la responsabilità dell'ente ex art. 5 D.L.vo n. 231/01 non deve necessariamente coinvolgere anche l'evento, quale elemento costitutivo del reato, giacché l'essenza del reato colposo è proprio il risultato non voluto.
Invero, la colpa non è un coefficiente psicologico reale ma un giudizio (di rimproverabilità), di guisa che non è detto che essa si ponga in termini antitetici con l'interesse, inteso come atteggiamento psicologico dell'autore del fatto.
Del resto, nel concetto di colpa rientra anche il caso della previsione dell'evento, ancorchè escluso e non voluto (c.d. colpa cosciente).
Dunque, il finalismo della condotta può armonizzarsi con la "non volontarietà" dell'evento - che costituisce il requisito strutturale dei reati colposi - laddove si accetti che il comportamento che ha causato quest'ultimo non sia stato indotto da esclusive finalità estranee alla società (art. 5 co. 2° D.L.vo n. 231/01), sebbene sia stato determinato da scelte afferenti alla sfera di interessi dell'ente ovvero ispirate a strategie finalizzate ad ottenere benefici e vantaggi - anche solo mediati - per l'ente medesimo.
Ne consegue che, prescindendo da astratte pregiudiziali concettuali e giuridiche, occorre verificare, caso per caso, in quale contesto sono avvenuti i fatti, evitando il rischio di oscillare tra due opposte soluzioni, e cioè la necessaria e imprescindibile responsabilizzazione dell'ente o l'esclusione da qualsiasi forma di responsabilità.
Non è possibile ravvisare l'interesse o vantaggio in re ipsa nello stesso ciclo produttivo in cui si è realizzata la condotta casualmente connessa all'infortunio, con conseguente sussistenza automatica dei presupposti della responsabilità amministrativa dell'ente, solo perché il reato è stato commesso nello svolgimento della sua attività.
Tuttavia, laddove l'accertamento dell'interesse o vantaggio - così come sopra finalisticamente delineati - sia positivo, ben è possibile ravvisare la responsabilità amministrativa dell'ente a fronte della fattispecie colposa.


Tanto premesso, occorre evidenziare che il reato commesso dai datori di lavoro delle due citate società trova fondamento induttivo nell'interesse o vantaggio di quest'ultime che, non adottando le indispensabili iniziative volte a prevenire il rischio di investimento ferroviario, riducevano ed evitavano i costi degli interventi strumentali necessari (ad es., installazione di un articolato sistema di segnali acustici e visivi, manutenzione dei presidi esistenti), velocizzavano i tempi e ritmi del ciclo produttivo, evitavano i disagi organizzativi e l'utilizzo del tempo per lo svolgimento dell'attività di coordinamento e cooperazione, riducevano i costi per la formazione e l'informazione del personale.

 

La perfetta consapevolezza del problema (rischi per l'incolumità dei lavoratori dovuti al transito imprevisto di treni), ripetutamente denunciato e comprensibile sul piano delle prevedibili implicazioni, indica la intenzionale e meditata elusione della questione organizzativa e prevenzionale, deliberatamente sacrificata in favore di un sistema imprenditoriale che fosse il più economico ed attento ai risultati in termini di profitto.
Per come osservato dal PM anche il modello organizzativo elaborato dalla (X) S.r.l. dopo l'incidente indica la consapevolezza delle enormi carenze organizzative della società che, pur dotata di risorse finanziarie e di strutture articolate, solo a seguito dell'esperienza tragica consumatasi sul luogo di lavoro si determinava ad una seria e rigorosa analisi e valutazione dei rischi connessi all'attività lavorativa.

 

Dunque, per tali società va riconosciuta e dichiarata la responsabilità amministrativa per i fatti contestati.

 

A diverse conclusioni deve, invece, pervenirsi quanto a (Y) S.p.a..

 

Posto che a tale società si rimprovera l'omessa integrazione del modello già preesistente, a ben vedere gli stessi funzionari dello Spresal di Novara sottolineavano come determinante. nell'accadimento dell'incidente era stato il comportamento dei ferrovieri che violavano le procedure di sicurezza e coordinamento, laddove nella documentazione del mod. 47 e relativi aggiornamenti la società dava disposizioni in merito alle condotte da tenere all'interno del terminal (cfr., amplius, pagg. 23 e 26 e ss., dell'inchiesta).
Anche se i rischi riguardavano la circolazione dei treni condotti dal personale (Y) S.p.a., non c'è dubbio che essendo la gestione del terminal spettante a (X) s.r.l., così come il personale operante in loco appartenente alla (W), il problema del coordinamento e predisposizione di adeguati ed efficienti presidi prevenzionali spettava, particolarmente, a tali società.
In tali specifici ambiti societari va ravvisata la connessione tra il comportamento colposo del dirigente/datore di lavoro e la mancata organizzazione di impresa che aveva reso scoperto il rischio nell'area del terminal in cui maturava la vicenda infortunistica.
In ogni caso senz'altro va escluso che vi potesse essere un qualsivoglia ragionevole interesse o vantaggio (di costi, di processo produttivo o organizzazione) per (Y) S.p.a. in ragione della mancata adozione di misure di prevenzione.
Ribadito che i criteri di circolazione dei treni erano già stati adottati e indicati - con mirata formazione - ai dipendenti, ogni altro presidio o sistema prevenzionale avrebbe inciso sulle altre società operanti stabilmente nel terminal e non su (Y) S.p.a..
Del resto, le note dimensioni e capacità organizzative di tale ente rende del tutto ingiustificabile che vi potesse essere una "politica aziendale" da perseguire attraverso la conservazione del sistema in essere nel terminal, ovvero attraverso l'omessa attività di ulteriore formazione del proprio personale.

 

Sicchè tale società va senz'altro mandata esente dalla contestata responsabilità amministrativa per insussistenza del fatto.

(omissis)

 

P. Q. M.

 

 

Visti gli art. 442, 533, 535 c.p.p., 62 n. 6, 62 bis, 69, 163 e ss., 175 c.p.;
dichiara (A), (B), (C), (E), (F), (G) e (H) colpevoli del reato ascrittogli, e, concesse a tutti le attenuanti generiche, nonché a (F), (G) e (H) anche l'attenuante del risarcimento del danno, ritenute prevalenti sulla contestata aggravante, già calcolata la diminuente del rito, condanna, rispettivamente, (A) alla pena di anni uno di reclusione, (B) alla pena di mesi otto di reclusione, (C) alla pena di mesi otto di reclusione, (E) alla pena di anni uno di reclusione, (F) alle pena di mesi otto di reclusione, (G) alle pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e (H) alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione;
condanna tutti i predetti imputati al pagamento delle spese processuali.
Concede a tutti gli imputati la sospensione della pena alle condizioni di legge, nonché a (B), (C), (E), (F) e (G) anche il beneficio della non menzione.
Visti gli arti. 442 e 530 c.p.p.;
assolve (D), (I) e (L) dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.
Visti gli artt. 10, 12, 62, 69 D.L.vo n. 231/01;
dichiara (X) S.r.l. e (W) Co.P.S., in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., responsabili dell'illecito amministrativo contestato e, riconosciuta a (X) S.r.l. la riduzione per aver adottato un idoneo modello organizzativo, calcolata la diminuente del rito, applica, rispettivamente, a (X) S.r.l. la sanzione amministrativa pecuniaria di € 120.000,00 ed a (W) Co.P.S. la sanzione amministrativa pecuniaria di € 140.000,00;
condanna (X) S.r.l. e (W), in persona dei rispettivi rappresentanti legali p.t., al pagamento delle spese processuali.
Visti gli arti. 62, 66 D.L.vo n. 231/0l;
dichiara esclusa la contestata responsabilità amministrativa nei confronti di (Y) S.p.a., in persona del rappresentante legale p.t., perchè l'illecito amministrativo non sussiste.