Cassazione Civile, Sez. Lav., 11 ottobre 2012, n. 17349 - Estrazione del marmo e presenza di silicati e calcare nonchè di gas e fumi: neoplasia polmonare


 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente

Dott. NOBILE Vittorio - rel. Consigliere

Dott. FILABOZZI Antonio - Consigliere

Dott. MANCINO Rossana - Consigliere

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA


sul ricorso 16316-2007 proposto da:

(Omissis), elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (Omissis), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio degli avvocati (Omissis) e (Omissis) che lo rappresentano e difendono, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2/2006 del TRIBUNALE di MASSA, depositata il 07/08/2006 r.g.n. 292/94 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/09/2012 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l'Avvocato (Omissis) per delega (Omissis);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto


Con ricorso del 6-4-1992 (Omissis), premesso di essere coniuge superstite di (Omissis) (deceduto il (Omissis) per neoplasia polmonare, dopo aver svolto dal 1985 la sua attività nella estrazione del marmo, in galleria con presenza di silicati e calcare nonchè di gas e fumi di scarico dei veicoli e delle macchine operatrici) conveniva davanti al Pretore di Massa l'INAIL chiedendo l'accertamento del diritto, iure hereditario, ai ratei della "pensione di invalidità" (rectius: rendita) maturati dal de cuius e iure proprio alla rendita ai superstiti e all'assegno funerario, con la condanna dell'istituto al pagamento delle corrispondenti somme.

L'INAIL resisteva eccependo la prescrizione quanto alla domanda dei ratei di rendita eventualmente maturati dal de cuius e per il resto contestando la pretesa attrice sulla base degli accertamenti sanitari condotti in sede amministrativa.

Il giudice adito, con sentenza n. 181/1993, respingeva la domanda, sulla base delle conclusioni del CTU, che aveva ritenuto l'insussistenza nella letteratura medica di dati relativi ad una comparsa statisticamente significativa di neoplasie polmonari in soggetti esposti a polveri quali quelle presenti nell'ambiente di lavoro del de cuius ed all'inalazione di gas di scarico.

La (Omissis) proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma con l'accoglimento della domanda.

Disposta ed espletata una prima e una seconda CTU medico legale, con relativi chiarimenti, la Corte territoriale nominava, poi, un terzo CTU questa volta specialista oncologo, e all'esito, in sostanza accertata l'insussistenza del nesso eziologico tra l'attività lavorativa del (Omissis) e la malattia che ne aveva determinato la morte, respingeva l'appello.

Per la cassazione di tale sentenza la (Omissis) ha proposto ricorso con tre motivi.

L'INAIL ha resistito con controricorso.

Infine entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

Diritto


Con il primo motivo la ricorrente denunciando violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 3 e della voce n. 30 della tabella costituente l'allegato n. 4 allo stesso Decreto del Presidente della Repubblica, in sostanza, lamenta che erroneamente la Corte territoriale ha escluso la riconducibilità dell'attività lavorativa svolta dal (Omissis) alla previsione di cui alla citata voce (come risultante dalla modifica ed integrazione effettuata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 482 del 1975), rilevando che "l'esposizione ad I.P.A." era stata "determinata non dalla lavorazione in sè, ma da operazioni complementari, in particolare dalla presenza in galleria di gas di scarico dei veicoli, che quotidianamente, più volte al giorno si inoltravano nella cava".

In particolare la ricorrente deduce che in tal modo la Corte di merito, oltre a non considerare che nella cava operavano con continuità, oltre ai veicoli, anche le macchine operatoci (ruspe ed altri mezzi propri della lavorazione - dato pacifico -), non ha tenuto conto che il legislatore ha voluto attribuire rilevanza, ai fini della tutela assicurativa INAIL, ad ogni lavorazione effettuata in un contesto ambientale che esponga all'azione dell'agente patogeno specificamente indicato ("idrocarburi aromatici, saturi e non saturi, nuclei aromatici condensati e non condensati1', con "periodo massimo di indennizzabilità dalla cessazione dal lavoro: 3 anni. In caso di manifestazioni neoplastiche: 30 anni"). In sostanza, secondo la ricorrente, il (Omissis) era stato "continuativamente adibito a lavorazioni in galleria ove era continuamente esposto a prodotti di combustione di motori diesel in ambiente non adeguatamente areato", per cui doveva presumersi l'origine professionale della malattia tabellata (manifestazione neoplastica), incombendo sull'INAIL l'onere di provare rigorosamente la sussistenza di un nesso causale con un fattore patogeno extralavorativo.

Del resto, la ricorrente aggiunge che l'istituto non aveva mai fornito alcuna prova di una diversa eziologia della malattia, al riguardo, peraltro, neppure avendo contestato in primo grado la circostanza dedotta dalla attrice (ed oggetto anche di richiesta probatoria non accolta) secondo cui il (Omissis) non era mai stato fumatore. Peraltro il riferimento al fattore patogeno del fumo di sigarette era emerso per la prima volta nella seconda CTU di appello, sulla base della dicitura contenuta nella cartella clinica del 1988 ("Fumatore: 20 sigarette al dì"), secondo la ricorrente "frutto di errore".

Infine la (Omissis) deduce che, anche ove la malattia contratta si ritenga ad eziologia multifattoriale, la presunzione legale continua ad operare per quelle forme specifiche che "hanno o possono avere, secondo la scienza medica, origine professionale", ciò quantomeno, quindi, in termini di "possibilità" (nella specie certamente emersa, come dalle affermazioni del secondo CTU di appello richiamate in sentenza).

Osserva il Collegio che, come è stato affermato da questa Corte, e va qui ribadito, "l'accertamento della inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia (purchè insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità) comporta l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, con la conseguente insorgenza a carico dell'I.N.A.I.L. dell'onere di dare la prova di una diversa eziologia della malattia stessa ed in particolare della dipendenza dell'infermità, nel caso concreto, da una causa extralavorativa oppure del fatto che la lavorazione, cui il lavoratore è stato addetto, non ha avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia, di modo che, per escludere la tutela assicurativa deve risultare rigorosamente ed inequivocabilmente accertato che vi è stato l'intervento di un diverso fattore patogeno, il quale, da solo o in misura prevalente, ha cagionato o concorso a cagionare la tecnopatia. Tuttavia, questa regola, allorquando si tratti di una malattia, come quella tumorale, ad eziologia multifattoriale, dev'essere temperata nel senso che la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, dovendosi, peraltro, ritenere che, nel caso in cui si tratti di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torni ad operare, con la conseguenza che l'istituto assicuratore è onerato di dare la prova contraria, la quale può consistere solo nella dimostrazione che la patologia tumorale, per la sua rapida evolutività, non è ricollegabile all'esposizione a rischio, in quanto quest'ultima sia cessata da lungo tempo" (v. Cass. 26-7-2004 n. 14023).

Del resto questa Corte ha più volte affermato che "in tema di malattie ed eziologia plurifattoriali la prova della causa di lavoro o della speciale nocività dell'ambiente di lavoro, che grava sul lavoratore, deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la mera possibilità dell'origine professionale, questa può essere invece ravvisata in presenza di un rilevante grado di probabilità" (v. fra le altre Cass. 10-11-2011 n. 23415, Cass. 8-10-2007 21021. Cass. 1-3-2006 n. 4520).

Nella fattispecie la Corte territoriale, sulla base delle concordi risultanze di ben tre consulenze tecniche di ufficio disposte in appello, ha concluso che "l'esposizione a rischio non è stata idonea perchè non significativa e troppo breve in relazione al periodo di latenza della malattia tumorale".

In particolare la Corte di merito, ha rilevato:

che il primo CTU "ha escluso sia la sussistenza della BCPO da silicati e calcari (su concorde parere del consulente di parte appellante), sia il nesso causale tra neoplasia polmonare che ha condotto il de cuius al decesso ed attività lavorativa, espletata sia a cielo aperto, sia in galleria", chiarendo anche che "i calcoli sui tempi trascorsi in galleria con esposizione ai gas di scarico dei motori diesel erano insignificanti rispetto alla ubiquitarietà del rischio di esposizione a idrocarburi polinucleari aromatici (IPA)";

che anche il secondo CTU ha escluso "sia che l'esposizione professionale all'inalazione di polveri calcaree avesse determinato nel sig. (Omissis) alterazioni di tipo bronchitico cronico e che. comunque esistesse nella letteratura scientifica una correlazione tra BCPO e l'insorgenza di neoplasie polmonari, sia che esistesse un nesso causale tra il microcitoma polmonare che aveva condotto al decesso l'assicurato e l'esposizione professionale a sostanze lesive presenti nell'ambiente di lavoro" rilevando in particolare che nel (Omissis) "non sono stati riferiti segni concomitanti di esposizione alle sostanze indicate" e che il periodo di esposizione (tra il 1985 e il 1988) e di latenza "appaiono troppo brevi per rendere plausibile una correlazione fra esposizione occupazionale ad IPA e comparsa della patologia neoplastica", anche in rapporto all'età del soggetto, ed aggiungendo, altresì, in sede di chiarimenti, che "le stesse predette conclusioni possono essere confermate qualora, per mera ipotesi, fosse comprovata la qualità di non fumatore del (Omissis), dovendo comunque escludersi per i detti motivi un nesso causale o concausale fra esposizione lavorativa agli IPA e l'insorgenza della neoplasia polmonare";

che, infine, anche il terzo CTU (specialista oncologo) ha concluso "nel senso che non sussisteva con grado di elevata probabilità il nesso causale od il nesso concausale efficiente tra la esposizione lavorativa alle sostanze morbigene indicate in ricorso e la malattia tumorale", "in ragione della breve esposizione e del breve periodo di latenza, sia nel caso che il (Omissis) fosse stato un fumatore, sia in ipotesi che il predetto non fosse stato un fumatore".

Tale univoco accertamento, che è stato fatto proprio dalla Corte di merito, con congrua ed esauriente motivazione, risulta conforme ai principi sopra richiamati e resiste alle censure della ricorrente, che in sostanza invoca soltanto la rilevanza della mera "possibilità" della concausalità della esposizione agli IPA, come tale insufficiente ad integrare una adeguata probabilità sul piano scientifico.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta insufficiente o comunque contraddittoria motivazione, in quanto la Corte di merito, dopo aver affermato che la circostanza della sussistenza o meno del fumo di sigarette aveva potenziale rilevanza esclusivamente sotto il profilo probatorio e come tale non era soggetta alle preclusioni poste dagli articoli 416 e 420 c.p.c., ha poi ritenuto provato in atti il fumo di sigarette come "fattore preponderante, idoneo di per sè a causare l'evento", peraltro senza alcun approfondimento istruttorio, non ammettendo la richiesta prova testimoniale sul punto.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli articoli 416, 420, 436 e 437 c.p.c., anche in relazione all'articolo 2697 c.c., deducendo che, nonostante che fosse risultato non contestato in primo grado il fatto che il (Omissis) non fosse un fumatore (circostanza del resto ritenuta pacifica dal primo giudice) la Corte d'Appello ha considerato il fumo (emerso dalla seconda CTU che richiamava la citata cartella clinica) come "fattore causale preponderante" e quindi decisivo, ritenendo illegittimamente che "l'istituto ben poteva, come in effetti ha fatto, revocare l'iniziale mancata contestazione in ordine alla qualità di non fumatore".

Anche tali motivi, strettamente connessi fra loro, non meritano accoglimento, trattandosi di censure avverso una affermazione (circa il fattore causale preponderante del fumo di sigarette) comunque fatta dalla Corte di merito soltanto "ad abundantiam" ("anche nella non condivisa ipotesi che si ritenesse la neoplasia polmonare in questione tabellata, le conclusioni non muterebbero.... ") (v. fra le altre Cass. 22-11-2010 n. 23635), avendo la Corte chiaramente, come sopra, escluso nella fattispecie concreta il nesso causale o concausale della esposizione alle sostanze morbigene indicate, a prescindere dalla circostanza che il (Omissis) fosse stato o meno un fumatore.

Infine sulle spese non si provvede, ratione temporis, in base al testo originario dell'articolo 152 disp. att. c.p.c., vigente anteriormente al Decreto Legge n. 269 del 2003, conv. in Legge n. 326 del 2003, essendo la nuova disciplina applicabile ai soli ricorsi conseguenti a fasi di merito introdotte in epoca posteriore all'entrata in vigore dell'indicato decreto legge (2-10-2003) (v. Cass. 30-3-2004 n. 6324, Cass. 12-12-2005 n. 27323).

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.