Tribunale di Perugia, Sez. Lav., 28 giugno 2012 - Domanda di risarcimento del danno da mobbing; Giusta causa di licenziamento


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PERUGIA

Sezione Lavoro


Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro dott. Alessio Gambaracci, nella causa civile n. 1331\10 Ruolo G. Lav. Prev. Ass., promossa da
U.S. (avv. Fabrizio D. Mastrangeli)
contro
L'Abbondanza S.r.l. (avv.ti Luciano Brozzetti e Dante Duranti)
ha emesso, ai sensi dell'art. 429 c.p.c, all'udienza del 27.6.2012, leggendo la motivazione ed il dispositivo, la seguente

SENTENZA

 

 

FattoDiritto


In ordine alla dedotta tardività della costituzione della resistente, si confermano le valutazioni esposte nell'ordinanza 22.7.2011. In particolare, può dirsi che, ove un termine da calcolare a ritroso scada in giorno festivo, non si applica la disposizione di cui all'art. 155, 4 comma, c.p.c. (secondo il quale il termine scadente in giorno festivo è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo) e lo stesso è invece anticipato al primo giorno precedente non festivo. Ai sensi dell'art. 155, ultimo comma, c.p.c. il giorno di sabato è considerato lavorativo a tutti gli effetti, escluso però quello regolato dal comma precedente (termine a decorrenza successiva scadente il giorno di sabato, giorno che viene assimilato ai festivi ai fini della proroga al primo giorno seguente non festivo). Di conseguenza, non applicandosi ai termini a ritroso la proroga prevista ex lege per il caso di scadenza in giorno festivo del termine a decorrenza successiva ed essendo il sabato equiparato ai festivi unicamente ai fini di quella proroga, deve concludersi che ai fini della scadenza dei termini a ritroso il giorno di sabato sia lavorativo.
Per quanto riguarda il merito, va anzitutto respinta la domanda di risarcimento del danno per la condotta mobbizzante di cui sarebbe stato asseritamente vittima il ricorrente. Tale condotta si sarebbe invero manifestata - secondo la prospettazione attorea - in fatti che appaiono ben giustificati (le sanzioni disciplinari delle quali si dirà) o che, invece di denunciare un'ipotesi di costrittività organizzativa, rivelano che l'azienda si comportò correttamente nei confronti dell'U.: si vuol dire della contestazione disciplinare del 14.4.2009 (alla quale non fece seguito l'applicazione di sanzioni) e dell'impiego del lavoratore con orario spezzato (sostituito da orario unico non appena vi fu un'evidenza medica sulla potenziale nocività dell'altra tipologia di orario).
Quanto alle sanzioni conservative per il mancato uso del casco, è anzitutto certo che il lavoratore aveva in dotazione il casco, come risulta dalle giustificazioni rese dall'U. in occasione della prima contestazione, laddove ha esposto le ragioni per le quali si è tolto tale protezione. Dall'istruttoria è poi emerso che l'azienda esigeva l'uso di quel dispositivo, sicché è irrilevante la questione relativa alla formazione antinfortunistica delle maestranze. Irrilevante è altresì l'eventuale incompatibilità fra la mansione svolta nel primo episodio e le condizioni di salute del lavoratore: anche se, per ipotesi, una simile incompatibilità vi fosse stata ciò non avrebbe esonerato l'U. dall'osservanza delle disposizioni dettate in tema di prevenzione infortuni, le due cose non avendo punti di contatto. Non si ravvisa, infine, sproporzione fra i fatti e le sanzioni applicate, in considerazione dell'importanza che riveste l'osservanza delle disposizione antinfortunistiche.
Per quanto infine concerne il licenziamento, va fatta una breve premessa sulle fonti di prova utilizzabili. Nessuna valenza può anzitutto avere la registrazione prodotta dal ricorrente, perché effettuata non si sa quando, come e dove. In ogni caso, il contenuto della conversazione registrata -così come trascritto - è diverso da quello riferito dai testimoni, sicché o il diverbio registrato riguarda altro o i testimoni hanno riferito il falso, circostanza quest'ultima da escludere se non altro per la convergenza delle relative dichiarazioni.
Contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente difesa, non si ravvisano d'altra parte reali contraddizioni fra le evidenze probatorie disponibili, sicché sulla convergenza di cui si diceva non si ravvisano ombre. Occorre al riguardo considerare che i passaggi fra il fatto e la verbalizzazione delle dichiarazioni su di esso sono molteplici (fatto → percezione del teste → ricordo → dichiarazione sul fatto → percezione della dichiarazione da parte del verbalizzante → verbalizzazione), onde non è davvero possibile, specie a distanza di un certo tempo, ottenere una nitida fotografia di tutti i particolari dell'episodio al quale il teste ha assistito. Tenendo conto di ciò, la maggior parte degli elementi di contraddizione sottolineati da parte ricorrente, che riguardano dettagli di poco momento, nulla toglie alla sostanziale consonanza delle dichiarazioni raccolte in ordine agli aspetti centrali della vicenda. Potenzialmente rilevante è invece la dedotta aporia - sulla quale del resto la ricorrente difesa si è soffermata anche in sede di discussione - derivante dalle dichiarazioni B. e M., che - stando alla loro versione dei fatti, come ricostruita da parte ricorrente -pur essendosi trovati contemporaneamente nella stessa corsia, adiacente a quella dove U. e V. stavano litigando, non si sarebbero visti. Occorre però ricordare che le corsie erano tre e che quella n. 53 -dove si trovavano i contendenti - era la centrale (cfr. deposizione M.). La testimonianza B. è dunque compatibile con quella M., in quanto è da ritenere che i due non si trovassero, al momento del fatto, nella medesima corsia, pur potendo ognuno di loro vedere e/o sentire ciò che stava avvenendo nella corsia centrale.
Tanto premesso, dalle risultanze probatorie (esclusa la deposizione resa nel procedimento penale dal V., poiché in quella sede egli non aveva l'obbligo di dire la verità) risulta che il fatto contestato dall'azienda all'U. si è realmente verificato: il lavoratore, irritato per la caduta, provocata dal V., di un foglio, ha sanguinosamente ingiuriato il collega, colpendolo inoltre con un calcio e dando così causa alla successiva colluttazione fra i due.
Il fatto che l'alterco sia avvenuto in luogo ed orario di lavoro rende il fatto disciplinarmente rilevante, poiché il ricorrente ha dato sfogo alla propria animosità, incurante dei propri doveri lavorativi. Per di più, l'enorme sproporzione fra la causa prima dell'alterco (la caduta a terra di un foglio) e la reazione dell'U., che non solo ha colpito V. con un calcio, ma lo ha anche svillaneggiato in relazione alla morte del padre, suicida, è di tale rilievo da incidere a fondo sulla fiducia datoriale nei futuri comportamenti del dipendente. Fra i requisiti minimi del rapporto di lavoro, così come di un qualsiasi rapporto interpersonale, v'è la ragionevole convinzione che esso non comporterà rischi per la propria e l'altrui sicurezza fisica, sicché un fatto del genere - che svela un istinto violento e protervo, accompagnato da una totale mancanza di autocontrollo - elimina quel naturale convincimento, generando invece prognosi infauste sui futuri comportamenti del lavoratore in relazione all'incolumità fisica dei suoi colleghi e, di riflesso, all'ordinato svolgimento dell'attività lavorativa. Ricorre pertanto la giusta causa di licenziamento.

Il ricorso, infondato in tutte le sue articolazioni, va in definitiva respinto. Le spese seguono la soccombenza, anche in ragione del mancato accoglimento da parte del ricorrente della proposta transattiva a suo tempo formulata dal Giudice.

 

P.Q.M.

 

definitivamente pronunciando:
- respinge il ricorso;
- condanna l'attore a rifondere alla convenuta le spese di lite, che si liquidano in Euro 4.500,00 per competenze ed onorari, oltre rimborso spese generali, Iva e CAP come per legge.