SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Lunedì 17 ottobre 2011

Audizioni svolte presso la Regione Valle d’Aosta

Presidenza del presidente TOFANI


Indice
Audizione del presidente e del coordinatore del dipartimento politiche del lavoro e della formazione della Regione autonoma Valle d’Aosta
Audizione del procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Aosta
Audizione del comandante del gruppo dei carabinieri di Aosta, del responsabile del nucleo dei carabinieri per la tutela del lavoro di Aosta e del direttore regionale dei vigili del fuoco di Aosta
Audizione del presidente regionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro
Audizione del direttore regionale dell’INAIL
Audizione del direttore regionale del lavoro e del responsabile del servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell’azienda sanitaria locale della Regione autonoma Valle d’Aosta
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, artigiane e agricole

Audizione del presidente e del coordinatore del dipartimento politiche del lavoro e della formazione della Regione autonoma Valle d’Aosta

Intervengono il presidente della Regione autonoma Valle d’Aosta, dottor Augusto Rollandin, e il coordinatore del dipartimento politiche del lavoro e della formazione, dottor Roberto Vicquéry.

PRESIDENTE
Diamo inizio al ciclo di audizioni odierne, ringraziando il presidente Rollandin per l’accoglienza che ci ha riservato.
La nostra Commissione sta compiendo un’attività di monitoraggio – uso questo termine forse un po’ forte – con l’obiettivo di conoscere e capire meglio come si sono attivate le Regioni dopo il cosiddetto Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro introdotto con il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e sue successive modificazioni. Già a partire dalla legge 3 agosto 2007, n. 123, le Regioni sono state chiamate in causa per una maggiore sinergia, attraverso una relazione più stretta con il Parlamento e – quindi – con i Ministeri, nel rispetto delle reciproche competenze. Ricordo, infatti, che ci troviamo in materia di legislazione concorrente.
La nostra presenza qui non è quindi legata a fatti specifici, trattandosi di un semplice scambio sul territorio. Abbiamo preferito muoverci noi, viste le difficoltà nell’incontrare gli assessori competenti delle varie Regioni d’Italia. Siamo riusciti nel nostro intento in un incontro di qualche mese fa, alla presenza di 7-8 rappresentanti, ma solo dopo una serie di sollecitazioni (dico questo per far comprendere meglio la nostra scelta). Anche se sappiamo benissimo che chi è sul territorio ha continuamente dei problemi pressanti, rileviamo il fatto di non cogliere l’esigenza di un punto di incontro.
Il confronto con i responsabili delle Regioni ci aiuta a definire il quadro della situazione e vorremmo quindi sapere da voi come vi siete organizzati sul territorio. Infatti, presidente Rollandin, non può sfuggirle la situazione relativa soprattutto alle Regioni più grandi, dove vi sono varie aziende sanitarie (ricordo che larga parte di queste competenze sono ormai delegate all’assessorato alla salute e – quindi – alle aziende sanitarie sul territorio): oltre a differenze di approccio tra Regione e Regione, ne registriamo anche tra aziende nella stessa Regione, se non – addirittura – tra dipartimenti della stessa azienda. Occorre – quindi – una proposta il più possibile condivisa sul modo migliore per muoversi e contrastare questo fenomeno, che è ancora alto: in tal senso, contiamo di elaborare una relazione finale a fine legislatura, anche se stiamo già affrontando queste tematiche nelle relazioni intermedie.
I dati relativi al vostro territorio sono contenuti e con segnali molto positivi, però il quadro più generale conta ancora 775.000 infortuni in Italia, con quasi 1.000 morti all’anno: nel 2010 i morti sono stati 980, con ciò scendendo, per la prima volta, sotto la soglia dei 1.000. Vi è però ancora la necessità di un impegno forte e dobbiamo fare quanto ci è possibile in tal senso.
Le cedo quindi la parola, presidente Rollandin, ringraziandola per quanto ci vorrà cortesemente riferire.

ROLLANDIN
Signor Presidente, rivolgo anzitutto un saluto a lei e a tutti i membri della Commissione da parte della Giunta regionale.
Il tema oggetto dell’inchiesta è tra i più importanti e anche più spinosi del momento e su di esso si è ultimamente speso anche il Presidente della Repubblica con un richiamo ufficiale. È quindi avvertita l’esigenza di avere un quadro generale ed esaustivo sulle modalità di applicazione del decreto legislativo n. 81.
Per quanto riguarda la Valle d’Aosta, ho predisposto una breve relazione, che lascio agli atti, contenente dati sul numero delle aziende presenti sul territorio e sulla distribuzione per singoli settori, così da meglio inquadrare la situazione relativa all’applicazione della norma. Vorrei anche ricordare che la nostra Regione rappresenta, in qualche modo, un’anomalia, in quanto siamo favoriti dall’avere una sola unità sanitaria locale: forse, per effetto del rapporto diretto nell’ambito della gestione delle competenze, alcuni dei problemi che riscontrate in altre realtà sono affievoliti nella nostra, o addirittura non ci sono affatto, anche per ragioni di dimensione.
La filosofia che la Regione sta portando avanti è quella della prevenzione, attivando cioè una serie di meccanismi che vadano nella logica di coordinare tutte le azioni svolte sul territorio in un’ottica di attività preventiva di larga base. Per quanto riguarda il riferimento più puntuale al decreto legislativo n. 81, la strategia di fondo è pertanto la seguente. Il comitato regionale di coordinamento è stato istituito già ai sensi del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, che ha anticipato il decreto legislativo n. 81. In adeguamento a quanto poi previsto da tale successivo decreto, sono state inserite le parti sociali ed è stato istituito l’ufficio operativo, che ha il compito di coordinare gli enti preposti alla vigilanza e di fornire indicazioni programmatiche su azioni di vigilanza e di prevenzione da sottoporre alla preventiva approvazione del comitato. Questa è l’organizzazione di base.
Sotto questo profilo, in coordinamento con il comitato, nell’anno 2010 sono state messe in opera delle direttive impartite nel Piano operativo regionale di vigilanza e prevenzione, approvato nel dicembre 2009. Esse hanno interessato, in particolare, i seguenti ambiti di attività: la prevenzione nei cantieri edili con azioni specifiche rivolte alla realizzazione di una campagna di vigilanza sui cantieri e di campagne di informazione e di formazione degli attori della sicurezza; la prevenzione in agricoltura, nel cui ambito sono state sviluppate una campagna informativa in collaborazione con l’assessorato regionale all’agricoltura, l’azienda USL e le associazioni di categoria, e una campagna di sensibilizzazione degli agricoltori per la messa a norma dei trattori e delle macchine agricole in genere (molti degli incidenti erano infatti proprio legati a ciò ); l’esecuzione dei controlli nelle aziende agricole regionali; la prevenzione nel settore metallurgico e in quello della lavorazione dei metalli, con l’obiettivo specifico della decisione di misure di prevenzione nell’uso di attrezzature di lavoro pericolose e nei processi di lavorazione, attraverso il controllo e l’ispezione delle aziende metalmeccaniche e siderurgiche. Si tratta di tematiche sviluppate in attuazione del decreto legislativo n. 81.
Vorrei inoltre ricordare due aspetti che si ricollegano all’ambito di applicazione del decreto legislativo n. 81 e che in Valle d’Aosta sono stati esaminati con particolare riguardo. Con riferimento al contrasto al lavoro nero, si è intrapresa la strada di orientare la legislazione regionale, ad esempio vincolando l’ottenimento di provvidenze economiche al previo accertamento del versamento dei contributi dovuti. Secondo i dati in nostro possesso, in Valle d’Aosta vengono accertati ogni anno circa 200 lavoratori in nero, distribuiti abbastanza uniformemente nei settori che caratterizzano l’economia locale (ossia edilizia, settore pubblico, servizi e agricoltura). Come certamente vi rendete conto, si tratta di numeri piccoli rispetto al macrofenomeno esistente in Italia; essi denotano però l’importanza di procedere legislativamente sul fronte del costo del lavoro e operativamente sul versante della vigilanza. A questo proposito, mi preme sottolineare che in Valle d’Aosta, grazie al contributo di tutti gli enti preposti, la collaborazione non manca: essa, anzi, è attiva, tanto che le imprese e gli operatori economici si lamentano spesso dell’eccessivo controllo che viene svolto dagli operatori (che però rappresenta, chiaramente, un’esigenza).
Un altro aspetto da sottolineare è relativo alle forme di assistenza e di sostegno ai familiari delle vittime degli incidenti di lavoro. Il 21 luglio 2009 la Regione si è dotata di una legge specifica che prevede tre tipologie di intervento a sostegno dei familiari delle vittime degli incidenti di lavoro residenti in Valle d’Aosta: la concessione di un contributo una tantum al coniuge o al convivente anagrafico, in subordine ai figli e ai discendenti; la concessione di assegni di studio e contributi per le spese relative all’alloggio a favore degli orfani studenti universitari con un importo dell’assegno congruo; la precedenza accordata al coniuge e ai figli negli avviamenti a selezione pubblica per le assunzioni a tempo determinato, ai sensi della legge regionale. Pertanto, in Valle d’Aosta l’applicazione del decreto legislativo n. 81 è abbastanza regolamentata e uniforme sotto questo aspetto e coinvolge tutti, non presentando particolari problematiche o difficoltà rispetto a quanto è stato accennato.
Vorrei concludere rilevando che la Regione è il datore di lavoro alla fine più importante, considerando l’amministrazione in sé, l’USL e tutte le aziende partecipate: essa è, quindi, uno dei riferimenti per l’applicazione della legge stessa. Come Regione a Statuto speciale, i problemi relativi alla sicurezza riguardano settori eterogenei, che comprendono anche scuole e specificità professionali: penso ai Vigili del fuoco, al Corpo forestale o al personale che opera nella Protezione civile, che sono di competenza della Regione e in cui c’è quindi coordinamento.
Nel 2010, escludendo il settore scolastico, si sono verificati 93 infortuni; questo dato conferma la tendenza decrescente, già rilevata dal Presidente, registrata nell’ultimo quinquennio.
Nel 2010 non si sono verificati incidenti mortali e credo che questo risultato sia attribuibile in parte all’impegno che c’è stato in questo settore da parte di tutti gli operatori ai vari livelli.
Per quanto riguarda la parte più generale, limiterei qui il mio intervento, restando a disposizione per eventuali domande.

PRESIDENTE
Desidero anzitutto rivolgere un ringraziamento al presidente Rollandin per il suo intervento. Vorrei rilevare due aspetti. Ciò che emerge dai dati dell’INAIL è che gli infortuni in itinere permangono, mentre invece c’è un significativo calo degli infortuni in occasione di lavoro. Gli infortuni in occasione di lavoro hanno registrato una diminuzione del 12,9 per cento, quelli in itinere invece un aumento del 12,2 per cento. Vi è perciò necessità di capire dove si sono determinati questi infortuni e in che modo possono essere contrastati.
Per quanto riguarda i familiari delle vittime di infortuni ed, in modo particolare, di infortuni mortali, la legge n. 244 del 2007 ha omologato nelle condizioni i familiari di coloro i quali muoiono sul posto di lavoro con coloro i quali sono vittime del terrorismo. Questo provvedimento può essere utile perché in qualche modo incrocia quanto voi avete fatto a livello di legislazione regionale. Riuscimmo a fare questa operazione per permettere anche di avviare direttamente al lavoro e quindi di scavalcare le procedure e le graduatorie.
Vorrei infine soffermarmi sul DPCM del 21 dicembre 2007 relativo al comitato regionale di coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Vorrei sapere se avete un ufficio operativo di questo comitato di coordinamento e se relazionate
annualmente al Ministero del lavoro ed al Ministero della salute. È un altro punto su cui ci stiamo battendo perché, in effetti, rappresenterebbe quel collegamento di notizie che altrimenti non arrivano ed ognuno continua, sia pur in modo parallelo, a marciare per proprio conto.

ROLLANDIN
Signor Presidente, ritengo un fatto positivo avere a disposizione, nel caso in cui purtroppo vi sia necessità, il provvedimento da lei citato.
Per quanto riguarda l’organizzazione, noi abbiamo un ufficio operativo ed è oggi presente il responsabile, che è a disposizione per fornire i dati dettagliati.
Per quanto concerne invece la relazione con i Ministeri diciamo che non avviene direttamente, ma indirettamente, nel senso che ci sono diverse occasioni in cui i nostri dati sono riferiti o, comunque, c’è uno scambio di informazioni, ma non c’è una relazione finale inviata ufficialmente al Ministero. Questa ad oggi non esiste, anche se non ci sarebbe nessun problema ad esserne coinvolti.
L’ufficio c’è, è organizzato, segue le attività e, soprattutto, il coordinamento delle stesse attività, con gli enti interessati, coinvolgendo i responsabili in modo che ci sia attraverso questo coordinamento un’azione di controllo di tutto quello che succede nella Regione.

MARAVENTANO
Quanti incontri ci sono durante l’anno?

ROLLANDIN
A tale riguardo lascerei intervenire direttamente il coordinatore del Dipartimento politiche del lavoro e della formazione, dottor Roberto Vicquéry, che potrà fornire dati più dettagliati.

VICQUÉRY
L’ufficio operativo del comitato di coordinamento è presieduto dal Presidente della Regione che, come sapete, in Valle d’Aosta svolge le funzioni anche di prefetto. La Valle d’Aosta si distingue per il fatto che il coordinamento è intrinseco, nel senso che abbiamo una presidenza, una prefettura, un’azienda sanitaria, una direzione regionale del lavoro, una sede regionale dell’INAIL e una sede regionale dell’INPS ed è perciò relativamente semplice coordinarci. Nell’ufficio operativo sono presenti tutte queste figure, compreso il direttore della direzione regionale del lavoro, che ascolterete più tardi e che vi dirà che se c’è una mancanza nella parte della vigilanza, è relativa proprio ai loro organici. Da quanto mi risulta non hanno infatti più ispettori in servizio; è un problema politico da affrontare perché, di fatto, la direzione regionale del lavoro svolge le funzioni degli ex uffici provinciali – da cui è cominciata la mia carriera – ed ha una funzione regionale perché è sede regionale, ma deve svolgere anche le funzioni degli uffici provinciali con problemi di organici. Per il resto la parte del leone la fa il dipartimento di prevenzione dell’USL e c’è un coordinamento continuo perché abbiamo costituito una banca dati warehouse che ha messo in linea i dati degli infortuni dell’INPS, dell’INAIL e del dipartimento di prevenzione. È un tema che è stato affrontato e risolto dal coordinamento, presieduto dal Presidente, perché i dati degli infortuni dell’INPS, per motivi tecnici, non coincidevano con i dati dell’INAIL. Da un anno a questa parte abbiamo i dati in rete, che sono aggiornati giornalmente. Da questo punto di vista siamo gli unici ad avere un sistema del genere, anche perché è più semplice farlo rispetto ad organizzazioni territoriali di altre Regioni.
I contatti con i Ministeri avvengono indirettamente; nel senso che il responsabile del dipartimento di prevenzione, che fa parte dell’ufficio operativo, partecipa al coordinamento tecnico interregionale di prevenzione nei luoghi di lavoro che, a nostro parere, è indispensabile e all’interno del dipartimento vengono portati tutti i dati che a loro volta confluiscono nei dati del Ministero del lavoro. Il vero punto di contatto è costituito da questo comitato di coordinamento interregionale che produce dei documenti che vengono poi ripresi tout court dal Ministero del lavoro.
Con il Ministero del lavoro abbiamo contatti in quanto dipartimento delle politiche del lavoro. Giovedì prossimo sarò a Roma perché convocato dalla direzione generale, come tutte le altre Regioni, per dare applicazione ad un punto dell’articolo 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008, riguardante l’accordo tra Stato e Regioni per la formazione all’interno del settore terziario. Ci sono problemi sotto questo punto di vista perché c’è una presa di posizione diretta da parte dell’associazione degli albergatori, che sostengono che la formazione che viene richiesta per i dipendenti è troppo alta rispetto alle possibilità applicative. È un problema che dovrà essere affrontato a livello di Stato e Regioni perché spesso si chiede e si pretende molto, ma poi l’applicazione concreta è ben diversa da quanto viene scritto nei testi. Giovedì si dovrà decidere per poter mandare il documento alla Conferenza Stato-Regioni.
Questa è la nostra organizzazione. Le riunioni formali non sono molte; una volta approvato il piano operativo annuale, viene verificato che esso sia in linea con il piano operativo nazionale. Abbiamo potuto constatare che tutti i parametri definiti dal Ministero del lavoro sulle percentuali di vigilanza che ogni ente percentualmente deve fare, che prevedono tot ispezioni, tot visite per comparti, vengono regolarmente seguiti. Il comitato ha poi deciso tutta una serie di iniziative che sono messe in campo regolarmente. Di fatto, le riunioni del comitato di coordinamento sono bimensili e le riunioni dell’ufficio operativo sono preparatorie alle riunioni del comitato di coordinamento. Questo è il quadro generale.
Se posso permettermi di dare un suggerimento rispetto all’operatività di questi organismi, di certo rispetto al decreto legislativo n. 626 del 1994, il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha fatto passi da gigante perché prima mancava il comitato di coordinamento e l’ufficio operativo. Questo è stato un ottimo risultato. Si tratta probabilmente di dare corpo maggiormente anche ad aspetti di finanziamento, perché il comitato di coordinamento e l’ufficio operativo hanno dei finanziamenti dello Stato, ma a volte ci sono difficoltà ad utilizzarli. Noi abbiamo proposto alle associazioni di categoria di avanzare delle proprie iniziative per l’utilizzo di questi fondi e abbiamo fondi arretrati da due anni. Probabilmente ciò accade anche in altre Regioni perché, tecnicamente, è molto difficile far approvare questi programmi. L’associazione di albergatori aveva proposto, e dopo molte difficoltà è stato approvato, un progetto di formazione e-learning al Ministero, che era stato bocciato in prima battuta dalla commissione. Poi, il Presidente è intervenuto personalmente e lo stesso abbiamo fatto noi, a livello tecnico, spiegando che nella nostra realtà, se si vuole fare formazione sulla prevenzione, non è ipotizzabile che nel mese di giugno e luglio, in piena stagione estiva, i nostri dipendenti partano da Courmayeur o da Cogne per venire ad Aosta per fare un corso con piccoli numeri.
È stato così autorizzato questo progetto che prevede una formazione via internet, a distanza. Si pone però il problema di chi forma e questo è un argomento attinente alla professionalità dei datori di lavoro; se hanno svolto la formazione come responsabili della sicurezza, a loro volta dovrebbero poter svolgere tale funzione per i dipendenti stagionali.
Questi sono i problemi applicativi che sono differenti in Valle d’Aosta rispetto alle grandi realtà cittadine, perché in tali realtà il problema non si pone, nelle realtà di montagna o emarginate è necessaria una maggiore snellezza perché i fondi messi a disposizione dal Ministero non sono tutti utilizzati, con il rischio che vengano tagliati al momento del bilancio.

PRESIDENTE
L’unico aspetto è quello di capire come arrivano i dati attraverso questo dialogo che noi stiamo cercando di favorire tra le Regioni e il Governo centrale, filtrandolo attraverso l’unione delle Regioni nel Tavolo di coordinamento tra Stato e Regioni. Credo invece che se si seguisse il percorso che il decreto stesso del coordinamento prevede, con l’invio annuale degli elementi che voi cogliete sul territorio direttamente ai Ministeri, si potrebbero anche agevolare percorsi di altro tipo e di maggior rapporto. Non è una nostra invenzione, ma una specifica previsione da parte del DPCM che attua questo coordinamento nelle Regioni.

ROLLANDIN
Credo, Presidente, che questa sottolineatura o questa integrazione nelle procedure sia compatibile perché i dati ci sono e, anche a livello informatico, dovrebbe oggi essere più facile con gli strumenti che ci sono scambiarsi questi dati. Molto spesso, però , non è così.
Credo che l’idea sia sicuramente positiva, per cui sarebbe forse necessario un maggiore coordinamento, in modo tale che il Ministero abbia i dati necessari. L’importante è che poi il ritorno sia conseguente alle osservazioni, come quella sull’organizzazione dei corsi, ad esempio, che è stata fatta poco fa dal dottor Vicquéry, che è certamente specifica, ma che è comunque da non tralasciare, perché non riguarda solo la nostra zona, ma i territori di montagna, dall’arco alpino agli Appennini, dove il discorso è più o meno analogo.
Ci sono quindi delle situazioni da gestire in modo più coerente rispetto alla rigidità con cui viene immaginato un certo tipo di proiezione su tutto il territorio, per cui il rapporto con il Ministero può essere utile anche sotto questo profilo.

PRESIDENTE
Noi riteniamo che sia utile, anche se non sempre è attuato quanto previsto dal punto 4 dell’articolo 2 del DPCM 21 dicembre 2007, secondo il quale i comitati regionali di coordinamento provvedono a monitorare le attività svolte dalle sezioni permanenti per verificare il raggiungimento degli obiettivi, dando comunicazione annuale dei risultati di tale monitoraggio al Ministero della salute e a quello del lavoro e delle politiche sociali: il riferimento potrebbe essere, ad esempio, anche alle criticità del settore alberghiero alle quali avete fatto prima riferimento. Ciò consentirebbe evidentemente un dialogo diretto, senza dover passare per la Conferenza Stato-Regioni o per la sezione competente per materia.
Ovviamente la valutazione è lasciata a voi. Da parte nostra lo raccomandiamo, in quanto è previsto dalla norma e perché siamo convinti che sia lo strumento più diretto per dialogare.

ROLLANDIN
A questo proposito vorrei fare una notazione per chiarire un possibile equivoco. Ad oggi, non essendoci mai stato questo rapporto bilaterale diretto tra Regione e Ministero, di fatto non è mai stata sollecitata, né si è prevista la presenza di un referente a livello ministeriale, in modo tale da poter individuare con certezza a chi inviare la relazione. La via che si è seguita fino ad oggi è quella che abbiamo indicato, immaginando che prima o poi i dati arrivassero a chi di competenza; sicuramente un meccanismo di questo genere si può tranquillamente ipotizzare, ma andrebbe attivata comunque la presenza di un referente a livello ministeriale, in modo tale da avere una risposta – come accade anche per altre relazioni per altri documenti – perché altrimenti si rischia soltanto di mettere a disposizione dossier che poi non producono effetti.
In ogni caso, riteniamo che sia sicuramente un fatto positivo.

PRESIDENTE
Sarà nostra cura al riguardo sollecitare il Ministero, in modo tale che si realizzi un dialogo in tal senso.

PICHETTO FRATIN
Basterebbe forse che il Ministero avesse un sistema informatizzato.

VICQUÉRY
C’è da dire che a livello di coordinamento interregionale intervengono i rappresentanti dei Dipartimenti della prevenzione del Ministero della salute. In ogni caso, noi domani siamo convocati dal Ministero del lavoro, presso la Direzione generale dei rapporti di lavoro. Bisognerebbe dunque prevedere un raccordo a livello centrale, per capire chi è il referente unico di questa attività.
Come dicevo anche prima, al tavolo della Commissione tecnica salute lavoravano insieme i colleghi dell’assessorato alla salute e quelli delle politiche del lavoro, che non colloquiano però tra loro. Tra me ed il dottor Rollandin il dialogo c’è ed è anche semplice, perché siamo solo noi due e ci incontriamo in sede di ufficio operativo; immagino però che nelle realtà più grandi questo sia impossibile, perché parliamo di più uffici di coordinamento e di più uffici operativi: in quell’occasione io sapevo quello che stava dicendo il mio collega Rollandin, perché avevamo concordato insieme la linea, ma penso che in altre Regioni questo sia assolutamente impossibile, per cui andrebbe definito chi è il responsabile a livello centrale, anche perché il Ministero ormai di fatto è lo stesso.

PRESIDENTE
Ringraziamo i nostri ospiti per il contributo offerto ai nostri lavori e per i dati che ci hanno fornito.
Dichiaro conclusa l’audizione in titolo.

Audizione del procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Aosta

Interviene il procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Aosta, dottoressa Marilinda Mineccia.

PRESIDENTE
I nostri lavori proseguono ora con l’audizione del procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Aosta, dottoressa Marilinda Mineccia, che ringraziamo per aver accolto il nostro invito.
Siamo qui oggi per cercare di capire meglio in che modo viene interpretato ed attuato nel territorio della Regione Valle d’Aosta il decreto legislativo n. 81 del 2008, per quanto riguarda le competenze relative alla salute e alla sicurezza sui luoghi di lavoro. In particolare, vorremmo conoscere dalla nostra ospite la specifica organizzazione del tribunale di Aosta sul fronte degli infortuni sul lavoro e se eventualmente esistono al riguardo problematiche specifiche; più in generale, siamo comunque pronti ad ascoltare tutto ciò , in base alla sua esperienza, vorrà comunicarci.
Cedo dunque subito la parola alla dottoressa Mineccia.

MINECCIA
Vorrei incominciare dicendo che conosco la materia da molti anni, essendomene occupata in prima persona dal 1994 al 1998, quando ho svolto le funzioni di Procuratore circondariale ad Aosta, prima che venissero unificati gli uffici. A quel tempo non era ancora in vigore il decreto legislativo n. 81 del 2008, ma qui in Valle d’Aosta si procedeva già ad un’attenta e scrupolosa disamina delle eventuali fattispecie penali che potevano coinvolgere i lavoratori. È stato a mio avviso un lavoro molto utile, che è servito ad impostare l’attività oggi svolta in modo molto puntuale ed accurato dagli organi specificamente preposti al servizio di prevenzione per la sicurezza degli ambienti di lavoro.
Allora in Procura venivano presi in esame tutti i tipi di lesione che i lavoratori potevano riportare sul luogo di lavoro, partendo da quelle più lievi, che potevano essere comunque una spia importante di situazioni di pericolosità. Così, ad esempio, se si vedeva che in un certo reparto della Cogne Acciai Speciali spa – che è la più importante realtà industriale che abbiamo in Valle d’Aosta – o anche di un’altra impresa, si ripetevano nel tempo delle lesioni pur di scarsa gravità, si procedeva ad un lavoro di monitoraggio. Questo è quello che è avvenuto in passato.
Oggi, invece, come voi sapete, nel caso di lesioni con prognosi di soli 2 o 3 giorni, non viene più trasmessa alla Procura la notizia di reato, perché in genere non viene sporta querela: di solito fino a 20 giorni di prognosi si tratta di reati poco significativi, la cui competenza sarebbe peraltro del giudice di pace.
Per darvi qualche dato, negli ultimi due anni sono pervenute alla Procura della Repubblica circa 500 notizie di reato riguardanti infortuni sul lavoro. Consentitemi di aprire a questo proposito una parentesi. Sono ritornata ad Aosta come Procuratore della Repubblica nel dicembre 2008 ed ho organizzato il mio ufficio con l’istituzione di gruppi di lavoro suddivisi per materie specialistiche: attualmente della materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali si occupa la dottoressa Isaia, un magistrato di notevole esperienza professionale. Il dato che vi ho fornito è il risultato proprio dell’attività svolta dal gruppo di lavoro coordinato dalla dottoressa Isaia.
Come dicevo, abbiamo circa 500 notizie di reato riguardanti violazioni al Testo unico; solo il 10 per cento di queste, però , forse anche un po’ meno, va a giudizio o viene definito con decreto penale, mentre tutte le altre vengono in pratica definite con l’ottemperanza alle prescrizioni indicate dallo SPRESAL (Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro), cui fa seguito, essendo eliminato il pericolo, e con il pagamento di una sanzione in sede amministrativa, l’estinzione del reato, di cui a questo punto la Procura chiede l’archiviazione. I casi che vanno a giudizio riguardano per lo più situazioni in cui vi è una recidiva specifica e nelle quali dunque per legge i relativi procedimenti non possono essere conclusi con la speciale forma di oblazione appena richiamata che porta all’estinzione del reato.
Abbiamo poi registrato in due anni circa 500 casi di lesioni personali colpose ex articolo 590 del codice penale. Il riferimento è, in particolare, ai casi in cui il lavoratore subisce lesioni gravi o gravissime. In pratica, secondo la norma penale – sicuramente dico cose per voi scontate – le lesioni dolose semplici sono quelle con prognosi fino a 20 giorni, che diventano gravi quando la prognosi supera i 40 giorni o quando si determina come conseguenza l’indebolimento di un senso o di un organo; sono invece gravissime le lesioni che portano alla perdita di un organo o ad una malattia insanabile. La fattispecie colposa, costruita su quella dolosa, prevede la procedibilità d’ufficio solo in presenza di lesioni gravi o gravissime che sono quelle per le quali noi, appunto, procediamo.
Devo dire che in realtà in due anni abbiamo avuto solo quattro casi in cui le lesioni colpose ex articolo 590 del codice penale sono concorse con una violazione antinfortunistica specifica (macchinario non a norma; mancanza delle cautele di legge per evitare cadute dall’alto ecc.). Tenete conto, peraltro, che qui in Valle d’Aosta gli infortuni si verificano soprattutto nel campo dell’edilizia, dell’agricoltura e del turismo.
Ci sono comunque numerose situazioni che, pur essendo segnalate, in realtà non costituiscono reato, né ai sensi del decreto legislativo n. 81, né ex articolo 590 del codice penale. Ciò va detto perché, anche nei casi riconducibili all’articolo 590 del codice penale (come ho già detto, circa 500 in due anni, per cui parliamo di numeri abbastanza bassi), circa l’80 per cento è rappresentato da cadute accidentali e da lesioni con prognosi inferiore ai 40 giorni per le quali non viene presentata querela, nonché da situazioni in cui l’infortunato ricopriva in azienda anche l’incarico di preposto o era egli stesso che avrebbe dovuto guardare alla propria sicurezza. Prima di parlare dei casi di morte, che immagino vi interessino maggiormente, mi sembrava utile questa premessa per comprendere il nostro modo di procedere. Con riferimento al comma 3 dell’articolo 590, che fa riferimento alle lesioni colpose e dunque sia alle lesioni indipendenti dalla violazione antinfortunistica specifica, sia alle lesioni cumulative, solo 4 violazioni rientrano tra quelle cumulative.
La legge, in sostanza, stabilisce che noi non possiamo applicare con la procedura del D.Lgs 758/94 consistente nella prescrizione al datore di lavoro o a chi è responsabile con l’estensione del reato qualora vi sia ottemperanza alla prescrizione e pagamento della sanzione, se vi è recidiva specifica, ovvero se per effetto della violazione di norme antinfortunistiche è stata causata una lesione personale. Questi casi, come dicevo, sono solo quattro.

FOSSON
In due anni?

MINECCIA
Sì, in due anni. Si tratta di ottimi dati. È vero che la nostra popolazione non è molto numerosa, tuttavia la sorveglianza sui luoghi di lavoro è comunque molto accurata. Inoltre, il fatto che la Procura della Repubblica venga sempre notiziata anche sui casi per cui viene poi chiesta l’archiviazione, rende molto attento chi deve procedere.
Devo ammettere che alcune volte la normativa è molto severa sotto il profilo colposo. Mi permetto di fare una osservazione del tutto personale, anche perché sono stata in Valle d’Aosta, seppure a più riprese, per diverso tempo: un po’ a tutti i livelli lavorativi si può constatare un modo di operare che, forse a causa dei troppi impegni di cui siamo tutti oberati, è molto più distratto e anche disattento. In generale, il senso della responsabilità personale è purtroppo un po’ scaduto. Si tende ad enfatizzare i propri diritti ed a minimizzare i doveri. La grande portata innovativa del Testo unico è stata quella di responsabilizzare il datore di lavoro, i preposti e – in generale – tutti coloro che devono avere la cura del rapporto con altri. Ciò è sicuramente valido e porta ad una visione molto avanzata del senso di solidarietà.
C’è però un problema, che emerge peraltro dallo stesso Testo unico, laddove vengono indicate fattispecie penali che riguardano anche il lavoratore che, ad esempio, si rifiuta di usare determinati strumenti a propria tutela. Questo comportamento nella pratica purtroppo accade molto spesso, tanto è vero che tra le cosiddette morti bianche che abbiamo registrato (poche, per fortuna) ve ne sono due che hanno riguardato, nel settore dell’agricoltura, persone che si sono ribaltate con un escavatore, che non aveva le protezioni che sono necessarie per evitare la morte. Questa triste circostanza può accadere spesso, soprattutto in territori un po’ scoscesi come i nostri. In questi due casi non esiste il reato, perché si trattava di un’attività estemporanea svolta per un parente. In montagna ci sono, purtroppo, diverse situazioni di pericolo e – a volte – di morte. Paradossalmente, vengono spesso coinvolte proprio le persone più preparate, che dovrebbero sapere di più e che confidano troppo nelle proprie capacità.
La legge andrebbe applicata nella sua totalità e – quindi – la responsabilizzazione del lavoratore imporrebbe, non solo di applicare le norme penali al datore di lavoro, e ammende al lavoratore dopo che si è fatto male, situazione che genera qualche comprensibile perplessità. In genere, si tratta di sanzioni penali di tipo pecuniario e rateizzabili; in pratica, quindi, non si applicano mai.
A volte, come in tanti altri settori, si nota uno scollamento dalla realtà: la società dovrebbe crescere sempre di più , con l’impegno di tutti, tra cui i media, che potrebbero favorire un maggior senso di responsabilità attraverso discorsi più costruttivi. Le norme sono avanzatissime e si rivolgono a un tessuto sociale in cui ognuno dovrebbe avere consapevolezza e responsabilità: lo stesso lavoratore dovrebbe rispondere, anche se questo, come ho detto, molto spesso non avviene. Il Testo unico sottolinea l’esigenza che ci si debba far carico continuamente di monitorare la situazione. Tra l’altro, devo ammettere che gli esiti giudiziari spesso non portano all’accertamento di responsabilità, perché non è sempre facile provare questi aspetti.
Ad ogni modo, immagino vogliate sapere qualcosa di più sulle morti bianche.

PRESIDENTE
Dottoressa Mineccia, ci interessa quanto ci ha riferito, anche perché da ciò emergono alcuni elementi che vorrei sottoporre alla sua cortese attenzione. Abbiamo registrato un calo degli infortuni (anche di quelli mortali) e si tratta di un dato positivo. Permane – al contrario – un aumento degli infortuni in itinere.
Inoltre, i dati relativi agli infortuni differenziati per sesso attestano una diminuzione del 18,6 per cento relativa ai maschi e un aumento dell’8,3 per cento con riguardo alle femmine. Fornisco quest’ultimo dato, chiedendole il motivo.

MINECCIA
Le rispondo subito.
Credo che i dati relativi ai maschi alle femmine – per quanto dal mio ufficio abbia un osservatorio limitato – dipendano anche dal fatto che, dal punto di vista lavorativo, la popolazione femminile è aumentata rispetto a quella maschile. Ad ogni modo, la lettura dei puri dati statistici è sempre difficile perché bisogna considerare tanti elementi.
C’è poi un altro dato relativo ai mesi invernali, in cui si registrano molti infortuni. La mia Sostituta scherzando dice di lavorare quanto il CTO, se non di più , perché in questi mesi le persone scivolano sul ghiaccio, oppure cadono mentre si recano al lavoro. Questo è un dato che, secondo me, non ha una sua apprezzabilità.

PRESIDENTE
Dottoressa Mineccia, lei ha fatto un’analisi molto ampia, denotando un’attenzione particolare rivolta ai temi che riguardano gli infortuni sul lavoro. Le ho fatto notare questo aspetto, perché potrebbe costituire un elemento da attenzionare.
Lo stesso discorso vale per le malattie professionali, laddove si registra un aumento significativo del 175 per cento, essendo passati da 9 a 22 casi (non ci dobbiamo quindi far turbare dalla percentuale). C’è più che un raddoppio delle malattie osteo-articolari e muscolo-tendinee; una crescita si registra anche con riguardo alle malattie cutanee. Vedendo questo quadro nello schema cui lei ha fatto prima riferimento, credo potrebbe essere interessante capire che cosa sta accadendo. La cosa importante è che, con nostra soddisfazione, in Valle d’Aosta gli occupati sono cresciuti, sia pure di poco: dal 2009 al 2010 sono cresciuti di 600 unità, che non sono poche. Dal 2006 al 2010 si registra un trend di crescita, passando il dato complessivo da 55.500 a 57.000 unità. Questo è un elemento importante e – credo – positivo. Ad ogni modo, le mie sono raccomandazioni.

MINECCIA
Sono molto utili.
Nel nostro quadro giuridico le malattie professionali rientrano nell’ambito dell’articolo 590, comma 3, del codice penale; nel caso dovessero condurre alla morte, invece, ricadono nell’ambito dell’articolo 589 (penso, ad esempio al caso dell’amianto e del mesotelioma pleurico).
L’aumento delle malattie professionali è anche legato – si tratta di una mia interpretazione – a un dato di maggiore sensibilizzazione dei lavoratori nel rendersi conto di questi aspetti. Da un punto di vista statistico, il grosso delle malattie professionali da noi è rappresentato dall’ipoacusia, relativa alla sottoposizione a rumori.

PRESIDENTE
Chiedo scusa, ma in questo caso abbiamo avuto una diminuzione del 75 per cento, passando i casi da 17 a 12 casi.

MINECCIA
Il mio ufficio farà sicuramente tesoro dei dati così precisi che mi sta fornendo.
Quasi tutte le malattie professionali riguardanti l’ipoacusia sono di pressoché impossibile accertamento, perché la norma penale reca la seguente formula: «chiunque cagiona una lesione». Il tempo di prescrizione del reato comincia a decorrere dal momento in cui la lesione emerge ed è cagionata e l’ipoacusia generalmente si è manifestata in un periodo di tempo antecedente ai sei anni sufficienti a prescrivere il reato. Relativamente allo stato dell’arte dei nostri fascicoli, in genere le persone che lamentano questo problema lo avevano già prima che la notizia di reato arrivasse a noi. Può darsi che nel frattempo queste persone abbiano lavorato presso diverse ditte e – quindi – è difficile stabilire dove hanno subito l’offesa che ha portato al problema. Nell’ipoacusia si deve provare che da sei anni a questa parte c’è stato un aggravamento tale da costituire malattia autonoma – questo è quanto ha stabilito la Cassazione –, altrimenti la notizia di reato è destinata ad essere archiviata. Ho modo di fare questa affermazione perché mi sono confrontata con la collega che si occupa del tema e anche perché ho avuto modo di notarlo io stessa in passato.
Un altro discorso molto delicato è quello relativo al mesotelioma pleurico, ossia alla morte in seguito all’esposizione ad amianto. Si tratta di processi difficili perché questo tipo di tumore ha una latenza anche di 40 anni (so che nella vostra Commissione è presente un medico e quindi spero di parlare in modo congruo). Ci può quindi anche essere il caso di una persona che muore oggi perché 40 anni fa è stata esposta all’amianto, peraltro anche in piccole dosi. Avete così modo di comprendere, anche da un punto di vista giuridico, la ragione per cui il processo a volte è così tormentato e si conclude con un nulla di fatto. Ci troviamo di fronte ad eventi di elevata gravità, nonché dinanzi al dolore delle parti lese: quando si parla di morte, infatti, la causa non è certo un semplice disturbo respiratorio come nella asbestosi, ma qualcosa di più grave e terribile come un tumore.
Ripeto: dobbiamo andare a ricostruire eventi di oltre 40 anni fa e la prescrizione sarebbe già da tempo operativa se si trattasse di un altro tipo di reato. In questo caso, invece, la Cassazione ha stabilito che il reato non si prescrive, in quanto il tempo comincia a decorrere dal momento in cui avviene la morte. Vi lascio immaginare che cosa significhi andare a ricostruire il passato di una persona: dove ha lavorato, se ha cambiato lavoro e il tipo di precauzione, in quanto in passato la materia era regolata da un’altra normativa. Si sostiene che in passato non tutti conoscessero bene gli effetti dell’amianto, anche se, soprattutto a Torino, sono stati fatti molti processi in cui diversi periti si sono espressi in senso contrario. In realtà, forse gli addetti ai lavori li conoscevano o avrebbero dovuto conoscerli. Le attuali normative sono diverse da quelle del passato: allora c’era il solo obbligo di disporre che il lavoratore indossasse una mascherina per evitare di inalare fumi.
La questione è peraltro complicata dal fatto che l’esposizione all’amianto può anche essere minima e – quindi – nel caso di diversi rapporti di lavoro succedutisi nel tempo si può anche avere un concorso di colpa. In poche parole, occorre provare giuridicamente, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’evento sia stato causato da una determinata azione. Si tratta di un discorso molto delicato, che vale anche per la colpa medica e per gli eventi naturali avversi. È sempre molto difficile provare l’esistenza di questo nesso causale quando si è a distanza di tempo e – soprattutto – quando ci sono delle leggi mediche probabilistiche, problema più volte affrontato con soluzioni diverse dalla Corte di Cassazione.

PRESIDENTE
Con riferimento all’amianto, abbiamo fatto un disastro. Tutti, infatti, sapevamo della pericolosità dell’amianto: essa è nota già dai primi del Novecento e l’asbestosi è tabellata come malattia dal 1943. Noi siamo stati superficialissimi ed è bene dirlo sempre. Abbiamo creato un danno.

MINECCIA
Io parlavo solo degli esiti processuali, volendo mettere in luce i problemi esistenti.

PRESIDENTE
Ho un’ultima raccomandazione, dottoressa Mineccia. Un po’ di tempo fa abbiamo inviato una lettera a tutte le procure generali per chiedere la cortesia di attenzionare gli infortuni sul lavoro in movimento, affinché essi non vengano considerati infortuni stradali.
Spesso, infatti, la scena dell’impatto è quella dell’infortunio stradale. È auspicabile formare e parlare con gli organi che sono i primi a fare i rilievi affinché prestino particolare attenzione al quadro nel cui ambito il soggetto stava lavorando.

MINECCIA
Certamente. Abbiamo avuto alcuni casi, passati però come infortuni sul lavoro.

PRESIDENTE
Escludiamo l’infortunio in itinere, ossia quello che si verifica andando o tornando dal lavoro. Ci sono alcune attività che prevedono la mobilità con mezzi: con riferimento ad esse occorre verificare che, nel momento in cui si determina un evento, chi va a fare i rilievi e il sopralluogo, non lo consideri solamente come un infortunio stradale.
Faccio un esempio per essere più chiaro. Ci siamo posti in modo serio questo problema quando, circa due anni fa, sono morti 12 postini nel giro di 11 mesi. Questo dato ci ha allarmato e siamo quindi andati a fare delle verifiche, osservando il tragitto dalla partenza alla consegna della posta: che cosa avveniva, chi controllava la sicurezza dei postini, se i mezzi erano idonei oppure no. Forse avrà avuto modo di vedere che la maggior parte dei postini si muove con un motorino Piaggio 125, con un contenitore avanti e uno dietro e un altro ancora tra le gambe, a prescindere dalla statura e anche dal genere. Gli infortuni sono stati inquadrati come incidenti stradali, mentre – in questo caso – c’era il problema di verificare i carichi.

MINECCIA
Mi è chiaro.

PRESIDENTE
Ci siamo permessi di inviare una lettera a tutte le procure generali, chiedendo la cortesia di valutare questo aspetto.

MINECCIA
Le morti bianche sono comunque in numero limitato.

PRESIDENTE
Sì, fortunatamente nel 2010 non ve ne è stata nessuna.

MINECCIA
Nel 2011 se ne sono registrate due, la prima delle quali ha riguardato un forestale, che è caduto lungo un pendio durante un controllo ad un nido di gipeto. L’altro è un incidente che abbiamo in istruttoria, perché si tratta di un lavoratore che è stato investito da un pacco di tondini di ferro in un cantiere edile durante una movimentazione con escavatore. Ritengo che in questo caso vi siano sicuramente delle responsabilità. Un altro incidente si è verificato durante un’operazione di disgaggio su una parete rocciosa. La collega mi ha detto di aver chiesto l’archiviazione perché la vittima era il responsabile di tale operazione, il preposto. Pare che avesse l’imbracatura e tutti gli altri mezzi di protezione.

PRESIDENTE
Che lavoro stava svolgendo?

MINECCIA
Il disgaggio consiste nella liberazione dei massi pericolanti. C’erano delle reti e l’operatore doveva agganciarsi a determinati appigli: non si è riusciti a ricostruire la dinamica, ma potrebbe essere stato colpito da un malore, oppure si è agganciato in modo non corretto, così precipitando.
Negli anni c’è stata una diminuzione del numero delle morti bianche in Valle d’Aosta; ricordo che in passato ce ne erano molte di più . Credo, quindi, che l’attenzione rivolta a questi aspetti abbia dato dei risultati positivi e mi fa anche molto piacere vedere quanto impegno sia da voi profuso sul tema.

PICHETTO FRATIN
È anche vero che erano gli anni dei grandi cantieri.

MINECCIA
Credo però che tutto quanto è stato fatto abbia avuto un significato. Le norme in oggetto sono norme di condotta, che puniscono penalmente una condotta, sia pure con la possibilità di estinguere il reato con l’ottemperanza alle prescrizioni. In altre parole, si punisce il pericolo prima ancora che accada qualcosa: la tutela è quindi avanzata.
Ricordo, peraltro, che nella nostra Regione abbiamo diversi impianti a fune e molte piste da sci. Negli anni passati – attualmente mi pare non ce ne sia più bisogno – la Procura si impegnava a verificare sulle piste l’eventuale sussistenza del reato di cui all’articolo 673 c.p., omesso collocamento di segnali o ripari, quali, ad esempio, reti di protezione su dirupi, a tutela degli sciatori e per prevenire incidenti mortali. Questo lavoro di prevenzione è molto importante, anche perché, sapendo che vengono effettuati dei controlli, si è indotti a «spendere» per la sicurezza.
Il discorso della formazione di chi controlla rimane fondamentale. So che viene fatta e anche noi cerchiamo di promuoverla, tuttavia per una sua reale riuscita devono concorrere diversi fattori.

PRESIDENTE
La ringrazio, dottoressa Mineccia, per il prezioso contributo che ci ha offerto.

Audizione del comandante del gruppo dei carabinieri e del responsabile del nucleo dei carabinieri per la tutela del lavoro di Aosta e del comandante regionale dei Vigili del fuoco di Aosta


Intervengono il comandante del gruppo dei carabinieri di Aosta, tenente colonnello Guido Di Vita, del responsabile del nucleo tutela del lavoro dei carabinieri di Aosta, maresciallo aiutante Umberto Mattone, e del comandante regionale dei Vigili del fuoco di Aosta, ingegner Salvatore Coriale.

PRESIDENTE
Do ora il benvenuto al comandante del gruppo dei carabinieri di Aosta, tenente colonnello Guido Di Vita, e al responsabile del nucleo dei carabinieri per la tutela del lavoro di Aosta, maresciallo Umberto Mattone, nonché al direttore regionale dei Vigili del fuoco, ingegner Salvatore Coriale.
La presenza della Commissione è finalizzata ad un’attività di monitoraggio per verificare come le Regioni si stanno muovendo, dopo l’emanazione del decreto legislativo n. 81, con riferimento al problema – sempre vivo, purtroppo – degli infortuni sul lavoro e anche della salubrità negli ambienti di lavoro. Vorremmo da voi, sulla base delle vostre competenze, un quadro della situazione, così da sommarlo agli altri elementi che acquisiremo nel corso della giornata.

DI VITA
Buongiorno a tutti. Il gruppo dei carabinieri di Aosta sotto il mio comando è inquadrato come gruppo pur operando a livello provinciale: mancando infatti in questa Regione l’amministrazione provinciale, non si chiama compagnia ma gruppo. Questa precisazione è importante perché il comandante del gruppo ha competenze specifiche soprattutto nei rapporti con la direzione regionale con il lavoro.
L’Arma dei carabinieri interviene soltanto nel momento in cui – purtroppo – l’evento è già accaduto. Quest’anno, ad esempio, siamo intervenuti in 15 casi di incidenti sul lavoro. Noi interveniamo una volta accaduto l’incidente e poi, per quanto riguarda la Regione Valle d’Aosta, la competenza passa al settore responsabile dell’ASL competente per territorio.
Come dicevo, nell’anno 2011 siamo intervenuti sul luogo di 15 infortuni sul lavoro, di cui 10 riguardanti l’edilizia e uno l’agricoltura. Vi è stato inoltre un incidente casalingo, che però credo di poter definire infortunio sul lavoro, in quanto relativo alla ristrutturazione di una casa. Due incidenti sono avvenuti nel settore dell’impiantistica e uno ha riguardato specializzazioni particolari: nella sistemazione di massi di montagna uno specializzato ha avuto un incidente ed è deceduto sul posto di lavoro.
Ricordo che dal giugno dello scorso anno l’Arma dei carabinieri, in base a una convenzione firmata con la direzione regionale del lavoro, svolge, congiuntamente con l’Ispettorato del lavoro, alcune ispezioni per verificare eventuali irregolarità. Per quanto riguarda la Valle d’Aosta, le irregolarità che generalmente riscontriamo riguardano, in massima parte, la regolarità delle assunzioni.

PRESIDENTE
Cosa intende per irregolarità delle assunzioni?

DI VITA
La non messa in regola dei documenti di assunzione.

PRESIDENTE
Si tratta di soggetti italiani o stranieri?

DI VITA
Soprattutto quando ci rechiamo nei cantieri edili, troviamo dei soggetti stranieri, generalmente dell’Est (rumeni o albanesi).

PRESIDENTE
Il lavoro di andare a verificare l’eventuale presenza di lavoro nero viene fatto dall’Arma in sintonia con l’INAIL e l’INPS, oppure per proprio conto?

DI VITA
Noi chiamiamo il nostro personale dell’Ispettorato del lavoro e poi segnaliamo a chi di competenza gli interventi che sono stati fatti. Ripeto: svolgiamo questa attività in base al protocollo firmato il 29 giugno dello scorso anno. Eventualmente, tramite la Direzione del lavoro, facciamo intervenire tutto il resto. È chiaro che se l’Arma dovesse invece intervenire per altri motivi e avesse qualche dubbio, si mettono in moto tutte le procedure per fare le opportune verifiche, quindi non soltanto con l’INAIL.

PRESIDENTE
Vi è un luogo di coordinamento tra voi e gli altri soggetti?

DI VITA
Sì, la Direzione regionale del lavoro che oltre ad attivare questo tipo di protocollo con l’Arma dei carabinieri, svolge trimestralmente delle riunioni con tutti gli altri soggetti – ASL, INAIL, questura, vigili del fuoco – in cui ci coordiniamo, dandoci una specie di scaletta. Negli ultimi tempi diversi direttori regionali del lavoro si sono succeduti ad Aosta; con il dottor Pisanti, che è qui ormai da un anno, siamo finalmente partiti per dare attuazione a quanto previsto dalla normativa.

PRESIDENTE
Cedo la parola al maresciallo Mattone, responsabile del comando dei carabinieri per la tutela del lavoro presso l’ispettorato del lavoro, che ci riferirà più specificamente le competenze relative alle attività che si svolgono presso l’Ispettorato del lavoro.
Vorrei chiederle anzitutto di soffermarsi sui numeri dell’organico.

MATTONE
Signor Presidente, l’organico è formato da due unità ed è il più piccolo d’Italia. Il dottor Pisanti, che ascolterete in seguito, vi illustrerà la situazione della Direzione regionale del lavoro.

PRESIDENTE
Avrebbe preferito essere ascoltato assieme al dottor Pisanti?

MATTONE
No, è solo che operando con dipendenza funzionale dal direttore, ci eravamo chiesti cosa dirvi, ma non ho problemi ed, anzi, sono contento e onorato di poter riferire a voi direttamente quelle che possono essere la mia competenza e la mia esperienza dopo 16 anni di permanenza nel nucleo.
In aggiunta a quanto già detto prima, specifico che oltre a questo protocollo d’intesa con l’Arma territoriale, a livello d’Ispettorato del lavoro, ora Direzione del lavoro e, comunque, a livello ispettivo, si sono sempre storicamente eseguite delle campagne con altre Forze dell’ordine e altri enti, quali INAIL, INPS, Agenzia delle entrate ed ENPALS, in funzione ispettiva. Tutto ciò , al di là delle commissioni di coordinamento dell’attività ispettiva, che si sono sempre tenute per quello che mi risulta, anche se quasi mai vi ho partecipato, anche perché purtroppo data l’esiguità del nucleo, il comandante deve operare sulla strada, altrimenti il nucleo rimane «azzoppato». Pertanto, il comandante in queste piccole realtà non può quindi essere tanto tale, ovvero coltivare i rapporti con le autorità e svolgere attività informative o, perlomeno, si deve adoperare per farlo, ma deve anche rinforzare il controllo sul territorio con l’altro militare, assenze permettendo, o con gli altri ispettori del lavoro.
Posso allora dire che i controlli – come confermerà il dottor Pisanti – degli ispettori civili, del qui presente, dell’altro militare e di tutti gli altri ispettori di varia specie presenti sul territorio, sono assidui, presenti e mirati in tutte le realtà. L’edilizia, non voglio dire per mia vocazione, ma proprio perché legata maggiormente all’evento infortunistico anche grave, è il settore che anche il Comando Carabinieri Ispettorato del lavoro di Roma, da cui dipendo, ha sempre cercato di spronarci a vigilare. Pertanto, collegandomi al discorso del colonnello Di Vita, è noto che al lavoro nero, ovvero alla posizione di lavoratori non regolarmente assunti ed assicurati, corrisponde una percentuale di infortunio maggiore, in quanto spesso questi lavoratori, quando sono stranieri o clandestini, non sono formati e preparati ai rischi che ci sono in cantiere.
In Valle d’Aosta la competenza primaria degli infortuni sul lavoro anche a livello preventivo rimane della ASL che, per quello che mi concerne, posso dire funziona bene a livello di ispettori. In sinergia sia con l’Arma territoriale che con altri ispettori del lavoro o singolarmente io, come comandante di nucleo, abbiamo spesso ispezionato i cantieri insieme; quando è possibile ispeziono con loro o altri ispettori, rimettendo l’aspetto tecnico della sicurezza sul lavoro vera e propria alla loro verifica, mentre noi ci concentriamo sul controllo dei lavoratori.
Siccome, come dirà il dottor Pisanti, dovremmo avere in organico nell’ispettorato del lavoro, che ora si chiama direzione regionale del lavoro, un ispettore tecnico, a volte per nostro conto come ispettorato del lavoro, senza appoggio della ASL, eseguiamo queste ispezioni in materia di lavoro.
Per quanto riguarda la competenza propria dei carabinieri, in passato abbiamo frequentato dei corsi di formazione a Roma, che ci hanno dato delle infarinature di sicurezza sul lavoro; devo dire che qualche volta, quando mi è stato possibile o quando ho ritenuto di vedere un pericolo imminente, ho agito personalmente e tempestivamente per sequestrare il cantiere. Laddove invece ho osservato nel mio ispezionare oppure nel mio transitare per motivi di lavoro o anche libero dal servizio, cantieri o realtà, a mio avviso, pericolose, le ho segnalate prontamente agli ispettori della ASL.
Il mio solo rammarico è quello di non sentirmi del tutto formato a livello di sicurezza sul lavoro per poter operare di più ; del resto, non è che il lavoro ci manchi. Ripeto infatti che la nostra primaria specializzazione è quella di controllare la regolarità dei lavoratori. Tuttavia l’organico limitato – di cui è a conoscenza anche il mio livello gerarchico superiore – non mi consente di operare al meglio per supportare anche la Direzione del lavoro e una maggiore presenza sul territorio che non sarebbe mai, a mio modesto avviso, abbastanza.
Posso però dire che nel nostro piccolo stiamo proiettando il più possibile, con tanto sacrificio di altri aspetti, i servizi esterni, proprio per evitare sul nascere l’insorgenza di infortuni sul lavoro. Purtroppo però la presenza di questi lavoratori precari, di questi nuovi poveri, di queste ondate migratorie, e la vicinanza con Torino o, relativamente, anche con Milano, favoriscono una presenza di lavoratori irregolari e, conseguentemente, di infortuni soprattutto in edilizia. Si tratta di frequente di aziende non aventi sede in Valle d’Aosta, ma di piccole imprese, a volte artigiane, che arrivano in Valle d’Aosta, compaiono pochi giorni e poi scompaiono, rendendo così difficile la loro rilevazione. Queste aziende contano su questa manodopera che, come ormai sappiamo, è disposta evidentemente al ribasso pur di spuntare qualche giorno di lavoro. Tutto questo causa la negazione del diritto, favorendo altresì l’insorgere degli infortuni.

PRESIDENTE
Ringrazio il maresciallo Mattone e cedo la parola al direttore regionale dei Vigili del fuoco, ingegner Coriale.

CORIALE
Signor Presidente, i Vigili del fuoco svolgono attività sia di prevenzione che di soccorso; l’attività di prevenzione viene svolta sia nell’ambito del comitato regionale di coordinamento sia come normale attività istituzionale, che si sviluppa essenzialmente nell’esame di progetti per attività soggette ai controlli di prevenzione ed incendio; ovviamente noi facciamo controlli sulla sicurezza antincendio.
Nell’ambito del comitato di coordinamento negli ultimi anni sono stati individuati alcuni settori; l’edilizia, alcuni settori nella lavorazione dei metalli e nell’agricoltura. Abbiamo partecipato alle sedute della commissione, del comitato e ai sopralluoghi con il comitato stesso.
Per quanto riguarda gli interventi di soccorso, nei luoghi di lavoro sono effettivamente abbastanza bassi rispetto alla percentuale. Rilevo anzitutto che i dati che noi abbiamo sono riferiti all’incendio, indipendentemente dal fatto che questo abbia provocato feriti o morti; credo però che l’USL sia in possesso di dati più aggiornati. Nel 2011, su un totale di 301 incendi, 19 si sono verificati su luoghi di lavoro; una percentuale relativamente bassa, che risulta ancora più bassa per quanto riguarda il soccorso a persone in luoghi di lavoro, dove parliamo di 3-5 interventi su un totale di 70-80 interventi.

PRESIDENTE
Può soffermarsi sui dati relativi agli incendi sui luoghi di lavoro?

CORIALE
Dal 1º gennaio al 15 ottobre di quest’anno abbiamo avuto 19 incendi sui luoghi di lavoro su 301 incendi.

PRESIDENTE
Che tipologia di lavoro?

CORIALE
Uno in banca, uno in un cantiere, due in capannoni industriali, due in discarica, due in fabbriche di attività industriali, due in fienili, due in alberghi e uno, infine, anche se solo un principio di incendio, in un ospedale.

PRESIDENTE
Questi incendi hanno prodotto infortuni?

CORIALE
Quest’anno che io sappia no.

PRESIDENTE
In riferimento a questi 19 incendi dei quali lei ha parlato, vi sono stati anche infortuni?

CORIALE
Dai dati che ho non riesco a tirare fuori questa informazione. Noi abbiamo un archivio riferito alla tipologia di incidente.

PRESIDENTE
Si saprà pure oltre alla tipologia di incidente, se qualcuno muore o se qualcuno si ferisce.

CORIALE
Non vi sono stati morti; credo ci siano stati alcuni feriti in un incendio avvenuto in un’industria.
Oltre ai sopralluoghi effettuati nell’ambito dell’attività del comitato di coordinamento, noi effettuiamo i nostri sopralluoghi abituali, come compito d’istituto, su tutte le attività. Abbiamo 10.000 attività soggette, ma la gran parte di esse non si riferisce ad attività lavorative; il 30 per cento delle attività soggette al nostro controllo è riferito ad attività lavorative.
Nel corso dei controlli di quest’anno sono stati effettuati 17 procedimenti sanzionatori per verifica di inosservanza delle norme di lavoro. L’anno scorso erano stati 12, ma il numero è in funzione anche della quantità di sopralluoghi che negli ultimi anni siamo riusciti ad incrementare.

PRESIDENTE
Vi sono realtà ad alto rischio?

CORIALE
In Valle d’Aosta c’è un’attività che rientra nell’ambito della cosiddetta «direttiva Seveso», la Cogne Acciai Speciali, che tratta un impianto siderurgico ed altre cinque attività che rientrano sempre nella «direttiva Seveso», con un rischio più basso perché comprese nelle fattispecie dell’articolo 6 del decreto legislativo n. 334 del 1999, e sono un impianto di industria che tratta l’ossigeno e altri quattro impianti di depositi di gas di petrolio liquefatto (GPL). Abbiamo anche di recente effettuato i piani di emergenza, ovviamente con le altre Forze dell’ordine e gli organi prefettizi.

PRESIDENTE
Grazie per la collaborazione.

Audizione del presidente regionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro

Interviene il presidente regionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro, signor Mario Favre.

PRESIDENTE
È ora prevista l’audizione del signor Mario Favre, presidente regionale dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro (ANMIL), che ringraziamo per aver accolto il nostro invito.
A lui cedo subito la parola, invitandolo ad esprimere le sue riflessioni sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro.

FAVRE
Signor Presidente, onorevoli senatori, come ANMIL lavoriamo da sempre per la tutela contro gli infortuni sul lavoro. In questi ultimi anni ci stiamo occupando soprattutto di prevenzione, che rappresenta al nostro avviso il punto di partenza per il miglioramento delle condizioni di lavoro e per ridurre così gli infortuni, che a volte sono anche molto gravi.
La situazione della Valle d’Aosta rispecchia abbastanza quella che si registra a livello nazionale: sono infatti in aumento anche in questa Regione le malattie professionali, soprattutto le patologie osseo-scheletriche e i tumori causati dall’esposizione a radiazioni ed amianto.
Nel 2010 c’era stata una regressione degli infortuni sul lavoro, mentre nei primi mesi del 2011, pur registrandosi ancora una leggera flessione del fenomeno infortunistico, si sono verificati in Valle d’Aosta tre incidenti mortali un po’ atipici, che evidenziano in maniera molto forte la necessità di un intervento.
A tale riguardo riteniamo che in questo momento la vera forza sia nel migliorare la cultura generale della popolazione in ordine alla prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro. La nostra proposta – lo abbiamo già fatto in alcune Regioni con il progetto «SILOS» (Scuola innovazione lavoro organizzazione sicurezza), che abbiamo presentato anche al presidente Napolitano – è di andare nelle scuole per formare i giovani alla sicurezza sul lavoro attraverso delle lezioni mirate, rivolgendoci soprattutto a quanti, frequentando la scuola secondaria, entreranno a breve nel mondo del lavoro.
Questo è il nostro obiettivo principale in quanto nel nostro Paese – e la Valle d’Aosta da questo punto di vista rispecchia quanto accade nel resto d’Italia – manca una cultura della sicurezza. Io stesso, che sono stato per tanti anni responsabile per la sicurezza della Cogne Acciai Speciali spa, mi accorgo soltanto oggi che a quel tempo forse ero più attento alla produzione che alla sicurezza. Come presidente dell’ANMIL posso dire che la maggior parte delle persone guarda poco alla sicurezza, soprattutto nelle piccole e medie imprese e nelle aziende individuali, dove spesso ci sono molte meno occasioni per poter svolgere un’azione di prevenzione mirata.
Di questo abbiamo già avuto modo di parlare con il direttore dell’INAIL della Valle d’Aosta, mentre siamo in contatto con l’assessorato alla cultura della Regione per cercare di impostare un lavoro nelle scuole che consenta di mettere a profitto quanto ho detto.

PRESIDENTE
Sul punto per la verità, signor Favre, siamo già in grado di darle qualche indicazione.
Innanzitutto, esiste al riguardo una sorta di cabina di regia, vale a dire un tavolo di lavoro avanzato, al quale siedono il Ministero del lavoro, l’INAIL ed il Ministero dell’istruzione dal momento che, in base allo stesso Testo unico, sono previste attività di formazione all’interno delle scuole, attraverso specifici moduli didattici.
È stato inoltre emanato un bando di concorso dal Ministero dell’istruzione, attraverso l’Agenzia nazionale per lo sviluppo dell’autonomia scolastica, per un finanziamento di 110.000 euro per ogni progetto. A questo bando hanno risposto un po’ tutte le Regioni (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna), ma non la Valle d’Aosta, almeno stando a quel che ci risulta. Si tratta di fondi che sono stati appostati dal Ministero dell’istruzione proprio per dare la possibilità di dare attuazione a quello che lei giustamente diceva essere fondamentale.
Per quanto ci riguarda, siamo convinti che bisognerebbe impostare il discorso della formazione e della diffusione della cultura della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro già a partire dalle scuole elementari, in modo da favorire lo sviluppo di un certo livello di consapevolezza fin dalle classi primarie. Se è vero, infatti, che è importantissimo rivolgersi ai ragazzi delle scuole superiori di secondo grado, in questo caso il discorso rientra nell’ambito specifico del percorso formativo; nel momento in cui parliamo invece della necessità di sviluppare una vera e propria cultura senso lato, si dovrebbe partire già dalle scuole elementari. Pensiamo a quanti ragazzini dopo l’introduzione dell’obbligo delle cinture di sicurezza invitavano i papà ad indossarle, una volta saliti in macchina. Dobbiamo entrare in questo ordine di idee per cui spesso è la generazione più giovane che può aiutare la nostra.
Ci tengo a precisare in questa sede che con i colleghi della Commissione siamo in continuo contatto con la vostra associazione, che svolge un’opera davvero meritoria e di grande impatto a livello nazionale. Ricordo, tra l’altro, la bellissima manifestazione che è stata celebrata in tutta Italia il 9 ottobre scorso, in occasione della 61ª Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro (a Roma si è svolta nella protomoteca del Campidoglio, alla presenza del ministro Sacconi e di altre illustri personalità).
Siamo convinti che la vostra associazione, attraverso la propria attività, possa dare un validissimo contributo e un sostegno all’attività di formazione e di informazione in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.
Vi ringraziamo dunque ancora una volta per il vostro impegno e per la vostra presenza qui oggi.

FAVRE
Il mio ringraziamento va a lei, signor Presidente, e a tutta la Commissione per il lavoro che state facendo. In particolare, ci tengo a dire che concordo con quanto lei ha detto sulla necessità di cominciare a fare cultura della sicurezza già a partire dalle scuole primarie.

PRESIDENTE
Augurando un buon lavoro a lei e all’associazione che presiede, la ringrazio per la sua presenza e per il contributo che ha voluto darci.
Dichiaro conclusa l’audizione in titolo.

Audizione del direttore regionale INAIL

Interviene il direttore INAIL – Sede regionale di Aosta, dottoressa Maria Valeria Fiorillo.

PRESIDENTE
I nostri lavori proseguono ora con l’audizione del direttore dell’INAIL della Valle d’Aosta, dottoressa Valeria Fiorillo, che ringraziamo per la sua presenza.
Invitandola a fare il punto della situazione sui temi oggetto di attenzione della nostra Commissione, relativi alla sicurezza e alla salute sui luoghi di lavoro, cedo subito la parola alla nostra ospite.

FIORILLO
Signor Presidente, voglio innanzitutto ringraziarla per l’invito.
Come risulta chiaramente dal rapporto annuale di cui vi è stata consegnata copia, nel 2010 in Valle d’Aosta non ci sono stati incidenti mortali sul lavoro, mentre se ne sono verificati tre all’inizio di quest’anno, di cui uno però di competenza della Direzione regionale dell’Abruzzo, considerato che, nonostante l’evento si sia verificato in Valle d’Aosta, è il luogo di residenza del deceduto – Avezzano nel caso in questione – a definire la competenza. A ciò forse è da ricondurre la discordanza con i dati forniti a livello centrale.
In occasione della celebrazione della 61ª Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, alla quale ha preso parte anche il senatore Fosson, ho voluto ricordare proprio i tre lavoratori morti in Valle d’Aosta nei primi mesi di quest’anno: si è trattato, in particolare, di una guardia forestale che stava osservando un nido di gipeto; di un giovane caduto durante le operazioni per la messa in sicurezza di una strada e di un operaio edile morto il 28 luglio scorso.
Già da questi elementi si evince chiaramente che stiamo parlando di un territorio particolare, molto diverso ma quello delle altre Regioni: io provengo, ad esempio, dalla Liguria, che ha una diversa morfologia e dove in parte sono diverse le stesse attività lavorative che vengono svolte. In particolare, per quanto riguarda la Valle d’Aosta, accanto agli incidenti che avvengono nel settore dell’edilizia – al quale occorre certamente rivolgere una certa attenzione – e agli infortuni per così dire «ordinari», che si verificano all’interno della Cogne Acciai Speciali spa, ci sono poi gli incidenti legati alle peculiarità del territorio: è il caso, ad esempio, di quelli correlati alla messa in sicurezza dalle frane delle strade provinciali o comunali, che spesso si snodano lungo pareti rocciose.
Signor Presidente, se possibile, vorrei soffermarmi brevemente su quello che l’INAIL fa, in collaborazione con altri enti, per sopperire alle necessità dei lavoratori e dei datori di lavoro, perché spesso manca un’adeguata cultura della prevenzione.
A tal proposito, ricordo innanzitutto che abbiamo siglato dei protocolli d’intesa con l’azienda USL, anche se ad un certo punto il nostro lavoro si è dovuto fermare per ragioni di privacy, non essendoci più il funzionario informatico addetto all’inserimento dei dati, essendo andato in pensione e non essendo stato ancora sostituito. In tal senso ho già formulato una specifica richiesta alla Direzione centrale, chiedendo se, in mancanza dell’amministratore di sistema, sia possibile affidare ad un amministrativo il compito di inserire questi dati, che risultano aggiornati fino allo scorso mese di settembre. Sono in attesa di una risposta al riguardo, anche se forse una soluzione potrebbe essere quella di rivolgerci al Piemonte.
Si potrebbe tuttavia pensare anche ad altre iniziative. Ritengo infatti importante non soltanto fornire i dati, il nome e il cognome di un infortunato o di un tecnopatico (termine utilizzato per indicare chi è affetto da malattia professionale), ma anche andare nelle scuole ed imprimere nei giovani la cultura della sicurezza. Lo scorso anno ci siamo adoperati in tal senso con le iniziative «Naso in su» e «Sicuropoli»; quest’ultima iniziativa – realizzata nel 2009 ad Aosta e l’anno successivo a Savona – è andata in giro in tutte le sedi INAIL. Ritengo altresì importante educare ed istruire le giovani generazioni alla sicurezza, non solo in ambito lavorativo, ma anche in ambito domestico. I bambini possono infatti indirizzare i genitori, anche quelli di loro che svolgono un lavoro domestico, a non avvicinarsi, ad esempio, alla pentola sul fuoco.
Abbiamo poi altre iniziative volte a contemperare le esigenze della vita lavorativa e della scuola. In particolare, ci avvaliamo dell’ausilio di un tecnico della Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione (CONTARP) del Piemonte, che si occupa dei corsi di aggiornamento sulla prevenzione nelle scuole edili, che ritengo molto importanti perché uno dei settori più delicati è proprio quello dell’edilizia.
Per quanto riguarda la malattia professionale, posso dire che quella che si sviluppa in misura maggiore è la malattia osteo-articolare, che deriva dall’utilizzo ormai diffuso del computer e del mouse. Si evidenzia così un aumento di queste malattie professionali dovute proprio ad una non corretta seduta o postura davanti al computer. Si tratta di malattie nuove, come la sindrome del tunnel carpale, che ad esempio in passato non era riconosciuta come malattia professionale.
Realizziamo altresì dei documentari o cortometraggi; ad esempio, io ho intenzione di fare un film, che poi finanzierà l’INAIL come progetto di prevenzione con la Regione o con il Comune, che racconta la storia di questi infortuni. Questi film vengono proiettati nelle scuole, ponendo l’attenzione su quali devono essere i comportamenti corretti.
Vorrei inoltre rilevare che c’è molto lavoro nero, soprattutto nel settore edile; un recente articolo de «Il Sole 24 ore» indicava per la Valle d’Aosta un indice abbastanza elevato rispetto alla Liguria o alla Lombardia. Come accennavo prima, ho un solo funzionario di vigilanza, il quale dà un apporto con la DRL e con l’INPS per quanto riguarda le attività congiunte, che ultimamente si sono sviluppate nel settore dell’edilizia e dei servizi. Come INAIL abbiamo anche degli obiettivi sul lavoro nero e sul numero di irregolari che vi sono. Vorrei pertanto dire, da direttore di una sede INAIL, che sarebbe opportuno fare una task force interregionale laddove si connota, a livello nazionale, l’insorgenza o la rilevanza di lavoro nero rispetto al territorio. Ad esempio, seppure il territorio della Valle d’Aosta non sia vastissimo, vi è una presenza di questo fenomeno molto alta se confrontata con quella di altre Regioni. Mi sono anche chiesta le ragioni che potrebbero spiegare questi dati. Riterrei pertanto opportuna una task force per la Valle d’Aosta con il Piemonte, la Liguria o la Lombardia. Questo è chiaramente solo un input che posso dare. Comunque noi contribuiamo con l’unico funzionario che abbiamo perché ricordo che si tratta di funzionario altamente professionalizzato e, trattandosi di un ruolo che ha suoi compiti ben specifici, esso è difficilmente sostituibile. Vorrei poi rilevare che vi è collaborazione tra i patronati e l’Associazione nazionale tra mutilati ed invalidi del lavoro (ANMIL), che ora ha assunto la veste di patronato che prima non aveva.
Vorrei altresì ricordare che nella prima settimana di ottobre si è svolta la customer satisfaction, nel corso della quale abbiamo distribuito dei questionari in tutta Italia; ad Aosta abbiamo riscontrato 154 questionari: 51 nel settore aziende e 103 nel settore lavoratori. Digitando questi dati, che ricordo vengono poi controllati dal centro, ho dovuto operare una sintesi e nel rivederli tutti, il risultato mi è sembrato buono. L’unico neo è stato il parcheggio che devono pagare al Comune.
La meta cui ognuno di noi deve auspicare è quella di fare il massimo con meno risorse, ottenendo comunque ottimi risultati.
Per quanto riguarda gli infortuni, il trend è in calo. Sappiamo infatti che a parte un picco rilevato nel 2008, negli anni successivi vi è stato un decremento di infortuni che rispecchia il trend nazionale. Vi è tuttavia una permanenza di infortuni in agricoltura, per ridurre i quali anche noi stiamo mirando a progetti ad hoc, in quanto c’è appena un infortunio in meno rispetto all’anno precedente. In questo caso stiamo portando avanti azioni di prevenzione con le associazioni, proprio perché abbiamo capito che è un settore che in Valle d’Aosta è molto articolato; ricordo infatti la presenza sul nostro territorio di vigneti a terrazze, come quelli della Liguria, che sono molto pericolosi. Altri problemi sono legati all’utilizzo del trattore. Pertanto, con la collaborazione delle associazioni, stiamo aggredendo anche quel settore.
Vorrei poi soffermarmi sul mio progetto «Innaffiare la pianta della sicurezza», della durata di tre anni. Ogni anno aggrediamo un settore specifico dell’agricoltura.
Dobbiamo poi ricordare che il numero degli infortuni risente dell’indennizzo degli infortuni in itinere e degli infortuni stradali – previsto dal decreto n. 38 del 2000 – che prima venivano indennizzati solo in casi eccezionali. Si è infatti registrato un incremento di infortuni, dovuto anche al nostro indennizzo per infortuni da casa al lavoro e dal lavoro a casa e di quelli derivanti da incidenti stradali; ad esempio, una persona che fa il commesso viaggiatore piazzista può essere soggetto ad infortunio. Gli incidenti stradali vanno un po’ studiati secondo la morfologia del territorio. Sappiamo comunque che a livello nazionale il numero di incidenti stradali è alto.

PRESIDENTE
Ringrazio la dottoressa Fiorillo dell’ampia relazione.
Gli incidenti in itinere sono un problema perché, anche se i numeri sono contenuti, hanno comunque registrato un aumento secco. Parliamo di una realtà abbastanza contenuta, ma questo problema andrebbe capito meglio. Sicuramente ci sarà un’attenzione da parte di tutte le istituzioni.
Inoltre, dai dati che fornisce l’INAIL emerge un aumento degli infortuni che hanno colpito le donne rispetto agli uomini. Nell’ultimo quinquennio si è registrato un aumento dell’8,3 per cento; si tratta sempre di numeri piccoli, perché si passa dai 700 infortuni del 2006 ai 758 del 2010.
Come spiega questi dati?

FIORILLO
Vuol dire che l’occupazione femminile è andata crescendo.

PRESIDENTE
Non possiamo licenziare la questione così.

FIORILLO
Io lo penso perché c’è molta più competizione.

PRESIDENTE
Diciamo pure che non c’è stato un grande incremento. Sempre dai dati che ci fornite voi, che per noi sono molto importanti, possiamo vedere che il numero di occupati dal 2009 al 2010 è passato da 56.400 a 57.000; credo perciò che dobbiamo comprendere uomini e donne poiché non abbiamo una specifica. A mio avviso, va forse attenzionata la tipologia di lavoro che stanno svolgendo ora le donne; era questa l’indicazione che intendevo offrirle.
Per il resto siamo a conoscenza dell’attività che svolge l’INAIL, che è molto meritoria sul campo nazionale e territoriale, dei vari progetti che finanzia, soprattutto in riferimento al rapporto con le scuole e al coinvolgimento in una serie di attività del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del Ministero del lavoro. Avendo avuto contatti con la stessa dirigenza dell’INAIL, sono convinto che queste azioni saranno ancora più rafforzate per poter ottenere risultati migliori.
Desidero aggiungere che noi con l’INAIL abbiamo una collaborazione molto attiva, tanto che ci stiamo adoperando per poter produrre un disegno di legge che permetta, con riferimento particolare al settore agricolo, di poter avere i finanziamenti per adeguare i trattori; finanziamenti che in larga parte non sono stati purtroppo presi in quanto si andavano ad addizionare alle altre provvidenze, facendo saltare il limite comunitario del de minimis. Abbiamo un confronto serrato con l’Unione europea per fare in modo che i contributi che servono esclusivamente alla sicurezza del lavoro non vengano conteggiati nel de minimis. È una battaglia lunga perché non è facile avere a che fare con l’Unione europea, ma speriamo nei prossimi mesi di vincerla per far sì che le disponibilità che ha messo l’INAIL – molte delle quali sono rimaste ferme – possano andare a buon fine.

FIORILLO
Penso che la questione riguardi l’adeguamento dei trattori. Il nostro intervento è mirato soprattutto all’attenzione dei comportamenti e alle modalità di guida. Questo è già in programma per il prossimo anno.

PRESIDENTE
Il mio discorso in realtà si riferiva proprio alle iniziative dell’INAIL.
Per quanto riguarda, in particolare, gli incidenti che si verificano alla guida di trattori, stiamo valutando se non sia il caso di prevedere il rilascio di uno specifico patentino, perché lei sa meglio di me che, nel momento in cui non si va sul suolo pubblico, chiunque può mettersi alla guida di un trattore, grande o piccolo che sia.

FIORILLO
A mio parere forse sarebbe opportuno.

PRESIDENTE
Ringraziamo la dottoressa Fiorillo per il contributo che ha voluto darci.
Dichiaro conclusa l’audizione in titolo.

Audizione del direttore regionale del lavoro e del responsabile del Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell’azienda USL della Valle d’Aosta

Intervengono il direttore regionale del lavoro, dottor Aniello Pisanti e il responsabile del Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro dell’azienda USL della Valle d’Aosta, ingegner Agostino Roffin.

PRESIDENTE
Colleghi, è ora prevista l’audizione del direttore regionale del lavoro, dottor Aniello Pisanti e dell’ingegner Roffin Agostino, del Servizio di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, in rappresentanza del direttore generale dell’USL della Valle d’Aosta. Ringraziamo i nostri ospiti per aver accolto il nostro invito.
La nostra presenza qui oggi va ad inquadrarsi nell’ambito di un ciclo di audizioni che stiamo svolgendo direttamente sul territorio per capire come le diverse Regioni si stanno organizzando per dare attuazione alla nuova normativa prevista dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Quello che stiamo cercando di fare è verificare l’esistenza di eventuali vulnus e la necessità, dunque, di un ripensamento, di una correzione o di un aggiornamento della disciplina. A questo proposito voglio ricordare che, come certamente saprete, vi è una serie di decreti attuativi, previsti dallo stesso Testo unico, che sono ad oggi ancora in itinere e che possono rappresentare dunque un’occasione per intervenire sulla materia.
Cedo quindi subito la parola ai nostri ospiti, invitandoli cortesemente ad illustrarci le loro riflessioni sul tema.

PISANTI
Buongiorno a tutti, sono Aniello Pisanti, direttore della Direzione regionale del lavoro. In linea generale ci occupiamo di vigilare sul rispetto della normativa in materia di lavoro, nonché, sia pur in misura più marginale, della normativa riguardante la sicurezza sui luoghi di lavoro.
Ho predisposto un documento sintetico, di cui vi ho fornito copia, nel quale ho rappresentato la questione relativa alla distinzione delle competenze in materia di sicurezza, più marginali per quanto riguarda il Ministero del lavoro e più preponderanti e significative, invece, per quanto riguarda le aziende USL: di questo, comunque, vi parlerà poi meglio di me l’ingegner Roffin.
Il personale ispettivo delle Direzioni del lavoro – siano esse territoriali, come nel caso in cui siano presenti Province, sia regionali, come nel caso della Valle d’Aosta – è composto da una duplice tipologia di soggetti.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, dottor Pisanti, ma in Valle d’Aosta le due dimensioni si identificano, mentre mi sembra che lei stia facendo un discorso di tipo diverso.

PISANTI
Per la verità, signor Presidente, intendevo fare un discorso di carattere generale, per poi passare a descrivere più dettagliatamente la realtà locale. In ogni caso, venendo specificamente al caso della Valle d’Aosta, c’è un’identificazione degli uffici, anzi, in realtà ci troviamo in presenza di un unico ufficio, quello cioè della Direzione regionale del lavoro.

PRESIDENTE
Soffermiamoci allora su questo.

PISANTI
Il personale ispettivo all’interno del nostro ufficio è rimasto in forza soltanto per quanto riguarda l’attività amministrativa: i controlli che il nostro ufficio effettua attengono alla regolarità del rapporto di lavoro e all’eventuale impiego di lavoratori in nero.

PRESIDENTE
Non ci sono figure tecniche nel vostro ufficio?

PISANTI
Il problema è proprio questo. Come ho scritto anche nella relazione, fino ad un mese fa avevamo un ispettore tecnico che operava nel settore della sicurezza, che purtroppo, però, si è dimesso per svolgere un’altra attività, per cui attualmente siamo sprovvisti di questa figura.

PRESIDENTE
Il personale amministrativo, invece, da quante unità è formato?

PISANTI
Direi che siamo tra le 7 e le 8 unità, nel senso che alcuni svolgono compiti interni all’ufficio; pertanto, nel conteggiare quanti possono essere effettivamente adibiti ad attività di vigilanza, devo dire che abbiamo 7,5 persone disponibili, includendo anche i due carabinieri del nucleo ispettivo del lavoro. Questi soggetti, come dicevo, svolgono attività di tipo amministrativo, verificando l’eventuale presenza di lavoratori in nero: in particolare, essi si occupano della tutela della legislazione sociale, del recupero contributivo, mentre non possono intervenire sotto il profilo della sicurezza perché non hanno le competenze tecniche per farlo.
Per la verità qualche anno fa, nel 2005, è stato bandito un concorso nazionale per 75 ispettori tecnici, che sono entrati poi in servizio nel 2006.

PRESIDENTE
In realtà era la coda di un precedente e più ampio concorso che riguardava l’assunzione di ben 800 ispettori.

PISANTI
Il problema, signor Presidente, è che dei 75 ispettori tecnici assunti in Valle d’Aosta ne è arrivato soltanto uno, che oggi purtroppo si è dimesso. Siamo quindi attualmente impossibilitati a svolgere un certo tipo di attività.
Nelle tabelle che ho allegato alla mia relazione sono riportati i dati riferiti all’attività di vigilanza, anche se non parliamo di vigilanza in materia di sicurezza. Così, ad esempio, per quanto riguarda l’edilizia, risulta che sono state effettuate nel periodo gennaio-settembre 2011 un centinaio di ispezioni, ma si tratta di ispezioni relative alla verifica della regolarità del rapporto di lavoro degli addetti al comparto.
Certamente anche nell’ambito dell’attività di accertamento in ordine alla presenza di lavoro nero viene effettuata una sorta di prevenzione sotto il profilo della sicurezza, tenuto conto che il lavoratore in nero è particolarmente esposto a rischi e ad incidenti. Resta però il fatto che in questo momento nel nostro ufficio ci troviamo sguarniti di una figura tecnica, che riusciva comunque ad ispezionare circa 50 cantieri all’anno, per un totale di circa un’ottantina di aziende. È evidente, dunque, che il controllo sul territorio in questo caso viene a mancare.

PRESIDENTE
Prendiamo atto di quanto lei ci ha detto, dottor Pisanti. Ci attiveremo sicuramente per segnalare la questione, anche se le dico subito che trovare una soluzione non sarà facile, perché quella graduatoria è stata ormai esaurita. Bisognerebbe bandire un nuovo concorso o valutare la possibilità di riqualificare alcune persone, atteso che le stesse siano disponibili.

ROFFIN
Signor Presidente, sono l’ingegner Agostino Roffin, del Servizio prevenzione e sicurezza ambienti di lavoro (SPRESAL). Ringraziando la Commissione per l’invito, voglio iniziare il mio intervento descrivendo brevemente la struttura dello SPRESAL. Il servizio è composto da circa 17 unità, con caratteristiche prevalentemente tecniche: si tratta infatti di due ingegneri, 12 tecnici e tre amministrativi.
Lo SPRESAL si occupa non solo di vigilanza, di attività di polizia giudiziaria e di prevenzione, ma anche della verifica periodica degli impianti, originariamente affidata ai presidi multizonali e adesso svolta invece da strutture specifiche della ASL o dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente. A questo tipo di attività sono preposte oggi cinque persone, anche se soltanto due se ne occupano a tempo pieno.
Negli anni il numero degli addetti è rimasto abbastanza invariato; lo scorso anno il personale si è ridotto di un’unità, mentre gli addetti che già precedentemente erano usciti dallo SPRESAL sono stati sostituiti con personale assunto a tempo determinato o con contratti di lavoro interinale.
Per quanto riguarda specificamente l’attività di vigilanza, disponiamo di banche dati sugli infortuni, che sono comuni anche all’INAIL, da cui è possibile desumere quali sono i settori maggiormente a rischio ed in funzione di questo stabilire poi ogni anno le priorità negli interventi. Essi riguardano, ad esempio, il settore edile, che è interessato ogni anno da un progetto mirato, nonché il comparto dell’agricoltura.
Per quanto riguarda specificamente il settore edile, c’è da dire che da circa 5 anni una parte dell’attività di vigilanza sui cantieri più grossi – quelli caratterizzati da un notevole impiego di risorse e di personale – viene svolta congiuntamente all’Ispettorato del lavoro, al fine di verificare, non solo gli aspetti correlati alla sicurezza, ma anche quelli riguardanti il lavoro nero. A quanto mi risulta, lo scorso anno questa iniziativa non ha avuto seguito perché, essendo cambiati i direttori regionali dell’ispettorato del lavoro, dell’INPS e dell’INAIL, non si è riusciti effettivamente a concordare un’azione congiunta, che è stata comunque ripresa quest’anno.

PRESIDENTE
Mi scusi, ingegner Roffin, vorrei sapere se le priorità e le azioni strategiche vengono stabilite all’interno del coordinamento regionale.

ROFFIN
Sì. Più specificamente, nell’ambito del coordinamento regionale, le priorità vengono stabilite dall’ufficio operativo e portate poi al vaglio del comitato regionale di coordinamento per l’assenso: c’è da dire che fino ad oggi l’assenso sui progetti proposti è sempre stato dato.

PRESIDENTE
Potrebbe dirci quali sono secondo lei i punti di debolezza, sempre che ve ne siano? Abbiamo sentito, ad esempio, le criticità presenti a livello di Direzione regionale del lavoro, riconducibili alla mancanza di personale tecnico.
Voi avete punti di debolezza, oppure credete di essere sufficientemente attrezzati per svolgere gli interventi a voi affidati?

ROFFIN
Per quanto riguarda le risorse strumentali, posso dire che siamo abbastanza attrezzati; forse siamo un po’ carenti dal punto di vista del personale, soprattutto se si tiene conto del tipo di attività che svolgiamo.
In definitiva, con il Patto per la salute sono stati individuati alcuni obiettivi da raggiungere, quali, ad esempio, il 5 per cento delle attività sottoposte a controllo, o il 20 per cento di cantieri notificati. Per quanto riguarda i cantieri notificati, siamo intorno al 16-17 per cento perché negli anni è un po’ calato l’impiego di risorse che è stato possibile destinare a questa specifica attività. In proposito ci tengo a precisare che la mancata assunzione con contratto a tempo indeterminato dei due tecnici che lavorano all’interno dello SPRESAL, impedisce loro di svolgere tutta l’attività che compete invece ad un dipendente: questi due soggetti, infatti, non sono ufficiali di polizia giudiziaria, per cui non possono svolgere funzioni di vigilanza senza il supporto di un ufficiale. Sicuramente registriamo dunque una debolezza da questo punto di vista.
Per il resto, sotto il profilo delle attrezzature, non possiamo dire nulla, perché abbiamo tutto il sostegno necessario.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo e speriamo che le due unità che svolgono attualmente la loro attività presso il vostro ufficio vengano assunte con contratto a tempo indeterminato, così come speriamo che venga assunto anche un ispettore tecnico presso la direzione regionale del lavoro.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali

Intervengono il segretario regionale della CGIL, dottor Domenico Falcomatà, il segretario regionale della CISL, dottor Riccardo Monzeglio, il segretario regionale, signora Ramira Bizzotto, e il segretario organizzativo della UIL, signor Gabriele Noto, il responsabile provinciale di Aosta della FENEAL-UIL, signor Cosimo Mangardi, il segretario regionale, signor Armando Morella, il segretario provinciale di Aosta, signor Tommaso Auci, e il segretario area sicurezza sul lavoro della UGL, signor Ivo Ciccone, il segretario regionale del SAVT, signor Guido Corniolo.

PRESIDENTE
Do il benvenuto a tutti voi. Vorremmo ascoltare le vostre riflessioni e sensazioni sul tema della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, sulla base della competenze che il ruolo sociale che svolgete vi assegna. Vi ringrazio in anticipo per il contributo che fornirete alla nostra Commissione.
Cedo quindi la parola al signor Falcomatà, segretario regionale della CGIL.

FALCOMATÀ
Rivolgo anzitutto un ringraziamento alla Commissione per la sensibilità e l’attenzione di ascolto che dimostra di avere su un tema che è per noi fondamentale e importante e sul quale non deve mai essere abbassata la guardia.
La nostra Regione è piccola e le possibilità di controllo del territorio sono sicuramente maggiori rispetto a quanto si registra altrove; ciò nonostante, anche qui si registrano morti bianche e i lavoratori continuano a infortunarsi. Il panorama – quindi – non è tanto distante da quello della media nazionale, se paragonato in termini percentuali: quando gli infortuni sul lavoro aumentano nel resto d’Italia, aumentano anche nella nostra Regione.
Abbiamo la necessità di portarvi oggi la nostra testimonianza, che non sarà probabilmente così tecnica come forse vi aspettate (chiaramente parlo per quanto mi riguarda). Sulla base dei dati in possesso della mia organizzazione e del nostro osservatorio, riteniamo che la Valle d’Aosta abbia le caratteristiche necessarie per essere un importante laboratorio di attenzione, perché ci sono più risorse e il territorio è più piccolo e più facilmente controllabile. Bisogna solo capire se le ispezioni e i controlli possano essere fatti come prevede la legge, in quanto il nostro contesto regionale registra una carenza di ispettori: da qui, quindi, l’impossibilità – di fatto – di effettuare i controlli presso le aziende.
Bisogna inoltre considerare che se dall’inizio della crisi ad oggi il fenomeno degli infortuni sul lavoro presenta un trend in diminuzione – mi rifaccio ai dati del 2010 –, ciò è dovuto al calo dell’occupazione nelle aziende: è evidente che questo elemento si riverbera sugli infortuni. Inoltre, se fosse accertato che le misure messe in atto dal Ministero e dalla Regione hanno prodotto una serie di risultati in termini di diminuzione degli infortuni e delle morti, noi non potremmo che esserne compiaciuti. È importante che non si abbassi la guardia, soprattutto in un momento in cui la crisi porta i lavoratori ad accettare condizioni di lavoro probabilmente più precarie e le aziende a semplificare o ad aumentare i cicli produttivi. Tutto ciò si traduce – ovviamente – in un aumento degli infortuni e dei rischi e in un calo di attenzione.
Per concludere, credo che in Valle d’Aosta sia importante intensificare i controlli affinché, in una fase come questa, possano essere debellate quelle forme di lavoro grigio e nero che rischiano di superare la soglia fisiologica di una normale situazione economica. Peraltro, il dato relativo ai lavoratori che non hanno contratti di lavoro regolare può anche non essere registrato e – quindi – i dati relativi alla Valle d’Aosta potrebbero essere più alti.
Al di là dei controlli ispettivi, è importante mettere in atto pratiche di attenzione e diffondere una cultura della sicurezza nelle imprese e tra i lavoratori. Sappiamo, infatti, che in una fase come questa le aziende tendono a comprimere i costi e che nel nostro Paese la sicurezza non è mai stata al primo posto all’interno delle aziende. Una situazione di crisi rischierebbe – dunque – di indurre le aziende a semplificare ancora di più e a sottovalutare questo aspetto.

PRESIDENTE
La ringrazio, signor Falcomatà.
Do ora la parola al signor Monzeglio, segretario regionale della CISL.

MONZEGLIO
Rinnovo anzitutto il ringraziamento già fatto dal collega per la presenza della Commissione quest’oggi ad Aosta. Mi permetto di evidenziare che, se rispetto al livello nazionale, la Valle d’Aosta non presenta gli stessi numeri sul piano degli incidenti gravi, non altrettanto si può però dire con riferimento al numero complessivo di incidenti.
Il nostro tessuto territoriale, oltre che economico e sociale, determina un lavoro decisamente frantumato, nel senso che le aziende sono mediopiccole e la sicurezza viene un po’ meno. Al pari del collega che mi ha preceduto, ribadisco anche io la necessità di un maggior numero di ispettori, così da supportare l’attività di controllo.
Mi permetto inoltre di ricordare che nella nostra Regione molte delle assunzioni e dei licenziamenti avvengono nell’arco della stagionalità e dell’evento annuale. Si tratta di tanti casi se rapportati alle nostre forze lavoro: stiamo parlando di circa 10.000 persone che entrano e 10.000 che escono per ogni stagionalità. Inoltre, alcuni tipi di lavoro vengono fatti essenzialmente da extracomunitari e da persone che ritroviamo in montagna o negli alpeggi con caratteristiche peculiari.
Il comitato regionale di coordinamento che abbiamo si riunisce 3 o 4 volte all’anno (se non di più , contando la pausa estiva), ossia in maniera più che adeguata rispetto alle nostre esigenze. Ripeto: ciò risponde perfettamente alle esigenze della Regione (anche grazie ai nostri rappresentanti e al contributo che possiamo dare).

PRESIDENTE
La ringrazio, signor Monzeglio, per il contributo che ci ha dato.
Cedo ora la parola al signor Corniolo, segretario regionale del SAVT.

CORNIOLO
Signor Presidente, nell’associarmi a quanto già detto dai miei colleghi, vorrei però porre l’accento su alcune situazioni performanti della nostra Regione. In modo particolare, riteniamo che il ruolo della sicurezza corrisponda a quello della formazione del personale, che è uno degli elementi fondamentali. La nostra Regione sta lavorando moltissimo nel settore delle politiche del lavoro, concentrandosi sul fattore preventivo e – quindi – su una maggiore informazione sia a livello aziendale, che con riferimento al singolo lavoratore. Riteniamo che questa sia la strada giusta da percorrere e ribadisco quanto già detto dai miei colleghi con riferimento alla carenza di ispettori nella Regione. Va favorita la cultura della sicurezza, che necessita di trasparenza contrattuale e di un controllo delle ditte stesse. Tanti di noi (tra cui i miei colleghi di categoria qui presenti) possono testimoniare che i grossi problemi sono concentrati soprattutto nel settore dei subappalti, allorquando le ditte vengono dall’esterno, e specie in settori chiave, che sono quelli più a rischio. Bisogna inoltre considerare anche la presenza di un’attività lavorativa molto a rischio: gli ultimi casi hanno riguardato piloti di elicottero di montagna, ossia lavoratori molto formati che si trovano però ad operare in condizioni estremamente particolari e che solo loro conoscono.
Ricordo che anni fa abbiamo subito una tragedia terribile nel tunnel del Monte Bianco; anche grazie al lavoro svolto dalle organizzazioni oggi presenti a questo tavolo, il tunnel ha oggi raggiunto livelli di sicurezza eccezionali, diventando un modello in tutta Europa. Si registrano visite da parte di tutti i 27 Paesi membri e recentemente c’è stata addirittura una visita di operatori dagli Stati Uniti per studiare i sistemi di controllo utilizzati. Prima di giungere a questo vi sono però stati 39 morti e speriamo che una tragedia simile non riaccada in altri settori.
Ricordo altresì che, per la prima volta, grazie alle organizzazioni regionali (non quelle confederali), è stato siglato un accordo italo-francese che ha permesso di standardizzare tutti i processi di sicurezza interni. Penso, ad esempio, al problema della lingua, atteso che capirsi gli uni con gli altri è un fattore di elevata importanza ai fini della sicurezza. Il modello da seguire è sicuramente questo ed è chiaro che occorrono molti investimenti: in altre parole, bisogna capire – spero che la Valle d’Aosta lo abbia fatto – che più investiamo sulla sicurezza e più il prodotto è di qualità e si è competitivi a tutti i livelli.

BIZZOTTO
Signor Presidente, ritengo anzitutto doveroso rivolgere un ringraziamento alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro; la salute e la sicurezza sul lavoro devono infatti essere il primo obiettivo per ogni azienda, ogni lavoratore e ogni ditta. Investire sulla sicurezza e sulla salute va a beneficio di tutti perché il costo sociale delle morti e degli invalidi ricade su tutta la collettività. Tale investimento si traduce pertanto in un doppio guadagno sia per la qualità del lavoro sia per la qualità della vita sociale del lavoratore e della sua famiglia.
Gli infortuni, come emerso da una nostra analisi, si verificano prevalentemente il lunedì mattina e il venerdì pomeriggio; quindi alla fine della settimana, quando si è stanchi, e all’inizio, quando si inizia a lavorare. Si tratta di un dato veramente singolare, che è emerso da un lavoro che abbiamo svolto come ente Regione sui nostri cantieri e sui nostri operai; ricordo infatti che la Regione non ha solo impiegati, ma tutta una serie di figure professionali.
Anche se può apparire strano, è difficile trasmettere la cultura e l’educazione alla sicurezza, soprattutto alla luce dei nuovi contratti di lavoro. Ad esempio, i lavoratori flessibili ed atipici non sono preparati al mondo del lavoro. È pertanto necessario educare anche sulle tipologie di contratti
e sulle modalità di assunzione dei nostri lavoratori.
Vi ringrazio e siamo disponibili in qualsiasi momento a ricevere suggerimenti ed investire su questa materia così delicata.

AUCI
Signor Presidente, mi associo a tutto quello che hanno detto i colleghi nel corso di questa audizione. I temi principali sono stati già esposti, pertanto vorrei semplicemente soffermarmi sulla necessità di intensificare la formazione del personale a tutti i livelli, rafforzando i controlli ed, in particolare, i controlli dell’ispettorato del lavoro sul territorio anche per quei lavori che vengono definiti semplici. Quasi sempre infatti le cosiddette morti bianche derivano da distrazioni, da eventi banali o da lavori che non vengono eseguiti secondo i regolamenti; ricordo infatti che comunque le leggi ci sono.
Auspichiamo altresì che ci siano maggiori investimenti a tutti i livelli sulla formazione.

PRESIDENTE
Vorrei chiedere ai nostri auditi se rilevano difficoltà o problematiche concernenti il ruolo di competenza del rappresentante dei lavoratori, soprattutto lì dove non ci sono unità produttive di grandi dimensioni e, quindi, vi è presenza di microimpresa. Sul piano territoriale riuscite lo stesso ad operare senza problemi con le piccole aziende che, in qualche modo, vedono invadere i propri ambiti?

FALCOMATÀ
Signor Presidente, è un problema nel senso che la frammentazione produttiva della Valle d’Aosta, che ha oltre il 98 per cento di microimprese, rende molto difficile, da una parte, diffondere la cultura della sicurezza e, dall’altra, portare i responsabili dei lavoratori per la sicurezza territoriali (RLST) dentro queste aziende senza che l’imprenditore li veda come una sorta di soggetto estraneo. Infatti, mentre nell’impresa più strutturata il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e il sindacato stesso nella maggior parte dei casi hanno un rapporto costruttivo con l’imprenditore, nella microimpresa e nell’artigianato ciò diventa più complicato. Abbiamo iniziato ad operare attraverso i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali, che sono strutturati da tempo nel comparto edile e adesso anche nell’artigianato. Ciò sta dando qualche frutto; dal nostro osservatorio emerge infatti che oggi il datore di lavoro vede quella figura come una figura di aiuto complementare ad altre che si occupano di sicurezza e non come una figura che ostacola in qualche maniera il lavoro o che viene vista con ostilità. Non dico che siamo all’inizio, ma c’è ancora molto da fare; credo però che qualche esempio positivo possa esserci.

PRESIDENTE
Non vi sfugge che è importantissimo per le piccole aziende operare molto sugli RLST e, quindi, superare quell’impatto e far capire che si tratta di un sostegno per tali aziende che non è contro di esse. Su questo punto bisogna impegnarci tutti perché, tra l’altro, la maggior parte degli infortuni si determina proprio nelle piccole aziende e, quindi, a maggior ragione, anche voi, come forza sociale, avete questo ruolo importante e questo compito da svolgere.

CORNIOLO
A mio avviso, un ruolo importante viene svolto dagli enti bilaterali.

PRESIDENTE
Chi li ha?

CORNIOLO
Qui sono stati creati e ci permettono di istituire i rappresentanti territoriali e di far capire alle aziende attraverso la formazione questa possibilità.
È un discorso che è iniziato in questi anni e non bisogna assolutamente abbassare la guardia. Il discorso è impostato e credo che spetta anche a noi, come organizzazioni sindacali, continuare a spingere sull’acceleratore per far vedere che il responsabile della sicurezza interno è un valore aggiunto all’azienda.

PRESIDENTE
Il problema, come emerso anche in altre parti d’Italia, nasce per il rappresentante per la sicurezza territoriale. Fin quando infatti il responsabile è aziendale è un soggetto che comunque opera all’interno; quello territoriale che è esterno viene visto diversamente. Deve invece essere accolto come un valore, non come un ostacolo. A tale riguardo, anche se sicuramente non c’è bisogno della nostra sollecitazione, vi saremo grati se vi fosse sempre maggiore interesse e sempre maggiore impegno.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, artigiane e agricole

Intervengono il presidente della Confindustria della Valle d’Aosta, dottoressa Monica Pirovano, il direttore dell’ADAVA, dottor Emilio Conte, il direttore della COLDIRETTI Valle d’Aosta, geometra Ezio Mossoni, il segretario, signor Gino Rosaire, e il responsabile del servizio di protezione e prevenzione dell’Associazione valdostana impianti a fune (AVIF), dottor Maurizio Fiorilli, il segretario regionale del CNA, dottor Cesare Grappein, il vice presidente vicario regionale della CONFCOMMERCIO Valle d’Aosta, signor Giuseppe Sagaria, il direttore IRECOOP, signor Giancarlo Toscano.

PRESIDENTE
Questa Commissione, che si interessa della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, è presente oggi ad Aosta. Ricordo che ci stiamo muovendo anche in altre Regioni d’Italia per avere il quadro di riferimento dal territorio su come funziona, su quali rapporti ha creato la nuova normativa del decreto legislativo n. 81 del 2008 e, di conseguenza, se vi sono problematicità; vi sono infatti ancora decreti da definire e attuare perché il quadro non è stato completamente definito. Il nostro intento è quindi quello di cogliere anche da voi quelle che sono le riflessioni, anche dal punto di vista più generale, per quanto riguarda il contrasto agli infortuni e agli incidenti sul lavoro.

PIROVANO
Signor Presidente, vorrei anzitutto consegnare un documento congiunto cui hanno aderito le sigle di ADAVA, CNA, COLDIRETTI, CONFCOMMERCIO, CONFARTIGIANATO, Associazione artigiani Valle d’Aosta e CONFINDUSTRIA. Abbiamo pensato di scrivere questo documento in modo da potervi presentare a voce delle realtà, lasciando però anche il documento scritto.
Ognuno di noi presenterà uno spaccato veloce della sua situazione particolare. Io parlo come presidente della CONFINDUSTRIA. Per quanto riguarda il settore edile, possiamo dire che da un’iniziativa nata nel 2007 con un protocollo d’intesa con la sede regionale dell’INAIL sono stati realizzati dei corsi di formazione un po’ particolari sul posto, mediante allestimento di un camper attrezzato con strutture mobili e dispositivi. Questo è stato finalizzato proprio alla formazione dei dipendenti delle piccole e piccolissime imprese edili che abbiamo in Valle d’Aosta. Abbiamo notato che il numero, la frequenza e la gravità degli incidenti in questo settore è diminuita e, quindi, abbiamo ritenuto che si sia trattato di un valido strumento.
Per quanto riguarda tutte le altre imprese che sono associate a CONFINDUSTRIA, a partire dal 2009 abbiamo aperto uno sportello gratuito che serve per fornire assistenza nel settore ambientale e della sicurezza sul lavoro. Questo perché molte imprese della Valle d’Aosta, avendo queste dimensioni così piccole, non possono permettersi un proprio consulente o un’équipe di persone.
Abbiamo inoltre organizzato dei corsi formativi per i dipendenti delle imprese, anche questi gratuiti; abbiamo formato circa 200 lavoratori e preposti, sempre con la finalità di poter formare da vicino il personale delle imprese che non potevano permettersi dei corsi ad hoc. Il 30 novembre prossimo abbiamo in animo di organizzare un convegno sulla materia del decreto legislativo n. 231 del 2001, sul modello organizzativo generale e sulla parte speciale, con l’ausilio di avvocati specializzati in questo settore e per cercare di sensibilizzare maggiormente sui decreti legislativi nn. 231 e 81, sulla sicurezza del lavoro e più recentemente sugli aspetti ambientali.
Vi sono a nostro avviso due temi importanti; fare rete tra imprese e, quindi, mettere a supporto di tutte le imprese il processo formativo dei dipendenti che, secondo noi, è ciò che sta alla base. Vorrei inoltre richiamare una eccellenza che abbiamo in Valle d’Aosta; lo stabilimento della Heineken a Pollein, dove avviene la produzione della birra e l’imbottigliamento nei barattoli di alluminio. Tale stabilimento ha portato avanti un sistema che chiamano Behavior Based Safety (BBS); un coinvolgimento, fin dalla base, dei dipendenti per cercare di premiare coloro che adottano le misure di sicurezza e che comunque partecipano alla formazione, piuttosto che punire o reprimere chi non adotta certi strumenti. Questa implementazione, che è l’unica che abbiamo in Valle d’Aosta, verrà presentata direttamente dalla società Heineken il 19 ottobre al Forte di Bard in occasione del convegno di Fondo Impresa.
Vorrei ora passare la parola ai miei colleghi, che hanno condiviso la relazione che vi è stata presentata, rimanendo a disposizione per eventuali altre domande.

GRAPPEIN
Signor Presidente, la dottoressa Pirovano ha consegnato un documento da noi condiviso e già illustrato in maniera dettagliata la situazione nella Regione Valle d’Aosta. Come CNA non possiamo far altro che sottolineare le difficoltà che si trovano ad affrontare oggi le piccole realtà imprenditoriali che, non solo caratterizzano il tessuto economico valdostano, ma assumono una certa rilevanza anche a livello nazionale.
Il recepimento delle direttive comunitarie in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e l’approvazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, creano ulteriori problemi rispetto a quelli già esistenti sotto la vigenza del decreto legislativo n. 626 del 1994, perché in queste piccole realtà riuscire a dare concretezza a tutte le disposizioni normative previste in materia diventa particolarmente oneroso e difficile. In particolare, la difficoltà discende dal fatto che il decreto n. 81 prevede l’affidamento dei diversi compiti ad un articolato organigramma che manca però nelle aziende di piccole dimensioni, che vedono quasi sempre l’intervento della stessa persona, che è poi il legale rappresentante dell’azienda; per quanto riguarda invece il profilo dell’onerosità, essa è da ricondurre alla previsione di tutta una serie di attività di tipo burocratico-amministrativo che le piccole imprese fanno davvero fatica a sostenere.
Come associazione di categoria siamo da sempre particolarmente attivi nella programmazione di corsi di formazione rivolti ai datori di lavoro, ai loro collaboratori o dipendenti: i numeri sono importanti, così com’è importante che questa formazione venga assicurata in diretta collaborazione con gli organi di vigilanza, in particolare con il dipartimento di prevenzione, igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro dell’azienda USL, che fornisce un valido supporto ai nostri corsi anche mettendo a disposizione docenti qualificati.
Oggi stiamo assistendo ad un fenomeno per il quale, in un momento di conclamata crisi come quello che ci troviamo a vivere, gli adempimenti che le aziende sono chiamati a rispettare in base alla normativa vigente vengono solitamente disattesi proprio da parte dei piccoli imprenditori. Quindi, nonostante siamo tutti convinti della necessità di portare avanti una forte campagna di sensibilizzazione per contrastare il grave fenomeno degli infortuni sul lavoro, nel momento in cui tutto ciò si traduce per le aziende in un ingente carico burocratico-amministrativo, si finisce col registrare inevitabilmente da parte dell’imprenditore un rifiuto piuttosto che una disponibilità a mettersi in regola.
Non ho altro da aggiungere, se non che confidiamo nel fatto che, in sede di Conferenza Stato-Regioni, quando saranno chiariti quegli ulteriori passaggi del Testo unico ad oggi ancora abbastanza oscuri, venga riservata particolare attenzione alle piccole realtà che, come tutti quanti sanno, caratterizzano da sempre il tessuto economico della nostra Regione.

PRESIDENTE
La ringrazio per il suo contributo, dottor Grappein e raccolgo sicuramente il grido di allarme che lei ha lanciato.
Posso capire che ci siano dei problemi per quanto riguarda la gestione economica, ma bisogna tener presente che la maggior parte delle morti sul lavoro si verificano nelle piccole aziende – a volte costituite dal solo titolare o dal titolare con due o tre persone – per cui, da questo punto di vista, non possiamo sicuramente accettare questa linea. Peraltro, le stesse aziende più grandi ricorrono spesso per il loro lavoro alle piccole aziende, attraverso meccanismi di appalto, subappalto e micro-appalto, sia orizzontali che verticali.
Abbiamo ascoltato prima i rappresentanti sindacali, che abbiamo sollecitato ad avere un particolare riguardo per gli RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali), cosa che tra l’altro stanno già facendo, così come sono convinto che state facendo anche voi. Per quanto riguarda in particolare le piccole aziende, credo che gli RLST, che rappresentano un po’ i lavoratori, debbano essere considerati quali strumenti di ausilio non ostativi: se posso comprendere, infatti, l’atteggiamento che può determinarsi di fronte ad un soggetto esterno che arriva e si interessa dell’azienda, bisogna invece fare quadrato un po’ tutti sulle piccole e piccolissime aziende, perché da questo punto di vista esistono problemi molto seri.
Nelle grandi aziende – a parte il sistema BBS (Behavior Based Safety), al quale prima si è accennato – ci sono altri sistemi di controllo ed una diversa organizzazione, che noi avevamo avuto modo di approfondire già la settimana scorsa nel corso di un’audizione in Senato dei responsabili dell’Association for the Advancement of Radical Behavior Analysis, che ci hanno illustrato il diverso rapporto che si instaura tra dirigenza e lavoratore all’interno dell’azienda. Il tema è particolarmente complesso ed è certamente da approfondire, ma se è vero che un meccanismo di questo tipo può essere sicuramente adottato all’interno di una grande azienda, le piccole imprese rimangono di fatto al di fuori di tutto questo.
Anche se siamo certi che non ve ne sia bisogno, ci sentiamo dunque di dover rivolgere anche a voi un appello ad avere particolare riguardo per il discorso della salute della sicurezza sul lavoro e, in particolare, per gli RLST.

ROSAIRE
Buongiorno a tutti, sono Gino Rosaire, segretario dell’Associazione valdostana impianti a fune (AVIF).
Come la dottoressa Pirovano, consegneremo anche noi una relazione contenente una breve sintesi di quello che abbiamo fatto in questi anni per la prevenzione degli infortuni. Essendo il nostro un settore specifico, abbiamo lavorato non solo sui macchinari, sui meccanismi degli impianti di risalita o di innevamento, ma anche sul personale: in particolare, nell’ambito dell’attuazione della normativa specifica riguardante il nostro settore, abbiamo provveduto ad addestrare il personale all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale e alle tecniche di manutenzione degli stessi.
Dal 1998 ad oggi abbiamo inoltre lavorato sul soccorso in linea, con una certificazione a livello europeo, trattandosi di una mansione che richiede una certa procedura, con l’impiego di certi specifici dispositivi di protezione individuale, sia per il personale che per il passeggero.
Sempre per quanto riguarda le nostre specifiche mansioni, ci incontriamo annualmente due o tre volte all’anno con i nostri «vicini» svizzeri e francesi per discutere in particolar modo della sicurezza sul lavoro dei direttori di pista e della bonifica del territorio sciabile, un’operazione di per sé abbastanza pericolosa.
Se mi consente, signor Presidente, lascerei a questo punto la parola al nostro consulente, Maurizio Fiorilli, che segue direttamente le nostre aziende per quanto riguarda il discorso dell’antinfortunistica.

FIORILLI
Buongiorno a tutti. Sono Maurizio Fiorilli, responsabile del servizio protezione e prevenzione dell’Associazione valdostana impianti a fune. Voglio ringraziare innanzitutto la Commissione per averci dato la possibilità di far sentire la nostra voce in una sede così autorevole.
Partirei col dire che gli impianti a fune raggruppano tutti i rischi presenti negli altri comparti. Io lavoro a livello nazionale e sono anche responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una multinazionale petrolifera, per cui posso dire di conoscere molto bene il mondo della sicurezza. Nell’ambito del settore degli impianti a fune ritroviamo un po’ tutte le diverse tipologie di lavoro, perché nel settore sono occupati edili, carpentieri, alpinisti e anche agricoltori: ne deriva che la nostra è dunque una valutazione molto complessa.
C’è da dire, in primo luogo, che quanto il decreto legislativo n. 81 prevede per quelle tipologie di attività che vengono normalmente svolte in ambienti confinati e normali, può risultare di difficile applicazione su un ghiacciaio o su una parete. Per farvi capire, ad esempio, nel momento in cui si vanno a sostituire le batterie su un cannone che stacca le valanghe o su una parete in cui c’è un pendio particolare, non sempre si riesce a garantire una passerella con un percorso sicuro, anche perché ci sono le pietre che possono cadere, com’è tristemente accaduto di recente: si possono dotare di elmetti i lavoratori, ma i pericoli rimangono, e sono moltissimi.
Secondo me, il comparto degli impianti a fune – come anche quello delle cave – avrebbe necessità di una sua normativa specifica: basti solo pensare alla possibilità di scivolare, perché spesso si lavora sulla neve.
È evidente allora che qualunque ispettore potrebbe comminarci una sanzione in qualsiasi momento, perché il pavimento su cui si lavora non è regolare, o potrebbe obbligare i lavoratori a non prendere servizio in situazioni di pericolo. Come accennava prima Gino Rosaire, quando occorre bonificare le piste prima dell’apertura, non sempre l’elicottero può volare e a volte i lavoratori sono costretti ad esporsi a pericoli, il che nel tempo non ha mancato di causare degli infortuni: siamo uno di quei comparti che paga i premi INAIL più alti e questo penso sia proprio una conseguenza dell’elevato numero di infortuni che si verificano nel nostro settore.
Ciò detto, siamo qui a chiedervi se è in previsione uno studio approfondito di questo settore, che ha caratteristiche completamente diverse dagli altri, in modo che si possa arrivare una normativa tale da evitare per i nostri addetti di essere sempre soggetti a sanzioni. Se fossi un ispettore dell’azienda USL, potrei chiudere oggi tutte le stazioni sciistiche presenti sul territorio valdostano, proprio in ragione dell’impossibilità di rispettare tutti i 370 articoli del decreto n. 81 del 2008, anche da parte delle grosse aziende, che pure hanno le risorse e la volontà per farlo. Ci troviamo infatti in presenza di situazioni difficilmente contenibili.

PRESIDENTE
Per dare seguito alla sua richiesta, dottor Fiorilli, sarebbe forse opportuno che voi ci inviaste una relazione dettagliata, con l’indicazione di quello che ritenete sia opportuno fare con riferimento alla normativa attuale, mantenendo più alto possibile il livello della sicurezza e non potendo comunque prescindere dalla specificità dei luoghi in cui voi operate.
Credo che alla fine si tratti soprattutto di fare un bagno di realismo.

FOSSON
Signor Presidente, mi consenta innanzitutto di rivolgere a lei e alla Commissione un ringraziamento per essere venuti qui oggi a conoscere direttamente sul territorio la realtà lavorativa valdostana, che è particolare ed atipica, vuoi per la saltuarietà delle attività, vuoi anche per i luoghi in cui il lavoro si svolge.
Tutto questo richiede sicuramente una particolare attenzione a quanto diceva prima il dottor Rosaire, e quindi al sistema e all’ambiente nel suo complesso.
Mi sia consentito soltanto di dire – e mi rivolgo in particolar modo al dottor Fiorilli, che personalmente non conosco – che le istituzioni valdostane e il mondo della sanità della nostra Regione hanno avuto un’attenzione particolare verso il comparto degli impianti a fune e, soprattutto, nei confronti di chi lavora in alta montagna. Mi riferisco, ad esempio, all’ambulatorio di medicina di montagna, che forse il dottor Fiorilli non conosce, ma che esiste da più di quattro anni e che è l’unico ambulatorio pubblico di questo tipo esistente oggi in Italia. Mi è stato detto che recentemente è stato richiesto un accertamento medico per tutti i lavoratori del cantiere aperto per la costruzione della funivia dei ghiacciai: parliamo di lavoratori chiamati a svolgere le loro mansioni ad alta quota (a 3.000 metri!), che sono stati visitati proprio presso questo ambulatorio.
Analogo discorso potrebbe farsi anche per le guide alpine, di cui parlavo poco fa con il Presidente, che è molto sensibile al tema: mi sembra ingiusto che l’idoneità al lavoro venga rilasciata ad una guida di montagna da un ente che non sa neppure che cosa sia la montagna, e non invece da un ambulatorio di montagna come quello che opera nella nostra Regione.
Magari su questo tema ci si potrà incontrare con i rappresentanti del mondo imprenditoriale, anche al fine di sviluppare osservazioni sulla base delle quali poi lavorare.

MOSSONI
Signor Presidente, sono Ezio Mossoni, direttore della Coldiretti della Valle d’Aosta.
Le nostre osservazioni sono contenute nel documento condiviso che vi è stato consegnato dalla dottoressa Pirovano; per questo mi soffermerò specificamente solo sugli argomenti riguardanti la nostra attività in materia di sicurezza.
È evidente che il settore agricolo è uno di quelli maggiormente a rischio. Ricordo una vecchia battuta di un nostro anziano agricoltore che diceva: «Il problema per gli agricoltori è che l’azienda è tutta fuori, per cui esiste una difficoltà suppletiva».

PRESIDENTE
Ed è spesso anche tutta in pendio, aggiungerei.

MOSSONI
È proprio così, signor Presidente.
Volevo inoltre segnalare un’altra problematica, che non so quanto sia specifica della realtà valdostana. Condividiamo però sicuramente con altre zone di montagna i problemi relativi alla formazione degli addetti e del personale assunto. Nella nostra Regione si tratta però , nella maggior parte dei casi, di aziende piccolissime, di micro-aziende, con una superficie media molto ridotta, che di solito assumono personale quasi esclusivamente nel periodo estivo per la pratica dell’alpeggio: si tratta per il 90 per cento di personale straniero (sono soprattutto romeni, nordafricani e albanesi).
La pratica dell’alpeggio inizia i primissimi giorni del mese di giugno e finisce alla fine di settembre: gli stranieri arrivano in massa all’inizio e se ne vanno 2 o 3 giorni dopo la fine. È estremamente difficile e oneroso per le imprese agricole (i costi sono infatti notevolissimi) fare formazione e informazione nei riguardi di questi operatori, che arrivano all’ultimo minuto e che partono un momento prima e che – soprattutto – non conoscono la lingua. Ci permettiamo – pertanto – di avanzare una richiesta. Mantenendo tutti i crismi della sicurezza – la nostra attività in materia di corsi di formazione testimonia l’attenzione che vi dedichiamo –, vorremmo sapere se fosse possibile, soprattutto per queste attività specifiche, ottenere degli snellimenti delle procedure. Non chiediamo delle esenzioni (che non vanno nella direzione che ci interessa), bensì – ripeto – uno snellimento delle procedure, che è utile agli operatori. Infatti, mandare uno straniero – penso, ad esempio, a un albanese o a un marocchino – che non conosce la lingua italiana a seguire un corso rischierebbe di essere inutile sia per il datore di lavoro, che per il lavoratore stesso. Mi rendo conto che quanto chiediamo non è semplice da attuare, anche se c’è da dire che le cose semplici le sappiamo già fare noi da soli. Vi chiedo, in conclusione, di poter analizzare questo tipo di problematica.

PRESIDENTE
In effetti non è una cosa semplice. Noi siamo come voi, perché a volte – anzi – vi complichiamo le cose ancora di più . Ad ogni modo, sarebbe opportuno avere delle indicazioni e una collaborazione da parte di chi vive sul territorio e conosce in prima persona le problematiche. Nella parte asfittica – mi riferisco alle persone che interpretano e fanno le leggi – manca infatti l’ariosità che lei propone, il che produce delle conseguenze sul piano pratico.
È qui presente il senatore Fosson, il quale potrà senz’altro raccogliere gli elementi che gli vorrete sottoporre e che noi prenderemo in considerazione nell’ipotizzare le soluzioni al problema, atte a contemperare l’esigenza di non abbassare i livelli di protezione con quella di snellire i procedimenti e di evitare pratiche assolutamente inutili e a volte meramente rituali, che – mi sembra di aver capito – non hanno effetti concreti. Occorre, da questo punto di vista, una collaborazione e la presenza della nostra Commissione sui territori è proprio finalizzata a un costruttivo e diretto confronto.
Cedo ora la parola al signor Giancarlo Toscano, direttore di IRECOOP.

TOSCANO
Buongiorno a tutti, sono il direttore di IRECOOP, l’istituto regionale per la formazione e l’educazione cooperativa. In questo caso rappresento la Fédération des coopératives valdôtaines e le altre associazioni Arci e Lega.
Come ente formativo, in rappresentanza di queste federazioni, effettuiamo tutti i corsi possibili di formazione legati al decreto legislativo n. 81. Recentemente, in collaborazione con la Coldiretti e l’INAIL, abbiamo realizzato una campagna visiva per sensibilizzare il settore agricolo sui rischi in azienda e in campagna. Ci siamo mossi attraverso la realizzazione di un manifesto che abbiamo chiesto a 6.000 imprese di attaccare nelle stalle e nelle aree di lavoro, in maniera tale da spiegare ai dipendenti stagionali, tramite dei simboli, quali rischi si corrono. Abbiamo dovuto semplificare al fine di non caricare troppo il loro lavoro, il che è già difficile, soprattutto se si cerca di dare delle indicazioni in tema di sicurezza. Ripeto: si tratta di un primo lavoro in collaborazione con USL, INAIL e Coldiretti. Contiamo di muoverci per sensibilizzare anche altri settori in materia di sicurezza. La cooperazione, infatti, riguarda numerosi ambiti: dall’edilizia ai servizi, all’agricoltura. Di conseguenza, dobbiamo muoverci per settori.
In conclusione, vorrei fare una sottolineatura e avanzare una richiesta. Noi avremmo bisogno di una maggiore visibilità con riferimento ad un rappresentante territoriale della sicurezza. Soprattutto per le piccole imprese, infatti, è difficile indicare la figura di RSPP, in ragione del costo.

PRESIDENTE
Mi scusi, signor Toscano, può meglio chiarire questa sua richiesta?

TOSCANO
Le aziende evidenziano l’onerosità dei costi per individuare una figura che faccia da rappresentante territoriale, ovviamente oltre al rappresentante legale. Sarebbe utile che questa pratica si potesse snellire. Vorremmo indicare un rappresentante per settore, in modo tale da avere una figura specifica di riferimento.

PRESIDENTE
Quindi non territoriale, ma per settore? Questa è la sua proposta?

TOSCANO
Sì.

PIROVANO
Signor Presidente, scusi se mi permetto di prendere di nuovo la parola.
Io sono anche amministratore delegato della Cogne Acciai Speciali, un’azienda siderurgica che conta circa 1.000 dipendenti diretti in Valle d’Aosta e altri 600 nel mondo. Come è stato prima detto, le grandi aziende sono quelle che registrano meno incidenti gravi: è dagli anni Novanta che fortunatamente non si verifica alcun decesso. Il dato riguarda anche le imprese che lavorano con noi in contratto di appalto o subappalto e – quindi – il complesso delle lavorazioni.

PRESIDENTE
Dottoressa Pirovano, la interrompo perché si tratta di una questione molto delicata. Con riferimento all’appalto e al subappalto, spesso si arriva a delle micro-aziende: in Italia, anche ultimamente, in grandi lavori si sono verificati infortuni mortali che hanno però riguardato soggetti che non appartenevano all’azienda principale.

PIROVANO
Io mi riferivo alle aziende che hanno lavorato presso la Cogne Acciai Speciali in appalto e subappalto: dagli anni Novanta ad oggi non si sono verificati incidenti.

PRESIDENTE
Ne sono felice, ma non è purtroppo la regola. I lavoratori muoiono, non perché stanno facendo dei lavoretti per proprio conto, ma perché vengono chiamati dalle aziende in quanto specialisti di un segmento. Nei lavori per la costruzione di una nuova strada o ponte, noi siamo riusciti a contare addirittura fino a 130-140 imprese che lavorano insieme, con linguaggi e mentalità diverse. Credo che anche il vostro settore risenta della partecipazione di specialisti.

ROSAIRE
Gli ultimi infortuni hanno riguardato proprio i fornitori.

PRESIDENTE
Ricordo un incidente clamoroso che si verificò nell’ambito dell’ampliamento del raccordo a Roma, dove alcune persone stavano lavorando senza sapere che sopra di loro delle travi erano in fase di posizionamento.
Il fatto più stravagante si registra nel settore della cantieristica nautica, dove arrivano a lavorare sulla stessa nave di 60 metri di lunghezza i dipendenti di addirittura 70-80 imprese. Questi lavoratori spesso non si capiscono tra di loro perché provengono da varie parti del mondo e appartengono a settori di alta specializzazione (ad esempio, da una determinata nazione africana provengono soggetti specializzati in un certo tipo di lavoro). Un grande problema è quindi rappresentato dalla presenza multipla all’interno delle aziende. Ripeto: immaginate cosa accade su una nave di 60 metri di lunghezza con tutti questi soggetti, ognuno dei quali si muove per proprio conto. Noi abbiamo avuto modo di vederli.

ROSAIRE
Il coordinamento esiste sulla carta, ma non sulla pratica.

PRESIDENTE
Sulla carta stiamo a posto; occorre andare a vedere cosa succede nella pratica.

ROSAIRE
Sulla carta il coordinamento esiste ed è normato, ma è inattuabile in alcuni casi: penso a chi fa il coordinatore della sicurezza nei cantieri edili o anche nei nostri impianti a fune, dove normalmente gli austriaci si occupano dell’elettronica e altri delle operazioni di saldatura. Occorre poi considerare che le tempistiche sono sempre molto contratte.

PRESIDENTE
Ridò la parola alla dottoressa Pirovano, scusandomi per l’interruzione.

PIROVANO
Io portavo semplicemente la nostra esperienza. Ripeto: dagli anni Novanta ad oggi tantissime imprese terze hanno lavorato presso di noi. Sono 100 i dipendenti non nostri all’interno dello stabilimento e l’area è grande, trattandosi di più di 500.000 metri quadrati, con tanti settori e tante tipologie di persone. Bisogna garantire una buona gestione, perché altrimenti la situazione sfugge di mano.
Per quanto riguarda il nostro progetto «Cogne: obiettivo sicurezza», siamo partiti da una formazione a tutti i livelli. Abbiamo organizzato un evento di due giornate nel Comune di Doues per circa 60 persone (dirigenti e quadri), facendo un’attività di sensibilizzazione su cosa è la sicurezza e come promuoverla in azienda. Abbiamo continuato questo percorso, promuovendo 12 sessioni di formazione di 16 ore l’una rivolte a tutti i preposti, per un totale di 150 persone. Anche noi abbiamo attuato un progetto visivo, attraverso la predisposizione di cartelli con dei simboli. Anche nella nostra azienda, infatti, ci sono lavoratori non italiani (ad esempio, rumeni e nordafricani) e a volte ci sono problemi di linguaggio: il manuale della sicurezza è stato pertanto tradotto in più lingue. Ogni anno facciamo moltissime ore di formazione e il 50-60 per cento del totale è dedicato al tema della sicurezza, in quanto esso è assai ricorrente in un’azienda come la nostra, che si occupa di siderurgia.

PRESIDENTE
Dottoressa Pirovano, voi non seguite il sistema BBS?

PIROVANO
Non ancora, ma ci stiamo incamminando su questa strada.

GRAPPEIN
Signor Presidente, intervengo per fare due precisazioni in relazione all’intervento di prima, che ci vede pienamente concordi. Non chiediamo un’esenzione per le piccole realtà in ordine all’applicazione dei contenuti del Testo unico, perché concordiamo tutti sull’importanza del problema. Credo, inoltre, che anche dal vostro incontro con i sindacati sia emerso che – fortunatamente – in Valle d’Aosta l’indice degli infortuni è abbastanza contenuto e che essi si riferiscono per lo più ad aziende che provengono da fuori. Non so se questo sia frutto dell’alto indice di rappresentatività vigente in Valle d’Aosta (delle 4.600 imprese artigiane, 3.500 fanno capo ad associazioni di categoria), o se sia dovuto all’attività che le associazioni fanno.
Quello che vorrei sottolineare è che, condivisi gli obiettivi del Testo unico, qualcosa al suo interno non quadra e va affrontato affinché gli stessi obiettivi vengano realizzati. Se vogliamo sensibilizzare le piccole realtà al rispetto delle disposizioni, dobbiamo fare un ragionamento sulla validità dell’autocertificazione dei rischi, ancora oggi concessa, e sulla mancanza di una tempistica di validità dell’attestato RSPP (il datore di lavoro che svolge direttamente il compito di responsabile). Ad oggi vi sono datori di lavoro che hanno svolto anni fa il corso ai sensi del decreto legislativo n. 626, senza aver ancora compiuto un percorso di aggiornamento. Quest’ultimo, infatti, non essendo obbligatorio, non viene fatto ed occorre forse intervenire su questo fronte, piuttosto che sulla formazione dei preposti (stante, in ogni caso, la condivisione dell’obiettivo di formare i preposti). Infatti, se non troviamo il modo di formare il datore di lavoro e di «obbligarlo» ad un aggiornamento, difficilmente riusciremo a migliorare i livelli di sicurezza in azienda.
Nei cantieri il lavoratore autonomo ancora oggi può evitare di fare il famoso piano operativo di sicurezza; ricordo che questo per gli operatori del settore – e probabilmente in questa sede c’è chi condivide la mia affermazione – non è un vantaggio. Il lavoratore autonomo deve infatti essere messo oggi nelle condizioni di valutare il rischio con la dichiarazione che lavorerà nel rispetto delle disposizioni ed utilizzerà i dispositivi di protezione individuale (DPI). Non è così che riusciamo ad intervenire.
È pertanto necessario ragionare su un contenimento delle sanzioni, «obbligando» però le piccole realtà a formarsi in maniera continua sui contenuti del Testo unico.

PRESIDENTE
È il termine «obbligare» che crea dei problemi.

GRAPPEIN
Lo so e detto da me stona ancora di più.

PRESIDENTE
«Contenere le sanzioni» e «obbligare» sono espressioni che fanno a pugni. Bisogna essere realistici.

GRAPPEIN
Troviamo allora un altro termine, chiamiamolo «opportunità», ma, in un modo o nell’altro, dobbiamo partire dal datore di lavoro, contenendo forse le sanzioni, ma creando, programmando e realizzando una formazione continua e più mirata.

SAGARIA
Signor Presidente, anche la CONFCOMMERCIO ha sottoscritto il documento presentato precedentemente dalla dottoressa Pirovano. Noi non abbiamo per fortuna le problematiche che esistono nelle industrie e in tanti altri settori perché, normalmente, a livello commerciale non ci sono quei grossi problemi che possono invece esistere in altri settori. Facciamo comunque anche noi dei corsi di preparazione alla sicurezza sia direttamente come CONFCOMMERCIO sia, e soprattutto, attraverso gli enti bilaterali al commercio e al turismo che ci supportano in questo settore e in questo tipo di iniziativa.
Ribadisco che non abbiamo grosse problematiche come altri settori; la nostra categoria ha infatti dei rischi, che sono però notevolmente inferiori a quelli dell’industria, degli impianti a fune o di altri tipi di attività.
Come già detto dal dottor Grappein, in alcuni momenti esistono dei problemi economici che ostacolano l’opera di convinzione per far partecipare non solo le aziende stesse, ma anche e soprattutto – e ciò è ancor più grave – i dipendenti stessi. È questo un dato negativo che abbiamo riscontrato anche noi.

CONTE
Signor Presidente, anche l’Associazione degli albergatori Valle d’Aosta (ADAVA) ha contribuito alla redazione del documento che ha presentato la dottoressa Pirovano. Visto che abbiamo questa importante occasione, vorrei lasciare qualche suggestione per quanto riguarda il nostro settore. La nostra associazione rappresenta oltre 500 imprese ricettivo-alberghiere; spesso e volentieri nei corsi che facciamo parliamo della differenza che può esserci tra la grande industria, come la Cogne Acciai Speciali, e la piccola pensione. In realtà, la questione è molto complessa perché, anche all’interno dello stesso settore e del nostro sistema, abbiamo realtà molto diverse.
Vorrei quindi soffermarmi su alcuni aspetti che sono stati già trattati da alcuni miei colleghi, ma che, a mio avviso, sono importanti per capire le problematiche che abbiamo sul territorio valdostano. Per quanto riguarda il discorso della stagionalità, noi seguiamo gli adempimenti e tutta una serie di obblighi previsti nel decreto legislativo n. 81 del 2008 che, purtroppo, spesso si riducono ad aspetti meramente formali. Questo, oltre a non avere un riscontro positivo e concreto sull’attività, demoralizza l’imprenditore, facendogli invece percepire l’importanza di lavorare sulla sicurezza. Sono infatti convinto che tutti quanti lavoriamo, sensibilizziamo, ci organizziamo, inventiamo corsi di formazione on line e brochure, facendo di tutto per sensibilizzare e rappresentare ai nostri associati quanto tutto questo sia importante.
Vorrei altresì rilevare come il nostro settore abbia recepito in maniera strana tutta la corsa che abbiamo fatto per metterci a posto dal punto di vista del lavoro stress correlato. Alla fine abbiamo fatto tutto di corsa; ci siamo organizzati, abbiamo fatto un modulo, siamo andati alla posta, abbiamo timbrato e firmato, su una questione che da noi non è stata recepita come un rischio vero ed effettivo per le nostre imprese, ma come l’ennesimo adempimento burocratico a cui dovevamo adempiere perché, in caso contrario, saremmo stati passibili di sanzioni e responsabilità. Questi aspetti legati al settore produttivo sarebbero importanti da analizzare e valutare. Tutto si è risolto invece su un pezzo di carta bollato e portato in posta per avere la data certa che è stata fatta quella valutazione, che poi è stata fatta, ma probabilmente non riguarda il nostro settore. Questo è sicuramente un aspetto importante.
Per quanto riguarda la necessità di un maggiore coinvolgimento dei responsabili per la sicurezza dei lavoratori, ci troviamo in una situazione in cui i nostri dipendenti non vogliono svolgere questo ruolo. Infatti la maggior parte dei lavoratori sono stagionali, lavorano due mesi da noi e poi vanno Rimini o in Sardegna, e quindi non vogliono farlo. Certe volte è anche difficile fargli capire che non è una responsabilità, ma una opportunità ed un ruolo importante all’interno di un’azienda. Abbiamo addirittura difficoltà a chiedere al lavoratore di individuare questa figura.
Per quanto riguarda la presenza all’interno dello stesso settore di realtà completamente diverse, sto vivendo questa situazione in prima persona sui lavori che stanno avvenendo in questi giorni in sede di Conferenza permanente Stato-Regioni. Noi stiamo lavorando, come associazione, molto bene, in maniera sinergica e stretta, con i nostri colleghi di Trento e Bolzano, perché ci siamo resi conto che, ad esempio, sugli aspetti della stagionalità e della formazione dei lavoratori ci sono realtà molto diverse anche nel settore alberghiero. A volte non è solo una questione di settore, ma di dimensione, di dislocazione geografica e di mille fattori che possono incidere.
L’ultimo aspetto riguarda il discorso burocratico. Credo che non solo sull’aspetto della sicurezza sui luoghi di lavoro, ma su tutti gli aspetti su cui noi quotidianamente operiamo, spesso e volentieri – e credo che ciò sia tipicamente italiano – quando esce una norma o un provvedimento, cerchiamo di andare a trovare la soluzione formale e burocratica per metterci al riparo. Dovremmo tutti quanti cercare di superare questo concetto perché, soprattutto in materia di sicurezza sulla lavoro, non si tratta di carte, di scrivere un bel manuale o di far vedere che la formazione è stata fatta, quando poi invece la persona che arriva dalla Romania non parla una parola d’italiano e, quindi, in due ore non recepisce niente. Dovremo probabilmente andare a sburocratizzare e rendere le azioni più mirate e concrete. So che è facile da dire, ma poi nella pratica, soprattutto per chi deve scrivere un testo di legge è complesso. Ritengo che comunque dovremmo riflettere su questo aspetto.

PRESIDENTE
Ogni riflessione in questo senso è positiva perché anche dove voi denunciate – e mi sembra neanche a torto – un’eccessiva burocratizzazione, è verosimile che il legislatore non sia riuscito a trovare formule di altro tipo per poter evitare questo senso o addirittura questo effetto. Ecco allora la collaborazione; se noi riuscissimo a dare un percorso che per essere immediato prevede minori carte da presentare e, quindi, una burocrazia dimezzata, saremmo tutti felici. Non è che chi fa le leggi prende gusto a fare provvedimenti lunghi e complessi; è vero che il decreto legislativo n. 81 del 2008 è lungo e complesso, ma non poteva essere diverso da come è. Ho lavorato a questo provvedimento e ricordo che ci sono state varie legislature in cui non è andato in porto perché si arenava a metà o a tre quarti di legislatura. Vi voglio dare un dato; si è riusciti a votare questo decreto a Camere sciolte e ricordo che anche l’opposizione si è presentata per dare il parere obbligatorio. Le Commissioni lavoro di Camera e Senato hanno infatti dovuto dare pareri obbligatori perché, altrimenti, sarebbe saltato anche lo sforzo della passata legislatura che aveva prodotto questo testo.
Vi rappresento questo per dirvi che è una materia difficile e complessa perché, tra l’altro, è una materia concorrente tra Stato e Regioni. Nella passata legislatura e, come testimonianza diretta, anche della precedente 2001-2006, non si è riusciti a chiudere il testo perché con le Regioni non c’era assonanza e quindi si è fermato. Quel lavoro è stato continuato e riproposto nella legislatura 2006-2008, che è durata due anni, e alla fine siamo arrivati al 2008 tutti decisi a non farlo cadere un’altra volta e poi ricominciare daccapo con la legislatura successiva.
Sono perciò d’accordo con tutti coloro che sostengono che sia un provvedimento perfettibile, ma noi gradiremmo avere anche un contributo di una migliore o maggiore perfettibilità, altrimenti rimane un discorso generico sul principio che siamo d’accordo, però poi alla fine noi non siamo riusciti a renderlo migliore di così. Stiamo ragionando anche noi su alcune parti e soprattutto sui decreti che debbono essere ancora attuati, che sono complessi perché ci sono i soggetti concorrenti Stato, Regioni e le parti sociali; mettere insieme questo mondo e tirare fuori la sintesi è complesso. Alcuni di noi si stanno ponendo l’interrogativo se non sarebbe più corretto restituire completamente questa materia allo Stato e non essere materia di concorrenza tra Stato e Regioni. Potete però immaginare che su questo punto il dibattito si è aperto in modo clamoroso.
Mi sono spinto anche oltre per comunicarvi quanto siamo attenti anche noi e cerchiamo di fare il nostro meglio su questo tema, fino al punto di rimettere in discussione – parlo a titolo personale, senza coinvolgere nessuno – l’attuale assetto costituzionale per quanto riguarda il Titolo V della Costituzione. Alla fine bisogna pure arrivare alla sintesi di queste cose; può essere un percorso giusto? Io ritengo di sì, ma non è detto che lo sia; vi sono altri che non lo ritengono tale. In questa congerie di ragionamenti in mezzo ci sono le procedure.
Quindi se ci sono collaborazioni, ben vengano, noi siamo disponibilissimi ad affrontarle, anche perché abbiamo un’interlocuzione diretta con i Ministeri, essendo la nostra una Commissione parlamentare che ha visto e rivisto molte questioni. Altre norme che potevano incidere sul Testo unico le abbiamo fermate e riviste, avvisando che avremmo raddoppiato le burocrazie perché magari non si vedeva che l’effetto poteva cadere anche sul Testo unico. Per quello che possiamo siamo vigili, ma se ci sono collaborazioni sono estremamente gradite.
Auspico pertanto di avere suggerimenti da voi, anche in forma scritta. Vi ringraziamo ancora per la vostra presenza.
Dichiaro concluse le audizioni.


Fonte: Senato della Repubblica