Consiglio Nazionale delle Ricerche
Servizio di Prevenzione e Protezione

WORKSHOP

Legge 123/2007: prime applicazioni dell’art. 3 e dell’art. 8 negli enti pubblici
Cnr, Roma, Aula Marconi – 5 dicembre 2007-12-01



Relazione

Costi della sicurezza e Codice dei contratti pubblici

prof. Luciano Angelini
(Università di Urbino “Carlo Bo”- Olympus)



Nel contesto normativo ben delineato dalle relazioni che abbiamo appena ascoltato, si inserisce il tema molto specifico dei “costi della sicurezza”, da analizzarsi in particolare alla luce della disciplina dettata nel d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, il c.d. “Codice contratti pubblici”su cui la legge 123/07 intervenire significativamente.

Vorrei fin da subito premettere che il tema è alquanto ostico visti i molti profili che meriterebbero di essere correttamente e sistematicamente apprezzati, i quali chiedono di emanciparsi da una logica di mera interpretazione letterale del dato normativo che si rivela, allo stato, frammentato, disomogeneo, incompleto. Tutto ciò rende, se non oscura, sicuramente evanescente la ratio legis complessiva di queste disposizioni, che producono un oggettivo effetto di disorientamento che accomuna tutti, il giurista in primis, doverosamente preoccupato di cercare il filo conduttore di una politica legislativa che non può rinunciare alla sua coerenza strategica.

Per tentare di affrontare la questione descritta con la doverosa completezza è necessario fin da subito richiamare le nuove disposizioni dettate dalla legge n. 123/2007 che se ne occupano, ovviamente partendo dall’art. 8, che interviene nuovamente sul testo dell’art. 86 del Codice appalti pubblici, a pochi mesi dall’intervento emendatore operato con la legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 909, l. n. 296/2006), che aveva già inserito nell’originario testo dell’art. 86 (cod. appalti) il comma 3-bis, ora ulteriormente modificato, cui è stato aggiunto ex-novo il comma 3-ter.

Anche se a tutti noto, va ricordato che il citato art. 8 dalla l. n. 123/07 è norma di immediata valenza precettiva. Esso fa dunque parte di quel pacchetto di disposizioni col quale il legislatore ha ritenuto di arricchire l’originario progetto legislativo di legge delega.

Di fronte alla drammaticità dei dati degli infortuni gravi, alle pressioni istituzionali e all’opinione pubblica sempre più allarmata, forse preoccupato che anche questo “terzo tentativo” di riassetto e di riforma complessiva della normativa sulla salute e sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro potesse fallire come avvenuto per i primi due, il legislatore ha ritenuto di dover “anticipare” alcuni degli effetti strategicamente più rilevanti del complessivo impianto riformatore, effetti che si potranno però compiutamente produrre soltanto con l’emanazione dei decreti legislativi di attuazione dei criteri di delega dettati nell’articolo 1 della l. n. 123/07.

E’ avvenuto così anche per quanto concerne il tema dei costi della sicurezza nei contratti pubblici: il dettato dell’art. 8 della legge 123/07 può essere condivisibilmente considerato come una sorta di “parziale anticipazione” di quanto disposto dall’art. 1, comma 2, lett. s), l. n. 123/07 che, includendo tra i criteri di delega per la redazione del futuro Testo unico anche la “revisione della normativa in materia di appalti”, prevede, tra l’altro, due tipologie di misure relative agli appalti pubblici.

La prima tipologia (punto 2), chiede di modificare il sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso, “al fine di garantire che l’assegnazione non determini la diminuzione del livello di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori”.

La seconda tipologia (punto n. 3) dispone di intervenire sulla disciplina dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al decreto legislativo n. 163/2006, “prevedendo che i costi relativi alla sicurezza debbano essere specificamente indicati nei bandi di gara e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture oggetto di appalto”.

La sovrapposizione tematica fra i descritti criteri di delega ed i contenuti del già citato art. 8 della legge 123/07 è inequivocabile. Tuttavia, prima di evidenziarli com’è opportuno fare, vorrei mi fosse consentito riflettere brevemente sulle relazioni che possono determinarsi fra i contenuti delle norme precettive e le disposizioni che saranno dettate nei decreti di attuazione della delega legislativa, in base ai criteri indicati.

L’impostazione di questa relazione e le finalità che la animano non mi consentono di argomentare se il contenuto delle norme precettive (considerato nella prospettiva “anticipatoria” di cui si è appena detto) possa esercitare una qualche forma di più o meno diretto condizionamento delle scelte che il legislatore delegato sarà chiamato ad operare, nel rispetto dei criteri di delega. Mi limito soltanto ad esprimere un’impressione: non paiono sussistere vincoli di natura giuridica che impediscano al legislatore delegato di intervenire liberamente, nel solo rispetto dei criteri di delega, anche rivedendo integralmente quanto le norme precettive già dispongono.

La conseguenza di ciò è che le norme immediatamente precettive della legge 123/07- dunque anche le disposizioni dell’art. 8 - laddove rientrino nell’ambito tematico coperto dai criteri di delega, risultano implicitamente “segnate” da una validità inevitabilmente transitoria. Ovvero, sono “in attesa” di un loro superamento o di una loro conferma, da parte dei contenuti definitivi del futuro Testo unico; nel caso di conferma, essa si tradurrà necessariamente in un completamento dell’ “intervento già in parte realizzato, comportandone una razionale definitiva sistemazione.

Questa consapevolezza dovrebbe orientare il nostro lavoro interpretativo verso una duplice prospettiva: da un lato, l’esito del nostro impegno di comprensione e di applicazione delle disposizioni immediatamente precettive in commento è formalmente condizionato dalla loro “transitoria” vigenza; dall’altro lato, molte sono le ragioni - dettate da una saggia strategia operativa e funzionale - che spingono a favore di una interpretazione applicativa dei dettami delle norme immediatamente applicabili capace di dare il giusto peso ai criteri di delega cui le stesse sono - ratione materie - sostanzialmente riconducibili, così da favorire una qualche possibilità di auspicabile convergenza applicativa fra le due (formalmente) ben distinte ma non certamente contrapposte “anime” (quella delegante e quella ad immediata applicazione) della legge 123/07.

Ciò considerato, ritornando a quelli che sono i criteri di delega dettati dall’art. 1 comma 2, lett. s), n. 2 e 3, credo sia utile evidenziare i principi in essi affermati che potranno sicuramente aiutarci ad orientare correttamente l’utile comprensione dell’art. 8 della legge 123/07:

1) la modifica del sistema di assegnazione degli appalti pubblici al massimo ribasso è destinata a garantire che non si diminuisca il livello di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori;

2) la modifica della disciplina del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui al d. lgs, n. 163/2006, deve prevedere che i costi relativi alla sicurezza:

a) siano specificamente indicati nei bandi di gara;

b) risultino congrui rispetto all’entità ed alle caratteristiche dei lavori oggetto di appalto.

Purtroppo, nei criteri di delega (ma questo non sorprende, vista la natura delle norme commentate, che indicano appunto principi che il legislatore delegato dovrà attuare) non sono rinvenibili indicazioni in merito a cosa debba e possa intendersi compreso nella nozione di “costi relativi alla sicurezza” ( su cui, dunque, sarà necessario interrogarsi adeguatamente).

Peraltro, nell’ambito delle norme immediatamente precettive, può essere di qualche utilità ricordare che della questione dei costi relativi alla sicurezza non si interessa soltanto l’art. 8 della legge 123/07, ma anche l’art. 3 comma 1, lett. b) della stessa legge, col quale si interviene nuovamente sui contenuti dell’art. 7 del d. lgs. n. 626/1994 – dopo le recenti modifiche apportate dall’art. 1 comma 910 della legge n. 296/2006 (legge finanziaria 2007) - aggiungendovi ex-novo il comma 3-ter, ai sensi del quale, “Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla disciplina vigente degli appalti pubblici, nei contratti di somministrazione, di appalto e di subappalto, di cui agli artt. 1559, 1655 e 1656 del codice civile, devono essere specificamente indicati i costi relativi alla sicurezza del lavoro”, cui possono accedere su richiesta il RLS e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, in funzione di controllo.

Non ritengo si dovrebbe dubitare che le due disposizioni rinviino ad una medesima nozione di “costi relativi alla sicurezza”; né mi sembra ricavabile un dato contrario a tale interpretazione dall’incipit dell’art. 3, co. 1, lett. b) della legge 123/07 (art. 7, co. 3 ter, del d lgs. n. 626/1994: “Ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute del lavoro previste dalla disciplina vigente degli appalti pubblici”): la portata di tale inciso dovrebbe intendersi esclusivamente limitata ad evitare che dall’emanazione della norma (per il principio della successione delle leggi nel tempo) possano sorgere conflitti interpretativo/applicativi con le preesistenti disposizioni dettate in materia di salute e sicurezza nel Codice degli appalti pubblici, che restano, dunque, impregiudicate. Tale tesi, tuttavia, non è unanimemente condivisa. Personalmente continuo a ritenere che entrambe le disposizioni possono dirsi conformate dalla stessa ratio legis che esige non venga in alcun modo compromesso, in ragione dell’esecuzione del contratto, il livello di tutela della salute e della sicurezza assicurato ai lavoratori delle imprese impegnate.

A ben considerare, le disposizioni sui costi relativi alla sicurezza dei lavoratori nelle procedure di appalto costituiscono un importante tassello di quella più ampia strategia di revisione della normativa vigente in materia di appalti preordinata dall’art. 1, co. 2, lett. s), punto 1 della legge 123/07, che chiede al legislatore del Testo unico di adottare meccanismi che consentano di valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese pubbliche e private e di considerare il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori come elemento vincolante per partecipare alle gare per gli appalti pubblici e per l’accesso a finanziamenti e contributi a carico della finanza pubblica.

In tal senso, l’indicazione dei costi relativi alla sicurezza sembrerebbe acquisire il valore di “strumento prevalente” tra quelli indicati dal legislatore delegante, attraverso il quale riuscire a meglio valutare, rispetto allo specifico contesto indagato, il livello di idoneità tecnico-professionale delle imprese (ma anche dei lavoratori autonomi) alla luce dell’osservanza delle norme relative alla salute e sicurezza dei loro lavoratori, su cui ritornerò ampiamente nelle conclusioni.

A fronte del tenore dell’art. 8 della legge 123/07 che nulla dice in merito alle ragioni della modifica apportata all’art. 86 del Codice appalti con l’intervento sul comma 3- bis e l’aggiunta dell’intero comma 3-ter, ricondurre anche le finalità di questo intervento nell’ambito dei principi espressi dai criteri di delega appena richiamati, non mi sembra un’operazione criticabile, tutt’altro! Essa consente di leggere e di applicare il dettato delle norme immediatamente precettive come discipline “parzialmente anticipatrici” del più ampio e complessivo disegno riformatore che si realizzerà con l’emanazione dei decreti legislativi che comporranno il nuovo Testo unico, nel senso sopra evidenziato, evitando una inutile dispersione di energie e di risorse.

Peraltro, se davvero la finalità perseguita dall’art. 8 l. n. 123/07, con l’aver obbligato le imprese concorrenti ad indicare specificamente nell’offerta il costo relativo alla sicurezza, e le Stazioni appaltanti a valutarne la congruità rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture, non consentendo l’assoggettabilità degli stessi costi a ribasso d’asta, è quella indicata nell’art. 1, co. 2, lett. s), punto 2, vale a dire che le modifiche al sistema degli appalti pubblici sono destinate a garantire che non si compromettano i livelli di tutela della salute e della sicurezza assicurato ai lavoratori, ciò rappresenta una importante indicazione in ordine a quali dovrebbero essere in concreto i costi della sicurezza da considerare in attuazione dei nuovi dettati legislativi.

Occorre procedere con ordine.

Non è certo con le disposizioni richiamate contenute nella legge 123/07 che si parla per la prima volta di costi della sicurezza dei lavoratori. Di costi della sicurezza - o meglio di costi, spese e oneri, in base alle diverse formule utilizzate dal legislatore, infatti, già si era trattato nell’art. 12 del d. lgs n. 494/96 (decreto cantieri); inoltre, sono costi della sicurezza anche gli oneri indicati all’art. 31 della l. n. 109/94 (oggi art. 131, d. lgs. 163/06, codice appalti), cui è stata data attuazione (unitamente alla delega ex art. 22 d. lgs. 528/99) con l’emanazione del d.p.r. 222/03 in tema di redazione dei Piani di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili, i quali, in particolare, devono contenere la stima dei costi della sicurezza da operarsi nel rispetto di quanto specificamente disposto – come contenuto minino – nell’art. 7 (“Stima dei costi della sicurezza).

Prima di entrare nel merito dei contenuti dell’art. 7 d.p.r. n. 222/03, credo sia tuttavia utile ricordare:

- che l’ambito di applicazione del d.pr. 222/03 si estende sia ai lavori privati, sia ai lavori pubblici;

- che esso rappresenta un livello minimo inderogabile di regolamentazione, applicabile a qualunque tipologia lavorativa, e cioè sia all’opera pubblica complessa al modesto intervento di manutenzione, ovviamente nel rispetto dei criteri di ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza.

Ciò ribadito, come a molti noto, l’art. 7 del d.p.r. n. 222/03, detta una disciplina distinta a seconda che sia prevista o non sia prevista la redazione del Piano di sicurezza e coordinamento. Nel primo caso, cioè ove sia necessaria la redazione del PSC ai sensi del d. lgs. n. 494/96, si specifica che nei costi della sicurezza vanno stimati, per tutta la durata delle lavorazioni previste nel cantiere, i costi:

a) degli apprestamenti previsti nel PSC;

b) delle misure preventive e protettive e dei dispositivi di protezione individuale eventualmente previsti nel PSC per lavorazioni interferenti;

c) degli impianti di terra e di protezione contro le scariche atmosferiche, degli impianti antincendio, degli impianti di evacuazione fumi;

d) dei mezzi e servizi di protezione collettiva;

e) delle procedure contenute nel PSC e previste per specifici motivi di sicurezza;

f) degli eventuali interventi finalizzati alla sicurezza e richiesti per lo sfasamento spaziale o temporale delle lavorazioni interferenti;

g) delle misure di coordinamento relative all'uso comune di apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione collettiva.

Nel secondo caso, quando cioè si tratti di opere che rientrano nel campo di applicazione della l. 109/94 per le quali non e' prevista la redazione del PSC ai sensi del d. lgs. n. 494/96, saranno i soggetti appaltanti che nei costi della sicurezza dovranno stimare, per tutta la durata delle lavorazioni nell’ambito cantiere, i costi delle misure preventive e protettive finalizzate alla sicurezza e salute dei lavoratori.

Dovrà trattarsi di una stima congrua, analitica per voci singole, a corpo o a misura, riferita ad elenchi prezzi standard o specializzati, oppure basata su prezziari o listini ufficiali vigenti nell'area interessata, o sull'elenco prezzi delle misure di sicurezza del committente. Se un elenco prezzi non sia applicabile o non sia disponibile, si dovrà fare riferimento ad analisi costi complete e desunte da indagini di mercato. Inoltre, le singole voci dei costi della sicurezza vanno calcolate considerando il loro costo di utilizzo per il cantiere interessato che comprende, quando applicabile, la posa in opera ed il successivo smontaggio, l'eventuale manutenzione e l'ammortamento.

Ai sensi del Regolamento n. 222/03, i costi della sicurezza così individuati saranno compresi nell'importo totale dei lavori: essi individueranno la parte del costo dell'opera da non assoggettare a ribasso nelle offerte delle imprese esecutrici.

Le descritte procedure di stima dei costi (commi 1, 2, 3, art. 7 d.p.r. 222/03) dovranno essere utilizzate anche per la stima di quei costi che si rendessero necessari a causa di varianti in corso d'opera previste dall'articolo 25 della l. n. 109/94 o dovuti alle variazioni previste dagli art. 1659, 1660, 1661 e 1664, co. 2 C. c.. Anche tali costi saranno compresi nell'importo totale della variante, individuando la parte del costo dell'opera da non assoggettare a ribasso.

Nonostante l’articolazione ed il dettaglio delle sue disposizioni, la disciplina dettata dal d.p.r. n. 222/03 non è comunque stata in grado di comporre la lunga querelle interpretativa ed applicativa che ne aveva consigliato l’emanazione. Ne è la riprova il fatto che proprio per aiutare i soggetti, pubblici e privati, impegnati nel settore delle costruzioni, al rispetto delle norme descritte, il Coordinamento tecnico delle Regioni e delle Province autonome della Prevenzione nei luoghi di lavoro della Commissione Salute e il Gruppo di lavoro “Sicurezza Appalti Pubblici” di ITACA, entrambi organi di coordinamento della Conferenza delle Regioni, hanno stilato fondamentali Linee guida applicative (Roma, 1° marzo 2006).

Tali Linee guida meritano sicura considerazione perché operano una trattazione molto attenta (corredata di specifici allegati esemplificativi, cui si rinvia) anche in merito alla stima dei costi della sicurezza, contribuendo non poco a chiarire l’esatta interpretazione dell’analitico elenco contenuto nell’art. 7 del d.p.r. 222/03, sia per quanto concerne le voci da considerare rientranti nel concetto di costi della sicurezza (e come tali direttamente escluse dal ribasso d’asta), sia a proposito del metodo più corretto da adottare per la loro stima.

Ad onor del vero, le citate Linee guida recuperano concetti e valutazioni che erano state già attentamente vagliate in un corposo Parere (sollecitato da ITACA) assunto il 27 maggio 2005 in sede di Unità operativa di coordinamento presso il Ministero delle Infrastrutture e trasporti in materia di sicurezza dei lavoratori. Il parere affronta due questioni specifiche. La prima riguarda l’elenco dei costi della sicurezza riportato all’art. 7 del d.p.r. n. 222/03 e la sua esaustività per quanto concerne la stima dei costi relativi all’attuazione del PSC, anche in riferimento agli appalti pubblici; la seconda valuta, in riferimento agli appalti pubblici, la natura dell’obbligo di sottoporre a ribasso di gara i costi della sicurezza detti “generali”, cioè quelle voci che fanno riferimento al Piano operativo di sicurezza (POS), se ed in quanto compresi nelle spese generali dell’impresa.

Affermata la natura tassativa dell’elenco degli elementi di costo che il committente pubblico o privato deve stimare all’interno del proprio PSC (tesi non da tutti condivisa), è sulla seconda problematica che le conclusioni del parere assumono particolare interesse per la nostra odierna riflessione. Vi si afferma infatti che:

- l’ art. 31 della l. 109/94 (ora 131 d. lgs. 163/2006, codice appalti) indica alle Amministrazioni che tutti gli oneri della sicurezza devono essere evidenziati nei bandi di gara e non vanno assoggettati a ribasso d’asta; tuttavia l’Amministrazione non è tenuta a stimarli in modo analitico tutti, ma deve limitarsi a farlo rispetto alle sole obbligazioni dalla stessa richiede all’appaltatore tramite la redazione del PSC;

- l’amministrazione imporrà la non ribassabilità dei (soli) costi che ha stimato; l’offerente, infatti, in sede di presentazione dell’offerta, avendo un obbligo ex lege di tutelare la sicurezza dei propri lavoratori (oltre agli obblighi contrattuali di rispettare il dettato del PSC), non ha la possibilità di porre a ribasso la parte delle spese che assolvono a quella funzione, ma è tuttavia tenuto ad indicarle specificamente (anche attraverso la stesura del POS);

- in sede di valutazione dell’offerta, l’amministrazione controlla la correttezza e congruità di tutte le spese per la sicurezza indicate dall’offerente in relazione al prezzo complessivo offerto dal privato;

Al di là delle descritte conclusioni, il parere contiene alcune affermazioni significative, tra le quali, credo sia rilevante ricordare:

- che il d.p.r. 222/03 è normativa che regolamenta in modo generale la materia riguardante i contenuti dei Piani di sicurezza e la stima dei costi della sicurezza;

- che soltanto i costi della sicurezza individuati dall’art. 7 non sono soggetti a ribasso d’asta, e come tali rappresentano un “costo” per l’amministrazione;

- che i costi della sicurezza non sono soltanto quelli inclusi nel PSC, ma anche quelli definiti negli altri piani (PSS e POS), anche se la stima della Stazione appaltante è prevista soltanto per i primi;

- che il motivo per cui soltanto alcune spese per la sicurezza possono essere scorporate dal prezzo dell’appalto e non essere assoggettate a ribasso in sede di gara, deriva dal fatto che sono date a titolo di corrispettivo per quanto specificamente richiesto dall’amministrazione all’appaltatore nel PSC;

- che la logica che muove il legislatore è quella di tutelare la sicurezza dei lavoratori attraverso il controllo dell’anomalia dell’offerta: la non ribassabilità non è collegata alla tutela dei lavoratore, ma al rimborso di aggravi che la legge obbliga il committente a richiedere contrattualmente all’appaltatore, ed è in questo obbligo posto in capo all’appaltante di imporre procedure di tutela specifiche rese necessarie dalla valutazione dell’opera da realizzare che sta la miglior tutela dei lavoratori.

Con riferimento alle argomentazioni contenute nel citato parere, le Linee guida, relativamente al tema delle “voci” rientranti nei costi della sicurezza ribadiscono che :

- devono essere soggetti a stima nel PSC soltanto i costi relativi all’elenco delle voci presenti nel citato art. 7 del Regolamento (costi specifici) e che tali costi non dovranno essere soggetti a ribasso d’asta;

- dunque, non rientrano nei costi per la sicurezza da inserire nel PSC, i costi derivanti dall’applicazione delle norme del d. lgs. n. 626/94 (costi generali) da parte delle singole imprese esecutrici (DPI, formazione, informazione, sorveglianza sanitaria, spese amministrative), fatta eccezione per tutti quei costi che siano determinati dalle misure ulteriori (dunque, con aggravio) che siano previste nel PSC (costi interferenziali) o comunque stimate e riconoscite dall’amministrazione appaltante;

- mentre il Piano di sicurezza e coordinamento (PSC, ma anche PSS, laddove previsto) è a carico della committenza (che si deve occupare della sicurezza generale del cantiere, tenuto conto delle caratteristiche di contesto e delle peculiarità di coordinamento ed interferenza), il Piano operativo di sicurezza (POC) è di competenza delle imprese esecutrici; esso è complementare ed esecutivo rispetto al PSC. Tuttavia il POS, formalmente assimilato per contenuti al documento di valutazione di rischi della singola impresa previsto dall’art. 4 del d. lgs. n. 626/94 (art. 2, d. lgs. n. 494/96), non può non contenere tutti i riferimenti di costo ai comuni adempimenti in materia di salute e sicurezza dei lavoratori dell’azienda (DPI, formazione, informazione, sorveglianza sanitaria), dunque anche di quelli che non dipendono dall’esecuzione del contratto. Ovviamente, in quanto obbligatori per legge, quindi non connessi all’esecuzione del contratto stipulato con la committenza, per questo tipo di adempimenti non dovrà essere riconosciuto alcun costo da parte della stazione appaltante, perché tale costo è relativo ad obblighi indipendenti dal contratto.

Ciò ribadito, le Linee guida danno atto che l’art. 31, co. 2, della legge 109/94 (ora art. 131, codice appalti) pone l’obbligo alle stazioni appaltanti di evidenziare tutti gli oneri della sicurezza e di escluderli dal ribasso. Ne consegue che mentre per i costi derivanti dal PSC vi è piena coerenza tra la legge appalti pubblici ed il regolamento n. 222/03, non altrettanto coerente è il riferimento specifico anche ai costi indicati nel POS (piano operativo di sicurezza), che la Stazione appaltante è tenuta ad evidenziare, pur se non a stimare, essendo tale stima di competenza delle singole imprese, nell’ambito della propria offerta. In sede di valutazione dell’offerta, l’Amministrazione potrà esprimere parere sulla congruità delle spese generali che assolvono a questa funzione in relazione al prezzo offerto.

Per quanto riguarda l’esatto significato attribuibile alla locuzione utilizzata dal legislatore “metterli in evidenza”, ma non anche a stimarli, riferita ai costi non compresi tra gli adempimenti imposti dal PSC, essa sembra indicare la volontà di sottrarre anch’essi dal ribasso, per evitare comportamenti scorretti nella formulazione delle offerte (su cui, più ampiamente, infra). Ne deriva che nessun onere per la sicurezza come individuato può essere oggetto di ribasso ex art. 131 cod. appalti; dunque, neppure gli oneri assimilabili alle c.d. spese generali, in coerenza con la necessità per l’impresa appaltante di obbligare le imprese ad evidenziare gli oneri della sicurezza nell’offerta finale. L’obiettivo perseguito sembra essere proprio quello di poter meglio controllare la congruità e la correttezza dell’offerta ed evitare comportamenti anomali o speculativi utilizzando proprio i costi per la sicurezza, anche quando questi sarebbero astrattamente assimilabili alla categoria delle spese generali, dunque non relativi all’esecuzione del contratto.

E’ del tutto evidente che per l’efficacia e la trasparenza di tale controllo i prezzari realizzati nell’ambito di molte Regioni, in cui vengono specificati i valori percentuali di incidenza delle spese generali per la sicurezza all’interno delle singole voci sono essenziali affinché le amministrazioni pubbliche in fase di valutazione delle offerte possano valutare in modo organico e non arbitrario la congruità delle offerte delle imprese e l’assenza di ribassi sulle voci evidenziate.

La fondatezza del Parere e delle successive Linee Guida che dalle risultanze del parere hanno preso le mosse è stata solo in parte confermata dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture che si è pronunciata con la Determinazione n. 4 del 26 luglio 2006. In particolare, l’Autorità non ritiene condivisibile la tesi sostenuta nelle Linee guida secondo cui, oltre ai c.d. costi contrattuali indicati nel PSC sulla base dell’elencazione contenute nell’art. 7 del d.p.r. n. 222/03, anche gli altri costi sostenuti per la tutela dei lavoratori nell’esecuzione delle singole lavorazioni unitamente a quelli relativi all’organizzazione di sicurezza dell’impresa appaltatrice (pur non dovuti in quanto già compresi nel prezzo di appalto) siano anch’essi sostanzialmente esclusi dal ribasso.

L’Autorità sostiene che la verifica che l’appaltatore non pregiudichi il livello di sicurezza ex lege assicurato ai propri lavoratori per l’esecuzione del contratto (v. art. 1, co. 2, lett. s), punto 2), l. n. 123/07), deve essere effettuata dalla Stazione appaltante nei confronti dell’offerta dell’aggiudicatario; nel caso in cui l’offerente primo classificato non dovesse riuscire a dimostrare la congruità del suo ribasso rispetto al valore economico complessivo dei lavori da effettuare, verrebbe giudicato inidoneo, e si passerebbe a valutare la successiva offerta.

La tesi dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici sembrerebbe preoccuparsi di mantenere ben distinti i compiti e le responsabilità nell’ambito delle procedure di aggiudicazione: l’individuazione e la stima dei costi per la sicurezza è adempimento che attiene alla competenza esclusiva della Stazione appaltante, nel quadro della predeterminazione del corrispettivo proprio del contratto; l’appaltatore, come tale, non può né provvedere né partecipare alla definizione del prezzo da escludere dal ribasso d’asta, ma soltanto influenzare la determinazione del costo della sicurezza risultante dal PSC (o PSS), attraverso le modifiche che può comunque proporre ex art. 131, co. 2, al Piano di Sicurezza e coordinamento.

La posizione assunta dall’Autorità è stata oggetto di non poche critiche, prevalentemente fondate sulla lettera dell’art. 131 codice appalti, secondo la quale tutti i costi della sicurezza, in quanto contenuti nei Piani di sicurezza (PSC o PSS, ma anche POS), dunque sia i costi specifici della sicurezza - ovvero i costi specifici imposti all’impresa per l’esecuzione del contratto (si pensi ai ponteggi, ai tra battelli, agli impianti elettrici ed all’utilizzo di macchinari per il singolo contratto stipulando) individuati ex art. 7 d.p.r. n. 222/03, sia i costi generali della sicurezza - quelli necessari per l’attuazione degli adempimenti imposti dalla normativa vigente in materia di sicurezza, già compresi nelle spese relative al costo dei lavori computato con i prezziari – devono essere integralmente considerati.

A meglio chiarire, secondo questo orientamento, quando si parla di costi della sicurezza, si fa riferimento alla somma di tutti i costi sostenuti sia per far fronte tanto all’attuazione degli adempimenti imposti dalla normativa di sicurezza applicabili (e, quindi, per fare qualche esempio, in materia di documento di valutazione dei rischi, servizio di prevenzione e protezione, sorveglianza anitaria, fornitura di DPI, formazione ed informazione) sia per dare esecuzione agli adempimenti specifici relativi al contratto da eseguire (rischi interferenziali, formazione specifica, documenti integrativi, controlli mirati). Soltanto attraverso un tale approccio si ritiene potranno essere individuati compiutamente i costi della sicurezza, che dovranno poi essere specificamente indicati – rispettivamente secondo le proprie competenze - dalla stazione appaltante per il PSC e dall’impresa per il POS, riportati negli elaborati contrattuali e nei documenti aziendali della sicurezza, risultare congrui rispetto alla natura dell’opera, ed essere riconosciuti per intero agli appaltatori.

A tale orientamento se ne contrappone tuttavia un’altro, non meno consolidato, secondo il quale soltanto i costi specifici individuati nel PSC (vale a dire i “costi contrattuali”) costituiscono icosti della sicurezza” cui si riferisce il legislatore della legge 123/07, visto il valore di disciplina organica ed esaustiva che va riconosciuto alle norme del d.p.r. n. 222/03. Ne consegue che sarebbero da ritenere non compresi nella nozione di costi relativi alla sicurezza i c.d. “costi generali” che il datore di lavoro è comunque obbligato a sostenere per dare corretta attuazione agli obblighi imposti dal d. lgs. n. 626/94 (già compresi nei prezzi unitari).

La descritta diatriba, dopo l’emanazione della legge 123/07, si è rinnovata ed ulteriormente rafforzata, non certo risolta.

In attesa di un definitivo chiarimento che potrebbe arrivare dalla stesura del Testo unico, soprattutto in attuazione del criterio di delega espresso nell’art. 1, co. 2, lett. s), punto n. 3 della l. n. 123/07, potremmo tuttavia tentare di scegliere, attraverso il contemperamento di alcuni importanti elementi di valutazione, quale tra le due opzioni esposte si riveli più convincente rispetto alle finalità perseguite dal legislatore.

A sostegno della tesi che potremmo definire “omnicomprensiva” dei costi della sicurezza dei lavoratori depongono:

a) l’art. 131, co. 3, codice contratti pubblici, secondo cui tutti gli oneri indicati nei piani di sicurezza, dunque anche nel POS redatto dall’appaltatore, vanno evidenziati nei bandi di gare e non sono soggetti a ribasso d’asta;

b) l’art. 131, co. 1, codice contratti pubblici, che delega il governo ad approvare le modifiche al d.p.r. 222/03 che si rendessero necessarie;

c) l’art. 8 della legge 123/07, modificando il comma 8 bis dell’art. 86 codice appalti, utilizza l’espressione letteralmente più ampia di “costo relativo alla sicurezza”, mentre il d.p.r 222/03 usa l’espressione indubbiamente più rigorosa di “costi della sicurezza”;

d) l’art. 8 delle l. n. 123/07, al nuovo comma 3-ter, specifica che il costo relativo alla sicurezza non può essere comunque soggetto a ribasso d’asta;

e) l’art. 1, co. 2, lett. s), punto 2, secondo cui l’assegnazione al massimo ribasso non deve determinare la diminuzione del livello di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori;

f) l’art. 1, co. 2, lett. s) punto n.1, secondo cui si deve migliorare l’efficacia della responsabilità solidale tra appaltante ed appaltatore e il coordinamento degli interventi di prevenzione, anche attraverso l’adozione di meccanismi che consentano di valutare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese, considerando il rispetto delle norme relative alla salute e sicurezza dei lavoratori quale elemento vincolante per la partecipazione alle gare e alle sovvenzioni pubbliche;

g) l’art. 3, co. 1 lett. b) che introduce il comma 3-ter all’art. 7 del d. lgs. 626/94, che distinguendo appalti pubblici e contratti privati, con l’inciso “ferme restando le disposizioni in materia di sicurezza e salute previste dalla disciplina vigente degli appalti pubblici”, potrebbe essere stato inserito proprio per “smarcare” dall’influenza determinante esercitata dall’art. 131 del codice appalti in merito all’ “omnicomprensività” dei costi relativi alla sicurezza da individuare, i costi che dovranno al contrario andare inseriti nell’ambito dei contratti di somministrazione, appalto e subappalto di cui al Codice civile, relativamente ai quali si potrebbe far riferimento esclusivamente ai c.d. “costi specifici”.

A sostegno della tesi che potranno definire “esclusiva”, vale a dire a quella che ritiene la nozione “costi relativi alla sicurezza” riferirsi ai soli costi specifici connessi all’esecuzione del contratto (ex art. 7, d.p.r. n. 222/03), depongono:

a) la natura organica e compiuta della disciplina dettata dal Regolamento 222/03 in materia di costi della sicurezza;

b) l’art. 1 co. 2, lett. s), punto 3, legge 123/07, secondo cui i costi relativi alla sicurezza devono essere indicati nei bandi di gara e risultare congrui rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori oggetto di appalto;

c) l’art. 3, co. 1 lett. b) che introduce il comma 3-ter all’art. 7 del d. lgs. 626/94, che distinguendo appalti pubblici e contratti privati, potrebbe essere stato indicato proprio per svincolare i contratti di somministrazione , appalto e subappalto, di cui al Codice civile;

d) l’analisi, la stima, l’indicazione dei costi e la relativa acquisizione e messa in opera delle misure connesse ai rischi propri dell’impresa appaltatrice senza le quali il datore non potrebbe svolgere, in virtù degli obblighi generali e speciali contenuti nella legislazione di sicurezza, l’attività imprenditoriale, non costituiscono un’imposizione aggiuntiva connessa al contratto da compensare, ma un vero e proprio presupposto di esistenza e di legittimità di esercizio dell’attività imprenditoriale tout court.

Dalla mera rivisitazione sistematica degli elementi sopra elencati, la tesi dell’ “omnicomprensività” dei costi relativi alla sicurezza da individuarsi nell’ambito delle procedure di selezione/aggiudicazione degli appalti pubblici sembra rivelarsi più convincente, anche alla luce delle considerazioni iniziali sull’interpretazione/applicazione delle nuove disposizioni della legge n. 123/07, cui si fa nuovamente rinvio.

A voler provare a trarre qualche riflessione conclusiva, si potrebbe partire proprio col sostenere che la vera ratio legis dell’art. 8 della l n. 123/07 e, dunque, la valenza dalla stessa disposizione assunta nell’ambito dell’attuale sistema prevenzionistico (in attesa del Testo unico) sembra essere quella di avere deciso di obbligare, da un lato, le imprese concorrenti ad indicare specificamente nell’ambito del valore economico dell’offerta l’incidenza di tutti i costi relativi alla sicurezza dalle stesse imprese complessivamente sostenuto (non esclusivamente per soddisfare l’esecuzione del solo contratto) e dall’altro le Stazioni appaltanti a valutarne la congruità, rispetto, all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture. Sottrarre tali costi dal ribasso d’asta, consente alla Stazione appaltante di poter apprezzare con maggiore obiettività e trasparenza che l’entità economica complessiva dell’offerta presentata non comprometta la sostenibilità di tutti gli investimenti in sicurezza che sono comunque necessari all’assolvimento degli adempimenti che l’impresa è tenuta comunque effettuare, non soltanto quelli derivanti dal contratto, ma anche quelli posti ex lege a tutela dei propri lavoratori.

Il ruolo assunto dalla Stazione appaltante, chiamata com’è a selezionare l’appaltatore secondo i migliori principi di tutela prevenzionistica dei lavoratori impegnati nella realizzazione dei contratti, grazie all’indicazione dei costi sostenuti per la sicurezza da parte dell’impresa appaltatrice, ben si colloca coerentemente come risultato della evoluzione che ha subito l’istituto dell’appalto nel nostro ordinamento per quanto concerne il profilo della salute e sicurezza dei lavoratori dell’appaltatore. Da una prima fase, anteriore all’entrata in vigore del d. lgs. n. 626/94, in cui vigeva il divieto assoluto di ingerenza e l’obbligo di astensione dell’appaltante rispetto alla piena autonomia strutturale ed organizzativa dell’appaltatore, si è infatti passati ad una prospettiva parzialmente rovesciata con l’art. 7 del d. lgs. n. 626, che ha imposto un modello sinergico di collaborazione partecipata (informazione, cooperazione, coordinamento) tra i due protagonisti, tale da consentire di conseguire un risultato decisamente positivo in termini di salvaguardia della salute dei lavoratori impiegati. Con l’emanazione del d. lgs. 494/96, si arriva poi a stabilire un’esigenza di raccordo funzionale tra tutte le attività che intervengono nel cantiere, esigenza di raccordo che la l. n. 123/07 consolida ulteriormente sia con la richiesta elaborazione di un DUVRI, sia con l’indicazione dei costi relativi alla sicurezza nei contratti e nei documenti di partecipazione alle gare.

Inserita correttamente in questo scenario, la scelta del legislatore di chiedere l’indicazione dei costi relativi alla sicurezza si configura come strumento assolutamente fondamentale anche attraverso il quale riuscire ad testare l’affidabilità tecnica e professionale dell’appaltatore sotto il profilo prevenzionale di cui, non da oggi, la migliore giurisprudenza chiede al committente di accertarsi con estremo rigore, pena l’incorrere negli estremi della “culpa in eligendo” (c. ad esempio, Cass. Civ, Sez. III, 12 luglio 2006, n. 15782).

Se tale è davvero la finalità attribuibile alla scelta operata nell’agosto scorso dal legislatore di imporre l’indicazione dei costi relativi alla sicurezza, ne consegue che tutti i costi relativi alla sicurezza vanno evidenziati, sia quelli specifici relativi all’esecuzione del contratto, sia quelli generali sostenuti dall’impresa appaltatrice per assicurare il livello di tutela prevenzionistica dei suoi dipendenti nel rispetto delle disposizioni di legge.

In merito alla previsione di non ribassabilità dei costi della sicurezza, questa ulteriore scelta assume funzioni non esattamente sovrapponibili a seconda della natura dei costi cui va riferita: per i costi specifici, quelli che il committente impone e stima, la non ribassabilità serve, in primis, a consentirne il riconoscimento ai fini della loro integrale “rimborsabilità”; nel caso, invece, dei c.d. “costi generali”, la non ribassabilità non è legata ad assicurare un rimborso che non spetta in quanto il loro valore è già insito nei prezzari dell’opera, ma soltanto a renderne trasparente l’ammontare e dunque ad evidenziarne l’incidenza e la congruità rispetto al valore economico complessivo dell’offerta, in modo che la sostenibilità degli adempimenti di sicurezza non sia compromessa dall’esecuzione non economicamente adeguata del contratto in oggetto.

In tale prospettiva, quale che sia il criterio utilizzato per la selezione delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi da impiegare (criterio del prezzo più basso - con maggiori riserve - o criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa), tutti i costi sostenuti per garantire la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, pur con modalità e finalità diverse, non possono consentire meccanismi di ribasso.

Dunque, la l. n. 123/07 avrebbe individuato nei costi relativi per la sicurezza e nella valutazione della loro congruità rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi e delle forniture, uno strumento fondamentale di individuazione della qualificazione professionale e dell’affidabilità delle imprese, indicatore sintomatico, seppur indiretto, del livello di tutela delle condizioni di lavoro che vengono assicurate ai lavoratori coinvolti dall’esecuzione del contratto.

Sull’efficacia e sull’affidabilità di un tale meccanismo potrà positivamente incidere un auspicabile protagonismo delle Regioni, alla stregua di quanto fatto recentemente dalla Regione Toscana con l’emanazione della legge n. 38 del 13 luglio 2007. Nel rispetto del d. lgs. n. 163/2006, infatti, la legge disciplina tutti i contratti pubblici di appalto per lavori, forniture e servizi stipulati ed eseguiti sul territorio regionale ed il cui affidamento è di competenza della Regione, con esclusione di quelli riservati allo Stato.

Nell’intento dei suoi promotori, la l. n. 38/07 punta a migliorare la qualità delle opere e più in generale a rivitalizzare il sistema dei lavori pubblici, delineando un quadro di regole e controlli rigorosi per garantire e tutelare i diritti dei lavoratori la loro salute e sicurezza. In tal senso, va particolarmente salutata con favore la costituzione dell’Osservatorio regionale sui contratti pubblici che oltre ai compiti di monitoraggio e supporto al regolare svolgimento delle procedure di appalto, è chiamato ad elaborare un prezzario regionale di riferimento per le stazioni appaltanti, che come abbiamo già affermato in precedenza, è esenziale per una corretta definizione degli importi a base di appalto e per le valutazioni di eventuali anomalie delle offerte.

Agli specifici problemi della sicurezza e della regolarità del lavoro è dedicato un intero Capo, con disposizioni davvero molto precise sulla valutazione delle misure di sicurezza e dei relativi costi, sulla verifica dell’idoneità tecnico-profssionali delle imprese aggiudicatarie, sulla redazione dei piani e sul potenziamento e coordinamento delle attività di controllo.

Pur con diversità di struttura e di impianto, nella stessa prospettiva della legge regionale della Toscana si muove anche l’altrettanto recente legge regionale n. 3/07 della Regione Campania, dal titolo “Istituzione dell’Osservatorio Regionale degli Appalti e concessioni”, laddove tra l’altro, agli articoli 50 e 51, particolare attenzione è rivolta ai costi della sicurezza, alla lotta contro il lavoro nero e a particolari garanzie per la tutela della salute dei lavoratori che debbano essere previste e cristallizzate già nei bandi di gara e nei capitolati speciali di appalto.

Che il ruolo che può essere svolto dalla della legislazione regionale sul tema dei costi per la sicurezza sia assolutamente fondamentale è espressamente riconosciuto dallo stesso art. 1, co. 2, del d.p.r. n. 222/03, dove si accoglie la c.d. “clausola di cedevolezza” delle disposizioni nello stesso contenute, clausola che ribadisce come le disposizioni del regolamento possano applicarsi nelle regioni e province autonome fino alla data di entrata in vigore della normativa dalle stesse emanata, nel rispetto dei principi fondamentali posti in materia dalla legislazione dello Stato.

Il fatto che la l. n. 38/07 sia stata portata avanti la Corte costituzionale su ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 settembre 2007, n. 39, per violazione del riparto delle competenze, nulla toglie al valore dell’iniziativa posta in essere dalla Regione Toscana: si tratta soltanto dell’ultimo esempio delle enormi difficoltà che ancora comporta l’applicazione della riforma costituzionale oramai da molti anni varata.

Due ultime brevi annotazioni tecniche per concludere.

Ponendo l’accento sulla congruità dei costi relativi alla sicurezza, come è stato più volte qui ribadito, la l. n. 123/07 ha sì cercato di dare una forte spinta a migliorare la qualificazione professionale delle imprese sotto il profilo prevenzionale, ma allo stesso tempo ha accentuato un particolare profilo di esposizione del coordinatore per la progettazione e del committente alla responsabilità penale.

Posto che il Codice penale, in tema di responsabilità colposa omissiva chiede di fare tutto il possibile per evitare l’evento, è ragionevole ritenere che la giurisprudenza potrà contestare la violazione dell’art. 12 del d. lgs. 494/96 in tutti i casi in cui la stima dei costi della sicurezza risulti omessa o comunque effettuata con modalità gravemente inidonee o con contenuti gravemente lacunosi, rispetto alla metodologia indicata dal regolamento 222/03: un eventuale deficit di valutazione che sia stato accertato dall’organo di vigilanza e dall’autorità giudiziaria, a fronte di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale, verrà valutato come addebito di colpa (generica o specifica) e comportare responsabilità quanto meno sotto il profilo concausale ex artt. 589 o 590 c.p.

Infine, vorrei segnalare una recentissima interessante sentenza del Consiglio di Stato del 7 settembre 2007, n. 4694, nella quale si stabilisce che la verifica dell’anomalia delle offerte ha come finalità quella di individuare che il concorrente abbia formulato l’offerta sulla base di elementi oggettivi. In tal senso, il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica reso in sede di verifica delle offerte presentate nella gare per l’aggiudicazione di appalti della Pubblica amministrazione, non può sfociare nella sostituzione dell’opinione del giudice a quella espressa dall’organo amministrativo, ove questa opinione non venga considerata errata sul piano della tecnica, essendo compito primario del giudice verificare soltanto se il potere amministrativo sia stato esercitato con utilizzo delle regole conformi a criteri di logicità, congruità, ragionevolezza e corretto apprezzamento dei fatti.

Nella motivazione si precisa inoltre che ogni offerta deve essere presa in considerazione valutando le caratteristiche economiche ed organizzative di ciascuna impresa e le condizioni di cui usufruisce nell’effettuazione di una determinata prestazione, che possono evincersi non soltanto ma anche – ma questo inciso è il mio - dall’indicazione dei costi della sicurezza e dalla valutazione della loro congruità rispetto al valore economico complessivo dell’offerta dell’aggiudicatario.



Urbino-Roma, 5 dicembre 2007



Luciano Angelini