Categoria: Cassazione penale
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la violazione riscontrata non è consistita nella mancanza del piano di emergenza o di un certificato di prevenzione incendi, ma la mancanza di un registro, ovvero di un altro supporto, che documentasse il rispetto delle disposizione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 12, cioè l'avere programmato gli interventi necessari in caso di pericolo per i dipendenti e l'avere istruito gli stessi sul comportamento da tenere al presentarsi di un simile pericolo, in particolare (ma non esclusivamente) sull'ubicazione e l'utilizzo dei mezzi antincendio e delle vie di fuga.


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente -
Dott. MANCINI Franco - Consigliere -
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere -
Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere -
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
G.G., n. a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23.5.2006 del tribunale di Firenze;
Udita la relazione fatta in Udienza pubblica dal Consigliere Dott. AMOROSO Giovanni;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. SALZANO  Francesco, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La Corte osserva:

Fatto

1. G.G. era imputato: a) del reato di cui al D.Lgs. 19 settembre 1994, n 626, art. 32 e art. 89, comma 2, lett. a, modificato dal D.Lgs. n. 242 del 1996, per non avere provveduto a sottopone a regolare manutenzione e al controllo del funzionamento l'impianto di illuminazione di sicurezza, al servizio dell'attività ed, in particolare, perchè nel locale deposito non risultava installato un impianto di illuminazione dì sicurezza e la plafoniera autoalimentata predisposta nel corridoio, che dagli uffici conduceva al locale, non risultava funzionante; b) del reato di cui al D.Lgs. 19 settembre 1994, n 626, art. 12, comma 1, lett. d), e art. 89, comma 2, lett. a, per non avere attivato e compilato in apposito registro, relativo alla programmazione degli interventi di verifica e manutenzione dei mezzi di estinzione, dei sistemi e/o dispositivi di sicurezza antincendio presenti nell'attività, necessari affinchè i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato si mettessero al sicuro abbandonando il luogo di lavoro; c) del reato di cui al D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 13 e art. 389, lett. e, per non aver disposto che le vie di uscita dei locali dell'attività lavorativa avessero porte apribili verso la via di esodo ivi compresa la porta di uscita di sicurezza prevista nel laboratorio (in (OMISSIS) fino al (OMISSIS)).
L'imputato, opponente al decreto penale n. 1756/04 emesso in data 2.11.2004 dal g.i.p. presso il Tribunale di Firenze, veniva citato in giudizio, per rispondere dei tre reati a lui ascritti.
Il Tribunale di Firenze con sentenza del 23 maggio 2006 dichiarava G.G. colpevole dei reati ascritti, ritenuti uniti dal vincolo della continuazione, e concesse le attenuanti generiche lo condanna alla pena di Euro 2000 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per Cassazione con cinque motivi.

 

Diritto

1. Il ricorso è articolato in cinque motivi.
Con il primo motivo il ricorrente deduce che, quanto al capo A) della imputazione, il Tribunale ha fondato la propria condanna su di un illogico assioma iniziale, e cioè che il mancato funzionamento di una lampada dell'impianto di illuminazione di sicurezza dimostrasse irrimediabilmente l'assenza di una regolare manutenzione del medesimo. Il mancato funzionamento di una sola lampada dell'impianto di sicurezza potrebbe, per ipotesi, essersi verificato anche la mattina stessa e, comunque, tale evento non può dimostrare la mancanza di manutenzione dell'impianto di illuminazione.
Quanto poi alla condanna per il capo B) sostiene il ricorrente con il secondo motivo la violazione del principio della correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza stabilito dall'art. 521 c.p.p.. L'imputazione riguardava la mancata attivazione e compilazione dell'apposito registro relativo alla programmazione degli interventi di verifica e manutenzione dei mezzi di estinzione, dei sistemi e/o dispositivi di sicurezza antincendio presenti nell'attività, necessari affinchè i lavoratori, in caso di pericolo grave e immediato, si mettessero al sicuro abbandonando il luogo di lavoro.
Invece nella sentenza si è addebitato al G. la omessa tenuta di un registro relativo agli adempimenti di cui all'art. 12.
Inoltre il ricorrente deduce (terzo motivo) che le conclusioni del giudicante non hanno tenuto conto dello stato dei luoghi, così come emerso nel corso della istruttoria dibattimentale.
Nei locali dell'azienda, escluso il magazzino, erano presenti ben cinque porte finestre con uscite dirette verso l'esterno.
Non vi era quindi la necessità di predisporre delle uscite di emergenza dotate di porte apribili nel verso dell'esodo.
Con il quarto motivo poi il ricorrente censura la decisione del tribunale che non ha accolto la richiesta di ammissione all'oblazione ex art. 162 bis c.p. avendo il medesimo eliminato le conseguenze negative della sua condotta.
Con il quinto ed ultimo motivo il ricorrente sostiene che bene avrebbe fatto il tribunale a considerare la buona fede dell'imputato il quale è incorso in un errore di interpretazione della norma penale certamente scusabile, essendosi il medesimo adoperato al fine di adeguarsi all'ordinamento giuridico, consultando manuali redatti da esperti in materia.
2. Il ricorso è infondato.
Le deduzioni del ricorrente involgono valutazioni ed apprezzamenti di merito che il tribunale ha fatto con motivazione sufficiente ed immune da contraddittorietà.
In particolare il tribunale ha considerato che la deposizione del testimone magg. M., unitamente alla documentazione depositata dallo stesso imputato, era idonea e sufficiente per dimostrare la sussistenza delle tre contravvenzioni contestate e la responsabilità dell'imputato. Detto teste è stato infatti molto preciso nel riferire di avere accertato, nel sopralluogo del (OMISSIS), le tre violazioni sopra già descritte, e la testimonianza dell'isp. C. ha ulteriormente confermato la sua dichiarazione, avendo anch'egli notato tali mancanze.
Queste deposizioni sono state ritenute dal tribunale pienamente attendibili perchè precise e dettagliate, specialmente quella del magg. M., e provenienti da soggetti istituzionalmente competenti ad effettuare simili controlli e del tutto indifferenti nei confronti dell'imputato.
E' risultato quindi dimostrato che il (OMISSIS) la ditta dell'imputato non era dotata di un idoneo impianto di l'illuminazione di sicurezza, assente nel deposito e non funzionante nel corridoio;
era priva del registro di programmazione degli interventi di protezione e prevenzione antincendio, e aveva le varie porte utilizzabili come uscita di emergenza che si aprivano verso l'interno dei locali e non nei senso dell'esodo.
Lo stesso imputato del resto non ha contestato che in quel momento sussistessero le condizioni oggettive descritte dai testimoni, così come non ha contestato di essere il titolare della ditta CABER, che occupava vari dipendenti.
Motivatamente quindi il tribunale ha ritenuto pienamente accertata la sussistenza dei fatti descritti nelle tre imputazioni, e la responsabilità dell'imputato quale legale rappresentante della ditta in questione.
L'imputato in particolare, quanto al reato contestato al capo A), ha ammesso che al momento del sopralluogo una lampada dell'impianto di illuminazione di sicurezza non fosse funzionante e che nel locale adibito a deposito tale impianto non fosse installato.
Quanto al reato contestato al capo B), il G. ha asserito di non avere predisposto alcun registro di programmazione degli interventi di verifica e manutenzione dei mezzi di estinzione, ritenendo di non essere soggetto ad alcun obbligo essendo la sua attività classificata come "a basso rischio" di incendio; il magg. M., però, ha precisato che la violazione riscontrata non è consistita nella mancanza del piano di emergenza o di un certificato di prevenzione incendi, ma la mancanza di un registro, ovvero di un altro supporto, che documentasse il rispetto delle disposizione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 12, cioè l'avere programmato gli interventi necessari in caso di pericolo per i dipendenti e l'avere istruito gli stessi sul comportamento da tenere al presentarsi di un simile pericolo, in particolare (ma non esclusivamente) sull'ubicazione e l'utilizzo dei mezzi antincendio e delle vie di fuga.
Questa condotta era comunque riconducibile a quella contestata ed in ogni caso deve considerarsi che la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza integra una nullità a regime intermedio che, in quanto verificatasi in primo grado, può essere dedotta fino alla deliberazione della sentenza nel grado successivo;
ne consegue che detta violazione non può essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità (Cass., sez. 4^, 29 novembre 2005, Pelle).
Quanto poi all'oblazione, va rilevato che l'imputato ha sì modificato una delle porte, rendendola apribile nel senso dell'esodo, ed ha perciò chiesto di essere ammesso all'oblazione di cui all'art. 162 bis c.p.. Ma ha correttamente osservato in proposito il tribunale che la modifica della porta che si apriva sul corridoio consentiva di ritenere che la stessa costituisse una sufficiente uscita di emergenza per tutti i locali usati dai dipendenti, ma non per il locale adibito a magazzino, perchè chi si trovava in questo locale non sarebbe mai potuto uscire, in caso di pericolo, da quell'accesso, e ma sarebbe necessariamente dovuto uscire dalla porta che dava sull'esterno, che però si apriva verso l'interno e non verso la via dell'esodo, e non rispettava quindi il disposto del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 13 pur costituendo di fatto una uscita di emergenza.
Non potevano pertanto ritenersi del tutto eliminate le conseguenze pericolose del reato in questione, essendo rimasto, in azienda, un locale in uso ai dipendenti del tutto privo di uscite di emergenza ovvero munito di una uscita di emergenza non conforme alla legge.
3. Pertanto il ricorso nel suo complesso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2007.
Depositato in Cancelleria il 7 agosto 2007