Responsabilità del legale rappresentante di una ditta sub-appaltante del servizio di raccolta rifiuti per infortunio mortale per colpa consistita in imprudenza, negligenza e imperizia nonchè nella violazione di norme in materia di prevenzione e in particolare dell'art. 7 del D. Lgs. 626/94 - Sussiste


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTISTI Mariano - Presidente -
Dott. MARZANO Francesco - Consigliere -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) C.P. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 23/02/2004 CORTE APPELLO di SALERNO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMENDOLA ADELAIDE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Mario Iannelli, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata per intervenuta prescrizione e per il rigetto del ricorso agli effetti civili.
Udito per la parte civile l'avvocato Dolce Anacleto, che si è associato alle conclusioni del Procuratore generale.
Udito per l'imputato l'avvocato Soriano Carlo, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.




FattoDiritto

1.1 Con sentenza del 12 aprile 2001 il Tribunale di Vallo della Lucania assolveva C.P. dal reato di cui all'art. 589 c.p. contestatogli in relazione alla morte di G.E., avvenuta il (OMISSIS).
L'imputato era stato tratto a giudizio, insieme a L.P. e a B.P., rispettivamente, sindaco e assessore delegato al servizio di nettezza urbana del Comune di Stella del Cilento, con l'accusa che, quale legale rappresentante della ditta Sorem s.r.l., appaltatrice del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani del predetto ente, per colpa, consistita in imprudenza, negligenza, imperizia nonchè nella violazione delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro (D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7), segnatamente, per aver subappaltato il servizio a G. E., titolare dell'omonima ditta di pulizie, senza verificare l'idoneità tecnico-professionale dello stesso e l'adeguatezza dei mezzi adoperati, ne aveva cagionato il decesso. Era infatti accaduto che questi, fermato l'automezzo nei pressi di un cassonetto, in un tratto di strada a forte pendenza e privo di parapetti, ne era stato travolto, nel mentre, avvedutosi che il veicolo stava scivolando all'indietro, a causa del cedimento della cordina di ferro del freno a mano, aveva cercato di risalirvi per riprenderne il controllo.
Proposto gravame, la Corte d'appello di Salerno, con sentenza del 23 febbraio 2004, in riforma della impugnata pronuncia, dichiarava C.P. colpevole del reato ascrittogli, condannandolo per l'effetto a pena ritenuta di giustizia.

1.2 In motivazione il giudicante esplicitava di non condividere l'opinione del Tribunale, secondo cui il comportamento imprudente della vittima, che aveva cercato di risalire sull'autocarro, invece di lasciarlo cadere nel burrone, costituiva causa atipica, non prevista, nè prevedibile, idonea da sola a determinare l'evento, perchè, a ben vedere, nella determinazione di tale condotta avevano giocato un ruolo decisivo l'organizzazione del lavoro dell'impresa attraverso cui il servizio veniva espletato e la vetustà dell'autocarro a tal fine utilizzato.
Nè, sotto altro profilo, poteva affermarsi che l'imputato non avesse alcun "obbligo di garanzia" nei confronti del G., in quanto egli stesso lavoratore autonomo, titolare della ditta subappaltatrice, perchè in realtà, pure in mancanza di prova certa in ordine alla reale natura giuridica del rapporto intercorso tra l'imputato e la vittima, era comunque sicuro che la ditta di cui quest'ultimo era titolare, iscritta alla Camera di commercio solo come impresa di pulizia, era carente di qualsiasi organizzazione aziendale, di dipendenti e di mezzi, circostanze tutte ben note al C., che aveva ceduto al G. il mezzo, già dichiarato obsoleto dal Comune di Guardia Perticara, dal quale egli lo aveva acquistato.
In tale contesto, in virtù del principio, posto a base del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, per cui è chiamato a rispondere dell'infortunio "l'imprenditore che dia in subappalto un'opera o un servizio, quando il subappaltatore non abbia autonomia organizzativa e si avvalga di mezzi forniti dal subappaltante", riteneva il collegio che ricorressero le condizioni per l'affermazione della penale responsabilità dell'imputato. Esplicitava anche il decidente che neppure era condivisibile l'assunto della inapplicabilità della norma innanzi richiamata in considerazione del fatto che i lavori subappaltati non dovevano svolgersi all'interno dell'azienda del C., vigendo, in tema di infortuni sul lavoro, la regola per cui la fornitura di mere prestazioni di mano d'opera comporta che l'appaltante risponde, come datore di lavoro, dell'assolvimento degli obblighi nei confronti dei dipendenti dell'appaltatore (Cass. pen., 16/02/2002, n. 14361).
E nella fattispecie il subappaltatore, lavoratore autonomo privo di dipendenti, aveva in realtà fornito mere prestazioni di lavoro.

1.3 Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del suo difensore, C.P., chiedendone l'annullamento senza rinvio per mancanza e illogicità della motivazione.
Lamenta segnatamente l'impugnate il malgoverno del materiale istruttorio acquisito da parte del giudice di secondo grado che, ignorando le risultanze della prova documentale, avrebbe affermato la sua colpevolezza sulla base di principi generali assolutamente inconferenti nella fattispecie.
In particolare contraddittoriamente il giudice di merito lo avrebbe qualificato subappaltante, ritenendo la vittima subappaltatore, pur dopo avere affermato la "mancanza di prova certa" in ordine alla natura giuridica del rapporto tra loro intercorso.
L'erroneità della ricostruzione di tale rapporto nei termini di appalto di mere prestazioni di mano d'opera emergeva poi a sol considerare che il mezzo utilizzato per l'espletamento del servizio era di proprietà del G., il che imponeva di ritenere operativo il principio per cui la cessione di lavori in subappalto comporta la cessione del rischio inerente ad eventuali infortuni sul lavoro occorsi ai dipendenti del subappaltatore.
Del tutto inconferente era per vero il richiamo al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, trattandosi di norma che si riferisce esclusivamente all'affidamento dei lavori all'interno dell'azienda.
L'impugnata pronuncia era altresì viziata nella parte in cui aveva escluso che la condotta imprudente della vittima fosse stata da sola idonea ad interrompere e/o a escludere il nesso causale: e invero il comportamento del G., in quanto irrazionale, abnorme e imprevedibile, aveva agito come "causa autonoma, avulsa da una eventuale condotta antigiuridica precedente".

2.1 Osserva la Corte che il nucleo argomentativo intorno al quale ruotano le censure del ricorrente è l'inapplicabilità, in parte qua, delle norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Si contesta, in particolare, l'applicabilità nella fattispecie del disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, norma che, in vista della salvaguardia della incolumità dei lavoratori, ha ampliato le aree di tutela - e delle connesse responsabilità del datore di lavoro - ai casi di affidamento di lavori ad imprese appaltatrici o a lavoratori autonomi operanti all'interno dell'azienda, nell'ampia accezione di cui di qui a poco si dirà.
I lavori subappaltati, si dice, non si svolgevano, nè dovevano svolgersi, all'interno dell'azienda; il contratto concluso tra le parti non era in ogni caso qualificabile come appalto di mere prestazioni di lavoro, perchè il G. era, a sua volta, titolare di impresa: la relativa struttura aziendale, ancorchè modesta, era tuttavia formata di mezzi, come il furgone, della cui efficienza egli solo "doveva preoccuparsi". Le doglianze non possono essere condivise.
Al riguardo merita anzitutto precisare che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7 estende gli obblighi di prevenzione dell'imprenditore ai rischi connessi ai lavori affidati ad imprese appaltatrici, subappaltatrici o a lavoratori autonomi, "all'interno della propria azienda, o di una singola unità produttiva della stessa, nonchè nell'ambito dell'intero ciclo produttivo dell'azienda medesima" (confr. Cass. n. 159727 del 2006). L'espressione, con la non casuale disomogeneità dei termini utilizzati, si presta a ricomprendere nella sfera di operatività della norma non solo e non tanto la struttura "fisica" in cui si svolge l'attività imprenditoriale, il che sarebbe addirittura ovvio, ma, ove questa consista nella prestazione di un servizio e abbia, in quanto tale, carattere diffuso sul territorio, l'intera area economico/geografica entro la quale l'attività stessa è destinata a realizzarsi.
L'idea di fondo è insomma che il datore di lavoro, quand'anche disarticoli il ciclo produttivo avvalendosi di strumenti contrattuali che gli consentano di alleggerire sul piano burocratico-organizzativo la struttura aziendale, contestualmente dislocandone, almeno in parte, i rischi, è costituito garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del programma imprenditoriale avuto di mira, alla stregua di una lettura dinamica e costituzionalmente orientata del principio ispiratore dell'intera disciplina, icasticamente espresso dall'art. 2087 cod. civ..
Tale approccio impone di ritenere assorbita la questione dell'autonomia organizzativa del G., incentrata sul rilievo che egli stesso era un imprenditore titolare in quanto tale di mezzi della cui conformità alle norme antinfortunistiche era chiamato a rispondere.
Considerati invero che i principi che governano i rapporti tra committente e appaltatore valgono anche in materia di subappalto, come del resto pacificamente riconosciuto dalla contigua giurisprudenza civilistica (confr. Cass. sez. lav. 23 marzo 1999, n. 2745), incombeva pur sempre al C., in base al disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 7, verificare, "attraverso l'iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato l'idoneità tecnico- professionale" del subappaltatore, in relazione ai lavori che gli venivano affidati, fornendo allo stesso (dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente" in cui sarebbe andato ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza necessarie.
Orbene, proprio la linea difensiva dell'imputato conferma che vi fu invece una totale inattuazione delle misure, anche informative, di prevenzione, per mancanza, a monte, della stessa percezione della loro obbligatorietà.
Quanto poi alle doglianze relative al mancato riconoscimento dell'interruzione del nesso eziologico, per avere la vittima, col suo imprudente comportamento, posto in essere una causa atipica ed eccezionale, idonea da sola a determinarlo, è sufficiente rilevare che esse ripropongono una lettura delle emergenze di fatto contrastante con quella plausibilmente data dal giudice di merito.
Ma la Corte di cassazione non può fornire una diversa valutazione degli elementi posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, dovendosi limitare a stabilire se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con un plausibile apprezzamento delle risultanze probatorie (Cass. n. 465 del 2004).
Nella fattispecie il giudice di merito ha esplicitato in maniera articolata ed appagante le ragioni per le quali, a suo giudizio, lo scivolamento all'indietro del furgone e il conseguente, istintivo e pietoso tentativo del G. di fermarne la corsa non presentavano i caratteri di eccezionalità e imprevedibilità idonei a interrompere il nesso causale tra la condotta dell'imputato e l'evento, risultando invece pienamente compatibili con la struttura organizzativa a dir poco approssimativa del lavoro, adottata dalla vittima dell'infortunio.
Tanto basta perchè la relativa valutazione venga ritenuta incensurabile in questa sede di legittimità.
In tale contesto, considerato che il reato è estinto per prescrizione, si impone il rigetto del ricorso agli effetti dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili. Si ricorda in proposito che l'art. 578 cod. proc. pen. prevede che il giudice di appello e la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale è già intervenuta condanna, siano tenuti a decidere sulla impugnazione agli effetti delle disposizioni dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Ed è in tale prospettiva che si sono esaminati compiutamente i motivi di impugnazione proposti dall'imputato, non potendosi dare conferma alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell'innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129 c.p.p., comma 2 (confr. Cass. sez. 6^, n. 21102 del 2004).
Il ricorrente rifonderà alle parti civili le spese dalle stesse sostenute, nella misura di cui al dispositivo.




P.Q.M.

La Corte di Cassazione annulla senza rinvio, ai fini penali, la sentenza impugnata per estinzione del reato per prescrizione. Rigetta il ricorso ai fini civili.
Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle partici civili, F.S., G.R., G. A., G.P., spese che liquida in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 giugno 2007.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2007