Corte di Appello di Ancona, Sez. Lav., 20 agosto 2012, n. 834 - Accertamento della responsabilità del datore di lavoro per infortunio sul lavoro occorso a soggetto vincolato da contratto di co.co.co




LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA
SEZIONE LAVORO

Composta dai magistrati:
Dott. JACOVACCI Stefano - Presidente -
Dott. CETRO Eugenio - rel. Consigliere -
Dott. MAZZAGRECO Pierfilippo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


nella causa civile iscritta ai n. 537 del Ruolo Generale Lavoro dell'anno 2010, promossa da:
P.F., titolare della ditta individuale FP, difeso dall'avv. Gianni Vitali del foro di Macerata;
- appellante -
contro
PI.Gi., difeso dall'avv. Roberto Gasparrini;
- appellato -
M. ASS. S.p.A., con sede in Milano, in persona del legale rappresentante pro tempore, difesa dall'avv. Pierluigi Micucci.
- appellata -

MOTIVAZIONE


1. Oggetto della controversia è, essenzialmente, l'accertamento della responsabilità del datore di lavoro per l'infortunio sul lavoro occorso a soggetto vincolato da contratto di collaborazione coordinata e continuativa; si controverte altresì del risarcimento del danno differenziale, dedotto l'indennizzo I.N.A.I.L. nonché, in via ancor più gradata, dell'interruzione-sospensione della prescrizione breve ai fini della operatività della copertura di assicurazione privata.
2. Nel ricorso con motivi di appello riservati, a mente dell'art. 433 c.p.c., comma 2, il datore di lavoro P.F. a censura della statuizione di condanna ai pagamento di Euro 92.133,46 a titolo di risarcimento del danno differenziale (di cui Euro 17.275,44 a titolo di danno patrimoniale ed il residuo a titolo di danno biologico, in esso ricompreso ed assorbito il danno morale) nonché del rigetto della domanda di manleva nei confronti della M. ASS. S.p.A., perchè prescritta, deduce:
1 - l'erroneità nella interpretazione delle prove e la conseguente illegittimità della sentenza nella parte in cui qualifica il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa come rapporto di lavoro subordinato, non avendo il Tribunale considerato che il pensionato, per la lunga esperienza maturata nel settore della falegnameria, era stato chiamato fondamentalmente a svolgere un incarico di supervisione e controllo de reparto di falegnameria nonché di seguire gli apprendisti; il che - stando alla prospettazione della parte appellante - esclude che il PI. fosse soggetto al potere direttivo dell'imprenditore e che in relazione all'infortunio occorso al medesimo fosse applicabile al rapporto di lavoro autonomo, la disposizione dell'art. 2087 c.c., viceversa, prevista soltanto per i rapporti di lavoro subordinato, con la conseguenza che ha errato il Tribunale a ritenere il contrario;
2 - l'erroneità nella interpretazione delle prove e la conseguente illogicità della sentenza nella parte in cui imputa le conseguenze dannose dell'infortunio alla responsabilità del datore di lavoro;
tanto più che come riferito dall'unico testimone oculare - l'operaio G.E. - la macchina squadratrice su cui operava il PI. era dotata di tutte le protezioni di sicurezza, comprese sia il pulsante di arresto che la "cuffia" di copertura della sega circolare; fermo restando che, tuttavia, il PI. con atto abnorme ed imprevedibile, nonostante l'operazione di rifinitura non rientrasse nelle sue mansioni, prendendo in autonomia l'iniziativa di rifinire le parti esuberanti di un astuccio di legno, per sua comodità toglieva la "cuffia" di protezione dal suo alloggiamento e si poneva, pertanto, con rischio elettivo, nelle condizioni di pericolo in cui maturava l'evento infortunistico (tanto è vero che non era promosso a carico del P. un procedimento penale);
3 - l'erroneità nella liquidazione in favore del sig. PI. del danno patrimoniale nella misura di Euro 17.275,44, già liquidato dall'I.N.A.I.L. il che configura una duplicazione del danno, sfuggita per errore alla attenzione del Tribunale per l'iniziativa del C.T.U. che ha quantificato tale posta di pregiudizio (vale a dire la riduzione della capacità lavorativa specifica nel gradiente del 25%, quale voce di danno patrimoniale) nonostante ciò non fosse ricompreso nel novero dei quesiti posti dal Giudice del lavoro;
4 - l'erroneità nella interpretazione delle prove e la conseguente illegittimità della sentenza nella parte in cui dichiara la prescrizione del diritto nei confronti della M. ASS. S.p.A. nonostante il rituale deposito della denuncia di sinistro (allegato al n. 13 del fascicolo di parte, depositato contestualmente al deposito della memoria di costituzione in giudizio), sicchè resta inspiegabile come il Giudice del lavoro non abbia rinvenuto il documento e, quindi, accolto l'eccezione di mancata interruzione della prescrizione sollevata dalla Compagnia chiamata in garanzia.
3. Nel decidere la causa allo stato degli atti, considerato che le circostanze di fatto essenziali ai fini della decisione risultano dalle emergenze documentali e dalle deposizioni dei testimoni già escussi in primo grado, non essendo pertanto necessaria la rinnovazione della istruttoria, si impone il rilievo della mancanza di fondamento dei motivi di gravame per le considerazioni che seguono.
4. Non ha pregio il primo motivo di gravame poichè - come esattamente riscontrato dal Tribunale - dalla valutazione complessiva delle deposizioni dei testimoni, non risulta che i compiti e le mansioni indicate a carico dei PI. alla clausola n. 1 del contratto datato 2 marzo 2001, qualificato dalle parti come "collaborazione coordinata e continuativa" (e cioè le "...prestazioni consistenti nella supervisione dei processi produttivi con particolare riguardo al controllo della qualità dei prodotti oggetto di fabbricazione interna ed esterna presso gli assuntori delle lavorazioni...") siano state, in concreto, effettivamente svolte dal collaboratore.
4.1. Sta di fatto che, in palese difformità dalla previsione contrattuale, il PI. era addetto al normale ciclo di produzione nel reparto falegnameria, ove lavorando direttamente ed abitualmente alle macchine espletava attività manuale, tanto più che costui, essendo tenuto come gli altri dipendenti a marcare il cartellino segnatempo, osservava in via di massima l'orario di lavoro a tempo pieno (dalle 8,00 alle 12,00 e, quindi, dalle 14,00 alle 18,00) fatta salva qualche necessità ("...se aveva qualche imprevisto poteva anche uscire...", deposizione de compagno di lavoro GI., addetto al reparto pantografi) o libertà dovuta anche al possesso delle chiavi del laboratorio, segno di relazione fiduciaria consolidata e non di autonomia nella gestione del lavoro.
In particolare il PI. " ...praticamente lavorava sulle macchine e faceva tutto quello che c'era da fare...lui mandava avanti il reparto falegnameria..." (deposizione del dipendente S.), "...lui era un (il) responsabile del reparto falegnameria...", deposizione dell'operaio N., "...era addetto alla macchina squadratrice... " (deposizione della operaia M., addetta al reparto taglio pelli).
4.2. Se poi si considera che al reparto falegnameria, nell'unico capannone aziendale, erano all'epoca addetti soltanto il veterano PI. e l'apprendista G.E., (deposizione conforme anche dell'operaio GO.), che l'esperto falegname, assegnato direttamente alla macchina squadratrice ove eseguiva abitualmente lavori di rifinitura di precisione (non va dimenticato che l'azienda produceva strumenti musicali), si occupava soltanto del lavoro del suo reparto senza interessarsi del lavoro degli altri reparti e, a maggior ragione, senza procedere alla "...supervisione dei processi produttivi con particolare riguardo al controllo della qualità dei prodotti..", considerato inoltre che le mansioni di tutor dell'apprendista affidatogli - contrariamente a quanto dedotto nel ricorso in appello - non erano comprese nella clausola di supervisione, si deve ritenere che tale espressione, adoprata nella clausola n. 1 del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, sia rimasta praticamente non attuata nella successiva fase della esecuzione del contratto di lavoro.
4.3. In tale contesto, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro, non ha rilevanza giuridica il richiamo - ribadito anche nel ricorso in appello - alla autoqualificazione del contratto, nei termini del
lavoro autonomo, operata dalle parti al momento della stipula del contratto di collaborazione coordinata e continuativa poichè se ciò può avere un qualche rilievo e valorizzazione nella ipotesi della esecuzione conforme alle previsioni contrattuali, opposta valutazione giuridica si impone nella diversa eventualità - come accaduto nella fattispecie in esame - della piena difformità, posto che sulla previsione iniziale prevale senz'altro la qualificazione desumibile dalle effettive modalità esecutive della prestazione di lavoro.


4.4. Sul punto specifico della rilevanza giuridica delle modalità esecutive del rapporto di lavoro, al di là della deduzione di simulazione del contratto di collaborazione coordinata e continuativa sollevata nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, è sufficiente rilevare - per quanto qui interessa - che il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, elemento necessario non solo ai fini della sua interpretazione (a norma dell'art. 1362 c.c., comma 2), ma anche utilizzabile ai fini dell'accertamento d'una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione dei rapporto, è nella fattispecie in esame sufficiente a qualificare il rapporto di lavoro in termini di subordinazione.
A tal proposito va qui richiamato il persuasivo e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il contratto di lavoro da origine ad un rapporto che, fondato sulla volontà delle parti, si protrae nel tempo, restando, tale volontà, inscritta in ogni atto di esecuzione del contratto. L'esecuzione, esprimendo soggettivamente la suddetta volontà ed oggettivamente la causa contrattuale, e protraendosi nel tempo, resta (ai sensi dell'art. 1362 c.c., comma 2) lo strumento d'emersione di una nuova diversa volontà eventualmente intervenuta nel corso dell'attuazione del rapporto e diretta a modificare singole sue clausole e talora la stessa natura del rapporto lavorativo inizialmente prevista, conferendo, al medesimo, un nuovo assetto negoziale "(Cass., sez. lav. n. 16144 del 18 agosto 2004).
4.5. L'affidamento della responsabilità del reparto falegnameria e del tutoraggio sull'unico apprendista, unitamente alle mansioni di lavoro manuale alla macchina squadratrice indica non solo l'inserimento organico del lavoratore nel normale ciclo produttivo dell'azienda ma anche la sua soggezione al potere direttivo dell'imprenditore datore di lavoro; il che è sufficiente ad individuare nella fattispecie in esame il vincolo della subordinazione senza necessità di far ricorso ai così detti indici sussidiali, di valenza soltanto residuale.
4.6. Sul punto la giurisprudenza di legittimità precisando la nozione di subordinazione che già nella sentenza delle Sezioni unite n. 2920 del 1982 era stata identificata nell'inserimento de lavoratore nella organizzazione dell'impresa in modo continuativo e sistematico e nell'esercizio di una costante vigilanza dei datore di lavoro sull'operato del lavoratore, ha successivamente affermato, con orientamento costante, che elemento essenziale e determinante del lavoro subordinato è il vincolo della subordinazione che consiste, "...per il lavoratore, in un vincolo di assoggettamento gerarchico e, per il datore di lavoro, nel potere di imporre direttive, non soltanto generali, in conformità di esigenze organizzative e funzionali, ma tali da inerire di volta in volta all'intrinseco svolgimento della prestazione..."( così, Cass., sez. lav. n. 4036 del 1984 e n. 331(1 del 1985).
4.7. Tali caratteristiche vanno ravvisate - nella fattispecie in esame - nel lavoro del capo reparto falegname addetto alle macchine ed al tutoraggio dell'apprendista assegnato a quel reparto secondo le direttive impartire dai datore di lavoro; in conseguenza, una volta identificata la subordinazione nelle caratteristiche delle prestazioni lavorative rese di fatto dal PI., non è necessario il riscontro dei così detti indici sussidiali della subordinazione, la cui verifica si impone soltanto allorquando risulti incerta la sussistenza del vincolo di subordinazione per la concorrenza di profili di autonomia nella collaborazione con il datore di lavoro.
4.8. Alla qualificazione del rapporto di lavoro in termini di subordinazione - contrariamente a quanto dedotto nel ricorso in appello - nulla osta alla operatività nella fattispecie in esame del precetto di cui all'art. 2087 c.c., posto che il contenuto de contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale.
5. Manifesta è la mancanza di fondamento del secondo motivo di gravame poichè - contrariamente a quanto dedotto nel ricorso in appello - non è esatto sostenere che l'unico testimone del fatto - l'operaio G.E. - abbia affermato che la macchina squadratrice su cui operava il PI. era dotata di tutte le protezioni di sicurezza, comprese sia il pulsante di arresto che la "cuffia" di copertura della sega circolare, quasi ad accreditare l'ipotesi della temporanea rimozione del dispositivo ad opera, del PI.. Viceversa, l'apprendista G.E. oltre a precisare che nel frattempo la vecchia squadratrice era stata sostituita e che al momento dell'infortunio sul lavoro capitato al PI. sicuramente "...la cuffia non èera... l'ho fermai a io la macchina...il pulsante rosso c'era, ma la cuffia non c'era al momento dell'incidente...", ha escluso di aver visto il PI. procedere alla rimozione della cuffia di protezione limitandosi poi a riportare - con una malcelata compiacenza - un suo pensiero o meglio una sua impressione mnestica sulle protezioni del macchinario oramai rottamato con riferimento immediato, tuttavia, alla cuffia presente su quello nuovo: "...penso che la cuffia di protezione di cui è dotata la macchina oggi vi fosse anche nel 2003..." salvo poi affermare di non sapere perchè la macchina, il giorno dell'infortunio, non avesse la cuffia.
5.1. Ad accreditare la tesi della tolleranza aziendale della prassi irregolare, seguita in quel reparto, dell'utilizzo abituale della squadratrice con cuffia di protezione rimossa, pesano a prima vista i riferimenti del testimone S., secondo cui "...la cuffia non sempre è sulla macchina, in quanto si pone a discrezione di chi lavora sulla macchina..." ancorchè tale riferimento, a ben vedere, appare obiettivamente (ed in maniera inconsapevole) inquinato dalla traccia mnestica della sovrapposizione della più recente memoria della squadratrice introdotta in sostituzione di quella accantonata.
5.2. In realtà, considerato che anche il testimone N. (addetto alle macchine a controllo numerico) in relazione alla vecchia squadratrice afferma con sicurezza che "...vi era il pulsante di arresto, ma non la cuffia di protezione...", considerata la posizione agnostica del testimone Gi. (sul capitolo 8 della memoria di costituzione in giudizio in relazione alla cuffia di protezione), ha più senso logico valorizzare la deposizione del testimone Go. (operaio addetto all'assemblaggio), peraltro qualificata dalla funzione svolta di responsabile interno della sicurezza, tale da rendere più presente alla memoria risalente la reiterata, specifica verifica (conflittuale) della effettiva mancanza del dispositivo di protezione in correlazione alla consequenziale, altrettanto specifica, rimostranza sollevata al tempo dei fatti:
"...la macchina non aveva in dotazione cuffia spingitori... lo come addetto alla sicurezza avevo verificato questa situazione e lo avevo segnalato al P., ma questi più di una volta mi aveva fatto capire che io dovevo solo fare il mio lavoro e basta...".
5.3. Tale riferimento specifico e circostanziato non è scalfito dal generico racconto del testimone F. (ancora dipendente della ditta) il quale pur avendo genericamente posto in correlazione il ricordo della cuffia di protezione al tempo dell'infortunio sul lavoro non ha, tuttavia, saputo spiegare come potesse mantenere un ricordo così specifico nonostante lavorasse, all'epoca, al reparto pantografi, ferma restando la sostanziale irrilevanza delle affermazioni del consulente aziendale Cia. in merito alla conferma della relazione di parte eseguita sullo stato del macchinario dopo un triennio dall'infortunio sui lavoro, su una situazione, quindi, non sovrapponibile a quella risalente.
5.4. In tale contesto la supposizione della condotta del PI. - descritta nel motivo di gravame - che con atto abnorme ed imprevedibile per sua comodità avrebbe rimosso la "cuffia" di protezione dal suo alloggiamento ponendosi, pertanto, con rischio elettivo nelle condizioni di pericolo in cui maturava l'evento infortunistico, resta soltanto una illazione non ancorata a nessun riscontro obiettivo, fermo restando che - contrariamente a quanto dedotto nel ricorso in appello - l'operazione di rifinitura delle parti esuberanti di un astuccio di legno rientrava in pieno nelle sue mansioni, per le considerazioni svolte al paragrafo 4.
5.5. In definitiva, il datore di lavoro onerato della prova (art. 1218 c.c.) stante la connotazione contrattuale della obbligazione di sicurezza (art. 2087 c.c.) non ha dimostrato di aver adottato tutte le cautele doverose per evitare l'infortunio sul lavoro e, segnatamente, non è riuscito a dimostrare che la macchina squadratrice fosse effettivamente provvista del dispositivo di cuffia a protezione del disco, cuffia che, qualora effettivamente in funzione, avrebbe evitato il contatto tra la mano de dipendente e la lama tagliente.
A non dissimili conclusioni si perviene anche a voler ritenere preciso il ricordo del testimone S., secondo cui la mancata operatività della cuffia (all'epoca già disponibile) derivava dalla prassi abituale - non contrastata con efficacia e, quindi, tollerata dal datore di lavoro - della temporanea rimozione della cuffia.
5.6. Secondo la principale regola in tale materia, desumibile dall'art. 1218 c.c., spetta al creditore che agisca per il risarcimento del danno l'onere di provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento oppure che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza di legittimità successiva: ex plurimis Cass., 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743).
5.7. Nell'applicare tali principi fondamentali alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro, la Corte di Cassazione ha ritenuto, ad esempio, in caso di infortunio provocato dall'uso di unmacchinario, che il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere di dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attività svolta, nonché di avere adottato, ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28 luglio 2004, n. 14270).
5.8. Priva di rilievo giuridico é, infine, la circostanza - dedotta dalla parte-appellante a sostegno della esenzione da responsabilità, come ultimo profilo del secondo motivo di gravame - della mancata promozione dell'azione penale nei confronti del datore di lavoro, posto che la carenza di contestazione di reato ovvero di sanzioni amministrative per la violazione di norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, non preclude al Giudice del lavoro, nel diverso 'ambito della controversia civilistica, l'accertamento, in via incidentale, anche dei profili di antigiuridicità penale, qualora ciò sia essenziale per l'accertamento del danno civilistico.
6. Non é fondato il terzo motivo di gravame centrato sulla dedotta erroneità nella liquidazione in favore del sig. PI. dei danno patrimoniale nella misura di Euro 17.275,44, già liquidato dall'I.N.A.I.L. poiché - contrariamente a quanto dedotto nel ricorso in appello - non si é verificata nessuna duplicazione del danno.
6.1. In realtà la somma corrisposta dall'I.N.A.I.L. all'assicurato, sia a titolo di indennità per inabilità temporanea sia per rendita da menomazione permanente nel gradiente del 2.1% ammonta complessivamente (calcolata la rendita al valore capitalizzato) ad Euro 52.740,62;, in essa compresa sia la componente del danno patrimoniale che quella del danno biologico, indennizzato a partire dal gradiente del 6%, sicché é corretto il computo per differenza eseguito dal Tribunale, posto che l'indennizzo I.N.A.I.L. é stato, nella fattispecie in esame, integralmente sottratto dall'importo complessivo del danno biologico calcolato con i criteri civilistici (liquidato nella misura complessiva di Euro 127.598,64); in specie 127.598,64 - 52.740,62= 74858,02; 74.858,02 + 17.275,44 = 92.133,46.
6.2. Va da sé che anche a voler ritenere che la sottrazione dell'indennizzo dovesse riguardare le singole voci di danno (previo scorporo della componente patrimoniale dell'indennizzo I.N.A.I.L. rispetto a quella dell'indennizzo del danno biologico) il risultato finale non subirebbe nessuna variazione quantitativa, considerato che le voci dell'indennizzo sono comunque inferiori a quelle risarcitorie, di talché il risultato é identico anche computando il differenziale dal montante complessivo risarcitorio con sottrazione finale dell'indennizzo: 127.598,64 + 17.275,44 = 144.87408; 144874,08 - 52.740,62=92.133,46.
6.3. Infine non sussiste nessun vizio di ultrapetizione poiché nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado é chiaramente posta la domanda di risarcimento anche del danno patrimoniale (quantificato in Euro 54.616,32 alla pagina 6) di talché la generica formulazione dei quesiti posti al C.T.U., letta alla luce della domanda giudiziale, riguardava anche il computo del danno patrimoniale, correttamente eseguito poi nella motivazione della sentenza in epigrafe.
7. Non coglie nel segno l'ultimo motivo di gravame poiché - contrariamente a quanto dedotto nel ricorso in appello - ciò che rileva ai fini della speciale sospensione del corso della prescrizione, prevista nella assicurazione della responsabilità civile dall'art. 2952 c.c., comma 47, non é la tempestiva comunicazione alla Compagnia della mera denuncia di sinistro ma la tempestiva comunicazione della effettiva richiesta di risarcimento del danno avanzata dal terzo danneggiato ovvero della azione giudiziale da costui proposta.
7.1. Nella fattispecie in esame é documentato che la prima richiesta di risarcimento del danno sia stata avanzata dal PI. al P. con la missiva del 10 settembre 2005 per ottenere la liquidazione del danno alla integrità psico-fisica (grave menomazione di carattere permanente) laddove la relativa comunicazione era inoltrata alla Compagnia assicuratrice soltanto con l'atto di chiamata in causa notificato alla M. Ass. S.p.A, in data 22 gennaio 2007 a prescrizione annuale oramai già compiuta.
In conseguenza é del tutto ininfluente la comunicazione della denuncia di sinistro che non contiene la richiesta di risarcimento del danno proveniente dal terzo danneggiato, inidonea a determinare la sospensione del corso della prescrizione.
7.2. Va qui richiamato il persuasivo e condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui "In tenta di assicurazione contro i danni, la prescrizione annuale - prevista dall'art. 2952 c.c., comma 2, - del diritto dell'assicuralo all'indennizzo decorre dalla data in cui il diritto medesimo può essere esercitato e cioé dal momento del verificarsi del fatto cui esso si ricollega, occorrendo al riguardo, ai fini della idonea interruzione del termine, che venga formulata una richiesta del danneggiato all'assicuratore con un contenuto unitario, non garantendo la scissione dell'art. dal quantum una effettiva tutela dei diritti dello stesso assicurato" (Nella specie, la Cass., civ. sez. 3^, n. 24733 del 28 novembre 2007, ha confermato la sentenza di merito che, con adeguata motivazione, aveva ritenuto decorrente la prescrizione dalla richiesta giudiziale del danneggiato, non rilevando come
idonea una precedente lettera dello stesso che aveva semplicemente alluso alla possibilità di richiesta di risarcimento).
7.3. Infatti nella individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione del diritto dell'assicurato per la propria, responsabilità civile ad essere tenuto indenne dalle pretese dei terzi danneggiati, tale pronuncia ribadisce l'orientamento uniforme (cfr. Cass, civ., 22 giugno 2001, n. 8600; Cass. civ., 9 maggio 2001, n, 6426), secondo cui detto termine deve essere individuato nella data in cui, per la prima volta, in forma giudiziale o stragiudiziale, il danneggiato propone la sua richiesta all'assicurato.
Se si considera che è soltanto a partire da questo momento che il diritto dell'assicurato può essere esercitato, si deve ritenere non necessario, affinchè il termine inizi a decorrere, che il terzo danneggiato proponga azione giudiziaria (in tal senso si veda, tra le tante, Cass. civ., 22 giugno 2001, n. 8600).
7.4. Conseguenza di tale impostazione è che la comunicazione effettuata dall'assicurato al proprio assicuratore circa la richiesta di risarcimento proveniente da terzo danneggiato costituisce valido atto interrattivo della prescrizione (che rimane peraltro sospesa sino a che il credito del terzo non si prescrive, come previsto dall'art. 2952 c.c., comma 4) e non necessita, di essere riproposta nel caso in cui alla richiesta stragiudiziale ne faccia seguito una giudiziale.
7.5. Considerato che l'art. 2952 c.c., nel comma 3, nel dettare una regola specifica in tema di assicurazione per la responsabilità civile, stabilisce che "... nell'assicurazione di responsabilità civile il termine decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all'assicurato o ha promosso contro di questo l'azione" non è superfluo rilevare che tale disposizione è una applicazione del precetto generale di cui all'art. 2952 c.c., connessa al fatto che nell'assicurazione della responsabilità civile il sinistro non si identifica nel fatto materiale generatore della responsabilità dell'assicurato verso il terzo, bensì nella richiesta di risarcimento del danno da parte di quest'ultimo.
7.6. Pertanto il Tribunale non ha errato a ritenere prescritta l'azione di manleva proposta dall'assicurato con la chiamata in garanzia della Compagnia, nonostante avesse ricevuto da oltre un anno la richiesta formale e stragiudiziale di risarcimento dei danni conseguenti all'infortunio sul lavoro.
8, Alla reiezione dell'appello infondato segue la piena conferma della sentenza impugnata.
Le spese del grado sopportate dall'appellato PI., in dispositivo liquidate seguono la piena soccombenza di parte appellante a mente dell'art. 91 c.p.c., mentre nei rapporti tra appellante e appellata Compagnia la complessità della questione della individuazione dell'atto idoneo a determinare la sospensione del corso della prescrizione consente la integrale compensazione tra dette parti.

P.Q.M.


A - Respinge l'appello e conferma la sentenza impegnata;
B - condanna l'appellante alla rifusione delle spese del grado in favore dell'appellato PI. che si liquidano in Euro 931 per diritti ed Euro 2500 per onorari oltre rimborso forfetario delle spese generali di cui all'art. 14 della tariffa forense;
C - dichiara compensate per intero le spese dei grado tra appellante ed appellata.
Così deciso in Ancona, il 13 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 20 agosto 2012