Tribunale di Monza, 03 settembre 2012 - Operaio schiacciato da un'autogru e responsabilità amministrativa dell'ente



 

 

 

TRIBUNALE DI MONZA
SEZIONE PENALE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Monza - in composizione monocratica - in persona del giudice dott. Giuseppina BARBARA all'udienza del 4/6/2012, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
S E N T E N Z A


nei confronti di:
1) G.M.R., nata a Caravaggio il ..., residente a Caravaggio, Via A. B. n. 52, elettivamente domiciliata presso GES.CO.MONT s.r.l. in Caravaggio, Via A. B. n. 52, libera, contumace
difesa di fiducia dall'avv. Giuseppe MARIDATI del Foro di Bergamo e dall'avv. Luca MARIDATI del Foro di Bergamo, entrambi con studio in Treviglio, Viale De Gasperi n. 6
2) C.G.P., nato a Caravaggio il ..., residente a Caravaggio, Via B. n. 52, elettivamente domiciliato presso GES.CO.MONT s.r.l. in Caravaggio, Via A. B. n. 52, libero, assente, già presente
difesa di fiducia dall'avv. Giuseppe MARIDATI del Foro di Bergamo e dall'avv. Luca MARIDATI del Foro di Bergamo, entrambi con studio in Treviglio, Viale De Gasperi n. 6
3) GESCOMONT s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede in Caravaggio, Via A. B. n. 52, contumace difesa di fiducia dall'avv. Enrico MASTROPIETRO del Foro di Bergamo con studio in Bergamo, Via Cucchi n. 5
IMPUTATI G.M.R. e C.G.P.


a) reato p. e p. dagli artt. 113 e 589, 2 comma c.p. perchè, agendo in cooperazione colposa tra loro, la prima quale a.u. della GE.SCO.MONT. srl ed il secondo quale direttore tecnico della predetta società (datrice di lavoro del lavoratore deceduto) cagionavano, per colpa, la morte di B.I., operaio montatore alle dipendenze di GE.SCO.MONT. presso il cantiere ex Campari, ove, alla guida di un'autogru Cor. 725 S tg. ..., che aveva condotto in prossimità del cancello di uscita dal cantiere ivi arrestando la marcia, rimaneva schiacciato dalla stessa che, retrocedendo lungo la scarpata per un difetto di funzionamento del freno, lo trascinava attaccato alla cabina di guida, ribaltandosi infine sul fondo della scarpata predetta e così cagionandogli lesioni gravissime dalle quali derivava la morte;
colpa consistita in negligenza, imprudenza e imperizia e, segnatamente, nella inosservanza:
- della norma di cui all'art. 12, comma 3 D. Lgv. 494/96 in ordine al mancato rispetto del PSC (Piano di Sicurezza e Coordinamento), poichè, a fronte della previsione generale di cui alla pag. 8 dello stesso, di utilizzare esclusivamente autogru soggette a marcatura CE, consentivano l'utilizzo di un mezzo non riconducile a tale fattispecie poichè costruito in epoca antecedente al 1996;
- della norma cautelare generale di cui all'art. 2087 c.c. per non aver adottato le misure prevenzionali più idonee a tutelare la salute dei lavoratori dipendenti, consentendo l'utilizzo di una autogru con freno di stazionamento non funzionante e per non aver installato, sul vecchio tipo di autogru in uso, dispositivi di blocco automatico attivabili in caso di mancanza di pressione dell'impianto frenante;
- della norma di cui all'art. 35, comma 4 lett. c) del D.Lgv. 626/94 per non aver attuato idonea manutenzione dell'impianto frenante dell'autogru predetta;
- della norma di cui all'art. 4, comma 2 D.Lgv. 626/94 (in rel. art.  2, comma 1, lett.f-ter e art. 9, comma 1 lett. c-bis e comma 2 D.Lgv. 494/94 così come modificato dall'art. 528/99) in merito alla carenza del POS per non aver esaminato i rischi specifici connessi all'uso di un'autogru con impianto frenante di vecchia generazione, nè inserito un programma specifico di miglioramento dei livelli di sicurezza con riferimento alla problematica di un sistema frenante vetusto nonchè per aver omesso una procedura nota e vincolante con la quale si inibisse lo spostamento dell'autogru senza previo accertamento di avvenuta carica dei serbatoi d'aria a servizio dell'impianto frenante;
in Sesto S. Giovanni il 27.09.07
GE.SCO.MONT. srl
b) incolpata dell'illecito amministrativo di cui all'art. 5 lett. a ) e b) D.Lgv. 231/01 per il reato di cui al capo che precede (art. 589 c.p. in danno di B.I.), poichè commesso nel suo interesse ed a suo vantaggio, avendo omesso di adottare ed efficacemente attuare, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
in Sesto S. Giovanni il 27.09.07
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Il Pubblico Ministero: condanna di G.M.R. alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione; condanna di C.G.P. alla pena di anni 3 di reclusione; condanna di GES.CO.MONT. s.r.l. alla sanzione amministrativa pecuniaria di euro 150.000; disporsi la confisca per equivalente del profitto conseguito dalla società, pari al prezzo nell'anno 2007 di un'autogru con marcatura CE corrispondente a quella che ha cagionato l'infortunio.
La difesa di C. e G.: assoluzione di G.M.R. e di C.G.P. dal reato loro ascritto, perché il fatto non è punibile per caso fortuito; in subordine disporre una perizia sul funzionamento dell'impianto frenante dell'autogru.

La difesa di GES.CO.MONT. s.r.l.: assoluzione della società perché il fatto non sussiste.


MOTIVAZIONE


Gli imputati G.M.R. e C.G.P. e la società GES.CO.MONT s.r.l. sono stati rinviati a giudizio per rispondere del reato e dell'illecito amministrativo rispettivamente loro ascritti con decreto emesso dal Giudice per l'udienza preliminare in data 25.2.2010.
All'udienza del 22.2.2011 sono state ammesse le prove orali e documentali richieste dalle parti ed acquisiti al fascicolo del dibattimento i seguenti documenti:
produzioni del P.M.
-documentazione del Servizio 118 relativa all'intervento eseguito presso il cantiere Campari di Sesto San Giovanni e alla constatazione del decesso di B.I. in data 27.9.2007;
-verbale di sequestro dell'autogru Cor. 725S targata ... eseguito in data 27.9.2007;
-visura camerale della società GES.CO.MONT. s.r.l.;
-rilievi planimetrici e fotografici eseguiti dalla Polizia Scientifica;
-relazione di consulenza tecnica eseguita dall'ing. M.B.;
- produzioni difesa GES.CO.MONT s.r.l.:
-quietanze relative al risarcimento del danno agli eredi di B.I. da parte della compagnia assicuratrice della società;
-certificato di circolazione dell'autogru;
-fatture emesse dalla ditta "F.G." nei confronti di GESCOMONT s.r.l. in data 28.2.2007 e 31.5.2007 per interventi di riparazione sull'autogru Cor.;
-fattura emessa dalla ditta CSA nei confronti di GESCOMONT in data 20.9.2007 per un intervento di controllo dell'impianto aria dell'autogru.
Il P.M. ha rinunciato all'esame del teste B.M., medico del servizio 118, che ha constatato il decesso di B.I., nonché dei prossimi congiunti della vittima; nulla opponendo le parti, il Giudice ne ha revocato l'ammissione.
All'udienza del 22.3.2011 è stato disposto il rinvio del processo per l'adesione dei difensori all'astensione dalle udienze proclamata dall'Unione Camere Penali.
All'udienza dell'11.4.2011 si è proceduto all'esame dei testimoni N.C., O.V., M.F.V. e V.C., citati dal Pubblico Ministero, il quale ha rinunciato all'esame del teste A.P., di cui è stata revocata l'ammissione, nulla opponendo la difesa; con il consenso delle parti è stata acquisita l'annotazione di servizio datata
27.9.2007 a firma dell'Assistente di Polizia NUNZIATA; la difesa di GES.CO.MONT. s.r.l. ha prodotto la fattura n. 177/07 del 20.9.07 emessa dalla ditta CSA nei confronti della società imputata.
All'udienza del 21.6.2011 sono stati sentiti i testimoni M.I., Z.A. e S.M..
All'udienza del 3.10.2011 si è proceduto all'esame del tecnico ASL M.M. e all'acquisizione dei documenti (contrassegnati con i numeri da 1 a 20) dallo stesso citati nel corso della sua deposizione e già parte del fascicolo delle indagini preliminari; all'esito il P.M. ha rinunciato all'esame dei testi M.G. e M.R., di cui è stato revocato l'esame, nulla opponendo le difese.
All'udienza del 16.1.2012 è stato disposto il rinvio per l'assenza giustificata del consulente tecnico del P.M. ing. M.B.; la difesa GES.CO.MONT. s.r.l. ha rinunciato all'esame del teste F.G., di cui è stata revocata l'ammissione.
All'udienza del 2.4.2012 si è proceduto all'esame del consulente tecnico del P.M., ing. M.B., e del consulente tecnico della GES.CO.MONT. s.r.l., ing. P.P., acquisendo al fascicolo del dibattimento le rispettive relazioni.
All'udienza del 7.5.2012 il P.M. ha prodotto i seguenti documenti, acquisiti con il consenso delle difese:
1)nomina preposto e responsabile della sicurezza del cantiere Campari datata 5.9.2007;
2)verbale della riunione di informazione-formazione dei lavoratori datata 17.3.2007;
3)estratto del P.O.S. di GES.CO.MONT. s.r.l.;
4)estratto del P.S.C. di GES.CO.MONT. s.r.l..
Dichiarata chiusa l'istruttoria dibattimentale, le parti hanno rassegnato le rispettive conclusioni riportate in epigrafe e il processo è stato rinviato per repliche su richiesta del P.M.
All'udienza odierna il P.M. ha rinunciato alle repliche e il Tribunale ha deciso come da dispositivo. L'istruttoria dibattimentale ha consentito di ricostruire compiutamente la dinamica dell'infortunio sul lavoro nel quale perdeva la vita l'operaio I.B. e di accertare la colpevolezza degli imputati per il reato loro ascritto e la responsabilità della società GES.CO.MONT s.r.l. per l'illecito amministrativo contestato in epigrafe.


1. La dinamica dell'infortunio e le sue cause
E' emerso, infatti, che il giorno 27 settembre 2007 verso le ore 9.40 l'equipaggio della Volante Alfasesto del Commissariato di Sesto San Giovanni, composto dall'Assistente C.N. e dall'Agente A.P., veniva inviato dalla centrale operativa presso il cantiere edile sito nell'area dell'ex stabilimento Campari nella via omonima di Sesto San Giovanni, dove si era verificato poco prima un grave infortunio sul lavoro .
Sul posto gli agenti trovavano il richiedente S.M. (responsabile del cantiere e dipendente della ditta MORETTI S.p.A. di Erbusco), il quale riferiva che un operaio era rimasto schiacciato sotto un carro gru semovente.
Venivano identificati gli operai M.I. e Z.A. (dipendenti della ditta P.U. di Trezzano, incaricata dell'attività di montaggio/smontaggio dei ponteggi), i quali riferivano di avere notato verso le ore 9.45 un'autogru, condotta dal manovratore, salire la rampa sterrata, giungere nei pressi del cancello d'uscita e fermarsi a motore acceso; improvvisamente il veicolo aveva cominciato a retrocedere verso la scarpata; il manovratore aveva cercato di saltare fuori dal mezzo, ma probabilmente era rimasto incastrato con il giubbotto alla portiera ed era, quindi, strato trascinato nella scarpata, rimanendo schiacciato sotto l'autogru.
All'arrivo dei poliziotti era già presente sul posto il personale sanitario del Servizio 118 e poco dopo giungevano due automezzi dei Vigili del Fuoco di Milano.
Si procedeva, quindi, all'estrazione del cadavere, parzialmente sepolto dalla terra; lo stesso presentava il braccio destro amputato.
Alle ore 10.59 la dott.ssa B.M., in servizio presso l'ospedale Niguarda, ne constatava il decesso, dovuto a schiacciamento della volta cranica e lesioni incompatibili con la vita.
L'operaio veniva identificato in B.I. e la sua salma veniva messa a disposizione dei familiari su indicazione del Pubblico Ministero.
Gli operanti della Polizia di Stato procedevano al sequestro del carro gru marca Cor. 725S targato ...9 di proprietà della ditta GES.CO.MONT. s.r.l. con sede in Caravaggio, Via B. n. 70 . Giungeva sul posto anche personale della Polizia Scientifica della Questura di Milano, che procedeva ai rilievi tecnico-scientifici e fotografici , nonché i tecnici dell'ASL competente.
All'esito il carro gru veniva trasportato presso il deposito della ditta MERLI sito in Milano, Via P. 22.
In sede di deposizione testimoniale l'Ass. C.N. ha confermato il contenuto dell'annotazione di servizio a sua firma, precisando che al momento dell'intervento erano in corso forti precipitazioni, il terreno era fangoso e si era cercato di rimuovere rapidamente la salma per evitare che fosse completamente sepolta dal fango; l'autogru era ribaltata di fianco al terrapieno in corrispondenza della scarpata ed il corpo dell'operaio era sotto il veicolo.
Dalla "scheda d'intervento del Servizio 118" risulta che il personale sanitario ricevette la richiesta di intervento alle ore 9.36 e giunse sul posto alle ore 9.44; la dott.ssa B.M. (medico del Servizio 118 di Niguarda) constatò il decesso di B.I., annotando che lo stesso veniva rinvenuto sotto una gru, sommerso dalla terra, e presentava "lesioni incompatibili con la vita, amputazione arto sup dx, trauma da schiacciamento diffuso".
L'Assistente della Polizia di Stato A.S. (videofotosegnalatore in servizio presso il Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica per la Lombardia) interveniva sul posto alle ore 11.10 circa per effettuare i rilievi tecnici ad annotava quanto segue nella relazione di servizio a sua firma :
"Sul posto sono presenti personale dell'Ufficio richiedente, dei Vigili del Fuoco, dell'Automedica Niguarda, della A.S.L. e della Polizia Locale, il responsabile di cantiere S.M., nato a Vallate (CO) il .... Sul posto apprendevo che il B., alla guida di una autogru, per motivi da accertare, precipitava con il mezzo in una scarpata e rimaneva schiacciato al di sotto dello stesso.
Si accede al cantiere tramite un portone a due battenti utilizzato per l'ingresso di automezzi, varcata la soglia si osserva un'area di grandi dimensioni, anteriormente e sulla sinistra vi sono due stabili in costruzione, adiacente il portone di ingresso vi è un sentiero sterrato, che, essendo parte del cantiere ubicato circa 10 metri sotto il livello stradale, conduce alla parte inferiore dello stesso.
Il terreno del cantiere è bagnato per le precipitazioni a carattere piovoso avvenute durante la nottata ed in corso durante le fasi del sopralluogo.
Il sentiero dopo un breve tratto rettilineo effettua una curva verso sinistra, per poi ricurvare verso destra e permettere l' accesso alla parte inferiore del cantiere.
Il sentiero è protetto ai lati da una recinzione alta 80 cm., atta a contenere i pedoni, è formata da paletti in ferro che sorreggono un asse di compensato.
A circa 23,5 metri dall'ingresso, la recinzione si osserva abbattuta per un tratto di circa mt. 5,40, in tale tratto del sentiero, sterrato, non si osservano segni di frenata, oltre la recinzione abbattuta vi è una scarpata di circa mt. 10,5 che conduce alla porzione inferiore del cantiere, qui si osserva l'autogru condotta dal B..
L'autogru è di marca Cor. modello 725S, la stessa è priva di targa di riconoscimento e non è al momento individuabile sul mezzo un numero certo di identificazione. Veniva comunque fornito al personale presente del Commissariato il libretto di circolazione del mezzo targato ..., di proprietà della ditta "GES.CO.MONT. srl" con sede a Caravaggio (BG) in via B. nr.70.
L'autogru, a tre assi, con cabina di guida ubicata sul lato destro, si osserva coricata sul lato destro, con le ruote rivolte verso la parte posteriore del cantiere, la stessa è parzialmente sollevata da una gru dei VV.FF. che ha permesso il recupero del cadavere, la cabina di guida presenta i veri infranti, il tetto ed i montanti sono piegati verso destra, al di sotto della cabina, sul terreno, si osservano chiazze di sostanza ematica.
Il cadavere è stato adagiato da personale dei VV.FF. su una pila di passarelle metalliche, è coperto da un telo, scostandolo si osserva in posizione prona, l'arto superiore sinistro è esteso verso l'alto e poggia sulla passarella con il palmo della mano, l'arto superiore destro è amputato all'altezza dell'omero, l'emivolto destro poggia sulla passerella.
Il cadavere indossa camicia e felpa blu, jeans e scarpe da lavoro.
Il cadavere presenta varie lesioni da schiacciamento, in particolare il cranio è deformato, e l'epidermide è parzialmente scollata, il viso è imbrattato di terra e sostanza ematica.
Alle ore 17.00 circa, con ausilio di gru della ditta Marta, l'autogru veniva rimosso e posto in posizione canonica, sono stati eseguiti rilievi fotografici anche in tale posizione".
Le deposizioni testimoniali degli impiegati e operai presenti nel cantiere del momento del fatto hanno consentito di accertare la dinamica dell'infortunio.
Infatti, il geom. M.S., dipendente della MORELLI CONTRACT (impresa affidataria dell'appalto per la costruzione degli uffici della Campari) con mansioni di capocantiere, ha dichiarato che nel cantiere di Via Campari lavoravano diverse imprese in subappalto; in particolare la ditta O.C.M.L. si occupava della realizzazione delle strutture e la stessa si era rivolta alla ditta GES.CO.MONT. per il montaggio a terra di una struttura portante in ferro; l'infortunato era dipendente di GES.CO.MONT. con mansioni di operatore dell'autogru, che era stata utilizzata nei giorni precedenti al fatto per il sollevamento e l'assemblaggio delle parti della struttura.
Poiché quel lavoro era terminato, la mattina del 27 settembre 2007 l'operaio stava andando via con l'autogru, portandola fuori dal cantiere.
Il teste ha precisato che quella mattina si trovava in cantiere, ma non sul posto in cui si è verificato l'infortunio; è stato avvisato dagli altri operai ed ha telefonato alla Polizia.
Ha visto personalmente l'autogru ribaltata sulla rampa in terra battuta, che portava dal livello di cantiere alla strada, collocata circa otto metri più in alto; la cabina di guida era sotto l'automezzo; l'operaio era coperto dalla macchina e dalla terra, ma lui aveva intravisto la sua mano che si muoveva. Gli altri operai gli avevano riferito che l'autogru era ferma nei pressi del cancello di uscita, in attesa di immettersi su Via Campari; l'autista era sceso per salutare i colleghi, quando il mezzo aveva cominciato a indietreggiare; B. probabilmente era salito per arrestarla, ma la macchina aveva continuato a
scivolare verso la scarpata; non sa per quale motivo l'autogru non è stata fermata.
Rileva il Tribunale che solo S., che, peraltro, è un teste de relato riferisce che l'autista era sceso dall'autogru nei pressi del cancello; tutti gli altri testimoni, invece, hanno riferito che lo stesso è rimasto a bordo.
Il teste V.I. , dipendente di GES.CO.MONT. s.r.l. con la qualifica di operaio specializzato e mansioni di operatore di macchine di cantiere, ha ricordato che B.I. quella mattina aveva ricevuto una telefonata da C.G.P., direttore tecnico della società, il quale gli aveva ordinato di portare la gru fuori dal cantiere, perché sarebbe giunto un automezzo a prelevarla.
B., che era da sempre il gruista della società, si era messo alla guida del mezzo ed aveva risalito la rampa che portava all'uscita.
Giunto in cima, B. aveva detto ai colleghi S.M., P.F., M.F. e al figlio di quest'ultimo di mettere i cunei sotto le ruote della gru; B. era rimasto all'interno della cabina, mentre lui era uscito dal cantiere per verificare sulla strada dove fosse possibile parcheggiare l'autogru.
Improvvisamente aveva sentito urlare "No! No! No!" ed aveva visto la gru muoversi all'indietro lungo la rampa e B. saltare dalla cabina dell'autogru, ma il mezzo si era ribaltato e lo aveva schiacciato, trascinandolo verso il basso.
Il teste ha precisato di avere visto il collega saltare, ma che lo stesso non aveva fatto in tempo, perché la gru si stava già ribaltando e lo aveva messo sotto.
Successivamente S.M. gli aveva riferito che B. gli aveva chiesto di togliere i "tozzetti" messi sotto le ruote, perché voleva posizionare meglio la gru verso l'uscita.
A fronte della contestazione da parte del P.M. delle dichiarazioni rese ai tecnici dell'ASL in data 19.10.20007 in cui aveva riferito di avere posizionato, insieme ai colleghi S. e M., gli "stocchetti di legno" dietro le ruote, senza, peraltro, riferire che gli stessi poi erano stati tolti, il teste ha dichiarato di non ricordare se anche lui avesse posizionato gli "stocchetti" o solo i colleghi, ma certamente di non essere stato lui a toglierli.
A domande della difesa il teste ha precisato che solitamente gli "stocchetti" venivano messi per sicurezza su richiesta del gruista; peraltro la gru solitamente lavorava su un terreno piano e, quindi, non c'era bisogno di mettere gli "stocchetti".
I. ha ricordato che il giorno dell'infortunio stava piovendo e forse per questa ragione il direttore tecnico aveva chiesto a B. di portare la gru fuori dal cantiere, in quanto il camion probabilmente non sarebbe riuscito a risalire la rampa, lunga circa cento metri, con la gru a bordo.
Infine il teste ha dichiarato di non sapere quanto tempo abbia impiegato la gru per risalire la rampa e che il motore dell'autogru era rimasto acceso quando il mezzo era giunto in cima.
Di analogo tenore le dichiarazioni rese dal teste F.S.M. , dipendente di GES.CO.MONT. s.r.l. con mansioni di operaio saldatore, il quale ha ricordato che la mattina del 27 settembre 2007 nel cantiere Campari di Sesto San Giovanni pioveva. Su incarico di C., il gruista B. era salito con l'autogru lungo la rampa fino al cancello, perché il "carrellone" non riusciva a scendere sul fondo del cantiere per caricare il pesante mezzo.
Giunto in cima alla rampa, B. si era fermato ed aveva chiesto a lui e agli altri operai di mettere dei pezzi di legno sotto le ruote per "mantenere la gru in sicurezza"; lui stesso aveva messo questi "stecchetti di legno" sotto le quattro ruote (anteriori e posteriori).
Alla contestazione del P.M. del contenuto delle dichiarazioni parzialmente difformi rese ai tecnici dell'ASL in data 19.10.2007 - "qualcuno, di preciso non ricordo chi, ha messo degli stecchetti di legno dietro le ruote per sicurezza" - il teste ha dichiarato di non ricordare cosa fosse successo e, in particolare, chi avesse prima messo e poi tolto gli "stocchetti", aggiungendo che lui era andato sulla strada per fermare le autovetture e consentire alla gru di uscire dal cantiere e salire sul "carrone", quando aveva visto la
gru muoversi all'indietro lungo la rampa; aveva urlato "no! no! no!", perché aveva capito subito che stava succedendo qualcosa di grave e che B. era in pericolo, perché era dentro la cabina; si era voltato verso la strada per non vedere cosa stava per accadere; la gru si era ribaltata sulla scarpata.
Poiché B. non si vedeva, perché era sepolto dal terreno, avevano cominciato a scavare con le mani nella ghiaia, fino a quando avevano trovato un braccio; a quel punto lui si era allontanato.
A domanda della difesa, M. ha dichiarato che era la prima volta che B. chiedeva loro di mettere gli stocchetti dietro alle ruote ed ha ribadito di non ricordare chi li avesse messi.
Il teste ha precisato che aveva piovuto molto e la gru per salire la rampa aveva impiegato all'incirca cinque minuti; non ricorda se la gru fosse rimasta vicina al cancello con il motore acceso.
M. ha, infine, chiarito che C., marito della titolare signora G., era per lui e per gli altri dipendenti "il datore di lavoro, il principale, l'azionista".
Anche S.M. , altro dipendente di GES.CO.MONT. s.r.l. con mansioni di montatore e carpentiere, ha dichiarato di essere stato presente al momento dell'infortunio in cui ha perso la vita il collega I.B., il quale, aveva condotto l'autogru in cima alla rampa per farla uscire dal cantiere, su richiesta del sig. C.. Arrivato in cima, B. si era fermato vicino al cancello ed aveva chiesto a lui, a I.V. e a M. Francesco di mettere sotto le quattro ruote i "tocchi" di legno, che si trovavano a bordo dell'autogru. Lui, IONICA e gli altri avevano posto i "tocchi" sotto le ruote anteriori e posteriori e I. era andato sulla strada per trovare un posto, dove la gru potesse sostare. A quel punto B. aveva chiesto a lui di togliere i quattro "tocchetti" per poter fare la manovra di uscita, cosa che lui aveva fatto, facendo il giro dell'autogru.
B. aveva iniziato la manovra, arretrando, ma poi si era accorto di essere vicino alla scarpata ed aveva cercato di saltare fuori dalla cabina, ma non aveva fatto in tempo, perché la gru si era ribaltata e lui era rimasto schiacciato.
Il teste ha precisato che il motore dell'autogru era rimasto sempre acceso.
Le dichiarazioni di S., I. e M. (ancora oggi dipendenti della società incolpata) in ordine alla collocazione sotto le ruote dell'autogru di dispositivi di blocco (finalizzati ad evitare lo scivolamento dell'automezzo lungo la rampa) appaiono al Tribunale confuse e contraddittorie, sia tra loro che rispetto a quanto dichiarato dalle medesime persone ai tecnici dell'ASL durante le indagini preliminari.
Le stesse, poi, sono inequivocabilmente smentite dalle testimonianze di altri due operai, presenti sul cantiere al momento del fatto, e non legate da alcun rapporto lavorativo con gli imputati e con la GES.CO.MONT s.r.l.
Infatti, Z.A. , dipendente della ditta P.U., ha riferito che al momento dell'infortunio stava smontando un ponteggio all'interno del cantiere; aveva visto l'autogru salire fino al cancello e fermarsi; poi il mezzo aveva cominciato a muoversi all'indietro ed era arrivato vicino al "buco" (ndr.: la scarpata chiaramente visibile nelle fotografie in atti); la gru aveva iniziato a ribaltarsi e l'autista aveva cercato di uscire, ma il suo giubbino era rimasto impigliato e l'operaio ero stato schiacciato.
Il teste ha precisato che in cima alla rampa, vicino al cancello, l'autista non era sceso dal mezzo; vicino non c'erano altre persone e nessuno aveva messo nulla sotto le ruote.
Z. ha ricordato che l'autogru era salita lungo la rampa lentamente, impiegando circa dieci minuti per arrivare in cima e che il motore era rimasto acceso.
Ha, infine, precisato che la gru era molto vecchia e che l'autista per riuscire a girare il volante doveva stare in piedi ed esercitare molta forza.
Anche il teste M.I. , dipendente della ditta P.U. con mansioni di "pontista", ha riferito di avere visto la gru salire sulla strada sterrata, arrivare vicino all'uscita e poi tornare indietro; l'autista aveva aperto lo sportello per fuggire, ma la sua giacca si era impigliata; la gru si era ribaltata, cadendogli addosso e schiacciandolo.
Il teste ha dichiarato di non avere visto altri operai fare qualcosa vicino alla gru, mentre la stessa era ferma.
Ritiene, pertanto, il Tribunale che non sia stata affatto provata la circostanza che l'autogru fosse dotata di dispositivi blocca ruote (cunei, stocchetti o pezzi di legno, come definiti da alcuni operai) e che gli stessi fossero stati collocati sotto le ruote del mezzo, mentre lo stesso era fermo in prossimità del cancello d'uscita in attesa di immettersi sulla pubblica via, salvo essere tolti subito dopo su richiesta dello stesso B..
Depongono in senso opposto le testimonianze di M.I. e Z.A., i quali non videro gli operai della GES.CO.MONT. s.r.l. collocare alcunché sotto le ruote dell'autogru, e la circostanza che nessun dispositivo (cuneo in legno, stocchetto o altro) fu trovato dai tecnici dell'ASL e dagli agenti di polizia né in prossimità del cancello, né lungo il sentiero sterrato o nella scarpata, nei pressi o sotto o a bordo dell'autogru.
Peraltro, l'assenza di quei dispositivi in dotazione all'automezzo è plausibile alla luce di quanto dichiarato dai testi I.V. e M. Francesco Salvatore in ordine al fatto che era la prima volta che B. chiedeva loro di collocare gli "stocchetti" sotto le ruote: se i cunei blocca ruote fossero realmente esistiti e fossero stati utilizzati quale dispositivo di sicurezza, certamente ci sarebbero state altre occasioni, in tanti anni di comune lavoro, in cui il gruista avrebbe chiesto ai colleghi di collocarli sotto le ruote.
Infine osserva il Tribunale che, anche a voler ritenere rispondente al vero la confusa e contraddittoria ricostruzione fornita in dibattimento dai dipendenti della GES.CO.MONT., gli "stocchetti", descritti dagli operai come degli "stecchetti di legno", comunque non sarebbero stati un idoneo dispositivo di sicurezza, in grado di bloccare su un terreno in pendenza e fangoso un automezzo di quelle dimensioni e peso.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale è stato affrontato anche il tema delle condizioni dell'autogru Cor., che ha causato l'infortunio: è emerso che trattasi di mezzo vetusto, immatricolato in data 23.9.1994 e non conforme alla normativa vigente ; la macchina era stata sottoposta ad una serie di interventi di manutenzione, anche recenti, ma che non avevano riguardato l'impianto frenante.
Sul punto, infatti, il teste V.C. , dipendente della ditta "Centro Soldera Autogru" con sede a Solza, ha precisato di avere effettuato nell'anno 2007 alcuni interventi di manutenzione su un'autogru di proprietà della GES.CO.MONT. s.r.l. presso il cantiere Campari di Sesto San Giovanni.
Ha ricordato in particolare la sostituzione di un tubo dell'aria qualche tempo prima dell'infortunio: in quella circostanza il gruista presente in loco gli aveva spiegato che non riusciva a lavorare con il braccio della gru per mancanza di aria nell'impianto; aveva effettivamente riscontrato una perdita sull'impianto di movimentazione del braccio della gru e dell'argano ed aveva risolto il problema, sostituendo il pezzo. Il teste ha precisato che il suo intervento non aveva interessato l'impianto frenante, in quanto, pur funzionando lo stesso ad aria compressa, si tratta di un circuito diverso da quello che muove il braccio e l'argano: precisamente c'è un unico compressore, ma più serbatoi (due o tre) che alimentano i differenti sistemi, che funzionano in modo autonomo.
Dalla documentazione acquisita risulta che la ditta "CSA Centro Soldera Autogru s.r.l." eseguì il predetto intervento di manutenzione nei giorni 13 e 14 settembre 2007, provvedendo prima allo smontaggio di un tubo dell'aria e poi alla sua sostituzione con un pezzo nuovo, emettendo il successivo 20 settembre la fattura n. 107/07 dell'importo di euro 494,00 + IVA.
Anche dalle altre fatture prodotte dalla difesa della società incolpata non risulta alcun intervento manutentivo avente ad oggetto l'impianto frenante.
La dinamica del sinistro e le cause dello stesso sono state dettagliatamente ricostruite attraverso la testimonianza del tecnico dell'ASL M.M. e la documentazione alla quale lo stesso ha fatto riferimento nel corso del suo esame.
M. ha precisato che l'autogru, del peso di 30 tonnellate, di proprietà della GES.CO.MONT. s.r.l., era stata utilizzata per montare e collocare la struttura metallica ben visibile nella fotografia n. 1 (doc. 1). Il giorno dell'infortunio il lavoro era terminato e la gru doveva essere trasportata altrove; per tale motivo aveva risalito la rampa sterrata - avente una pendenza del 12,9 % - sino all'uscita, dove sarebbe stata caricata su un automezzo.
La gru aveva seguito il percorso contrassegnato da una linea rossa nella fotografia n. 1 (doc. 1).
In prossimità del cancello il terreno non era pianeggiante, ma aveva una pendenza del 6,5 % (fotografia di cui al doc. 2)
La gru era salita in retromarcia, perché in tal modo la manovra era più agevole.
Arrivato di fronte al cancello, il mezzo era arretrato, arrivando sul ciglio della scarpata, sfondando la palizzata e ribaltandosi (fotografie di cui ai doc. 3 e 4).
M. ha evidenziato come sul terreno ci fossero le tracce degli pneumatici, il che vuol dire che non vi era stato scivolamento, ma che le ruote avevano girato a vuoto (fotografia di cui al doc. 3).
A seguito della caduta la cabina di guida era stata completamente schiacciata (fotografia di cui al doc. 5).
Al loro arrivo il conducente del mezzo era stato già estratto dal personale sanitario, che ne aveva constatato il decesso; lo stesso era privo di un braccio.
M. ha precisato che vi erano diverse ragioni per le quali il mezzo poteva essere retrocesso:
1)non erano stati messi i cunei blocca ruote;
2)non era stato azionato il cambio in senso opposto al senso di marcia;
3)il freno a pedale non era stato azionato o era inefficiente;
4)il freno di stazionamento non era stato azionato o era inefficiente.
Quanto al primo punto, il teste ha ricordato che l'art. 353 del Regolamento del Codice della Strada prevede che su pendenze pericolose i veicoli di peso superiore a 3,5 tonnellate devono essere dotati di cunei blocca ruote.
Poiché l'autogru in questione pesa 30 tonnellate e si era mossa su un terreno con pendenza del 12,5 % (quindi pericolosa), avrebbe dovuto esserne dotata, ma ne era priva: avevano cercato i cunei blocca ruote sull'automezzo, nei pressi del cancello, lungo la rampa, nella scarpata, ma non li avevano trovati. Dopo avere raccolto nei giorni successivi le dichiarazioni di tre operai, che parlavano della presenza di "stocchetti" in legno, avevano anche controllato dettagliatamente tutte le fotografie scattate durante il sopralluogo, non rilevando comunque la presenza dei cunei predetti.
M. ha precisato che, comunque, se anche fossero stati utilizzati questi "stocchetti", descritti dagli operai come pezzi di legno di 10-12 centimetri, si sarebbe trattato di un'attrezzatura impropria e inadeguata, rispetto ai cunei blocca ruote previsti dalla normativa.
Con riguardo al secondo punto, M. ha dichiarato di avere partecipato agli accertamenti tecnici eseguiti dall'ing. B. (consulente del P.M.), il quale aveva constatato che il cambio dell'automezzo era in folle. Ciè è plausibile in quanto l'esperienza insegna che, se si vuole arrestare un mezzo, istintivamente si schiaccia il freno a pedale e poi si tira il freno a mano; solo dopo avere verificato che queste manovre
non hanno effetto, si tenta di inserire la marcia, ma è estremamente difficile su un mezzo in movimento mettere una marcia in senso contrario per cercare di arrestarlo.
Nel caso di specie, considerato che l'autogru era salita in retromarcia, il movimento verso la scarpata
era in avanti e, quindi, l'autista avrebbe dovuto inserire la marcia indietro; ammesso che ne abbia avuto il tempo, era comunque un'operazione oltremodo difficile e ciò potrebbe spiegare perché il cambio è stato trovato in folle.
Con riguardo al terzo punto (mancato azionamento o malfunzionamento del freno a pedale), M. ha spiegato che l'impianto frenante a pedale dell'autogru si basa su un circuito pneumatico, costituito da tre circuiti indipendenti, che agiscono sulle sei ruote e sono collegati a tre serbatoi di aria compressa; ciascun serbatoio deve raggiungere una pressione di 6 bar perché l'impianto frenante funzioni.
Le norme tecniche prevedono che un compressore pienamente efficiente impieghi dai 6 agli 8 minuti per raggiungere la pressione di 6 bar.
Peraltro, mentre gli automezzi recenti sono progettati e costruiti in modo tale che la macchina non si muova fino a quando la pressione dell'impianto frenante non ha raggiunto il livello che ne consente il funzionamento - è presente un dispositivo che blocca le ganasce fino a quando l'impianto frenante non è carico - quell'autogru, costruita nel 1971, non è dotata di questo dispositivo di sicurezza e, pertanto, si muove anche con l'impianto frenante scarico.
M. ha, altresì, posto in evidenza che nel manuale d'uso e manutenzione dell'automezzo (doc. 8 e 9) è riportato lo schema del cruscotto, sul quale si trovano i manometri che indicano la pressione dei tre serbatoi dell'impianto del freno a pedale.
La norma tecnica UNI ISO 3450 del 21.3.1997 (doc. n. 9) - vigente all'epoca del fatto e poi sostituita nel 2009, ma non modificata sul punto specifico - stabilisce che ci deve essere a bordo macchina un segnalatore di allarme, se non c'è pressione all'interno dei serbatoi, e che gli indicatori di pressione, quali i manometri, non assolvono il requisito di allarme.
La legenda delle indicazioni del cruscotto dell'autogru Cor. non individua alcun elemento come specifico allarme per la mancata pressione dell'impianto frenante.
Peraltro già la direttiva CEE del 26.7.1971 n. 71320 prevedeva lo stesso tipo di dispositivi (doc. 10).
Nel caso di specie non c'era, quindi, un segnale di allarme, come previsto dalla direttiva CEE del 1971 e dalla norma tecnica del 1997, che avvisasse il conducente della carenza di pressione nei serbatoi, non essendo sufficiente a tal fine la presenza sul cruscotto dei soli manometri: sotto questo profilo c'è stata, dunque, una carenza di informazione al lavoratore.
E' stata poi riscontrata un'ulteriore carenza sempre nel dispositivo del freno a pedale: i mezzi costruiti all'inizio degli anni 2000 hanno una "sicurezza attiva", cioè una molla che blocca le ganasce, se non c'è pressione sufficiente nei serbatoi, ed impedisce alle ruote di girare; conseguentemente è impossibile che il mezzo parta con i serbatoi scarichi o parzialmente carichi e con l'impianto frenante non funzionante. L'autogru Cor. del 1971 avrebbe potuto e dovuto essere adeguata, con un intervento tecnico sull'impianto frenante, in ottemperanza a quanto previsto dalla direttiva CEE 91/422 (doc. n. 11), che stabilisce che i mezzi con circuito a pressione siano dotati di un freno a molla che blocca le ganasce. Peraltro, anche la direttiva CEE 98/12 del 27.1.1998 (doc. nn. 12 e 13), recepita dal nostro Paese in data 4.8.98, prevede che i mezzi preesistenti per essere omologati e poter circolare in ambito comunitario a partire dal 31.3.2001 debbano essere obbligatoriamente dotati di una sicurezza attiva, come quella appena descritta.
In ragione di ciò, l'autogru in questione non era a norma sia in relazione alla normativa tecnica speciale che in relazione all'art. 3 dell'allora vigente D. L.vo 626/94, che impone al datore di lavoro di sostituire macchinari pericolosi con macchine non pericolose o quantomeno meno pericolose per la salute del lavoratore.
Ciò premesso, M. ha evidenziato che probabilmente l'automezzo è partito immediatamente per salire la rampa, senza attendere il caricamento dei serbatoi dell'impianto frenante; se la pressione non aveva ancora raggiunto i 6 bar, l'impianto frenante era inefficiente e, quindi, l'eventuale frenata operata dal gruista con il freno a pedale non ha avuto alcun effetto.
La rampa era lunga 87 metri e il mezzo è salito lentamente, impiegando qualche minuto (circa tre), e, quindi, durante il tragitto i serbatoi non hanno avuto il tempo di caricarsi completamente, raggiungendo la pressione di 6 bar, necessaria affinché l'impianto frenante funzionasse.
Con riguardo al freno di stazionamento (o freno a mano), M. ha precisato che il Codice della Strada e la direttiva CEE n. 71320 del 26.7.1971 (doc. nn. 14 e 15) sanciscono che questo dispositivo deve essere in grado di mantenere immobile il mezzo su una pendenza del 18 %; la norma tecnica UNI ISO 3450 del 21.3.1997 (doc. n. 16) richiede che il freno a mano garantisca la sosta sicura del veicolo su una pendenza del 15 o del 20 % a seconda della tipologia del mezzo.
Poiché il terreno di fronte al cancello aveva una pendenza del 6,5 %, il freno a mano avrebbe dovuto mantenere il mezzo stabile anche senza l'utilizzo dei cunei bloccaruote.
Per tale ragione insieme al consulente tecnico del P.M. hanno verificato se il freno di stazionamento funzionasse ed hanno così riscontrato la mancanza di un perno di collegamento con le ganasce; inoltre
la leva del freno non rimaneva in posizione alzata e, una volta tirata, ritornava nella situazione di riposo. Hanno constatato che, tirando la leva del freno a mano, le ganasce non si muovevano e che il perno mancante (vedi foto di cui al doc. 17) era proprio quello del leverismo di collegamento con le ganasce, come risultante dal manuale d'uso e manutenzione del mezzo (vedi foto di cui al doc. 18).
Hanno, peraltro, escluso che il perno potesse essere fuoriuscito durante l'incidente, perché il suo alloggiamento non presentava tracce di sfregatura recente, il che è compatibile con una sua assenza risalente nel tempo, e perché tutta quell'area e, in particolare quel meccanismo, era integro e non presentava segni di colpi o danneggiamenti riconducibili al ribaltamento dell'automezzo. Alla luce di ciò, M. ha concluso che il freno di stazionamento non era funzionante.
Il tecnico dell'ASL ha chiarito anche che l'autogru Cor. non era dotata di un altro dispositivo di sicurezza oggi in commercio ad un presso irrisorio (23,00 euro + IVA), che aziona il clacson nel caso in cui il conducente scenda dal mezzo senza tirare il freno a mano (si veda il doc. 19): questo strumento è molto diffuso ed utilizzato soprattutto per le autogru.
Con riguardo alla dinamica del sinistro, il teste ha ribadito che il terreno era fangoso, perché aveva piovuto abbondantemente e al momento del fatto stava ancora piovendo; la gru, però, non è scivolata - fatto che avrebbe reso ininfluente l'azionamento del freno a mano e/o a pedale - ma le ruote hanno ruotato verso la scarpata, lasciando tracce evidenti degli pneumatici sul terreno fino alla scarpata, come ben visibile dalle fotografie in atti.
Il mezzo è salito in retromarcia, con la cabina in posizione posteriore: ciò in quanto, avendo la rampa una pendenza significativa, la salita era più agevole con la marcia ridotta, tenuto conto anche del fatto che la cabina di guida era girevole e, quindi, l'autista guardava comunque avanti verso il cancello d'uscita.
M. ha precisato di avere acquisito l'estratto del libro matricola, da cui risulta che I.B. lavorava per
GES.CO.MONT. s.r.l. dal 14 marzo 1998.
Il teste ha chiarito che l'indicazione di far salire la gru e di non far scendere il rimorchio era corretta, in quanto il rimorchio probabilmente avrebbe avuto difficoltà a risalire su quella pendenza e con il terreno reso fangoso dalla pioggia, mentre l'autogru aveva la potenza necessaria ad effettuare la salita.
M. ha poi evidenziato che dall'indagine sono emersi altri elementi indicativi di una generale incuria rispetto alla tematica della sicurezza, pur non essendo causalmente connessi all'infortunio: ad esempio i serbatoi erano privi di una valvola di sicurezza, che avrebbe dovuto bloccare la pressione al raggiungimento di 7,5 bar; o ancora l'autogru era priva di marcatura CE, nonostante l'art. 8 del Piano di Sicurezza e Coordinamento prevedesse che in cantiere operassero solamente attrezzature omologate e marcate CE.
Non è stata poi fornita alcuna documentazione attestante la frequenza da parte dell'infortunato di corsi di formazione relativi all'uso in sicurezza di quel mezzo; è stata acquisita solo la patente di categoria C del defunto, che, perè, è soltanto un atto abilitativo alla guida di quella tipologia di mezzi, ma non comporta una formazione specifica in materia di sicurezza sul lavoro e di prevenzione infortuni nell'uso di quell'automezzo.
Con riguardo ai ruoli degli imputati, dalla visura camerale è emerso che G.M.R. era il legale rappresentante di GES.CO.MONT. s.r.l., mentre il marito C. Giovanni Fabio era il direttore tecnico.
In sede di controesame, M. ha precisato che nell'immediatezza del fatto nessun operaio aveva parlato della collocazione di "stocchetti" sotto le ruote; la circostanza è emersa solo nei giorni successivi in sede di raccolta delle sommarie informazioni testimoniali; avevano a quel punto nuovamente verificato lo stato dei luoghi, analizzando le fotografie scattate al momento del fatto, senza rilevare la presenza di "stocchetti" o di altri oggetti che potessero essere cunei blocca ruote, già non rinvenuti al momento del sopralluogo subito dopo l'evento.
M. ha precisato che le assi di legno visibili nella fotografia n. 5 in atti sotto la cabina dell'autogru erano stati utilizzati come leve per sollevare la cabina ed estrarre il corpo dell'autista.
Il teste ha poi ribadito che quell'automezzo, avendo il freno di stazionamento non funzionante, non avrebbe dovuto essere movimentato.
Avevano chiesto all'azienda l'esibizione del registro degli interventi di manutenzione sull'auto gru Cor. ed erano state loro fornite alcune fatture relative ad un intervento su un circuito pneumatico ; non risultavano eseguiti interventi di manutenzione sul freno a mano, che è un impianto meccanico.
Il mezzo era soggetto a revisione periodica ai fini della circolazione su strada, mentre la revisione ai fini della sicurezza veniva fatta soltanto sull'albero della gru; non è stata fornita documentazione comprovante una periodica verifica dell'autogru ai fini della sicurezza, ma solo le fatture relative a singoli interventi di manutenzione.
M. ha, infine, posto in evidenza che, in sede di valutazione dei rischi, il datore di lavoro avrebbe dovuto valutare tutti i rischi connessi all'utilizzo di un mezzo vetusto come l'autogru Cor., ma ciò non è stato fatto. Quel mezzo, con opportune migliorie tecniche, avrebbe potuto continuare ad essere utilizzato.
La ricostruzione effettuazione dai tecnici dell'ASL ha trovato conferma nella consulenza tecnica disposta dal Pubblico Ministero.
Infatti, l'ing. M.B. ha spiegato che l'incidente si è verificato perché l'autogru saliva dal fondo di uno scavo per essere caricata su un altro automezzo; arrivata vicino all'uscita, l'autogru è tornata indietro verso la scarpata; l'autista ha cercato di scendere ed è stato schiacciato dal mezzo, che si è ribaltato.
E' stato, quindi, fondamentale accertare perché l'autogru non abbia frenato e non sia riuscita a fermarsi. Sono stati fatti gli accertamenti tecnici, esaminando il mezzo e smontando le parti che era necessario analizzare nel dettaglio.
E' stato così accertato che il freno di stazionamento non funzionava, in quanto, azionando la leva presente in cabina, le due ganasce non bloccavano l'albero motore.
Sul punto l'ing. B. ha ribadito quanto già evidenziato alle pag. 8 e ss. della relazione di consulenza tecnica, a seguito del primo sopralluogo eseguito in data 5.12.2007 alla presenza del tecnico dell'ASL M.M.:
"In occasione del sopralluogo si è fotografato il veicolo e si è constatato che il freno di stazionamento non era funzionante: tirando la leva del freno a mano posta in cabina le ganasce poste sull'albero di trasmissione non si serravano.
E' stato possibile apprezzare il malfunzionamento del dispositivo meccanico, osservando il movimento dei leverismi dalla "buca" del deposito posto sotto il mezzo.
Analizzando i leverismi del dispositivo in posizione di "riposo" ed in posizione "tirato" si apprezzava il movimento della tiranteria cui però non corrispondeva un movimento delle ganasce.
Il serraggio delle ganasce sull'albero di trasmissione non avveniva, in quanto una coppiglia del leverismo era mancante e comportava quindi una interruzione della catena cinematica.
Infine si constatava che la leva di azionamento del freno a mano posta in cabina non rimaneva in posizione "tirata" se rilasciata dall'operatore."
L'ing. B. ha spiegato nel corso della sua deposizione che quest'ultimo era un difetto palese, perché la leva del freno a mano non rimaneva in posizione tirata, ma ricadeva giù.
Il consulente ha precisato che tutti i successivi accertamenti sono stati effettuati in contraddittorio con i consulenti tecnici degli imputati, in quanto atti irripetibili, ed hanno avuto luogo in data 23 gennaio 2008 e 28 febbraio 2008, come illustrato alle pagine 11 e ss. della relazione di consulenza:
" Secondo sopralluogo
In particolare si è constatato che:
- La leva di azionamento del freno di stazionamento non rimane bloccata in posizione frenata
- Le ganasce che agiscono sull'albero cardanico di trasmissione non serrano
- La mancanza di una coppiglia su un perno del leverismo di azionamento ganasce
- Il cambio dell'autogru è in posizione di folle. Terzo sopralluogo.
Si è provveduto allo smontaggio del gruppo distributore dell'impianto frenante per una successiva analisi su banco prova (foto nn. 10, 11 e 12).
Successivamente ci si è recati presso la ditta CSA di Solza (Bg) dove si è effettuata una prova di frenata di un'autogru simile a quella in oggetto mediante l'utilizzo del solo freno di stazionamento.
(omissis)
La macchina è dotata di quattro sistemi di frenatura:
-frenatura a pedale del tipo pneumatico, agente sulle sei ruote.
-Freno a mano neccanico agente sulla trasmissione.
-Comando a mano del freno pneumatico per cantiere.
-Frenatura ausiliaria del motore, mediante chiusura del tubo di scarico ed annullamento della porta della pompa iniezione con disinnesto automatico."
Il consulente tecnico del P.M. ha spiegato che nella vicenda in oggetto rilevano solo i primi due impianti, in quanto il freno pneumatico per cantiere è relativo all'utilizzo della macchina in cantiere, mentre il quarto riguarda il freno motore.
Per tale motivo, avendo accertato che il freno di stazionamento non funzionava, si è verificato se fosse efficiente il sistema frenante ad aria.
L'ing. B. ha illustrato il sistema frenante di servizio dei mezzi pesanti, che sono dotati di un compressore, che carica un serbatoio ad aria compressa, dal quale l'aria viene poi distribuita su altri quattro serbatoi più piccoli, ciascuno posto a corredo delle ganasce sulle quattro ruote.
Nel caso di specie, per capire se questa catena di distribuzione fosse funzionante, ha proceduto a smontare il distributore al fine di verificare se l'aria compressa arrivasse ai freni.
All'esito di questo accertamento non sono stati rilevati malfunzionamenti.
Si è, però, accertato che questo tipo di mezzo, immatricolato nel 1971, era privo del dispositivo di sicurezza che attualmente è montato obbligatoriamente su questi mezzi e che blocca i freni e non consente al veicolo di muoversi fino a quando il serbatoio dell'aria non è carico.
Sul punto alle pagg. 20 e ss. della relazione di consulenza tecnica l'ing. B. ha evidenziato che:
"Nei mezzi pesanti relativamente moderni il sistema funziona in modo tale che fino a quando non si è raggiunta la pressione di esercizio nei serbatoi (6 bar) i freni rimangono bloccati cosicché non è possibile muovere il mezzo.
Nel mezzo in oggetto, invece, costruito nel 1971, l'impianto frenante non è efficace (non è possibile frenare il mezzo) fino a quando i serbatoi non hanno raggiunto la pressione di esercizio.
Il giorno 22 febbraio 2008 si sono svolte alcune prove volte a verificare il funzionamento del distributore.
Se il distributore non avesse funzionato correttamente, l'operatore dell'autogru non avrebbe potuto accorgersi del problema all'impianto frenante.
Nel caso invece di malfunzionamenti in altri componenti (come il compressore o le tubazioni) i manometri installati sul cruscotto in cabina avrebbero segnalato al conducente la bassa pressione nei serbatoi di accumulo dell'aria compressa.
(omissis)
I test eseguiti hanno mostrato:
-corretto funzionamento del dispositivo che, sollecitando il pedale del freno, consentiva l'invio di aria compressa ai freni
-non funzionamento della valvola di massima pressione che nonostante la dicitura sul componente indicasse una pressione massima di 7,5 bar non è entrata in funzione alla pressione massima raggiunta nel corso della prova di circa 11 bar
-non funzionamento della valvola di sicurezza".
L'ing. B. ha spiegato in udienza che sull'automezzo Cor. le valvole di sicurezza dei serbatoi dell'aria compressa erano "starate"; ciò, però, non ha avuto rilievo nella dinamica dell'infortunio. L'altro accertamento effettuato ha riguardato l'incidenza del malfunzionamento del freno di stazionamento ed è consistito nell'eseguire una prova con un mezzo analogo a quello coinvolto
nell'infortunio al fine di verificare se un freno di stazionamento funzionante sarebbe riuscito ad arrestare il mezzo su una pendenza analoga.
La prova eseguita ha dimostrato che in questo caso il mezzo ha rallentato, ma non si è bloccato.
In ragione di ciò, se il freno di stazionamento dell'autogru fosse stato funzionante, lo scivolamento all'indietro del mezzo sarebbe stato rallentato e forse la dinamica sarebbe cambiata: l'autista non sarebbe saltato fuori dalla cabina, ma sarebbe rimasto probabilmente dentro, conducendo il mezzo rallentato in fondo alla base del cantiere.
Il consulente tecnico ha precisato che a suo parere non sarebbe stato possibile - se non con interventi stravolgenti la meccanica del mezzo e così costosi da rendere più conveniente la sostituzione dell'automezzo con uno nuovo o seminuovo - montare sull'autogru Cor. in oggetto il dispositivo di sicurezza, installato sui mezzi più recenti, che blocca le ganasce ed impedisce il movimento fin quando l'impianto frenante ad aria compressa non è carico.
A fronte di ciò, però, sarebbe stata doverosa un'adeguata informazione all'autista in ordine al fatto di non partire prima di un certo periodo di tempo ed avrebbe dovuto essere adottata una procedura vincolante di uso del mezzo, che comportasse l'attesa del tempo necessario al caricamento dei serbatoi di aria compressa.
Con riguardo alla formazione ricevuta dall'infortunato, l'ing. B. ha ribadito quando già riportato nella sua relazione di consulenza tecnica (a pag. 23) e, cioè, che su sua richiesta il consulente di parte dott. A.G. gli aveva comunicato che B. era un autista esperto, munito di patente di guida di categoria C rilasciata
in data 27.8.1985, ma l'azienda non aveva fornito alcuna documentazione attestante la frequenza di corsi specifici relativi alla conduzione di quell'automezzo.
Il consulente tecnico rispondeva, quindi, al quesito del P.M. di accertare lo stato di funzionamento della gru semovente tg. ... in sequestro, verificando in quale modo esso avesse inciso nella determinazione del decesso di B. I., giungendo alle seguenti conclusioni:
"Il freno di stazionamento dell'autogru è risultato non funzionante in quanto le ganasce del freno poste sull'albero di trasmissione non serrano.
Ciè è dovuto alla mancanza di una coppiglia per cui una leva del cinematismo che trasmette la forza di serraggio non è imperniata correttamente.
Oltre a tale malfunzionamento è da rilevare che la leva del freno di stazionamento posta in cabina di guida non rimane bloccata nella posizione "tirata".
Le prove eseguite presso la ditta CSA su un'autogru simile a quella in oggetto hanno però evidenziato che il freno di stazionamento non è in grado di arrestare la marcia del veicolo anche in lento movimento.
Circa la funzionalità dell'impianto frenante di servizio (quello a pedale) non sono state riscontrate anomalie.
Si dirà che nell'autogru in questione, a differenza dei mezzi pesanti di più recente costruzione, i freni non funzionano se non è presente l'aria nei serbatoi di accumulo.
Ciò consente all'operatore di manovrare l'automezzo pur non avendo a disposizione l'impianto frenante: nella gran parte dei mezzi pesanti oggi in circolazione, invece, i freni funzionano con una logica inversa vale a dire a sicurezza attiva.
L'eventuale malfunzionamento o il mancato raggiungimento della pressione nei serbatoi impedisce al mezzo di muoversi.
Nel corso degli accertamenti si è verificata la non funzionalità delle valvole di massima pressione e di sicurezza del distributore, circostanza che non influisce sul funzionamento dell'impianto frenante.
Alla luce di quanto sopra esposto si deve ritenere che la povera vittima non abbia atteso il dovuto
tempo di carica dei serbatoi dell'aria compressa e, poiché il mezzo non è dotato del sistema che "se non sono carichi non sblocco le ruote", si è mosso senza, in sostanza, i freni attivi.
Occorre osservare che, poiché i mezzi attualmente costruiti hanno tutti tale dispositivo di sicurezza, se l'informazione non è stata debitamente data al lavoratore ovvero non sono state prese le dovute cautele (avvisi, cartelli), è del tutto plausibile che l'incidente si sia verificato con le modalità sopra dette.
Non è stata prodotta alcuna documentazione circa un iter formativo al riguardo."
La ricostruzione dell'ing. B. è stata in parte criticata dal consulente tecnico di GES.CO.MONT s.r.l., ing. P.P. , il quale ha prodotto anche alcune sue "note di commento" alla relazione del C.T. del P.M.
L'ing. P., che non è l'originario consulente tecnico che ha partecipato agli accertamenti tecnici irripetibili eseguiti durante le indagini preliminari, ha dichiarato di avere ricostruito lo stato dei luoghi dalle fotografie in atti e di avere, invece, visionato direttamente l'autogru in sequestro; ha specificato, però, di non averne provato l'impianto pneumatico.
L'ing. P. ha sostenuto che, quand'anche la gru fosse partita dal fondo della rampa con l'impianto frenante scarico, una volta giunta in cima i serbatoi sarebbero stati carichi e, quindi, il freno a pedale pienamente efficiente.
Ciò in quanto, tenendo conto della lunghezza della rampa (75 metri con una curva ad S) e della velocità raggiungibile dall'automezzo in retromarcia (da 0,4 a 1,2 Km/h), si può calcolare in un intervallo compreso tra 4 ed 11 minuti il tempo impiegato dall'autogru per percorrere la rampa fino all'uscita. Poiché ha effettuato una prova con un'autogru identica a quella in sequestro, accertando che la pressione nei serbatoi ha raggiunto i 6 bar in un tempo compreso tra i 2 e i 5 minuti - nel primo caso con il motore accelerato e nel secondo con il motore al minimo - si deve ritenere che in cima alla rampa l'impianto frenante ad aria fosse completamente carico.
Il consulente ha, peraltro, precisato di avere effettuato questa prova con l'automezzo in folle e non in movimento in salita su una rampa, fatto, peraltro, a suo dire, ininfluente sul risultato.
In ragione di ciò, l'ing. P. ha ipotizzato che l'autista non abbia utilizzato il freno a pedali, altrimenti il mezzo si sarebbe arrestato, dato che l'impianto era funzionante ed efficiente; è possibile che B., vedendo l'autogru muoversi, abbia cercato di arrestarlo con il freno di stazionamento, che, però, non era in grado di bloccare il mezzo; forse nel tentativo disperato di azionare il freno a mano , B. lo ha rotto.
Il consulente tecnico di parte ha, però, ammesso di non sapersi spiegare perché l'autista non dovrebbe avere istintivamente schiacciato il freno a pedale, appena il mezzo ha iniziato ad arretrare.
Quanto alla rottura della coppiglia, evidenziata dal C.T. del P.M., l'ing. P. ha confermato la circostanza, evidenziando che dai rilievi fotografici risulta la mancanza del chiodo, indicato con la lettera "C" nel manuale d'uso del mezzo , che viene tenuto fermo dalla coppiglia: è possibile ipotizzare che la coppiglia si sia rotta a seguito dell'incidente e, conseguentemente, che il chiodo si sia sfilato; dalle fotografie emergono minori incrostazioni in quella zona rispetto ad altre, ma non è possibile affermare se il chiodo si sia sfilato il giorno dell'infortunio o un mese prima o sei mesi prima.
Anche l'ing. P. ha condiviso le valutazioni dell'ing. B. in ordine al fatto che per l'azienda sarebbe stato più semplice sostituire l'autogru del 1971 con una più moderna, piuttosto che installare un sistema di blocco del movimento prima del completo caricamento di aria compressa dell'impianto frenante: ciò sia a causa dei costi che per la conseguente necessità di reimmatricolare il veicolo con una procedura complessa da gestire per un privato.
Peraltro il consulente di GES.CO.MONT ha evidenziato che oggi è vietato mettere in commercio mezzi non dotati di quel dispositivo, ma nulla si dice in ordine ai vecchi macchinari tuttora circolanti ed utilizzati nè è imposta una loro modifica per adeguarli alla normativa vigente.
L'ing. P. ha confermato che la revisione periodica eseguita sulle autogru concerne soltanto il sistema di movimentazione dei carichi (la gru), ma non è previsto un controllo periodico dell'automezzo, perché non è un veicolo che circola su strada, ma che si sposta solo in cantiere.
Ciò ovviamente non fa venir meno l'obbligo in capo all'imprenditore di fornire un macchinario sicuro al lavoratore.
L'ing. P. ha riferito che dalla fattura n. 138 del 28.2.2007 emessa dalla ditta F.G. risulta che era stato "fatto il tagliando" all'autogru con sostituzione dell'olio motore e dei filtri, il che significa che era stata fatta una verifica delle funzionalità più importanti del mezzo (compreso l'impianto frenante).
Sul punto il Tribunale non può non rilevare come tale "tagliando" sia stato eseguito ben sette mesi prima dell'infortunio e, pertanto, appare scarsamente significativo nella vicenda de qua, ben potendo l'impianto meccanico del freno di stazionamento essersi danneggiato in epoca successiva, ma anteriore al 27 settembre 2007.
Il consulente ha poi evidenziato che dal manuale d'uso dell'autogru Cor. (doc. 8 prodotto dal tecnico dell'ASL) risulta che sul cruscotto è prevista una spia (contrassegnata con il n. 16) che segnala la mancanza di pressione dei freni. Peraltro, non essendo entrato nella cabina dell'autogru, non ha potuto verificare se la stessa fosse effettivamente presente e funzionante.
L'ing. B., intervenuto in contraddittorio sul punto , ha precisato che la coppiglia serve ad impedire lo sfilamento del perno, la cui mancanza impedisce il funzionamento del freno di stazionamento; la coppiglia non è un pezzo sottoposto a sollecitazioni, perché non lavora, e, pertanto, non è soggetto ad usura; non condivide l'ipotesi del collega che la coppiglia possa essersi rotta a causa del ribaltamento dell'automezzo, né che il freno a mano possa essere stato rotto dall'autista nel tentativo di fermare il mezzo con quel dispositivo.
Con riguardo al caricamento dell'impianto del freno a pedale, l'ing. B. ha ribadito che una corretta procedura lavorativa avrebbe dovuto prevedere che l'autista attendesse il completo caricamento dell'impianto frenante prima di muovere l'automezzo, tanto più se ci fosse stata una spia luminosa che segnalava che l'impianto era scarico.
Ciò premesso in ordine alle risultanze istruttorie, il Tribunale ritiene che l'unica ricostruzione plausibile della dinamica dell'infortunio sia quella effettuata dal tecnico dell'ASL, M.M., e dal consulente tecnico del P.M., ing. M.B..
E' stato, invero, accertato che B.I. conduceva l'autogru Cor. dal fondo del cantiere dell'Area ex Campari sino al cancello d'uscita lungo una rampa sterrata, con una pendenza del 12,9 %, resa fangosa dalle abbondanti precipitazioni piovose.
Giunto in prossimità del cancello, su un terreno con una pendenza del 6,5 %, B. arrestava l'autogru in attesa che un collega dalla strada gli desse il via libera per eseguire la manovra di uscita e caricare l'automezzo su un rimorchio.
Immediatamente, però, l'autogru (pesante 30 tonnellate) iniziava ad arretrare e, percorsi circa 20 metri, rompeva un parapetto in legno e scivolava nella scarpata, ribaltandosi.
B. cercava di mettersi in salvo, lanciandosi all'esterno della cabina di guida - come riferito dai testi M.I.
e Z.A. - ma il suo giubbotto restava impigliato e, pertanto, lo stesso veniva schiacciato dall'autogru, che gli cagionava lesioni mortali (amputazione dell'arto superiore destro e trauma da schiacciamento diffuso).
Come evidenziato dal teste M. e come chiaramente risultante dai rilievi fotografici acquisiti subito dopo il fatto, l'autogru non è scivolata sul fango, ma si è spostata a causa del movimento rotatorio delle ruote sul terreno in pendenza.
Ciò dimostra, innanzitutto, che sotto le ruote del mezzo non erano stati collocati i cunei bloccanti, di cui l'autogru avrebbe dovuto essere dotata secondo la vigente normativa, trattandosi di un veicolo di peso superiore alle 3,5 tonnellate.
Dei cunei né di dispositivi analoghi è stata trovata traccia dai tecnici dell'ASL e dai poliziotti del Commissariato di Sesto San Giovanni e del Gabinetto di Polizia Scientifica della Questura di Milano, intervenuti sul posto immediatamente dopo il fatto per i rilievi tecnici, né nei pressi del cancello o lungo la rampa o nella scarpata né sopra, sotto o vicino all'autogru.
Come evidenziato dal teste M., le assi di legno visibili in una fotografia in atti, inserite sotto la cabina dell'automezzo, sono state usate dai soccorritori per sollevarla ed estrarre il corpo dell'autista e, quindi, non sono i fantomatici "stocchetti" usati per bloccare le ruote, di cui hanno riferito - peraltro non nell'immediatezza, ma nei giorni successivi - gli altri operai dipendenti di GES.CO.MONT.
Rileva, inoltre, il Tribunale che gli unici operai, presenti in cantiere e sentiti come testimoni, non legati alla società incolpata da un rapporto di dipendenza hanno escluso che i colleghi di B. abbiano inserito alcunché sotto le ruote, mentre il mezzo sostava nei pressi del cancello.
In ragione di ciò, la mancanza di questo dispositivo di sicurezza obbligatorio integra già un profilo di colpa ascrivibile al datore di lavoro per violazione della normativa prevenzionistica e, specificamente, dell'art. 2087 c.c. per non aver adottato le misure più idonee a tutelare la salute dei lavoratori dipendenti, anche in relazione alla disposizione dell'art. 353 del Regolamento del Codice della Strada. Come evidenziato con chiarezza dal tecnico dell'ASL e dal consulente del P.M., il fatto che l'autogru si sia mossa lungo la discesa, percorrendo circa venti metri prima di ribaltarsi nella scarpata, è indicativo del fatto che l'autista non sia riuscito a frenarla, né con il freno a pedale né con il freno a mano.
A tal proposito gli accertamenti tecnici eseguiti hanno consentito di accertare che l'impianto del freno a pedale era funzionante, ma, trattandosi di impianto pneumatico, ciò presupponeva che la pressione dei tre serbatoi ad aria compressa avesse raggiunto i 6 bar.
E' emerso, altresì, che l'autogru Cor., essendo un mezzo vetusto risalente al 1971, non è dotata di un dispositivo di sicurezza attiva - obbligatorio sui mezzi in commercio a far tempo dal 1998, data di entrata in vigore della direttiva CEE 98/12 del 27.1.98, recepita dall'Italia in data 4.8.1998 - che blocca il movimento delle ruote fino a quando l'impianto frenante pneumatico non è totalmente carico e, quindi, efficiente.
In ragione di ciò, la circostanza inequivocabile che B. non sia riuscito ad arrestare l'automezzo con il freno a pedale - è dato di comune esperienza, infatti, che il conducente di un veicolo schiaccia d'istinto il pedale del freno per bloccarne il movimento - dimostra che in quel momento quell'impianto frenante
non stava funzionando.
Questa circostanza è facilmente spiegabile - come illustrato dal teste M. e dal consulente ing. B. - ipotizzando che l'autista abbia condotto l'autogru lungo la rampa, senza attendere che i serbatoi dell'impianto frenante fossero carichi.
A tal proposito il tecnico dell'ASL ha evidenziato che le norme tecniche prevedono che un compressore pienamente efficiente impieghi dai 6 agli 8 minuti per raggiungere la pressione di 6 bar.
I colleghi di B. hanno riferito che l'autogru ha impiegato circa cinque minuti per salire la rampa e il tecnico M. ha quantificato questo intervallo in tre-cinque minuti ; il consulente tecnico della difesa, ing. P., ha indicato in quattro-undici minuti il tempo che l'automezzo può avere impiegato per percorrere tutta la rampa dal fondo del cantiere al cancello d'uscita in retromarcia.
In ragione di ciò, il tempo indicato dagli operai in circa cinque minuti appare congruo e plausibile. Ebbene, come evidenziato dallo stesso consulente tecnico della parte privata, i serbatoi di un autogru con caratteristiche analoghe a quella in sequestro - durante la prova da lui eseguita, peraltro, con il mezzo fermo ed il cambio in folle - hanno raggiunto la pressione di 6 bar, necessaria all'entrata in funzione del freno a pedale, in un periodo compreso tra i due e i cinque minuti.
In ragione di ciò, la prospettazione effettuata dall'ing. B. e dal perito M. in ordine al fatto che in cima alla rampa i serbatoi dell'impianto frenante non fossero ancora completamente carichi è pienamente compatibile con i dati fattuali emersi dall'istruttoria dibattimentale: se B. ha impiegato circa cinque minuti ad arrivare in cima, come riferito dai suoi colleghi, l'aria compressa nei serbatoi poteva effettivamente non avere raggiunto la pressione di 6 bar e l'impianto frenante di servizio non essere efficiente.
Questa, d'altronde, è l'unica spiegazione plausibile del fatto che l'autista non sia riuscito a frenare l'automezzo nella sua "corsa" verso la scarpata.
E' stato accertato, infatti, che l'altro impianto frenante - il freno a mano o di stazionamento - non funzionava a causa della mancanza di una coppiglia che, interrompendo la catena cinematica, impediva il serraggio delle ganasce sull'albero di trasmissione.
In ragione di ciò, B.I. non ha avuto alcuna possibilità di arrestare o comunque rallentare il pesante automezzo e mettersi in salvo.
Se è vero, infatti, come evidenziato dall'ing. B. e condiviso dall'ing. P., che il freno di stazionamento non sarebbe comunque stato in grado di bloccare completamente l'autogru, considerata la pendenza del terreno e l'effetto della forza di gravità, che ha agito sul mezzo spostandolo verso il basso, è
indubitabile che comunque un freno di stazionamento efficiente e funzionante avrebbe rallentato la marcia dell'automezzo , consentendo all'autista di condurlo lungo la rampa sino in fondo ovvero dandogli il tempo di abbandonare la cabina di guida prima del ribaltamento nella scarpata e, così, evitare la morte.
E' stato accertato, quindi, che il datore di lavoro ha fornito al dipendente un'attrezzatura inefficiente ed insicura.
A ciò si aggiunga che, se l'autogru fosse stata dotata del dispositivo di sicurezza attiva (dispositivo blocca ganasce fino al completo caricamento dell'impianto frenante pneumatico) obbligatorio dal 1998 su analoghi mezzi di cantiere, come previsto dalla direttiva CEE 98/12 del 27.1.98, sarebbe stato impossibile per l'autista muovere l'automezzo prima che l'impianto frenante fosse in funzione e, quindi, l'infortunio certamente non si sarebbe verificato.
Osserva il Tribunale che l'art. 2087 del codice civile, nel prevedere che "l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro", sancisce un obbligo per il datore di lavoro di attivarsi per fornire al lavoratore il miglior presidio e le attrezzature più sicure in base allo stato e al progresso della tecnica.
In ragione di ciò, nel caso di specie il datore di lavoro avrebbe dovuto adeguare alla migliore tecnica esistente l'autogru Cor. risalente al 1971, adottando tutti gli accorgimenti tecnici in grado di aumentare la sicurezza per i lavoratori, in particolare installando il dispositivo blocca ganasce, di cui hanno parlato sia i consulenti tecnici che il tecnico dell'ASL, che avrebbe impedito al mezzo di muoversi con l'impianto frenante pneumatico non completamente carico e, quindi, avrebbe evitato l'infortunio e il conseguente evento letale.
Se ciò avesse comportato costi ritenuti eccessivi o comunque diseconomici, in termini di spesa e di tempo impiegato per l'espletamento di tutte le pratiche burocratiche - come evidenziato dal consulente della società ing. P. - un imprenditore diligente ed attento alla tutela della salute dei suoi dipendenti avrebbe dovuto optare per la sostituzione del mezzo vetusto e non più a norma con un mezzo più recente e tecnicamente adeguato.
Non è, infatti, ammissibile nel nostro ordinamento e nell'ottica di un bilanciamento tra beni costituzionalmente garantiti - da un lato il diritto alla vita, all'integrità individuale, e alla salute e, dall'altro, la libertà dell'iniziativa economica privata e delle conseguenti scelte imprenditoriali - l'idea che il vantaggio in termini di risparmio, conseguito dall'imprenditore con la scelta di non adeguare le attrezzature della propria azienda ad una direttiva comunitaria, ricada sul lavoratore, mettendone a repentaglio l'incolumità e addirittura, come nel caso di specie, la vita.
Che la sicurezza dei dipendenti non fosse tra le priorità della GES.CO.MONT e dei suoi responsabili è emerso chiaramente dall'istruttoria dibattimentale, che ha evidenziato ulteriori indici di incuria e disattenzione alle tematiche della sicurezza da parte della proprietà e della dirigenza.
Non solo, infatti, l'autogru era vecchia, priva di marcatura CE, non dotata di presidi di sicurezza attiva e con il freno di stazionamento rotto, il che denota anche una carenza di manutenzione dell'automezzo, ma sono stati accertati, altresì:
-la carenza di informazioni e formazione ai dipendenti (e in particolare al gruista) in merito all'uso e alla movimentazione di quella autogru, non risultando effettuato alcun corso specifico, né fornite istruzioni adeguate ;
-la mancata adozione di procedure di lavoro dettagliate e vincolanti per gli operai, quali l'obbligo di non spostare il mezzo prima di alcuni minuti in modo da essere certi che l'impianto frenante ad aria compressa fosse carico ;
-la mancata valutazione nel Piano Operativo di Sicurezza dei rischi specifici connessi all'uso e allo spostamento di un mezzo con quelle caratteristiche .
Tutte queste omissioni integrano altrettanti profili di colpa specifica, causalmente connessi alla verificazione dell'evento lesivo: se, infatti, fossero stati adeguatamente valutati i rischi connessi allo spostamento dell'autogru su un terreno in pendenza, quale era la rampa di accesso al cantiere Campari, se B. fosse stato adeguatamente formato ed informato sul fatto di non dovere muovere il mezzo prima che i serbatoi dell'impianto frenante avessero raggiunto la pressione di 6 bar, se fosse stato previsto e sancito per iscritto (ad esempio mediante l'apposizione di un cartello all'interno della cabina di guida, come suggerito dall'ing. B.) il divieto di movimentare l'autogru prima di alcuni minuti dall'accensione, certamente l'evento avrebbe potuto essere evitato.
Sono, quindi, ravvisabili nel caso di specie tutte le violazioni contestate dalla Pubblica Accusa quali profili di colpa specifica nel capo d'imputazione riportato in epigrafe ed ascritto ai coniugi G. e C.. Innanzitutto, come già evidenziato, la norma cautelare generale di cui all'art. 2087 c.c. per non aver adottato le misure prevenzionali più idonee a tutelare la salute dei lavoratori dipendenti, consentendo l'utilizzo di una autogru con freno di stazionamento non funzionante e per non aver installato, sul vecchio tipo di autogru in uso, dispositivi di blocco automatico attivabili in caso di mancanza di pressione dell'impianto frenante.
In secondo luogo la norma di cui all'art. 35, comma 4 lett. c) del D.Lgv. 626/94, per non aver attuato idonea manutenzione dell'impianto frenante dell'autogru predetta, norma oggi formalmente abrogata, ma il cui contenuto precettivo è ancora vigente nella formulazione degli artt. 70 e 71 del D. L.vo 9.4.2008 n. 81, come modificato dal D. L.vo 3.8.2009 n. 106 (cosiddetto T.U. sulla sicurezza del lavoro).
E ancora la norma di cui all'art. 4, comma 2 D.Lgv. 626/94 (in rel. art. 2, comma 1, lett. f-ter e art. 9, comma 1 lett. c-bis e comma 2 D.Lgv. 494/94 così come modificato dall'art. 528/99) in merito alla carenza del POS, per non aver esaminato i rischi specifici connessi all'uso di un'autogru con impianto frenante di vecchia generazione, nè inserito un programma specifico di miglioramento dei livelli di sicurezza con riferimento alla problematica di un sistema frenante vetusto, nonchè per aver omesso una procedura nota e vincolante con la quale si inibisse lo spostamento dell'autogru senza previo accertamento di avvenuta carica dei serbatoi d'aria a servizio dell'impianto frenante.
Anche tale profilo di colpa specifica è tuttora ascrivibile al datore di lavoro e al dirigente, nonostante la formale abrogazione del D. L.vo 626/94, in virtù del combinato disposto degli artt. 15, 18, 28, 29, 36 e 37 D. L.vo 9.4.2008 n. 81, come modificato dal D. L.vo 3.8.2009 n. 106 (cosiddetto T.U. sulla sicurezza del lavoro).
Ulteriore dato circostanziale, emerso dall'istruttoria, fortemente suggestivo della già evidenziata scarsa attenzione al rispetto della normativa prevenzionistica è rappresentato dall'accertata violazione da parte del legale rappresentante e della dirigenza di GES.CO.MONT. s.r.l. del Piano di Sicurezza e Coordinamento relativo al cantiere "ex Area Campari".
Il P.S.C. prevedeva, infatti, a pag. 8 l'obbligo di omologazione e marcatura CE per tutti i mezzi di sollevamento utilizzati in cantiere, compresi autogru, muletti ed argani.
Ebbene, come riferito dal teste M. e come risultante dai rilievi fotografici acquisiti, l'autogru Cor.
725 S tg. ... era priva del marchio CE, né poteva conseguirlo, non essendo conforme alla vigente normativa comunitaria.
Tale omissione e il conseguente mancato rispetto del Piano di Sicurezza e Coordinamento integra la violazione dell'art. 12, comma 3 D. Lgv. 494/96, come contestata dal P.M., norma formalmente abrogata, ma il cui contenuto è stato integralmente trasfuso nel testo dell'art. 100 D. L.vo 9.4.2008 n. 81, come modificato dal D. L.vo 3.8.2009 n. 106 (cosiddetto T.U. sulla sicurezza del lavoro), che oggi disegna quel medesimo profilo di colpa specifica ascritta agli imputati.
La difesa ha sollecitato in sede di conclusione l'espletamento di una perizia sul funzionamento dell'impianto frenante dell'autogru.
Il Tribunale ritiene che tale prova non sia necessaria alla ricostruzione dei fatti, a fronte di un'istruttoria articolata ed approfondita anche dal punto di vista tecnico, che ha consentito di analizzare ogni singolo aspetto della vicenda, fornendo al giudicante esaustivi elementi di conoscenza e di valutazione.
In particolare la perizia richiesta nulla potrebbe aggiungere alla ricostruzione già effettuata dall'ing. M.B. e dal tecnico dell'ASL M.M., peraltro in gran parte condivisa dal consulente tecnico della difesa ing. Fabio P..


2. La responsabilità degli imputati
G.M.R. all'epoca dei fatti era il legale rappresentante della società GES.CO.MONT. s.r.l., ricoprendo la carica di amministratore unico, come risulta dalla visura camerale in atti.
Il marito C.G.P. aveva l'incarico di direttore tecnico della società e di direttore tecnico del cantiere "area Campari" ed è stato indicato in dibattimento da tutti i dipendenti della GES.CO.MONT. s.r.l. come il loro referente, da cui ricevevano direttive sul lavoro da svolgere e al quale si rivolgevano per ogni questione: "il capo, il principale, l'azionista".
Nella specifica vicenda è emerso che era stato C.G.P. quella mattina ad ordinare per telefono a B.I. di condurre l'autogru Cor. fuori dal cantiere.
In buona sostanza C., pur non avendo ricevuto alcuna delega formale dalla moglie, era non solo un dirigente, ma il gestore di fatto dell'impresa.
Dalla documentazione prodotta dalle parti non risulta che G.M.R. avesse rilasciato alcuna delega al marito o ad altri, cosicché la stessa è da ritenere il datore di lavoro dell'infortunato, il quale lavorava alle dipendenze della società GES.CO.MONT. dal marzo 1998.
In qualità di datore di lavoro G.M.R. era il principale destinatario della normativa prevenzionistica e su di lei incombevano innanzitutto gli obblighi in materia di sicurezza che l'istruttoria dibattimentale ha accertato essere stati violati ed avere causalmente influito sul determinismo dell'evento.
Analoghi obblighi gravavano su C.G.P. nella sua duplice qualità di direttore tecnico della società e dello specifico cantiere: in virtù della sua posizione dirigenziale apicale nella società legalmente rappresentata dalla moglie, lo stesso aveva assunto il ruolo di unico referente dei lavoratori, ai quali assegnava i compiti e dai quali veniva investito di ogni problema inerente il lavoro.
Poiché C. era colui che seguiva tutta l'attività produttiva dell'azienda e, nello specifico, dirigeva il cantiere di Via Campari teatro del tragico infortunio, lo stesso rivestiva una posizione di garanzia nei confronti dei dipendenti ivi impiegati - compreso B.I., al quale impartì l'ordine di condurre l'autogru all'esterno del cantiere, dove sarebbe stata prelevata da un altro automezzo - e deve, pertanto, rispondere della violazione della normativa antinfortunistica nei termini specificati nel capo d'imputazione.
E' stata acquisita la nomina in data 5.9.2007 del dipendente S.L. quale responsabile della sicurezza nel cantiere "Area Campari" di Sesto San Giovanni.
In essa si specifica che lo stesso:
"dovrà sovraintendere al lavoro, dando le disposizioni necessarie per l'esecuzione pratica delle singole opere;
segnalare all'ufficio del personale tutti i casi di violazione delle disposizioni aziendali e della normativa vigente in materia di igiene e sicurezza sul lavoro;
curare l'organizzazione del cantiere con particolare riferimento alla scelta del materiale, del macchinario e delle attrezzature;
curare con diligenza l'andamento tecnico ed economico del lavoro ed intervenire o correggere in tempo eventuali situazioni anomale;
curare con particolare attenzione, essendo coinvolta la sua responsabilità personale, che in cantiere vengano osservate tutte le norme antinfortunistiche in vigore, procedendo opportunamente contro eventuali trasgressori ed in particolare:
- rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono sottoposti e portare a loro conoscenza le norme essenziali in materia di igiene e sicurezza sul lavoro;
- verificare che il personale attui con diligenza le disposizioni aziendali e la normativa vigente in materia di igiene e di sicurezza sul lavoro;
- istituire procedure operative di sicurezza da osservare per particolari operazioni di rischio;
- accertare prima dell'inizio lavori e nel corso di essi che tutti i presidi prescritti (caschi, cinture di sicurezza, scarpe, guanti, cassetta farmaceutica, ecc.) siano disponibili in cantiere nella quantità necessaria;
- far pervenire tempestivamente al nostro direttore di cantiere le richieste di materiale antinfortunistico, compreso il materiale per opere provvisionali;
- sospendere ove necessario il lavoro per ragioni di sicurezza, anche nei casi di non completo approvvigionamento di materiali, mezzi ed attrezzature necessari per l'allestimento delle opere provvisionali e l'attuazione di misure di sicurezza in genere;
- comunicare per iscritto tempestivamente ai competenti organi centrali ogni difficoltà, problema cd anomalia in materia antinfortunistica per i quali sia difficile od impossibile procedere autonomamente. Ebbene, la predetta delega è assolutamente inidonea, secondo i canoni elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, oggi recepiti dalla normativa vigente, a trasferire in capo al delegato la responsabilità in materia di sicurezza e, quindi, la responsabilità penale per l'infortunio occorso all'autista dell'autogru.
A prescindere dal rilievo che comunque il datore di lavoro non può in nessun caso delegare la valutazione dei rischi e l'elaborazione del documento che li analizza e decide come prevenirli - sicché quantomeno quel profilo di colpa è ascrivibile a G., in qualità di rappresentante legale della società, e a C. in qualità di gestore di fatto dell'impresa - nel caso di specie difettano i principali requisiti di una delega valida ed efficace in materia di sicurezza e, specificamente:
-il possesso da parte del delegato dei requisiti tecnico-professionali idonei ad esercitare le funzioni delegato;
-il conferimento concreto ed effettivo al soggetto delegato di poteri autoritativi e decisori, pienamente autonomi e senza possibilità di ingerenza, consistenti in poteri di decisione, di intervento, di coordinamento e di accesso alle risorse finanziarie per i coprire i costi relativi alla sicurezza, senza necessità di alcuna autorizzazione da parte del delegante.
S.L., infatti, era un operaio come gli altri, aveva frequentato insieme ai colleghi (tra cui l'infortunato)
l'unico corso (di due ore) in materia di sicurezza organizzato dall'azienda sei mesi prima dell'infortunio e, quindi, non era certamente dotato dei requisiti tecnico-professionali idonei ad esercitare le funzioni di delegato.
Dalla lettura del contenuto dell'incarico appare del tutto evidente come non fosse stata conferita a S.L. alcuna autonomia decisionale e finanziaria, che gli consentisse di assumere iniziative in materia di sicurezza dei colleghi e di prevenzione infortuni e, in particolare, venendo al caso di specie, di dotare i lavoratori (e in particolare il gruista) di un'attrezzatura efficiente, moderna e conforme alla normativa vigente, decisione che, implicando un notevole impegno finanziario, competeva solo ai vertici aziendali e, cioè, agli odierni imputati.
In ragione ciò, conformemente alle richieste della Pubblica Accusa, gli imputati G.M.R. e C.G.P. devono essere ritenuti colpevoli del reato loro ascritto, così come contestato al capo a) delle imputazioni.

Venendo al trattamento sanzionatorio, possono essere loro concesse le circostanze attenuanti generiche
- in ragione della loro incensuratezza, dell'assenza di precedenti di polizia, dell'età, delle condizioni di vita (trattasi di imprenditori che hanno sempre lavorato e che risultano socialmente ben inseriti) e, con particolare riguardo a C., anche del comportamento processuale, avendo lo stesso partecipato costantemente al processo - nonché l'attenuante del risarcimento del danno agli eredi del defunto, come risulta dalla documentazione prodotta.
Le predette circostanze attenuanti possono essere ritenute equivalenti alla contestata circostanza aggravante di aver cagionato il fatto violando la normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Letti gli artt. 133 e ss. c.p., tenuto conto, da un lato, della gravità del fatto come desunto dalle sue modalità (la vittima, nel fiore degli anni, è deceduta in un modo terribile) e del rilevante grado della colpa (l'interesse economico dell'azienda è stato anteposto alla tutela della vita e della salute dei suoi dipendenti, costretti a lavorare con un'attrezzatura vetusta ed inefficiente), dall'altro della personalità degli imputati, come desunta dal loro certificato penale e dalle loro condizioni di vita individuale e sociale, che non denotano una particolare capacità a delinquere, si reputa congrua nel caso di specie la pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6 e 62 bis c.p. con valutazione di equivalenza alla circostanza aggravante di cui all'art. 589 comma 2° c.p.
All'affermazione di colpevolezza consegue per legge la condanna di entrambi gli imputati al pagamento delle spese processuali in parti uguali, non essendo emerse dall'istruttoria ragioni per una diversa ripartizione delle spese.
Può essere concessa sia a G.M.R. che a C.G.P. la sospensione condizionale della pena: il loro stato di incensuratezza induce a ritenere che la presente condanna abbia idonea efficacia deterrente per il futuro.
Ai sensi dell'art. 240 c.p., deve essere disposta la confisca dell'autogru Cor. 725 S tg. ... in sequestro, in quanto cosa servita a commettere il reato.


3. La responsabilità amministrativa dell'ente
Il Pubblico Ministero ha contestato alla società GES.CO.MONT. s.r.l., alle cui dipendenze lavorava l'infortunato, l'illecito amministrativo di cui all'art. 5 lett. a ) e b) D.Lgv. 231/01 per il reato di cui al capo che precede (art. 589 c.p. in danno di B.I.) - id est la fattispecie di cui all'art. 25 septies del D. L.vo 231/2001, inserito dall'art. 9 comma 1 L. 3.8.2007 n. 123 - poichè commesso nel suo interesse ed a suo vantaggio, avendo omesso di adottare ed efficacemente attuare, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, fatto commesso in Sesto S. Giovanni il 27.09.07.
L'art. 9 della L. 3.8.2007 n. 123, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10.8.2007 e, quindi, in vigore al momento del fatto, ha introdotto nel D.L.vo 8.6.2001 n. 231 l'art. 25 septies, che recitava: "(Omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene della salute sul lavoro).
1.In relazione ai delitti di cui agli artt. 589 e 590, terzo comma, del codice penale, commessi con violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell'igiene e della salute sul lavoro, si applica una sanzione pecuniaria non inferiore a mille quote.
2.Nel caso di condanna per uno dei delitti di cui al comma 1, si applicano le sanzioni interdittive di cui all'articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno".
La norma è stata modificata dall'art. 300 del D.L.vo 9.4.2008 n. 81, che ha rimodulato i profili sanzionatori, distinguendo l'ipotesi di responsabilità amministrativa da omicidio colposo da quella da lesioni colpose gravi e gravissime e, con riguardo alla prima fattispecie, prevedendo al primo comma una pena più grave (sanzione pecuniaria pari a 1.000 quote) nel caso in cui il delitto di cui all'art. 589 c.p. sia stato commesso con violazione dell'art. 55 comma 2 del D. L.vo 81/2008 e fissando al secondo comma, nel caso in cui l'omicidio colposo sia stato commesso con violazione delle altre norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, la pena edittale della sanzione pecuniaria in misura non inferiore a 250 quote e non superiore a 500 quote.
In entrambi i casi è stata prevista anche l'applicazione delle sanzioni interdittive di cui all'art. 9 comma 2 per una durata non inferiore a tre mesi e non superiore ad un anno.
Poiché l'art. 3 del D. L.vo 231/2008 estende alla responsabilità amministrativa degli enti i principi di cui all'art. 2 c.p. e, specificamente, quello della retroattività della legge più favorevole, alla fattispecie oggetto del presente giudizio dovrà applicarsi la nuova formulazione dell'art. 25 septies, che determina la pena applicabile nel caso di specie in misura compresa tra 250 e 500 quote, laddove la versione precedente della norma prevedeva una sanzione pecuniaria non inferiore a 1.000 quote. Preliminarmente appare, però, necessario affrontare alcune problematiche interpretative poste dal decreto legislativo sulla responsabilità degli enti in merito ai criteri di imputazione oggettiva e soggettiva, al fine di verificarne la loro compatibilità con delitti colposi quali quelli di cui agli artt. 589 e
590 c.p.
Infatti, l'art. 5 D. L.vo 231/2001 individua i criteri di imputazione oggettiva dell'ente nel fatto che i reati-presupposto siano commessi nell'interesse o vantaggio, anche non esclusivo, dell'ente e da
persone che rivestano funzioni di rappresentanza, amministrazione, direzione o gestione (anche di fatto)
oppure da dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza di uno dei soggetti prima indicati.
L'ente non risponde se le persone predette abbiano agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi. La norma pone immediatamente il problema della compatibilità tra fattispecie di reato caratterizzate dalla non volontarietà dell'evento (i delitti colposi) e il finalismo della condotta da cui scaturisce la responsabilità dell'ente, nel cui interesse o vantaggio quei reati devono essere stati commessi.
La questione non è ancora giunta al vaglio della giurisprudenza di legittimità, ma è stata affrontata dalla dottrina e dalle prime pronunce di merito con la conseguente elaborazione di diverse opzioni interpretative.
Secondo un primo orientamento, vi sarebbe incompatibilità concettuale tra la natura del reato colposo, caratterizzato dalla non volizione dell'evento, e la proiezione finalistica della condotta necessaria per ravvisare la responsabilità dell'ente: tale interpretazione conduce inevitabilmente ad un'interpretazione abrogatrice della norma, che non troverebbe spazio di applicazione in relazione ai reati colposi.
Per un secondo orientamento il requisito dell'interesse o del vantaggio di cui all'art. 5 comma primo sarebbe inapplicabile ai delitti previsti dall'art. 25 septies: ciò, però, comporterebbe la conseguenza di applicare agli enti, in relazione ai delitti colposi, una disciplina più rigorosa di quella prevista quale conseguenza dei reati dolosi, in quanto l'ente sarebbe responsabile anche nel caso in cui i reati- presupposto non sono stati compiuti nel suo interesse o vantaggio, il che appare francamente eccessivo e contrario alla volontà del legislatore e alla struttura generale del nostro sistema penale, che, giustamente, attribuisce maggiore disvalore al dolo rispetto alla colpa.
Secondo un terzo orientamento, che questo giudicante ritiene di condividere, il requisito dell'interesse o del vantaggio per l'ente nel caso dell'art. 25 septies andrebbe riferito non all'evento, ma alla condotta che lo ha determinato.
Questa appare, infatti, l'unica interpretazione che non svuota di contenuto la previsione normativa e che risponde alla ratio dell'inserimento dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose nell'elenco dei reati fondanti la responsabilità dell'ente, in ottemperanza ai principi contenuti nella legge delega.
Difficilmente potrebbe, infatti, sostenersi che rispondono all'interesse della società, o procurano alla stessa un vantaggio, la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente in conseguenza di violazioni di normative antinfortunistiche, laddove, invece, un vantaggio per l'ente potrebbe agevolmente essere ravvisato, ad esempio, nel risparmio di costi o di tempo che lo stesso avrebbe dovuto sostenere per adeguarsi alla normativa prevenzionistica, la cui violazione ha determinato l'infortunio sul lavoro. Secondo quest'ultimo orientamento, quindi, perché l'attuale previsione normativa abbia un senso e possa trovare applicazione, si deve interpretare in modo ampio la locuzione dell'art. 5 D. L.vo 231/2001 fino a ricomprendervi l'interesse o il vantaggio che l'ente trae, anche indirettamente, dalla condotta da cui deriva l'evento e non solo dall'evento in quanto tale.
I termini "interesse" e "vantaggio" esprimono concetti giuridicamente diversi e possono essere alternativi: ciò emerge dall'uso della congiunzione "o" da parte del legislatore nella formulazione della norma in questione e, da un punto di vista sistematico, dalla norma di cui all'art. 12, che al comma 1° lett. a) prevede una riduzione della sanzione pecuniaria nel caso in cui l'autore ha commesso il reato nell'interesse proprio o di terzi e l'ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio minimo, il che implica astrattamente che il reato può essere commesso nell'interesse dell'ente, ma non procurargli in concreto alcun vantaggio.
Da ciò si desume che il concetto di "interesse" attiene a una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre la nozione di "vantaggio" implica una valutazione ex post e l'effettivo conseguimento dello stesso in conseguenza della consumazione del reato.
Nei reati colposi il criterio del "vantaggio" appare quello più idoneo a fungere da collegamento tra l'ente e l'illecito commesso dai suoi organi apicali o dai dipendenti sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi: esso può essere agevolmente ravvisato nella condotta di un soggetto che, agendo per conto dell'ente, violi sistematicamente le norme prevenzionistiche, così realizzando una politica d'impresa
disattenta alla materia della sicurezza sul lavoro, consentendo una riduzione dei costi e un contenimento della spesa con massimizzazione del profitto.
In ragione di ciò, il finalismo della condotta prevista dall'art. 5 D. L.vo 231/01 è compatibile con la non volontarietà dell'evento lesivo, sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest'ultimo sia stata determinata da scelte rispondenti all'interesse dell'ente o sia stata finalizzata all'ottenimento di un vantaggio per l'ente medesimo.
Occorre, perciò, accertare in concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l'infortunio, rispondesse ex ante ad un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio, ad esempio risparmiando i costi necessari all'acquisto di un'attrezzatura di lavoro più moderna o all'adeguamento e messa a norma di un'attrezzatura vetusta.
Una sia pur rapida ricognizione degli orientamenti giurisprudenziali, che si stanno formando in materia, non può esimersi dall'accennare alle questioni sollevate in ordine alla compatibilità del sistema di responsabilità delineato dal D. L.vo 231/2001, con particolare riguardo al combinato disposto degli artt.
5 e 25 septies, con i principi costituzionali in tema di responsabilità penale e colpevolezza.
A tal fine è opportuno accennare all'interessante motivazione con la quale di recente il Tribunale di Milano - Ufficio del Giudice delle indagini preliminari ha respinto un'eccezione d'illegittimità costituzionale della normativa in oggetto per violazione degli artt. 24 commi 1° e 2° e 25 comma 2° della Costituzione, evidenziando come la responsabilità dell'ente sia tipica, costituisca una categoria autonoma e si distingua dalla responsabilità penale dell'autore del reato, configurandosi come "responsabilità di organizzazione", così articolata:
a.responsabilità di programmazione e pianificazione, attinente alla struttura interna dell'ente e alla distribuzione dei ruoli tra i diversi livelli di comando;
b.responsabilità di gestione, attinente all'esercizio dinamico dell'attività economica d'impresa; c.responsabilità di controllo e vigilanza, che implica l'esistenza di un apparato idoneo a verificare che tutto funzioni correttamente e conformemente alla normativa vigente.
Secondo il G.U.P. del Tribunale di Milano, letto in quest'ottica, il modello di responsabilità dell'ente introdotto dal D. L.vo 231/01 è pienamente compatibile con la Carta Costituzionale e trova fondamento nell'art. 2 e nella protezione dallo stesso riconosciuta ai diritti inviolabili dell'uomo: "il terreno di maturazione del reato, capace di produrre un danno allargato, in specie nel settore della criminalità economica, è più ampio della pianificazione della condotta ad opera del singolo autore o dei singoli autori: laddove essi agiscano ed operino all'interno di una struttura organizzata, utilizzando gli strumenti che la struttura organizzata mette loro a disposizione, pur essa deve essere responsabile". Sulla compatibilità dei principi fondamentali del D.L.vo 231/01 con l'art. 27 della Costituzione si è pronunciata la Corte d'Assise di Torino in data 15.4.2011 (c.d. sentenza Thyssen), aderendo
all'orientamento della Corte di Cassazione per il quale "la volontà del legislatore, come traspare sia dalla legge delega sia dal decreto delegato, è stata quella di introdurre una nuova forma di responsabilità, tipica degli enti: di natura amministrativa, con garanzie procedurali che richiamano quelle processualpenalistiche, con sanzioni innovative in quanto non assimilabili né alle pene né alle misure di sicurezza. Con la conseguenza che, così definita la natura della responsabilità, non possono porsi questioni di legittimità costituzionale, in particolare l'affermato conflitto con l'art. 27 della Costituzione
...
L'art. 11 della legge delega ha dotato il nuovo illecito di un volto dai contorni ancora più precisi, contemperando i profili di generalprevenzione, primario omissis della responsabilità degli enti, con le garanzie che ne devono rappresentare il contraltare. Sulla stessa linea d'ispirazione si è mantenuto il legislatore delegato del decreto n. 231/2011. Ne è risultata un'architettura normativa complessa che,
per quanto farraginosa e - sotto alcuni aspetti - problematica, evidenzia una fisionomia ben definita, con l'introduzione nel nostro ordinamento di uno specifico e innovativo sistema punitivo per gli enti collettivi, dotato di apposite regole quanto alla struttura dell'illecito, all'apparato sanzionatorio, alla responsabilità patrimoniale, alle vicende modificative dell'ente, al procedimento di cognizione e a quello di esecuzione, il tutto finalizzato ad integrare un efficace strumento di controllo sociale."
Tornando ai criteri di imputazione oggettiva dell'illecito all'ente, enucleati dall'art. 5 D. L.vo 231/20017, il reato presupposto deve essere stato commesso da persone che nell'ente rivestano, anche di fatto, funzioni apicali o subordinate.
La delegabilità generale delle funzioni, tranne che per specifiche materie , pone il problema dell'individuazione caso per caso della funzione svolta dall'autore del reato presupposto e della sua qualificazione in termini di "apicale" o di "subordinato": ciò in quanto i successivi articoli 6 e 7 fissano diversi criteri di imputazione soggettiva a seconda se il reato sia stato commesso dagli uni o dagli altri. Rientrano sicuramente tra i soggetti in posizione apicale e, quindi, nella categoria di cui alla lettera a) dell'art. 5, il datore di lavoro e il dirigente , mentre il preposto e il lavoratore sono dipendenti in posizione subordinata, in quanto sottoposti alla direzione o vigilanza dei soggetti in posizione apicale, e, quindi, rientrano nella categoria di cui all'art. 5 lett. b).
La distinzione ha rilevantissimi effetti sui criteri di imputazione soggettiva del reato all'ente.
Infatti, se il reato presupposto è commesso dagli organi apicali, ai sensi dell'art. 6 l'ente non risponde dello stesso e va esente da responsabilità, se prova che:
a)erano stati adottati ed efficacemente attuati, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b)il compito di vigilare sul funzionamento e l'osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento era stato affidato ad un organismo dell'ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo; c)l'autore del reato ha eluso fraudolentemente i modelli di organizzazione e gestione;
d)non vi è stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell'organismo di cui alla lettera b).
Poiché la condizione di cui alla lettera c), presupponendo una condotta fraudolenta dell'autore del reato (quindi una sua natura dolosa), pare poco compatibile con la previsione di cui all'art. 25 septies (il cui presupposto sono delitti colposi), la responsabilità dell'ente per i reati di omicidio colposo o lesioni colpose commessi da suoi organi apicali con violazione della normativa in materia di sicurezza o igiene del lavoro potrà essere esclusa, sussistendo le altre tre condizioni e, specificamente, dimostrando l'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi e l'attribuzione ad un organismo autonomo del potere di vigilanza sul funzionamento, l'aggiornamento e l'osservanza dei modelli adottati.
In buona sostanza il modello di responsabilità amministrativa degli enti, creato dal legislatore del 2001, prevede un'inversione dell'onere della prova: sarà l'ente a dover dimostrare l'adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi per andare esente da responsabilità; diversamente, la mancata adozione di tali modelli è sufficiente a costituire la "rimproverabilità" della condotta tenuta dall'ente per omissione organizzativa e gestionale.
Nel caso di reato presupposto commesso dai soggetti subordinati di cui all'art. 5 comma 1° lett. b), l'ente risponde se la commissione del reato è stata resa possibile dall'inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza - si configura, quindi, in capo all'ente una sorta di responsabilità per culpa in eligendo o vigilando - obbligo che, però, si intende soddisfatto con l'adozione e l'efficace attuazione di un modello di organizzazione, gestione e controllo idoneo alla prevenzione di reati della stessa specie. In buona sostanza, nel caso di reato commesso da organi apicali, in ragione del rapporto d'immedesimazione organica, il legislatore ha previsto la responsabilità dell'ente salvo prova liberatoria di cui all'art. 6, mentre nel caso di reato commesso da soggetti dipendenti ha subordinato la responsabilità amministrativa della persona giuridica alla prova, da parte dell'Accusa, dell'inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza, obblighi che si presumono ottemperati se è stato adottato un modello organizzativo.
Un ultimo cenno si impone sul contenuto dei modelli organizzativi: nella materia de qua soccorre il disposto dell'art. 30 D. L.vo n. 81/2008, che espressamente prevede, per l'ente che voglia esimersi da responsabilità nel caso dei reati previsti dall'art. 25 septies D. L.vo 231/01, l'onere di dotarsi ed efficacemente attuare modelli di organizzazione e gestione che assicurino un sistema aziendale per l'adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
a)al rispetto degli standard tecnico-strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
b)alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
c)alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
d)alle attività di sorveglianza sanitaria;
e)alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
f)alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
g)all'acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie per legge;
h)alle periodiche verifiche dell'applicazione e dell'efficacia delle procedure adottate.
Il modello deve, altresì, prevedere idonei sistemi di registrazione dello svolgimento elle attività di prevenzione.
Con riguardo, infine, all'impianto sanzionatorio, come anticipato all'inizio del presente paragrafo, il testo attualmente vigente - applicabile nel caso di specie in quanto normativa sopravvenuta più favorevole - distingue innanzitutto l'ipotesi di responsabilità amministrativa da omicidio colposo da quella da lesioni colpose e, nel primo caso, differenzia la sanzione a seconda che l'omicidio sia derivato da violazioni connesse alla valutazione dei rischi o dall'omissione di adozione del relativo documento oppure da altre violazioni della normativa prevenzionistica: per la prima ipotesi la sanzione pecuniaria è pari a 1.000 quote, mentre negli altri casi si applica una sanzione pecuniaria non inferiore a 250 e non superiore a
500 quote.
L'art. 10 del D. L.vo 231/2001, rimasto immutato, al comma terzo stabilisce che l'importo di una quota va da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1,549.
Si applicano le sanzioni interdittive di cui all'art. 9 comma 2 per un periodo compreso tra 3 mesi ed 1 anno, in presenza delle condizioni di cui all'art. 13 e salvo nei casi previsti dall'art. 12 comma 1 e dall'art. 17.
Quest'ultima norma, in particolare, prevede la non applicazione di sanzioni interdittive quando, prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, l'ente ha riparato le conseguenze del reato.
Ciò premesso in ordine all'impianto normativo del D. L.vo 231/01 e alle problematiche sottese alla sua applicazione, nel caso di specie il Tribunale ritiene configurabile la responsabilità della società GES.CO.MONT. s.r.l. per l'illecito amministrativo in contestazione.
Innanzitutto l'istruttoria dibattimentale ha dimostrato la sussistenza del delitto di cui all'art. 589 c.p. in danno dell'operaio dipendente B.I., commesso con plurime violazioni della normativa in materia di sicurezza del lavoro dal legale rappresentante ed amministratore della società, G.M.R., e dal dirigente C.
.F..
Entrambi gli imputati/persone fisiche rivestivano al momento del fatto all'interno della società ruoli apicali, rientranti tra quelli previsti dall'art. 5 comma 1° lett. a) D. L.vo 231/2001.
L'istruttoria dibattimentale ha dimostrato, per le ragioni già ampiamente esposte in precedenza nell'affrontare i profili della responsabilità penale dei due imputati, che le violazioni della normativa prevenzionistica sono state commesse a vantaggio dell'ente, che ha risparmiato i costi connessi all'acquisito di un'attrezzatura di lavoro moderna, efficiente e sicura (un'autogru dotata di tutti i dispositivi di sicurezza previsti dalla tecnica e conforme alla normativa comunitaria e alla norme
tecniche vigenti all'epoca del fatto), con la quale sostituire la vetusta autogru Cor. indicata nel capo d'imputazione, ovvero i costi delle modifiche tecniche necessarie a rendere quel macchinario sicuro per i lavoratori.
Vieppiù, la società ha risparmiato i costi (in termini sia di retribuzione dei formatori, sia di mancato impiego degli operai in cantiere per attività produttive) connessi ad un'adeguata attività di formazione ed informazione dei lavoratori e di B.I. in particolare nella sua qualità di gruista, non potendo certamente ritenersi sufficiente ed idoneo agli scopi perseguiti dalla normativa prevenzionistica (allora il D. L.vo 626/94, oggi il Testo Unico di cui al D. L.vo 81/2008) un corso di sole 2 ore, tenuto alcuni mesi prima dell'evento letale e nel corso del quale risultano affrontate solo in generale le tematiche della sicurezza in cantiere, senza alcun riferimento specifico alle modalità di utilizzo e di conduzione in sicurezza di quella particolare autogru.
Il breve arco temporale intercorso tra l'entrata in vigore dell'art. 25 septies e l'infortunio sul lavoro, avvenuto poco più di un mese dopo, in cui è deceduto B.I., non comporta di per sé l'inesigibilità della condotta: la mancanza di una disciplina transitoria o di un termine dal quale far decorrere la nuova disciplina sanzionatoria imponeva alla società l'obbligo immediato di adottare e attuare modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire incidenti sul lavoro del tipo di quello verificatosi.
In presenza di situazioni di rischio - quali indubitabilmente erano quelli connessi all'uso di un macchinario altamente pericoloso, vetusto e fuori norma e, più in generale, quelli connessi all'attività tipica della GES.CO.MONT. s.r.l - la società avrebbe dovuto agire tempestivamente a tutela di valori fondamentali, quali la vita e l'incolumità personale, adottando tutte le misure adeguate alla prevenzione di eventi lesivi, non essendo ammissibile il sacrificio di quei beni a causa di inefficienze organizzative e gestionali.
Nel corso dell'istruttoria dibattimentale la società incolpata non ha dimostrato l'adozione di alcun
modello di organizzazione e gestione, finalizzato alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, limitandosi a produrre le quietanze comprovanti l'avvenuto risarcimento del danno ai prossimi congiunti del defunto.
In ragione di ciò, l'ente non ha provato la sussistenza delle circostanze che avrebbero potuto escluderne la responsabilità ai sensi dell'art. 6 D. L.vo 231/2001.
Poiché la violazione delle norme antinfortunistiche non è stata connotata da occasionalità, né dovuta a caso fortuito, ma è stata frutto di una specifica politica aziendale, volta alla massimizzazione del profitto con un contenimento dei costi in materia di sicurezza, a scapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori, ricorrono tutti i criteri di imputazione oggettiva e soggettiva per affermare la responsabilità della GES.CO.MONT. s.r.l. ai sensi del D. L.vo 231/2001.
Con riguardo alla sanzione applicabile, tenuto conto della normativa più favorevole di cui all'art. 25 septies, come modificato dall'art. 300 D. L.vo 81/2008, e dei criteri di cui all'art. 11 D. L.vo 231/2001 - con particolare riguardo, da un lato, alla rilevante gravità del fatto come desunto dalle sue modalità (la vittima, nel fiore degli anni, è deceduta in un modo terribile) e al rilevante grado di responsabilità dell'ente (il profitto aziendale è stato anteposto alla tutela della vita e della salute dei lavoratori), dall'altro all'attività svolta per eliminare le conseguenze del reato e alle ridotte dimensioni dell'ente, gestito da due coniugi e con pochi dipendenti - il Tribunale ritiene congrua nel caso di specie la sanzione di 300 quote da 400 Euro cadauna, ridotta a 200 quote per la concessione dell'attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 12 comma 2° lett. a), per una sanzione complessiva di 80.000 Euro.
La società deve essere condannata ex lege al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 69 comma 1° D. L.vo 231/01.
Il Tribunale ritiene di non applicare le sanzioni interdittive di cui all'art. 9 comma 2 D. L.vo 231/2001, in quanto non sussistono le condizioni di cui all'art. 13, non essendo stata provata la rilevante entità del profitto conseguito né la reiterazione degli illeciti; vieppiù l'ente ha provato di avere risarcito integralmente il danno alle persone offese prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, realizzando una delle condizioni ostative all'applicazione di misure interdittive ai sensi dell'art. 17.
Con riguardo, infine, alla richiesta avanzata dal P.M. di disporre la confisca per equivalente del profitto conseguito dalla società GES.CO.MONT. s.r.l., pari al prezzo nell'anno 2007 di un'autogru con marcatura CE corrispondente a quella che ha cagionato l'infortunio, il Tribunale ritiene di non poterla accogliere, in quanto la richiesta appare generica, laddove avrebbe dovuto essere dimostrata l'entità del profitto conseguito dalla società in conseguenza del reato commesso nel suo interesse e vantaggio.
Anche a voler ritenere che la nozione di profitto, suscettibile di confisca per equivalente, si riferisca non al reato presupposto (l'omicidio colposo), ma alle violazioni della normativa prevenzionistica, dall'istruttoria è emerso che la società aveva l'alternativa di acquistare un'autogru nuova o seminuova ovvero di adeguare quella in suo possesso alla normativa vigente all'epoca del fatto, installando sulla stessa alcuni dispositivi di sicurezza attiva: ebbene nessun elemento concreto è emerso dall'istruttoria per quantificare, almeno in linea di massima, il costo delle due opzioni e, conseguentemente, il risparmio di spesa conseguito dalla società .
In ragione di ciò, non essendo stati forniti al Tribunale specifici dati circostanziali che consentano la quantificazione del profitto conseguito, confiscabile per equivalente ai sensi dell'art. 19 D. L.vo
231/2001 - tanto più che esso "si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto" - la sanzione di cui agli artt. 9 comma 1 lett. c) e 19 D. L.vo
231/01 non appare in concreto applicabile.
La complessità della vicenda e delle questioni giuridiche sottese alla sua decisione rende opportuno fissare in 90 giorni il termine per il deposito della motivazione.



P.Q.M.


Letti gli artt. 533 e 535 c.p.p,
dichiara G.M.R. e C.G.P. colpevoli del reato loro ascritto e, concesse le circostanze attenuanti di cui agli artt. 62 n. 6 e 62 bis c.p., ritenute equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 589 comma 2° c.p., li condanna alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali in parti uguali.
Concede a G.M.R. e C.G.P. la sospensione condizionale della pena. Letti gli artt. 10, 12 e 69 D.L.vo n. 231/01,
dichiara GES.CO.MONT s.r.l., in persona del legale rappresentante, responsabile dell'illecito amministrativo contestato e, concessa la riduzione della sanzione ex art. 12 comma 2° lett. a) D. L.vo
231/01, applica nei suoi confronti la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 80.000,00 (ottantamila/00);
condanna GES.CO.MONT s.r.l., in persona del legale rappresentante, al pagamento delle spese processuali.
Letto l'art. 240 c.p.,
dispone la confisca della autogru Cor. 725S targata ... in sequestro. Riserva in 90 giorni il termine per il deposito della motivazione.
Monza, 4.6.2012
IL GIUDICE
dott. Giuseppina BARBARA