SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Lunedì 12 dicembre 2011

Audizioni svolte presso la prefettura di Ancona

Presidenza del presidente TOFANI

Audizione del prefetto di Ancona
Audizione del sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Ancona
Audizione degli assessori alla salute e al lavoro e del dirigente del servizio salute della Regione Marche
Audizione del direttore regionale dell’INAIL e del direttore regionale del lavoro
Audizione del comandante della Legione dei Carabinieri della Regione Marche, del comandante del Nucleo Carabinieri Ispettorato del lavoro di Ancona e del direttore regionale dei Vigili del fuoco della Regione Marche
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, artigiane e agricole


Audizione del prefetto di Ancona

Interviene il prefetto di Ancona, dottor Paolo Orrei.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione del prefetto di Ancona, che ringraziamo per aver accettato il nostro invito. Questa è la prima di una serie di audizioni di soggetti istituzionali, che si inquadrano nell’ambito dell’inchiesta che questa nostra Commissione sta conducendo in tutte le Regioni d’Italia relativamente ai problemi della sicurezza sui luoghi di lavoro, quindi al contrasto di tutti quegli agenti ed elementi che possono mettere a rischio la salute di chi lavora.
Le cedo quindi la parola, dottor Orrei, affinché possa fornirci un quadro della situazione della Regione Marche.

ORREI
Signor Presidente, credo sia preliminarmente opportuno fare una permessa sull’andamento dell’occupazione, soprattutto giovanile, e quindi sull’influenza che tali dati aggregati hanno sulla qualità del lavoro e della sicurezza.
I giovani, pur di inserirsi nel mondo del lavoro, accettano qualsiasi forma di attività, anche a fronte di irregolarità che a volte gravano sulla propria incolumità personale, e quindi, subendo una frammentazione dell’attività lavorativa, non riescono a seguire un percorso «educativo» alla sicurezza sui luoghi di lavoro, né a tale carenza suppliscono i datori di lavoro con corsi di formazione dedicati.
In riferimento al dato assoluto degli occupati – parliamo del 2010 – nella Regione Marche non c’è stata una sensibile variazione: è cresciuto di circa 1.000 unità nell’agricoltura e ha subito un decremento nell’industria di 8.000 addetti, ragion per cui, a conti fatti, riusciamo a mantenere la stessa percentuale occupazionale che si è registrata nel corso del 2009. Per quanto riguarda l’andamento infortunistico in generale, si è passati da 32.000 infortuni denunciati in tutta la Regione nel 2007 a 25.000 nel 2010.
La crisi economica probabilmente ha indotto le aziende a cercare un’ulteriore riduzione dei costi generali, spingendo al contempo verso la massima produttività, con un conseguente calo della sicurezza e della tutela della salute.
Il maggiore decremento di incidenti sui luoghi di lavoro in ambito regionale si registra nella Provincia di Macerata, con circa – 6 per cento nel 2010, mentre stranamente la Provincia di Pesaro-Urbino è quella che ha visto l’andamento meno positivo, con un incremento degli incidenti mortali. Nel 2010 in tutte le Marche si sono avuti sei casi in meno di infortuni mortali: dai 32 del 2009 si è scesi a 26 nel 2010; uno solo ad Ancona, tre nelle Province di Ascoli Piceno e Fermo – teniamo presente che la Provincia di Fermo esiste dalla metà del 2010, quindi il dato è aggregato – quattro a Macerata, laddove a Pesaro si sono registrati 10 casi a fronte dei sette del 2009. Nel loro totale, gli infortuni, che vanno dalla sbucciatura del ginocchio fino all’incidente mortale, ad Ancona sono stati 8.828, contro i 9.257 dell’anno precedente; a Fermo 5.200, a Macerata 4.700, e a Pesaro-Urbino il decremento è stato minimo in quanto dai 6.408 si è scesi solo a 6.351. Nel settore dell’industria e dei servizi il decremento degli infortuni si è attestato al 3,5 per cento. Se si raffrontano i dati con l’andamento registrato nel precedente anno, viene subito in evidenza il forte rallentamento del trend decrementale: nel 2009, il settore dell’industria e dei servizi aveva registrato un calo del 15 per cento. A livello territoriale il calo più sensibile si è avuto nella Provincia di Ancona, mentre in quella di Pesaro-Urbino si è registrato un andamento meno favorevole. Bisogna tuttavia considerare che dal 1º settembre 2009, 1.026 aziende si sono trasferite dalla Provincia di Pesaro alla Provincia di Rimini, in quanto sette Comuni dell’Alta Valmarecchia sono stati aggregati alla Provincia di Rimini a seguito di referendum.
L’andamento infortunistico tra i dipendenti dello Stato non evidenza mutamenti di rilievo; nell’ambito di questa modesta variazione, si è registrato un picco per quanto riguarda il personale delle scuole statali di ogni ordine e grado, sempre facendo una dovuta distinzione tra le varie Province. Infatti, se ad Ascoli e Pesaro c’è stato un modesto incremento, ad Ancona e Macerata si è avuto invece un calo. Si tratta di numeri che riguardano solo i lavoratori dipendenti, ma nella «speciale gestione per conto» vengono tutelati anche gli alunni di ogni scuola di ogni ordine e grado.
Un altro dato riguarda l’andamento infortunistico nel lavoro degli stranieri, la cui presenza nelle Marche è molto consistente, con un trend superiore alla media nazionale. Basti pensare che a Porto Recanati, in Provincia di Macerata, a due passi da Ancona, c’è una struttura che ospita oltre 3.500 extracomunitari in verticale; sono un grattacielo. L’onorevole Mantovano, a suo tempo Sottosegretario con delega alla pubblica sicurezza, si è recato più volte sul posto; si tratta di 3.500 abitanti appartenenti a 75 etnie diverse: già parliamo di un Paese di discrete dimensioni per come sono configurati i Comuni italiani. La presenza di questi extracomunitari comporta diversi rischi: dallo spaccio della droga ai vari litigi che avvengono tra di loro. La percentuale più massiccia proviene da Albania, Romania e Maghreb, che notoriamente non sono le etnie più tranquille.
L’origine dell’industria marchigiana, caratterizzata da una frammentazione, deriva dalla mezzadria. Ad esclusione di quelle che sono diventate Guzzini, Merloni, Tods, si tratta di piccole industrie.
In principio, tutte le terre appartenevano al Papa re, e il marchigiano era addetto alla riscossione delle imposte, la gabella, tanto che il proverbio recitava: «Meglio un morto in casa che un marchigiano fuori dalla porta».
Il mezzadro era il primo piccolo industriale perché vendeva i prodotti della terra ma al contempo approvvigionava la sua terra; in ultima analisi, cercava di imbrogliare il fattore e di non farsi imbrogliare a sua volta. Questa attività lo ha portato ad emanciparsi dal lavoro agricolo e a crescere organizzando una piccola industria poco più che familiare (7-10 dipendenti) che dava anche la possibilità di una trasmigrazione, in caso di crisi dell’azienda, da un’azienda all’altra. Diverso è il discorso con i grandi numeri: è il caso della Ardo e della Fincantieri.
La percentuale degli stranieri nelle Marche arriva quasi al 10 per cento, attestandosi al secondo posto dopo la Toscana. Il lavoro degli immigrati è indubbiamente strutturale ormai sul sistema produttivo marchigiano, quindi, una grossa quota di infortuni ha interessato questa categoria
di lavoratori: 4.153 casi nel 2010, di cui due mortali. È una percentuale superiore rispetto a quella nazionale, che è attestata al 15,5 per cento. Rispetto al 2009 c’è comunque una diminuzione di circa 285 casi, corrispondente al 6,4 per cento.

PRESIDENTE
Mi sembra che dai dati che ha citato (fonte INAIL) risulta che gli occupati, in base all’ISTAT, sono aumentati; dal 2006 al 2010 si registra un progressivo aumento dell’1,5 per cento. Lo dico in riferimento alla statistica degli infortuni, dal momento che se è vero che in altre realtà si registrano meno infortuni è pur vero che è minore il numero degli occupati. Si tratterebbe di capire quante sono le ore effettive di lavoro, tenendo conto della cassa integrazione. Il dato che desta maggiore attenzione riguarda l’aumento di infortuni mortali nella Provincia di Pesaro-Urbino, così come ad Ancona, dove si è passati da cinque decessi nel 2006 a nove nel 2010.

ORREI
Nel 2010 mi risulta un solo caso.

PRESIDENTE
No. Nel 2009 si sono avuti otto decessi ad Ancona, mentre nel 2010, secondo fonte INAIL, i morti sono stati nove. In totale, nel 2010 ci sono state 26 vittime nelle Marche, di cui nove ad Ancona, uno a Ascoli Piceno, quattro a Macerata, 10 a Pesaro-Urbino e due a Fermo.

ORREI
Presidente, non mi risulta che ci siano stati nove infortuni mortali ad Ancona. Io sono prefetto di questa Provincia dalla metà del 2010; se è vero che ci sono stati nove casi mortali siamo in presenza di un dato davvero allarmante.

PRESIDENTE
Eppure, se lei somma gli incidenti mortali delle varie Province i conti non tornano secondo i suoi dati.

ORREI
In effetti no.

PRESIDENTE
Probabilmente manca proprio il dato relativo ad Ancona.

ORREI
Se fosse vero questo dato esponenziale, avremmo trovato cortei infiniti.

PRESIDENTE
Probabilmente quell’unico caso ad Ancona che lei citava è semplicemente la differenza tra il 2009 e il 2010, ovvero un solo caso in meno. Infatti, nel 2009 a noi risultano – sempre secondo fonte INAIL – otto morti a fronte dei nove l’anno successivo, con un aumento complessivo dell’80 per cento: da 5 casi nel 2006 a nove nel 2010. Allo stesso modo, si è registrato un aumento del 66,7 per cento a Pesaro, dove si è passati da sei a 10 casi nel 2010.

ORREI
Sì, questo mi risulta.

PRESIDENTE
Presso la prefettura è attivo qualche tavolo di coordinamento per quanto riguarda il contrasto agli infortuni? Glielo chiedo perché in alcune prefetture li troviamo, in altre no.

ORREI
In prefettura abbiamo sottoscritto diversi protocolli di legalità e sicurezza. Ci sono inoltre un protocollo di intesa che la Regione Marche ha sottoscritto con l’INAIL e alcuni protocolli sottoscritti nelle aree vaste. A tal proposito, ricordo che nella Regione Marche la sanità è divisa in aree vaste: ogni capoluogo di Provincia ha la sua area vasta. Questo sistema è decollato da poco.

PRESIDENTE
Per area vasta intende l’azienda sanitaria?

ORREI
È qualcosa di più . L’area vasta è l’organizzazione su base provinciale corrispondente a quelle che erano le ASL. Si tratta di una sola organizzazione provinciale, anche se la Provincia è variabile. Non è detto che le eccellenze siano sempre nel capoluogo, potendo ruotare all’interno dell’area. Anche i Comuni che ne fanno parte non necessariamente coincidono.

PRESIDENTE
Oltre a quelli nel settore della sanità, quali altri tipi di protocollo sono stati sottoscritti?

ORREI
Parliamo di protocolli che concernono scambi di informazioni e di notizie, necessità di interventi, miglioramento di sinergie e coordinamenti.

PRESIDENTE
Sempre riguardo alla sanità?

ORREI
Riguardano gli aspetti sanitario-lavorativi e sono volti a migliorare le condizioni sui siti di lavoro e concernono – quindi – le conseguenze che l’infortunio sul luogo di lavoro può aver provocato all’integrità della persona.

PRESIDENTE
Prefetto Orrei, la ringraziamo per la sua collaborazione ed il contributo di notizie che ci ha offerto.

Audizione del sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Ancona

Interviene il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Ancona, dottor Antonio Amoroso.

PRESIDENTE
La nostra Commissione sta facendo uno screening in tutte le Regione italiane, cercando di capire l’organizzazione e la strutturazione nel territorio dell’attività di contrasto, che è fondamentale, nonché la sinergia esistente tra i diversi soggetti che hanno competenza in questo ambito. In modo particolare, stiamo cercando di audire i soggetti istituzionali che hanno a che fare con questa problematica, che – purtroppo – è tutt’altro che debellata.
Dottor Amoroso, vorremmo da lei un quadro sull’argomento che ho brevemente illustrato, tenuto conto delle sue competenze.

AMOROSO
Signor Presidente, la premessa è che nella Regione Marche il fenomeno è poco significativo: mi vengono segnalati otto infortuni mortali sul lavoro nel periodo compreso tra luglio 2009 e giugno 2010 (si tratta del periodo interessato dalla relazione presentata all’inaugurazione dell’anno giudiziario).

PRESIDENTE
Si riferisce all’intero territorio delle Marche?

AMOROSO
Si, posso farle avere il documento.
Il fenomeno degli infortuni sul lavoro non rappresenta un’esigenza nel distretto, anche perché il tessuto produttivo non è quello della grande industria manifatturiera ed edile. Sono stati adottati protocolli di indagine tra alcune procure, l’INAIL e gli enti che hanno competenze in materia. Osservo però, pur avendo cercato di avere alcuni informazioni dal prefetto, che non ho ben compreso i termini dall’audizione odierna e quindi, se necessario, si potrà fare una ricognizione presso gli uffici di procura, per verificare tutti i protocolli che sono stati sicuramente adottati.
Per quanto riguarda la mia esperienza giudiziaria, ad ogni infortunio sul lavoro, tanto più se grave ma non necessariamente mortale, conseguono interventi da parte di tecnici. Sfugge qualche cosa, ma si tratta di infortuni che hanno determinato lesioni non gravissime, denunziate in ritardo e talvolta anche sospette quanto a causalità ed eziologia. Se la Commissione ritiene, potrò quindi cercare di acquisire questi protocolli di indagine.

PRESIDENTE
Sarebbe interessante sapere se nei vari tribunali ci sono delle sezioni specializzate su questo tema. Parlo dei tribunali maggiori.

AMOROSO
No, non vi sono esempi. Forse ciò accade solo nei tribunali d’Italia di maggiori dimensioni, come Roma, Napoli e Torino. Perché vi sia questo tipo di specializzazione, occorre una dimensione tale da realizzare delle economie di scala.

PRESIDENTE
E per le procure?

AMOROSO
Per le procure non so, ma credo che un discorso del genere non valga neanche per loro. Ad esempio, la procura di Ancona, che è la più grande e può contare su una decina di sostituti, difficilmente può delegare ad un magistrato o anche a due magistrati su cinque i soli interventi sugli infortuni sul lavoro perché ciò significherebbe prevedere dei turni di reperibilità incompatibili con l’attività lavorativa. Se fossero delegati ad un solo magistrato egli sarebbe sempre di turno, mentre se fossero delegati a due magistrati essi sarebbero di turno una settimana sì e l’altra no. Il problema non è tanto il pubblico ministero...

PRESIDENTE
Le dico ciò, dottor Amoroso, non al fine di conoscere l’organizzazione dei vostri lavori, ma perché questa materia ha specificità diverse.

AMOROSO
Sicuramente.

PRESIDENTE
Ha specificità diverse anche in relazione alla scena dell’infortunio e alle indagini. Lo dicevo in questo senso.

AMOROSO
L’importante è che il sopralluogo venga effettuato da tecnici. Nella ricostruzione di un infortunio sul lavoro occorre premettere delle valutazioni tecniche che consentano di fare valutazioni in termini di responsabilità e occorrono altresì i tecnici (ossia gli ispettori del lavoro), in grado di porre anzitutto sotto sicurezza il luogo dell’infortunio (cosa che, per la verità, non sempre accade, ma solo in riferimento ai piccoli infortuni). Il magistrato subentra poi nell’individuazione delle responsabilità. La difficoltà di tali processi è proprio questa. Anche l’ultima riforma del decreto legislativo n. 81 del 2008 – mi riferisco a quella del 2009 e, più nel dettaglio, all’articolo 18 –, che cerca timidamente di operare dei distinguo all’interno di una struttura complessa per individuare la penale responsabilità in caso di rilievo di condotte commissive e omissive penalmente rilevanti, nulla ha cambiato. Ciò riguarda tanto l’ambito dell’infortunio avvenuto nel settore privato, quanto – e soprattutto – la responsabilità dell’ente pubblico in relazione ad eventuali infortuni occorsi sul lavoro.
Il problema di più frequente discussione nelle aule di giustizia non è tanto quello dell’omissione di cautele antinfortunistiche, quanto quello dell’imputabilità di tali cautele (ciò vale soprattutto nell’ambito del settore pubblico come, ad esempio, negli enti locali). Per quanto mi riguarda, devo dire che nella mia esperienza giudiziaria non ho fino ad oggi mai assistito ad una riforma di sentenze di condanna in primo grado. Prestiamo moltissima attenzione e la Corte di appello non ha mai riformato una sentenza di condanna in tema di infortuni sul lavoro; casomai è intervenuta per operare, con diversi criteri, l’attribuzione di responsabilità. Il fenomeno non è di particolare incidenza. Sicuramente esso è presente, ma non vi è un’emergenza giudiziaria con riferimento, ad esempio, al problema del lavoro nero.

PRESIDENTE
Abbiamo un dato. Non ho assolutamente pregiudizi, però una presenza di stranieri di circa il 10 per cento – è il dato che ci ha prima fornito il prefetto – spesso produce maggiori sacche di lavoro grigio o comunque di lavoro nero.

AMOROSO
Abbiamo qualcosa, ma è un fenomeno poco rilevante.

PRESIDENTE
Sono felice di questo, perché significa che sono tutti in chiaro. Non ci risultano però dati così positivi.

AMOROSO
Ci sono emergenze di occupazione di lavoratori extracomunitari privi permesso di soggiorno: lo apprezziamo dal visto delle sentenze di primo grado che ci passano. Sicuramente il fenomeno è presente nell’edilizia e nel settore del lavoro domestico. A noi però non risulta l’esistenza di un’emergenza caporalato o di qualcosa di simile (ricordo che di recente è stata introdotta la normativa sul nuovo delitto di caporalato).

PRESIDENTE
Quindi non c’è questa organizzazione a latere del collocamento?

AMOROSO
Qui no. Quelle organizzazioni prevedono grosse strutture produttive – penso alla terra di lavoro in Puglia –, oppure grandi attività edilizie. Di recente sono stati trovati 180 lavoratori in alta Italia, se non sbaglio, ma non si trattava di lavoro nero in senso proprio: era un lavoro denunziato, ma con diverse retribuzioni.
Probabilmente per trovare situazioni di questo tipo bisogna andare nelle terre di origine del fenomeno (la Puglia, ad esempio, o la Provincia di Caserta al tempo della raccolta dei pomodori), perché è quello l’ambito nel quale queste organizzazioni poi trafficano in manodopera. Nelle Marche, invece, dove c’è poca industria e molta manifattura, con un tessuto produttivo dunque più piccolo e più sano, il discorso è diverso, per cui non penso che il fenomeno del caporalato si possa radicare.

PRESIDENTE
Il fenomeno del lavoro nero, però, è possibile.

AMOROSO
È un fenomeno che si avverte.

PRESIDENTE
Se ho ben capito, quella che lei fa è una valutazione di tipo empirico.

AMOROSO
È una valutazione che si basa sulle risultanze delle indagini, che in alcuni casi, se non ci sono riscontri, possono anche non sfociare in processi.
Il fenomeno del lavoro nero è a macchia di leopardo e se ne sente parlare, ad esempio, nel settore dell’edilizia.

PRESIDENTE
E per quanto riguarda invece il settore manifatturiero?

AMOROSO
A me non consta. Come dicevo, se ne sente parlare nel settore dell’edilizia, anche se a questo punto bisognerebbe chiedersi che cosa si intende per edilizia, perché nella maggior parte dei casi si tratta di piccole imprese che assumono il lavoratore straniero in nero per piccole ristrutturazioni, cioè in sostanza per lavori di uno o due mesi, per cui parliamo di un fenomeno di portata piuttosto ridotta.
Devo dire che, per quella che è la mia personale esperienza lavorativa, dall’esame degli atti giudiziari non mi risulta che si registri il fenomeno del lavoro nero nel settore manifatturiero, dove molto spesso, peraltro, le aziende sono a conduzione familiare e parafamiliare: non si può quindi parlare di un’emergenza giudiziaria al riguardo nel territorio della Regione Marche.

PRESIDENTE
Ne prendiamo atto con piacere.

AMOROSO
Per altro verso devo dire che, a quanto mi risulta, vi è un elevato livello di controllo da parte degli organi competenti. Ci sono imprese – solitamente si tratta di piccole imprese – che nell’arco di un anno, a seguito di ispezioni, si sono trovate a dover giustificare almeno due o tre volte la posizione lavorativa di tutto il personale. Gli accertamenti dunque vengono eseguiti, incontrando spesso magari anche il malumore dell’imprenditore, che è costretto ad una super attività burocratica per giustificare certe posizioni, senza che a ciò consegua però poi un riscontro concreto. In ogni caso, potrete facilmente accertare i risultati dell’attività ispettiva che è stata svolta, rivolgendovi agli organi competenti (l’INPS, ad esempio).

PRESIDENTE
Sentiremo tra poco questi soggetti.

AMOROSO
L’impressione che ho è che, dal momento che si fanno molti controlli, se alla fine a questi non segue l’irrogazione di sanzioni amministrative da parte degli ispettori dell’INPS, ciò significa che, o i controlli sono fatti male, oppure il fenomeno non esiste o, ancora, se anche esiste, è molto ridotto.
Queste mie considerazioni discendono dal rapporto tra ispezioni compiute ed infrazioni rilevate, che dà l’idea della dimensione del fenomeno.

PRESIDENTE
Mi scusi, dottor Amoroso, potrebbe darci il dato relativo al numero dei processi in materia di lavoro che si registra nella Regione?

AMOROSO
Come abbiamo visto, in un anno ci sono stati otto infortuni mortali sul lavoro.

PRESIDENTE
In verità mi riferivo ad un discorso più ampio.

AMOROSO
Se si riferisce all’ambito contravvenzionale, non abbiamo per la verità un grande numero di contravvenzioni in materia di lavoro, la maggiore parte delle quali, peraltro, ove possibile viene oblazionata.
I casi più ricorrenti riguardano soprattutto fenomeni di evasione contributiva (omesso versamento, ad esempio, delle ritenute operate sullo stipendio dei lavoratori ai fini previdenziali) in cui l’imprenditore incorre per difficoltà economiche, finendo poi sotto processo. Si tratta dunque solitamente di attività sane, che incontrano delle difficoltà alle quali spesso consegue il tracollo stesso dell’attività imprenditoriale. Parliamo comunque di condotte sanzionate per lo più simbolicamente, perché, pur trattandosi di delitti, la sanzione coincide spesso con qualche mese di reclusione.
Sanzioni più gravi vengono irrogate, invece, in tutti i processi per infortunio sul lavoro (sia nel caso di semplici lesioni, che di decesso del lavoratore), che riguardano molto spesso anche reati formali (omessa istruzione del lavoratore).
Per la verità in molti casi può essere difficile l’attribuzione della responsabilità, dal momento che ci si muove spesso in un contesto di violazioni formali, laddove, affinché sia configurabile una responsabilità penale per omicidio colposo o lesione colposa, occorre invece che la violazione sia rilevante dal punto di vista eziologico. Mi spiego meglio: nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un’ipotesi di omessa formazione del lavoratore, ma questi sia comunque capace di svolgere un certo lavoro, un eventuale infortunio sul lavoro non può essere ricollegato direttamente all’omessa formazione, se non esiste un preciso nesso eziologico, vale a dire un rapporto di causa ed effetto tra l’omessa formazione del lavoratore e l’infortunio.
Un problema più delicato riguarda la responsabilità negli enti pubblici e, in particolare, negli enti locali, che sono talvolta sottodimensionati e senza una specifica ripartizione di competenze, per cui, in mancanza di una delega puntuale al dirigente, si arriva alla fine ad un’attribuzione di responsabilità quasi formale al sindaco. Il settore pubblico è uno di quelli in cui probabilmente occorrerebbe intervenire in maniera più dettagliata in ordine alle competenze e alle responsabilità ai sensi del decreto legislativo n. 626 del 1994.

PRESIDENTE
La giurisprudenza sta colmando ormai anche questa lacuna.
Noi dobbiamo evitare il fenomeno per il quale il datore di lavoro o il responsabile dell’ufficio in qualche modo delegano i compiti di formazione del lavoratore, ritenendo così di rimanere fuori da eventuali responsabilità che dovessero determinarsi in presenza di un infortunio grave, o addirittura mortale.
Pensiamo all’orientamento che è stato chiaramente espresso al riguardo nelle sentenze più recenti – penso, ad esempio, a quelle di Torino o di Barletta – che sono andate tutte nella stessa direzione.

AMOROSO
Il problema è che la definizione del panorama delle responsabilità viene delegata all’attività giurisprudenziale, mentre invece probabilmente si potrebbe intervenire con legge, con una previsione più dettagliata.

PRESIDENTE
Sicuramente, anche se nei casi che ho richiamato sono state le indagini a produrre questi effetti.

AMOROSO
Nel 2009 si cercò di specificare meglio il discorso delle responsabilità, con una norma che fu poi ritenuta superflua dalla dottrina, dal momento che nulla era cambiato rispetto a prima.
Una specifica necessità in questo senso viene avvertita, ad esempio, proprio dagli amministratori pubblici locali, dal momento che, in mancanza di strutture tali da consentire forme di specializzazione, si arriva sempre e comunque a configurare una responsabilità in capo al sindaco.

PRESIDENTE
Analogo discorso può valere, però, anche per altri settori. Ricordo, ad esempio, la vicenda di un bidello che si è fatto male ed in cui si è trovato in qualche modo coinvolto il dirigente scolastico.
Credo sia dunque importante capire che, anche nell’ambito di certi contesti, è necessario avere un piano che preveda gli eventuali rischi sul lavoro.

AMOROSO
Ma in tal caso ricorre l’omessa attuazione di specifiche previsioni normative del decreto legislativo n. 626.
Anche negli uffici giudiziari, ad esempio, il responsabile per la sicurezza è il capo dell’ufficio.

PRESIDENTE
Possiamo dire che il discorso vale un po’ per tutto, anche se molto spesso si va avanti senza dare il giusto peso a questi aspetti, pensando che non accada nulla, mentre poi le cose succedono.

AMOROSO
Sono perfettamente d’accordo con lei, signor Presidente, ma vorrei spiegarle di che cosa ci troviamo solitamente a discutere, soprattutto in appello, nei giudizi per l’accertamento delle responsabilità in caso di infortunio sul lavoro. Talvolta nel primo grado di giudizio viene riconosciuta la responsabilità in capo a diversi soggetti, magari a titolo di cooperazione colposa, escludendo invece altri. In appello ci troviamo così a discutere spesso della posizione di soggetti impugnanti, condannati in primo grado, senza poter esaminare invece la situazione del soggetto assolto.

PRESIDENTE
Ma questo vale per tutti i processi e non solo per quelli in materia di lavoro.

AMOROSO
Certo, ma nel caso dei processi per infortuni sul lavoro il discorso è più complicato.

PRESIDENTE
Ma la procedura è la stessa, nel senso che, se in secondo grado si deve riformare una sentenza e se emergono responsabilità che non erano state accertate in primo grado, sarà poi comunque il giudice a decidere.

AMOROSO
Ma in questi casi il discorso è diverso, perché parliamo di responsabilità omissive.

PRESIDENTE
D’accordo, ma sono responsabilità omissive che hanno comunque causato un certo evento che ha rilevanza da un punto di vista penale.

AMOROSO
Non c’è dubbio, ma la responsabilità omissiva può essere ripartita tra più soggetti a diverso titolo, e questo può portare a conclusioni che magari confliggono con i risultati parzialmente assolutori della sentenza di primo grado.

PRESIDENTE
Ma questo può accadere anche nel caso di un incidente automobilistico.

AMOROSO
Sì, ma è più raro.

PRESIDENTE
Ringraziamo il dottor Amoroso per i dati che ha voluto darci e gli auguriamo buon lavoro.
Dichiaro conclusa l’audizione in titolo.

Audizione dell’assessore alla salute, volontariato, acque minerali termali e di sorgente, veterinaria, dell’assessore al lavoro e del dirigente del servizio salute della Regione Marche

Intervengono l’assessore alla salute, volontariato, acque minerali termali e di sorgente, veterinaria, dottor Almerino Mezzolani, l’assessore al lavoro, dottor Marco Luchetti, e il dirigente del servizio salute della Regione Marche, dottor Giuliano Tagliavento.

PRESIDENTE
Proseguiamo i nostri lavori con le audizioni dell’assessore alla salute, volontariato, acque minerali termali e di sorgente, veterinaria, dottor Almerino Mezzolani, dell’assessore al lavoro, dottor Marco Luchetti, e del dirigente regionale presso il servizio sanità e prevenzione della Regione Marche, dottor Giuliano Tagliavento.
Vorrei anzitutto ringraziarvi della vostra presenza odierna, che non è un evento straordinario in quanto questa nostra Commissione parlamentare di inchiesta sta cercando di capire come le norme del cosiddetto Testo unico (decreto legislativo n. 81 del 2008), per quanto di competenza, siano state recepite e attuate al livello regionale. Quello che stiamo facendo è uno screening di tutte le Regioni d’Italia in quanto avvertiamo una certa fatica nelle relazioni tra Regioni e Ministeri del lavoro e della salute, ragion per cui ci sembrerebbe opportuno e necessario un maggiore collegamento tra queste due realtà, che pure è previsto date le competenze di coordinamento che hanno le Regioni. Eppure, si tratta di un processo che arranca. Il nostro compito è di studiare la situazione e portare il tema in sede di Conferenza Stato-Regioni per capire se questo debba essere rivisto e riorganizzato.
Le fonti che abbiamo, pur evidenziando dal punto di vista degli infortuni in generale una linea di segno meno – e questo ci fa piacere – mettono in risalto il dato allarmante del costante aumento degli infortuni mortali rispetto allo scorso anno. Alla luce di ciò, chiediamo un’apertura di dialogo su questo tema con le istituzioni regionali; una riflessione comune. Sapete benissimo che la legislazione è di competenza esclusiva dello Stato, delle Regioni e concorrente tra Stato e Regioni. In questo quadro è necessario capire dove intervenire per migliorare o modificare le norme vigenti, ovvero se il decreto legislativo n. 81 del 2008, così come modificato, debba rimanere tale, oppure se, anche alla luce della vostra esperienza in materia, avete proposte in merito. Da questo punto di vista riteniamo molto prezioso questo dibattito, soprattutto perché ci è risultato difficile poter fare un confronto unico al livello nazionale. Abbiamo cercato di convocare assessori, Presidenti di Regione o chi aveva deleghe su questo tema senza però riuscirci, nonostante sforzi enormi, ragion per cui abbiamo preferito venire a parlarne sul territorio. Siamo consapevoli del fatto che avete tante questioni sul tavolo da affrontare quotidianamente – si è in trincea – però è pur vero che siamo in presenza di un problema molto serio. Infatti, benché si sia registrato un decremento, le cifre superano i 700.000 casi, e comunque ci aggiriamo sempre nel limite di 1.000 casi mortali. L’anno scorso abbiamo avuto il piacere di scendere sotto quota 1.000 ma il calo comunque è di qualche decina, quindi la situazione è sempre la stessa; anzi, i dati che abbiamo non ufficiali sembra che quest’anno ci propongano addirittura un quadro peggiore. Questo ci impone un dialogo in modo particolare con voi colleghi delle istituzioni regionali.

MEZZOLANI
Signor Presidente, credo che i dati citati ci dicano anzitutto che è necessaria una riflessione comune perché indubbiamente i numeri ci preoccupano.
Riporterò l’esperienza che le Marche hanno fatto nel corso di questi anni, dal 2001 al 2011, perché è indubbio che vi siano – e la nostra storia lo dimostra – margini di miglioramento enormi. Ritengo infatti che dobbiamo portare avanti un processo di implementazione del percorso avviato, che spero sia seguito anche al livello nazionale. I risultati che abbiamo conseguito sono frutto di una grande collaborazione tra tutte le parti in causa e credo che questa sia l’unica via da perseguire per ottenere quei risultati che almeno qui hanno prodotto un significativo miglioramento.
Ricordo che le Marche nel 2001 erano la seconda Regione nella graduatoria negativa degli indici infortunistici, anche relativamente agli indici di mortalità di questi infortuni, e che nel corso di questi 10 anni abbiamo enormemente risalito la classifica attestandoci a metà di essa.

PRESIDENTE
Per quanto riguarda la vostra strutturazione vi riferite al comitato regionale di coordinamento?

MEZZOLANI
Sì, al comitato regionale di coordinamento, che peraltro abbiamo ampliato anche alla partecipazione delle Province e ad altri soggetti non previsti. La nostra esperienza ci dice che la collaborazione tra tutti questi soggetti, attraverso una rete condivisa, soprattutto per puntare ad accordi che guardino ai risultati più che alla disputa sulle competenze, ha portato...

PRESIDENTE
Quando lo avete costituito questo comitato?

TAGLIAVENTO
Nel 2005.

PRESIDENTE
Non è possibile. Parlo del coordinamento previsto dalla legge n. 123 del 2007.

TAGLIAVENTO
Lo abbiamo costituito con una delibera – lasceremo la relativa documentazione – nel giugno del 2008, anche se per avviare la procedura c’è voluto un po’ di tempo dal momento che la prima seduta di insediamento si è tenuta nel dicembre dello stesso anno, però in precedenza comunque esisteva il comitato di coordinamento, in seno al quale dal 2007 la Regione Marche già invitava le parti sociali.

PRESIDENTE
Questo comitato si riunisce con frequenza? C’è anche un direttivo del coordinamento, un esecutivo che stabilisce le politiche da intraprendere sui vari territori della Regione, quindi con riverbero sui territori provinciali. Senza considerare la relazione annuale che deve pervenire ai Ministeri del lavoro e della salute, che ci interessa in particolare, perché è l’unico elemento che mette in corrispondenza le Regioni, per l’attività che svolgono e le competenze che hanno, con i Ministeri deputati.
Relativamente ai dati di cui lei parlava, assessore, sono certamente preoccupanti per le Marche laddove, secondo fonte INAIL, i casi mortali da gennaio-novembre 2010 a gennaio-novembre 2011 sono aumentati da 23 a 39. Il problema è oltremodo serio.

TAGLIAVENTO
La curva degli infortuni mortali nel corso degli anni ha avuto oscillazioni abbastanza evidenti, trattandosi di numeri piccoli. Nella nostra Regione negli ultimi anni il 60 per cento di questi casi mortali è collegato alla parte viabilità; sono infortuni sulla strada.

PRESIDENTE
In itinere.

TAGLIAVENTO
Non solo. Possono essere infortuni di persone che per lavoro sono sulla strada: sia in itinere, nel senso tecnico del termine, sia infortuni mortali professionali sulla strada, nel senso più stretto del termine, tanto che nel nostro quarto protocollo di intesa con l’INAIL, stipulato recentemente e che rappresenta il nostro asse portante di lavoro nonché un importante sostegno alle politiche di prevenzione, abbiamo inserito proprio il tema per cercare di mettere insieme tutti i componenti sul versante dell’incidentalità stradale.
La settimana scorsa abbiamo organizzato un incontro presso la sede dell’INAIL con polizia stradale, l’ANAS, la scuola, noi come Regione e INAIL, proprio per cercare di adottare una strategia comune su questa problematica, che è di particolare rilievo nella nostra Regione anche in funzione degli incidenti mortali sul lavoro.

PRESIDENTE
Dai dati che emergono anche nel 2010, di 26 infortuni mortali, sei sono in itinere.

TAGLIAVENTO
Sei sono in itinere, ovvero quella particolare condizione che viene riconosciuta assicurativamente dall’INAIL, che comprende il tragitto casa-lavoro e viceversa. Tuttavia, tra gli altri 20, c’è una quota rilevante di incidenti stradali legati a persone che sono sulla strada mentre lavorano.

PRESIDENTE
Ma che significa? Si tratta di un lavoro come un altro. Se uno fa l’autotrenista oppure ha un mezzo per lavorare sulla strada svolge un lavoro come un altro.

TAGLIAVENTO
Volevo solamente dire che le motivazioni e le dinamiche sono comunque almeno parzialmente diverse da quelle che determinano gli infortuni nel luogo di lavoro, come può essere il cantiere o l’azienda.

PRESIDENTE
Lei ha questi dati specifici?

TAGLIAVENTO
Al momento no, ma se vuole posso farglieli pervenire.

PRESIDENTE
Sì, per vedere quanti sono gli infortuni che si determinano in situazioni di lavoro.
Vedete, ci stiamo impegnando molto per cercare di creare un collegamento tra Stato e Regioni, che non c’è, lo dico con grande determinazione. Questo è gravissimo. Cerchiamo di fare in modo che questa Commissione faccia da trait d’union perché è risultato con grande chiarezza, nelle diverse Regioni che abbiamo visitato, che assolutamente non c’è una corrispondenza di relazioni annuali tra le Regioni, come comitato di coordinamento, e i Ministeri del lavoro e della salute. Non so se sia anche il vostro caso, ma cerchiamo di mantenere questo unico elemento di collegamento; non ce ne sono altri.
Voi che la vivete sapete meglio di me che la Conferenza Stato-Regioni è una sede molto complessa. D’altra parte, ci sono tavoli trilaterali tra Stato, Regioni e anche parti sociali (perché giustamente è prevista la loro presenza) per l’attuazione di alcuni decreti, e però non si arriva alla definizione. Non abbiamo ancora il sistema informativo nazionale, che è pronto da tempo. La grande difficoltà che stiamo riscontrando ci porta a ragionare se sia il caso di mantenere questa complessità e tutte queste competenze sul tema, sia per quanto riguarda gli oneri delle Regioni, sia per quanto riguarda il peso che sta a monte, a fronte dello Stato. Quindi, mi sembra giusto e corretto che queste cose vengano riferite a dei colleghi, altrimenti non avrebbe senso nemmeno la nostra presenza in questa sede.
Ad ogni modo, vi preghiamo di attenzionare maggiormente questo argomento, perché non abbiamo altri collegamenti.

TAGLIAVENTO
Tenuto conto dell’esperienza diretta di rapporto con i livelli sia interregionali che nazionali, una cosa che certamente deve essere sollecitata è il pieno utilizzo del Comitato di cui all’articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008. La Commissione di cui all’articolo 6 è avviata, lavora bene e ha ormai trovato una maggiore efficacia di azione rispetto a quello precedente. Ricordo che facevo parte del precedente Comitato, come del resto faccio parte anche dell’attuale. La Commissione di cui all’articolo 6 presenta in questo momento un’efficacia di azione, dopo un primo anno di avvio di grande difficoltà per fare il regolamento. Il Comitato di cui all’articolo 5 (di raccordo con il nostro comitato regionale di coordinamento previsto dall’articolo 7) ha ancora delle difficoltà. Questo è – in ogni caso – il primo anno in cui tutte le Regioni – insieme – hanno fatto un report sul 2010, che è stato recentemente ufficializzato ed inviato. A tal proposito, vi consegno i dati relativi alla nostra Regione. Un elemento molto importante ed utile per riuscire ad avere questi dati più nel dettaglio sarebbe avere, all’interno del Comitato, un format comune rispetto ad alcune informazioni essenziali di cui si ha necessità dalle Regioni.
Questa è l’ottica del comitato regionale di coordinamento, ufficio operativo e uffici provinciali, ovviamente con una progressione nel tempo legata alla difficoltà di tradurre gli aspetti formali in aspetti sostanziali. Dal 2008 abbiamo un comitato regionale di coordinamento che, all’inizio dell’anno fa un programma. In occasione della prima riunione facciamo la verifica in relazione all’anno precedente, nonché il programma per l’anno successivo. Dal 2010 è partito l’ufficio operativo che stabilisce le strategie. Ci è voluto un anno per capire in che modo ci si può rapportare e come si può essere utili al sistema. Nell’ottobre del 2010 abbiamo emanato la direttiva per far partire nella nostra Regione gli uffici provinciali, che sono divenuti operativi tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. Nel 2011 abbiamo inoltre dato le prime indicazioni di indirizzo sul versante della vigilanza da fare insieme o in maniera coordinata. Tra queste, è segnalata la problematica degli ambienti confinati, che rappresenta, da un punto di vista nazionale, una delle tematiche da sviluppare, così come l’edilizia in generale e la problematica delle grandi opere. Ricordo che nella nostra Regione è in atto l’ampliamento della terza corsia ed è forte la preoccupazione per l’asse quadrilatero Marche-Umbria, per la rilevanza dei lavori.

PRESIDENTE
Però c’è, fortunatamente.

TAGLIAVENTO
Ci preoccupa, in quanto dobbiamo seguire le problematiche relative agli appalti.
Due settimane fa si è svolto l’ultimo incontro operativo del 2011 nel quale abbiamo dato le indicazioni per la programmazione di attività per gli uffici provinciali del 2012 (si tratta ancora di una bozza, che, se volete, vi posso fornire).
Abbiamo anche visto come fare una rendicontazione di tale attività e abbiamo dato un fac-simile di regolamentazione, che aveva dato buona prova nelle sperimentazioni fatte dall’ufficio provinciale della Provincia di Ancona e che poi è stato allargato a tutte le Province. L’ufficio operativo che ha più esperienza e che sta lavorando in maniera più efficace è quello della Provincia di Pesaro (anche in questo caso si opera alla luce dell’esperienza). Da questo punto di vista, stiamo sperimentando e lavorando nel concreto con l’assetto istituzionale previsto dal decreto legislativo n. 81. Questo è un dato oggettivo.
Sul piano del metodo di lavoro, ciò è stato possibile perché, dal 2005 in poi, la Regione Marche ha dato l’input politico di lavorare individuando le priorità sulla base dell’epidemiologia e condividendole con le parti sociali e le altre istituzioni, di modo che ciascuno, secondo il proprio ruolo, sposti l’attenzione dalle competenze agli obiettivi. L’asse portante di ciò sono stati gli accordi tra INAIL e Regione. Appena l’INAIL, per effetto del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, ha avuto competenza in materia di prevenzione, abbiamo fatto un primo accordo (sto parlando del 2001). Da allora si sono sviluppati, ogni tre anni, degli accordi che, sempre di più, sono riusciti a sostenere e mettere insieme tutte le componenti.

PRESIDENTE
La ringrazio dottor Tagliavento.
Do ora la parola all’assessore regionale Marco Luchetti, con delega al lavoro.

LUCHETTI
Credo di poter asserire che sul tema della sicurezza sono stati fatti passi avanti decisivi nelle Marche. I dati che citava il Presidente sono molto preoccupanti, perché fino al 2010 abbiamo avuto un indicatore diverso. Da questo punto di vista, dobbiamo far riferimento, con riguardo ai dati che purtroppo si stanno rilevando per il 2011, a una serie di fattori. Quanto al primo, dobbiamo dire chiaramente che non si è ancora sviluppata quella cultura della sicurezza a cui facciamo riferimento e che il Presidente della Repubblica ha costantemente ribadito. Affrontiamo questo argomento nelle giornate con l’ANMIL (Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro). Ogni anno tentiamo di fare un’analisi al fine di sviluppare i presupposti per una diversa cultura della sicurezza (in seguito parlerò delle iniziative concrete che abbiamo assunto in questa direzione).
C’è un dato di fondo di cui dobbiamo prendere coscienza (è questa la ragione per cui dobbiamo fare un’analisi attenta della nostra situazione territoriale e di struttura produttiva): la Regione Marche, dal punto di vista manifatturiero, è la più industrializzata rispetto alla popolazione. Su questo non c’è dubbio. Abbiamo decine e decine di migliaia di imprese – soprattutto piccole –, che lasciano scoperta questa tematica, il più delle volte intente a fronteggiare una situazione di crisi che non è indifferente. Infatti, nel momento della crisi si allenta – purtroppo – l’attenzione sul tema della sicurezza. Come diceva il dottor Tagliavento, i grandi cantieri hanno purtroppo visto incidenti rilevanti negli ultimi tempi.
C’è da ricordare anche il nostro tessuto agricolo, tradizionale, affidato soprattutto a persone molto anziane che, nell’utilizzo degli strumenti di lavoro, sono esposte più di altre agli infortuni. Tutti gli incidenti in agricoltura sono prevalentemente attribuibili all’uso di trattori da parte di persone anziane. Su questo dobbiamo confrontarci anche con le organizzazioni agricole, affinché si elevi la loro attenzione.
Ricordo che dall’inizio del Duemila in poi si è presa coscienza di questa realtà così pesante che si andava profilando, tant’è che eravamo i secondi, come ricordava l’assessore alla sanità. Abbiamo potenziato gradualmente i servizi di prevenzione: siamo passati dai 90 operatori del 2000 ai 150 nel 2010 e dovremo fare qualche sforzo in più, nonostante le difficoltà attuali. Pur tenendo conto dei nostri organici, questo sforzo dimostra una grande attenzione: abbiamo tentato di fare il possibile, soprattutto nelle strutture provinciali e sanitarie. Con riferimento alle grandi opere, ad esempio, esiste un protocollo con le parti sociali per il monitoraggio e il controllo dei cantieri.
Come già si è detto, abbiamo tentato di unire il nostro sforzo con quello dell’INAIL già nel 2001, in occasione del primo protocollo. Ora siamo al quarto protocollo, che abbiamo firmato lo scorso mese. Nell’ottica del coordinamento sono decollati i servizi provinciali e speriamo i realizzi questa unità di intendimenti. Vi è un protocollo anche con la Direzione regionale del lavoro per fare in modo che ci si muova all’unisono su questo versante. Il progetto obiettivo, che abbiamo varato nel 2005, si proponeva un’analisi dei bisogni, in modo tale che l’orientamento delle azioni fosse conseguente alle analisi epidemiologiche. Abbiamo valutato anche l’appropriatezza dei controlli: si tratta di un tema fondamentale nell’azione che si svolge a livello provinciale. In particolare, abbiamo tentato di rendere coerente questa azione con la condivisione di tutti.
Va detto che stiamo operando bene anche con l’associazionismo. Ad esempio, ha riscosso unanimità di intendimenti il convegno del settembre dell’anno scorso, nel corso del quale abbiamo precisato l’operatività dei servizi decentrati. Come ha già detto il dottor Tagliavento, stiamo affinando le nostre competenze con la partecipazione a tavoli nazionali, attraverso il collegamento con le altre Regioni. C’è il problema dello scarso collegamento con il Ministero del lavoro, al di là della dialettica che esiste tra centro e periferia rispetto alle competenze. Questa dicotomia è sempre
presente e speriamo di definirla una volta per tutte. È chiaro quanto è stato detto con riferimento al monitoraggio nazionale: è importante una sintesi nazionale di quanto si fa rispetto alle competenze che sono state attribuite anche dal Titolo V della Costituzione. Ripeto: questa sintesi va fatta.
Per quanto riguarda la nostra partecipazione, abbiamo sempre dato il nostro contributo in sede nazionale con le altre Regioni e speriamo di continuare a farlo. Spero anche che questi ultimi sforzi che si stanno facendo vedano l’adesione del Ministero del lavoro.
Tra l’altro, nello sviluppare le nostre azioni locali, abbiamo anche fatto riferimento alle risorse che abbiamo. Ricordo l’esistenza, presso l’Università di Urbino, dell’osservatorio «Olympus», di cui spero la Commissione possa prendere visione.

PRESIDENTE
Ne abbiamo già audito i rappresentanti.

LUCHETTI
Dunque, conoscete già la situazione. Noi abbiamo utilizzato molto questo criterio e lo abbiamo generalizzato.
Inoltre, nell’ambito del nostro percorso di affinamento degli strumenti normativi, abbiamo lavorato anche su alcune leggi importanti.
In particolare, nel 2005, abbiamo attivato la legge sul DURC (documento unico di regolarità contributiva), che ha rappresentato uno dei passaggi più significativi per quanto concerne gli obiettivi individuati, ad esempio, in materia di cantieri edili. Da qui è partito un processo, che in realtà non si è ancora concluso, anche perché ci siamo resi conto dei problemi rilevati nel settore delle grandi opere, in cui la manodopera veniva spesso passata da un’azienda all’altra, bypassando i DURC. Ciò ha portato all’attivazione di un tavolo regionale in modo tale che anche i lavoratori prestati da aziende fuori Regione potessero essere in qualche modo garantiti dal fatto che quelle stesse aziende avessero assolto agli adempimenti loro richiesti sotto il profilo previdenziale.
Nel 2008 abbiamo approvato poi una specifica legge sui cantieri, in modo da definire precisi orientamenti per la costruzione degli stessi, sia in base al decreto legislativo n. 81 del 2008, sia, soprattutto, con riferimento alla contabilizzazione dei costi della sicurezza, su cui comunque stiamo ancora lavorando.
Inoltre, nel 2010, con specifico riferimento al discorso degli appalti, abbiamo chiarito quali spese possono essere detratte in sede di ribassi d’asta, in modo tale da avere la massima certezza che nei cantieri siano comunque rispettati tutti i requisiti di sicurezza richiesti.

PRESIDENTE
Lei sa benissimo che dal punto di vista giuridico non è consentito alcun ribasso sulla sicurezza, anche se c’è poi chi lo fa, ma questo è un altro discorso.

LUCHETTI
Per la verità, nonostante la legge, c’è stato un ampio dibattito circa la possibilità di estrapolare dal ribasso d’asta alcune voci – penso, ad esempio, alle modalità di realizzazione delle paratie esterne dei cantieri – per cui siamo di nuovo al tavolo del confronto. Per quanto ci riguarda, abbiamo comunque rinforzato ulteriormente le nostre garanzie, nella speranza che le cose migliorino.
Probabilmente dovremmo prevedere un regolamento al riguardo, proprio per chiarire questi aspetti: abbiamo comunque già trovato l’accordo, per cui credo che da qui a poco riusciremo finalmente ad emanarlo.

PRESIDENTE
Per quanto riguarda specificamente il discorso degli appalti, come Commissione ci stiamo battendo da anni su questo tema. Nell’azione di contrasto che intendiamo condurre al massimo ribasso non riusciamo però a spuntarla con l’Unione europea, dal momento che – almeno secondo l’interpretazione che viene data a livello comunitario – si porrebbero problemi sotto il profilo della tutela della libertà di concorrenza.
Ci stiamo comunque attivando per individuare procedure di tutela, innanzitutto nel settore degli appalti, sponsorizzando il più possibile le stazioni appaltanti, nel senso di non immaginare dunque un’unica stazione appaltante per Regione. Come voi certamente saprete, nel decreto che è ora all’esame del Parlamento, si prevede già che i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti dovranno in qualche modo consorziarsi per partecipare alle gare per gli appalti pubblici, che non potranno gestire da soli.
Sulla questione del massimo ribasso, che in molti casi è davvero eccessivo, incontriamo difficoltà molto serie: voi del resto conoscete benissimo la questione, visto che, oltre ad essere legislatori, siete anche amministratori, per cui vivete direttamente la vicenda.
Anche da questo punto di vista vorremmo dunque un aiuto da parte delle Regioni, affinché aprano un confronto con le Province e con i Comuni per cercare di concentrarsi sulle stazioni appaltanti, in modo tale che le stesse evitino il più possibile il massimo ribasso. Sappiamo tutti che lo strumento del massimo ribasso consente di ridurre le difficoltà dal punto di vista giuridico ed amministrativo, ma è proprio lì che si annidano gravi criticità perché, quando si procede con ribassi molto alti, non si garantisce spesso la sicurezza, per non parlare poi dei problemi di qualità del manufatto.
Come Commissione stiamo cercando quindi di lavorare su questo fronte e siamo qui oggi a chiedere anche a voi un sostegno, per quelle che sono le vostre competenze, nel contrastare, o quanto meno nel contenere, questo modo di agire.

LUCHETTI
Sappiamo bene che su questo tema c’è però una dialettica piuttosto puntuale, se si tiene conto del fatto che il massimo ribasso favorisce dal punto di vista economico il raggiungimento di un obiettivo sicuramente plausibile da parte delle amministrazioni.
C’è poi la questione dell’offerta anomala. Una volta che viene redatto il capitolato – e questo avviene solitamente sulla base di prezziari regionali e di costi riconosciuti – è ovvio che un’offerta che arriva ad un ribasso del 50 per cento va ad inficiare direttamente il lavoro. Capisco che una politica di efficientamento, di efficacia e di efficienza da parte di un’azienda possa in qualche modo consentire di contenere i prezzi entro un determinato plafond, ma non è comunque pensabile che questo contenimento possa superare una percentuale plausibile.
Il problema, allora, è anche il coraggio da parte della stazione appaltante di considerare anomale determinate offerte, al di sotto di una certa percentuale.

PRESIDENTE
Per questo noi cerchiamo di orientare la concentrazione della stazione appaltante.

LUCHETTI
Il problema vero è che, purtroppo, la questione delle offerte al massimo ribasso coincide con le esigenze economiche degli enti pubblici, per cui più si riesce a guadagnare e a lucrare da una parte, più si guadagna da un’altra.

PRESIDENTE
Questo vale però per alcuni fondi, mentre per altri non è così. Ci vorrebbe quindi, anche da questo punto di vista, una certa educazione tra amministratori.

LUCHETTI
Noi stiamo lavorando su un accordo siglato con le parti sociali per quanto riguarda gli appalti al di sotto del milione di euro, perché, come lei ben sa, signor Presidente, al di sotto di quella cifra i Comuni possono agire con grande libertà, per cui nessuno, ad esempio, vuole aderire alla nostra proposta di realizzare almeno un albo di riferimento che offra delle garanzie.
Non è certamente una cosa semplice da fare e del resto incide sulla competitività e sulla sicurezza sul lavoro.

PRESIDENTE
Ci fa sicuramente piacere la vostra sensibilità al riguardo e il nostro invito è a lavorare su questo, perché si tratta di un problema serio e complesso.

LUCHETTI
Siamo arrivati al punto che in alcuni cantieri lucrare sulla sicurezza è diventato un fatto economico non irrilevante.

PRESIDENTE
Il discorso peraltro non riguarda solo le opere, ma anche le progettazioni perché, quando in una gara si arriva ad un ribasso del prezzo fino a meno della metà, è chiaro che anche lì si pone il problema.

LUCHETTI
Per quanto riguarda le progettazioni, la questione è anche quella della liberalizzazione delle parcelle, che non è irrilevante: c’è dunque tutto un mondo da risistemare.

PRESIDENTE
Mi perdoni, ma non vorrei essere frainteso: il nostro incontro di oggi vuol essere un’occasione di confronto su tematiche aperte.

LUCHETTI
Sono d’accordo con lei sul fatto che quella odierna sia per noi un’occasione molto importante.
Quanto poi al discorso della formazione e dell’informazione, come assessorato al lavoro teniamo molto a questa tematica perché, come dicevo anche all’inizio, il problema è quello di realizzare una vera cultura della sicurezza perché, al di là del comportamento delle aziende – che in alcune realtà indubbiamente giocano molto sugli equivoci – è necessario che anche da parte dei lavoratori ci sia una sempre maggiore presa di coscienza al riguardo. Il decreto legislativo n. 81 è una normativa meravigliosa da questo punto di vista, ma, se non viene attuata, non serve a nulla!
Da parte nostra abbiamo sviluppato tutto il discorso dell’informazione e della formazione sulla sicurezza, ai quali si rivolgono i nostri corsi, oggi come nel passato.
Non dimentichiamo che, ai sensi del decreto legislativo n. 81, esiste anche un obbligo di formazione da parte dei datori di lavoro. Per quanto ci riguarda, stiamo tentando di supportare questo impegno attraverso un’ampia offerta formativa: a questo proposito, ricordo che mettiamo a disposizione delle aziende più di 100 profili di carattere formativo che possono essere sviluppati in sintonia con il decreto legislativo n. 81. Inoltre, abbiamo imposto otto ore di formazione obbligatoria per i circa 35.000 lavoratori in cassa integrazione in deroga, che devono essere accompagnati con politiche attive oltre che passive, prevedendo al riguardo una specifica delega per le Province.
Non mancano poi altre azioni: ricordo, ad esempio, l’accordo che abbiamo siglato con i Maestri del lavoro delle Marche per sviluppare, non solo un’attività di sensibilizzazione nelle scuole per quanto riguarda il lavoro in senso lato, ma per quanto attiene soprattutto al discorso della sicurezza, in particolar modo negli istituti tecnici e professionali. A questo proposito, ci tengo a ricordare che il presidente nazionale dei Maestri del lavoro è di Ascoli Piceno, e tiene moltissimo a questo tipo di attività.
Abbiamo previsto anche l’assegnazione ogni anno di uno specifico premio regionale denominato «Valore Lavoro», che viene attribuito nella giornata delle Marche alle cinque aziende che nel corso dell’anno si siano dimostrate le più virtuose da questo punto di vista. La cerimonia di assegnazione del premio si è svolta a Recanati proprio lo scorso venerdì, e devo dire che anche le aziende sono ormai entrate un po’ in quest’ottica.
A tutto ciò si accompagna anche un progetto che riguarda la sicurezza sul lavoro attraverso la responsabilità sociale di impresa. Abbiamo sviluppato sostanzialmente un progetto con 30 aziende campione – e dovremo ora creare un marchio di riconoscibilità delle buone pratiche per tutte quelle aziende che seguiranno l’iter che abbiamo definito all’interno di questo progetto – proprio per cercare, anche sul tema della sicurezza, di mettere le aziende in condizione di fare un cammino di comune e reciproca convenienza
Devo dire che, da questo punto di vista, c’è una buona risposta. Voglio ricordare, tra l’altro, che tra le aziende campione alle quali si è indirizzato il nostro progetto, con l’indicazione di percorsi di miglioramento delle performance interne, compresa la sicurezza sul lavoro, una larga parte ha visto aumentare la propria redditività. Ci sono dunque imprenditori che sono convinti che questa strada sia conveniente anche perché, se non c’è convenienza, l’azienda non si muove.
Per quanto riguarda poi il famoso progetto «Quadrilatero Marche-Umbria» per cui si è aperto fortunatamente un importante cantiere, abbiamo tentato di rafforzare gli addetti alla sanità per la zona montana della Regione; abbiamo messo a disposizione inoltre tre operatori in più per i servizi di controllo e abbiamo istituito un tavolo specifico di lavoro con i Vigili del fuoco e i responsabili delle strutture sanitarie. Ricordo che nella zona del Fabrianese abbiamo anche a disposizione un elicottero.
Abbiamo invitato anche la protezione civile a collaborare a questo tavolo mettendo in essere la predisposizione di presidi relativi al controllo dei cantieri. Un mese fa è morto un altro operaio. Ci sono tecnicalità che vengono usate anche male, a parte l’imponderabile, che esiste in ogni situazione.
Abbiamo sviluppato un’azione di formazione partendo dal presupposto che le scuole dovessero essere coinvolte soprattutto per quanto riguarda i docenti, rispetto ai quali abbiamo avviato un percorso formativo, attraverso un protocollo con l’ufficio generale dell’istruzione sulla sicurezza nelle scuole. In un altro protocollo, che abbiamo firmato qualche mese fa sugli stili di vita, abbiamo introdotto negli istituti superiori anche canali formativi, sempre attraverso i docenti ma supportati anche da esperti esterni. Ci facciamo carico come assessorato al lavoro di fornire queste possibilità alle scuole, introducendo proprio nei curricula formativi anche il problema della sicurezza del lavoro; lo faremo in modo specifico negli istituti professionali e tecnici. Quindi, sul fronte della formazione abbiamo messo a frutto un buon impegno per il recupero di quella cultura; non è mai abbastanza, ovviamente, ma credo che già abbiamo fatto tanto.

TAGLIAVENTO
La nostra Regione ha avviato l’utilizzo – nella relazione troverà lo stato di avanzamento ad ottobre – dei fondi per la formazione previsti dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 81 per l’anno finanziario 2008-2009, attraverso una progettazione di impiego all’interno del comitato di coordinamento. Ad esempio, come diceva l’assessore Luchetti, abbiamo potuto destinare una quota rilevante di quei finanziamenti alla formazione dei docenti delle scuole, per dare loro un supporto in modo tale che loro stessi diventassero a loro volta formatori. Ciò tra l’altro non attraverso una gestione periferica, ma concordata con la direzione scolastica regionale e con la scuola di formazione della Regione Marche, che ha una struttura formativa di dipendenza della Giunta. Siamo parlando di 325.000 euro, che non sono tanti, ma nemmeno pochissimi, destinati proprio alla formazione degli insegnanti.

PRESIDENTE
Ci sono anche altre possibilità, che sicuramente conoscerete – fondi dell’INAIL e del Ministero della pubblica istruzione – per poter ottenere finanziamenti, e quindi svolgere questa meritoria attività. Del resto, se non arriviamo alla cultura della sicurezza sul lavoro e della salute nei luoghi di lavoro, i numeri potranno variare a malapena ma saranno sempre significativi in modo negativo.
Vi ringrazio delle notizie, anche buone, che ci avete dato. Soprattutto, rispetto al comitato di coordinamento regionale vi pregherei di fare questo ultimo sforzo: magari di poterlo riunire con cadenza trimestrale e di rispettare le relazioni annuali con i Ministeri deputati.
Lo Stato e le Regioni sono realtà paritetiche; ecco perché ci permettiamo in queste circostanze di sollecitare in questo senso, così come sollecitiamo i Ministri. Proprio domani incontreremo il nuovo Ministro del lavoro, la professoressa Fornero, alla quale faremo un discorso da mediatori affinché si possa arrivare a processi di sintesi. Per esempio, i dati che ci avete fornito sono molto importanti; potrebbero essere di grande interesse per la conoscenza dei Ministeri ma anche per il riverbero che hanno su altre realtà, che magari a loro volta hanno altri dati importanti su altri segmenti. In questo senso è necessario mettere insieme il tutto perché altrimenti oggi si cammina in maniera scoordinata; questo è l’elemento che cerchiamo tutti di colmare.

LUCHETTI
I problemi istituzionali non mancano.

PRESIDENTE
Queste occasioni servono anche a questo.

Audizione del direttore regionale dell’INAIL e del direttore regionale del lavoro

Intervengono il direttore regionale dell’INAIL, dottor Carlo D’Amato, accompagnato dal dirigente vicario, dottor Giuseppe Maria Mariotti, e il direttore regionale del lavoro, dottoressa Silvana Lucia Damiani.

PRESIDENTE
Proseguiamo i nostri lavori con le audizioni del direttore regionale dell’INAIL, dottor Carlo D’Amato, accompagnato dal dirigente vicario dello stesso ente, dottor Giuseppe Maria Mariotti, e dal direttore regionale del lavoro, dottoressa Silvana Lucia Damiani, che ringrazio per la loro partecipazione.

D’AMATO
Signor Presidente, vorrei fare una breve premessa di carattere generale. La faccio anche alla luce della mia esperienza in altre realtà territoriali, essendo stato direttore regionale della Campania e della Sicilia; dal 18 maggio sono direttore regionale dell’INAIL Marche. Devo dire che questa realtà si connota in maniera particolare per una capacità di coinvolgimento e di coordinamento delle istituzioni che è fuori dal comune, forse per le dimensioni della Regione che, essendo piccola, ha organismi istituzionali che più si prestano all’ascolto e al coinvolgimento; forse perché le condizioni socio-economiche, pur se aggravate dalla crisi attuale, sono obiettivamente meno pesanti di quanto non si registri nelle altre realtà territoriali. Basti pensare che ad oggi il dato della disoccupazione nelle Marche è del 5,6 per cento rispetto ai valori di altre Regioni del 27-30 per cento (penso alla drammatica realtà siciliana). Sono indubbiamente condizioni preoccupanti ma non tanto gravi da costringere le istituzioni a lavorare sull’emergenza, ragion per cui un’attenzione a queste problematiche e la mancanza di una situazione di vera emergenza comportano che si può lavorare sul piano del coordinamento e della programmazione.
Nel campo della sicurezza sul lavoro e della prevenzione degli infortuni, partendo dai dati che abbiamo, si rileva una accentuazione della riduzione degli infortuni sul lavoro rispetto al dato nazionale. Basti pensare che, rispetto al 2010, mentre in Italia si era registrato un trend di riduzione di circa l’1,8 per cento, nelle Marche registriamo il 3,82 per cento, con un indice di frequenza infortunistica, considerando il rapporto tra infortuni indennizzati e numero di addetti, esclusi gli infortuni in itinere, del 31,03 per cento, in calo di due punti rispetto al precedente triennio 2005-2007, attestandosi la Regione al nono posto della graduatoria nazionale. Nel 2002, con riferimento al triennio 1998-2000, le Marche erano al primo posto per un maggiore tasso di andamento infortunistico. Questo décalage degli infortuni ci avvicina molto alla riduzione quantizzata dall’Unione europea, che per il quinquennio 2007-2012 aveva indicato come trend un 25 per cento. Oggi, nel quadriennio 2007-2010 raggiungiamo il 21,7 per cento; dato ancor più significativo se lo rapportiamo al dato italiano, che è del 15,04 per cento: quindi una percentuale superiore rispetto alla media nazionale come virtuosità, se di virtuosità si può parlare rispetto ad un fenomeno che esiste nella sua virulenza e drammaticità. Ad ogni modo, nonostante i risultati conseguiti, che sono indubbiamente positivi, non ci sentiamo appagati perché il numero degli infortuni mortali continua ad essere consistente, benché diminuito dai 32 casi del 2009 ai 26 nel 2010. C’è stata pertanto una riduzione sensibile per quanto riguarda questo aspetto, ma anche rispetto a questi 26 infortuni mortali dobbiamo considerare che ben 16 sono ascrivibili al rischio strada.

PRESIDENTE
Spieghi bene cosa si intende per «rischio strada».

D’AMATO
Quando si parla di rischio strada si intendono sia quegli infortuni in itinere nel percorso casa-lavoro e viceversa (che sono sei), sia quelli che coinvolgono lavoratori che operano sulla strada: agenti di commercio, autotrasportatori, addetti ad attività stradali (10 casi). Quindi, se sottraiamo dal numero complessivo di 26, i 16, sono 10 gli infortuni che avvengono in sede di lavoro tradizionale, come può essere un opificio. Da questo punto di vista ci stiamo impegnando – proprio in questi giorni arriveremo alla definizione di un accordo collegiale – con ANAS, ACI, Polizia stradale e una serie di altri soggetti, per vedere quali iniziative possiamo intraprendere per cercare di attenuare questo fenomeno, che molto spesso dipende dalla responsabilità del soggetto singolo, dal modo in cui guida, dalle condizioni fisiologiche del soggetto addetto alla guida. Altre volte, per quanto riguarda il personale addetto alle attività che si svolgono su strada, si tratta di una situazione di sicurezza. Questo è l’aspetto che ci riguarda e ci coinvolge.

PRESIDENTE
Questo però è un dato che ci preoccupa molto. Sempre secondo i dati che ci fornite, i casi mortali da gennaio-novembre 2010 a gennaio-novembre 2011 sono quasi raddoppiati.

D’AMATO
Sì, Presidente, l’incremento è indubbiamente significativo, ma, come lei sa, non è ancora quantizzabile perché ci sono circa 14 casi di quelli denunciati che sono sottoposti a verifiche ispettive. Infatti, non sempre gli infortuni mortali che vengono denunciati sono ascrivibili a cause di lavoro. Per esempio, dei 44 denunciati, quattro non sono stati ritenuti connessi a causa di lavoro e per 14 sono in corso accertamenti ispettivi. Tenga conto che comunque noi interveniamo, nel senso di prestare tutte le attività e le iniziative che competono all’istituto sul piano assistenziale.

PRESIDENTE
Allora sarebbe opportuno indicare questo dato nelle tabelle.

D’AMATO
Infatti, queste sono tabelle provvisorie, Presidente; sarebbe opportuno specificarlo. Se lei ha notato, non ne ho fatto riferimento proprio per questo, non per nascondere i dati.

PRESIDENTE
Anche se, su 14 accertamenti, fossero tutti non ammissibili, l’aumento c’è stato. Tuttavia, è inimmaginabile che tutti e 14 siano casi impropri – so bene come lavora l’INAIL –, quindi un’altissima percentuale sarà riconosciuta come rientrante nella fattispecie infortuni da lavoro.

D’AMATO
Certamente, anche perché noi, nei limiti del possibile, in ragione della nostra funzione istituzionale, tendiamo ad ammettere all’indennizzo quanti più casi è possibile. Non siamo un’assicurazione.

PRESIDENTE
Se non sono 14, sono 13 o 12.

D’AMATO
Se mi consente, signor Presidente, le invierò a stretto giro di posta una tabella esemplificativa contenente queste precisazioni rispetto al dato, che indubbiamente ha bisogno di essere precisato.

PRESIDENTE
Il dato va precisato, però ci dà sicuramente un segnale di forte incremento assai preoccupante, a prescindere dalla definizione di questi 14.

D’AMATO
Sì, tanto è vero che abbiamo convocato il comitato di coordinamento.

PRESIDENTE
Parla del coordinamento regionale?

D’AMATO
Sì, mi riferisco al coordinamento regionale ex articolo 7 del decreto legislativo n. 81. Proprio domani ci sarà un altro comitato di coordinamento, al cui ordine del giorno è stata posta un’iniziativa che abbiamo promosso insieme alla Regione nel campo dell’agricoltura, dove pure si segnala la necessità di maggiore attenzione.

PRESIDENTE
Dottor D’Amato, ci può fornire una specifica per settore in relazione a questi 39?

D’AMATO
Sì, certo. Avevo preparato un documento, ma nella fretta l’ho dimenticato.

PRESIDENTE
È un dato che va approfondito perché corrisponderebbe all’80 per cento in più, qualora trovasse conferma.

D’AMATO
Calcolando una riduzione degli incidenti mortali da 32 a 26, tra il 2009 e il 2010, in effetti l’incremento sarebbe obiettivamente preoccupante.

PRESIDENTE
Dottor D’Amato, la ringrazio per l’esauriente esposizione e per il documento che ci farà pervenire.

D’AMATO
Signor Presidente, sono in condizione di farvelo avere anche nel corso dell’audizione. Conosco lo scrupolo con cui vi adoperate. Inoltre, ci siamo permessi di portare della documentazione, che vi lasciamo: è abbondante e copiosa, in quanto siamo un ente che lavora molto.
Vorrei altresì segnalare un’esigenza di carattere più politico e complessivo. Sui temi della comunicazione e dell’informazione notiamo, a fronte della grande disponibilità della RAI, una difficoltà a poter accedere all’utilizzo dei mass media privati, i quali chiedono moltissimi soldi per pubblicare comunicati o mandare in onda una specie di pubblicità progresso. Di solito – sto esprimendo un mio pensiero personale – ai giornali e organi di stampa che sono sovvenzionati viene riconosciuto l’obbligo di concedere uno spazio alla pubblicità progresso, che però qua non c’è. C’è una grande disponibilità, le istituzioni funzionano, il coordinamento è efficace e si collabora, ma non appena ci si rivolge ai privati scatta sempre la questione di carattere economico.

PRESIDENTE
Fate dei comunicati stampa?

D’AMATO
Sì, facciamo dei comunicati stampa, che però non vengono pubblicati. Vi è la disponibilità della redazione regionale della RAI, con cui siamo in stretto rapporto. Mi chiedo se magari questa indicazione potesse essere segnalata come prescrizione.

PRESIDENTE
A chi?

D’AMATO
A chi dà il finanziamento ai giornali.

PRESIDENTE
Dottor D’Amato, la ringrazio per il contributo che ci ha offerto.
Do ora la parola alla dottoressa Damiani, direttore regionale del lavoro.

DAMIANI
Quanto ha appena detto il dottor D’Amato mi dà lo spunto per riallacciarmi al tema del nostro difetto di comunicazione, in conseguenza del quale molto spesso quello che viene fatto a livello istituzionale non ha una normale rilevanza all’esterno. Non più tardi di un mese fa, proprio sulla base dei nostri dati, è stato redatto dal TG3 un ottimo servizio sull’attività di vigilanza espletata (se volete, vi faccio avere il CD che sono riuscita ad avere la settimana scorsa).
Per quanto riguarda l’attività che svolgiamo istituzionalmente in materia di sicurezza, ricordo che abbiamo una specifica competenza relativa al campo dell’edilizia, dove la nostra vigilanza si espleta a 360 gradi, soprattutto con riferimento alla regolarità del rapporto di lavoro. Per quanto riguarda l’edilizia, non ho predisposto dei dati, perché non sapevo esattamente ciò che vi sarebbe stato utile. Mi riservo però di farveli avere, visto che – tra l’altro – me li stavano trasmettendo questa mattina.
Come diceva prima il dottor D’Amato, operiamo in maniera molto sinergica con le ASL nell’ambito del coordinamento ex articolo 7. Siamo presenti: sono stati istituiti anche gli organismi provinciali e quindi si partecipa molto. Molta attività di iniziativa e di vigilanza viene svolta anche in maniera congiunta, con le differenze di ruolo esistenti. Operare sulla regolarità del rapporto di lavoro in materia di prevenzione è compito specifico della ASL, fatta salva l’edilizia. In quest’ambito abbiamo puntato molto sul discorso dell’informazione e della prevenzione. Ad esempio, lo scorso anno alcune iniziative significative sono state svolte nell’ambito della Provincia di Macerata: sono stati fatti dei cantieri scuola, soprattutto per sensibilizzare i giovani provenienti da istituti per geometri sull’opportunità e sulla necessità dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza.

PRESIDENTE
Dottoressa Damiani, ci può specificare il discorso relativo ai cantieri scuola?

DAMIANI
È stata attuata un’iniziativa molto interessante. La Direzione provinciale del lavoro – adesso Direzione territoriale – di Macerata ha espletato un’interessante iniziativa di formazione nei confronti degli allievi di istituti per geometri. Sono state fatte delle simulazioni e organizzate delle visite direttamente in cantiere. Si è trattato di iniziative abbastanza significative e apprezzate in materia di prevenzione e – soprattutto – di educazione e sensibilizzazione. Ad ogni modo, non sapendo esattamente quale tipo di informazione era necessaria, non ho predisposto documenti ad hoc.

PRESIDENTE
Quelle che ci sta dando sono per noi informazioni molto importanti. Noi diamo per scontato che ogni funzionario svolga al meglio le proprie attività di ufficio (dobbiamo partire da questo presupposto, salvo eccezioni). Quello che per noi è importante è il coordinamento che avete, che mi colpisce molto positivamente.

DAMIANI
Un’altra interessante iniziativa a cui abbiamo partecipato (anche se il promotore è stato il coordinamento regionale) è stata quella fatta in materia di ambienti confinati (ve ne avranno già parlato): abbiamo partecipato perché si è trattato di iniziative di vigilanza congiunta. In questo caso hanno riguardato Pesaro, ma si stanno allargando e stanno operando in tutte le Province. Operiamo sinergicamente, senza concorrenza, scambiandoci le informazioni ed evitando sovrapposizioni. Adesso dobbiamo mettere a punto questo scambio di informazioni, per evitare la sovrapposizione di interventi, nelle Province dove funziona un po’ meno.

PRESIDENTE
Avete un vostro servizio informatizzato?

DAMIANI
Sì. Abbiamo messo a punto dei sistemi per la rilevazione di dati e per la registrazione dei verbali: si tratta di un sistema che sta partendo quest’anno con qualche difficoltà operativa. C’è stata qualche difficoltà a livello tecnico, anche perché l’ispettore deve abituarsi a verbalizzare.

PRESIDENTE
Qual è il numero di ispettori?

DAMIANI
Esiste una certa discrepanza tra il numero reale e quello effettivamente operativo. Per quanto riguarda gli ispettori tecnici, il numero è molto ridotto. Facevamo il conto stamattina: si riducono a nove (ripeto: parlo di ispettori tecnici). Mi pare che l’intero corpo operativo si aggiri intorno alle 80 – 90 unità. Vi farò sapere il numero esatto, perché dobbiamo molto spesso fare i conti con tutte le forme di riduzione dell’orario lavorativo, che non consentono sempre di contare su tutto l’organico di cui disponiamo. Operiamo con molta difficoltà, in particolare oggi considerato che nella giornata di domani, in funzione dell’attività di programmazione per il 2011, bisogna specificare rapidamente il numero degli ispettori e delle pratiche pro capite, perché dobbiamo programmare l’attività. Come metodo individuiamo dei fenomeni sensibili.

PRESIDENTE
Vorremmo conoscere il numero dei soggetti disponibili per attività ispettive – sia i tecnici che gli altri – e il volume delle ispezioni fatte.

DAMIANI
Per quanto riguarda i cantieri edili, credo che l’anno scorso siano state visitate 700 aziende. Ad ogni modo, nel corso della mattinata vi farò avere tutti i dati ufficiali di vigilanza relativi al 2010, che ho avuto qualche difficoltà a predisporre (siamo aggiornati al settembre 2011).

PRESIDENTE
Dottoressa Damiani, ce li può anche inviare. Ci saranno utili per capire il volume di attività. Sarebbe anche interessante analizzare – sicuramente sarà contenuto nel dato – quanto si rileva maggiormente come deficit, così da capire se c’è la necessità di approfondire più nello specifico alcuni temi.

DAMIANI
Sicuramente. Ogni anno individuiamo dei fenomeni sensibili.
Per esempio, l’anno scorso tutta l’attività è stata orientata soprattutto all’individuazione del lavoro nero, anche se abbiamo avuto un po’ di difficoltà a raggiungere gli obiettivi e il numero prefissato, per un semplice motivo: purtroppo o per fortuna (non so dirlo), nell’anno precedente c’è stata la divulgazione di alcune forme di regolarizzazione – ad esempio, l’utilizzo di voucher – che non sempre sono state utilizzate in modo corretto e molto spesso sono servite più che altro da copertura per forme di lavoro irregolare. Era stato studiato uno strumento molto utile per il settore agricolo, ma che, una volta esteso a tutti i settori, è stato per così dire travisato, rendendo particolarmente difficile individuare forme di lavoro nero, così come anche introdurre forme di lavoro flessibile.

PRESIDENTE
Che percentuale di lavoro nero ha colto?

DAMIANI
Nelle Marche il fenomeno del lavoro nero non è poi così diffuso e preoccupante come in altre Regioni d’Italia, non solo del Sud, ma anche del Nord, come abbiamo potuto verificare anche in occasione delle diverse riunioni fatte a livello centrale. Da questo punto di vista noi siamo un po’ un’isola felice. Nel nostro territorio è molto più diffuso il cosiddetto lavoro grigio, cioè l’irregolarità.

PRESIDENTE
Potrebbe specificare meglio a che cosa fa riferimento quando parla di lavoro grigio?

DAMIANI
Mi riferisco fondamentalmente ad irregolarità per quanto riguarda l’orario di lavoro.

PRESIDENTE
Il discorso riguarda anche il contratto e le retribuzioni?

DAMIANI
Sì, anche questo. Quello che personalmente mi preoccupa molto è il problema del mancato rispetto dell’orario di lavoro, per le conseguenze che questo può avere sul versante della sicurezza.

PRESIDENTE
Parliamo di un numero di ore lavorate superiore a quello previsto, oppure il riferimento è ad una retribuzione inferiore rispetto al numero di ore effettivamente lavorate?

DAMIANI
C’è l’uno e l’altro fenomeno: vale a dire sia uno sforamento rispetto all’orario di lavoro previsto dal contratto, sia una retribuzione non adeguata.
Si tratta di un punto sensibile, anche se – lo ripeto – in occasione dell’incontro che si svolgerà domani, discuteremo quali obiettivi ci saranno assegnati. In ogni caso, la priorità viene riconosciuta ormai quasi sempre alla lotta al lavoro nero. Per quel che mi riguarda ritengo comunque che anche la questione dell’orario di lavoro sia assolutamente importante e la interpreto come qualcosa che può avere le sue serie conseguenze anche in materia di sicurezza, perché la stanchezza è sicuramente un fattore di rischio.

PRESIDENTE
La ringraziamo per il suo contributo, dottoressa Damiani, e la invitiamo a farci avere i dati statistici che lei ha richiamato.

DAMIANI
Sicuramente, signor Presidente.

PRESIDENTE
Dichiaro conclusa l’audizione in titolo.

Audizione del comandante della Legione dei Carabinieri della Regione Marche, del comandante del Nucleo Carabinieri Ispettorato del lavoro di Ancona e del direttore regionale dei Vigili del fuoco della Regione Marche

Intervengono il comandante della Legione dei Carabinieri della Regione Marche, generale di brigata Rosario Calì, il comandante del Nucleo Carabinieri Ispettorato del lavoro di Ancona, maresciallo capo Stefano Petrozzi, e il direttore regionale dei Vigili del fuoco della Regione Marche, ingegner Giorgio Alocci.

PRESIDENTE
I nostri lavori proseguono ora con l’audizione del comandante della Legione Carabinieri Marche, generale di brigata Rosario Calì, del comandante del Nucleo Carabinieri Ispettorato del lavoro di Ancona, maresciallo capo Stefano Petrozzi, e del direttore regionale dei Vigili del fuoco della Regione Marche, ingegner Giorgio Alocci, che ringrazio per aver accolto il nostro invito.
La nostra presenza qui oggi si inserisce nell’ambito dell’attività che la nostra Commissione sta svolgendo al fine di delineare, attraverso un confronto diretto sul territorio, il quadro della situazione esistente in tutte le Regioni italiane, con riferimento alle competenze specifiche che le singole Regioni e tutti i soggetti direttamente coinvolti hanno in materia di contrasto al fenomeno degli infortuni sul lavoro, delle morti bianche e delle malattie professionali, di cui poco si parla, ma che sono invece in crescita.
Vi invitiamo dunque a fornirci gli elementi che al riguardo sono in vostro possesso, nonché eventuali indicazioni, segnalazioni e proposte che saremo ben lieti di recepire.

CALÌ
Signor Presidente. Sono il generale di brigata Rosario Calì, comandante della Legione Carabinieri Marche.
Il Comando Carabinieri per la tutela del lavoro, attraverso la stretta sinergia e collaborazione tra i Nuclei dei Carabinieri Ispettorato del lavoro presenti in ogni Provincia marchigiana e l’organizzazione territoriale del Comando Legione Marche, contribuisce giornalmente, festività comprese, all’attività ispettiva in materia di lavoro. In particolare, grazie alla creazione nel novembre 2009 del Gruppo Tutela lavoro di Roma, che sovrintende e coordina le attività dei quattro Nuclei Carabinieri Ispettorato del lavoro, dislocati presso gli uffici periferici provinciali del Ministero del lavoro, nonché alla contestuale istituzione in seno allo stesso Gruppo del Nucleo operativo con competenza interregionale, sono state proficuamente sviluppate, anche nell’ambito della legislazione sociale, le capacità intrinseche del carabiniere-tutore dell’ordine.
Ogni militare dell’Arma, con la qualifica di ispettore del lavoro, garantisce un’azione di contrasto alle violazioni giuslavoristiche, sia come ufficiale di polizia giudiziaria esperto nelle investigazioni, sia come ispettore ministeriale formato alla vigilanza ordinaria, prerogativa del Ministero del lavoro.
L’attività ispettiva ed investigativa del reparto speciale è resa ulteriormente proficua dalla costante sinergia e collaborazione con il personale dell’Arma dei Carabinieri operante nell’organizzazione territoriale, composta nelle Marche, oltre che dal Comando Legione, da 4 comandi provinciali, 16 compagnie, una tenenza e 151 stazioni.
La capillare presenza dell’Arma sul territorio, attraverso l’unità elementare del comando stazione, permette, anche nelle Marche, di realizzare una fondamentale attività di intelligence, grazie alla profonda e dettagliata conoscenza del territorio da parte dell’Arma. Questa efficace collaborazione è stata ribadita dalla convenzione che, sottoscritta dal Ministro della difesa e dal Ministro del lavoro il 29 settembre 2010, suggella e promuove un rapporto ancora più stretto tra i Comandi dell’organizzazione territoriale e le direzioni provinciali del lavoro.
In tale quadro, la convenzione prevede incontri trimestrali tra i vertici degli organi provinciali ispettivi ed investigativi. In particolare, durante queste riunioni, il direttore provinciale del lavoro (oggi direttore territoriale) ed il comandante provinciale dell’Arma, concordano le linee strategiche di intervento sull’intero territorio provinciale, alla presenza della componente speciale dell’Arma.
Infine, con la legge n. 183 del 2010, nota come «collegato lavoro», l’articolo 33 rubricato come «Accesso ispettivo. potere di diffida e verbalizzazione unica», al comma 7, stabilisce che il potere di diffida in materia di lavoro è attribuito a qualsiasi agente ed ufficiale di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni, a prescindere dalla qualifica di ispettore del lavoro.
Questa previsione normativa ha permesso di incrementare le attività svolte dai Carabinieri che operano nella Regione Marche in materia di legislazione sociale e prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro.
La fondamentale normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, regolata per molti anni dal decreto legislativo n. 626 del 1994, è stata da ultimo riformata con la promulgazione di un Testo unico sulla sicurezza, con il decreto legislativo n. 81 del 2008 e le successive modificazioni intervenute con il decreto legislativo n. 106 del 2009.
Per cui, partendo dal Testo unico sulla sicurezza, è di fondamentale importanza ricordare che, per l’articolo 13 dello stesso testo di legge, il personale ispettivo del Ministero del lavoro, Carabinieri compresi, è competente in materia di sicurezza solo per alcuni ristretti ambiti produttivi, conservando competenza generale e più ampia le aziende sanitarie locali e, di conseguenza, le Regioni.
L’intervento degli organi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nei singoli ristretti ambiti di competenza tra i quali, in ordine di importanza e di diffusione, primeggia l’edilizia, porta sul territorio una cospicua forza idonea a monitorare le attività di cantiere più pericolose, nonché a sviluppare la necessaria analisi dei fenomeni atipici di collocamento della manodopera e la corretta applicazione della normativa vigente in materia di appalti pubblici.
Per quanto riguarda l’attività di vigilanza e di prevenzione, a seguito dell’emanazione del Testo unico, il Comando generale dell’Arma dei carabinieri, sin dal mese di novembre 2008, ha disposto diversi servizi straordinari di vigilanza tecnica sull’intero territorio nazionale, per il controllo del rispetto della normativa sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, che hanno visto impegnati i Nuclei Carabinieri Ispettorato del lavoro di tutta Italia, compresi i Nuclei della Regione Marche, unitamente al personale della Legione Carabinieri Marche, in attività ulteriori rispetto alla vigilanza pianificata dal Ministero competente.
Sul fenomeno degli incidenti sul lavoro va tuttavia preliminarmente chiarito che il Comando Carabinieri per la Tutela del lavoro e i Nuclei Carabinieri Ispettorato del lavoro, che hanno compiti di vigilanza descritti dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 81 del 2008, non assemblano dati sugli infortuni, anche perché la norma non prevede, in capo al datore di lavoro, l’obbligo di denunciare l’incidente all’Arma, bensì ai Commissariati di pubblica sicurezza. Di conseguenza, i dati in possesso del Comando Carabinieri Tutela del lavoro sono frutto degli interventi operati dall’organizzazione territoriale, ovvero dal reparto speciale sul luogo dell’infortunio, qualora richiesti. Parimenti è devoluto per legge agli organismi delle ASL e dell’INAIL l’intervento sul luogo ove è accaduto l’infortunio.
Nel corso del 2011 (fino al 30 ottobre) i nuclei operanti nella Regione Marche hanno ispezionato 415 aziende, riscontrando che 286 di esse (pari al 69 per cento) presentavano varie irregolarità. Tra le imprese maggiormente controllate vi sono quelle operanti nel settore alberghi e pubblici esercizi (110), seguite dal settore calzature e pelli (94) con un ulteriore incremento dell’attività di vigilanza tecnica rispetto agli anni precedenti (68).
Dei 1.809 lavoratori intervistati, 1.293 sono risultati regolari, 197 irregolari, nonché 319 in nero. I lavoratori in nero sono dunque risultati meno del 20 per cento del totale degli intervistati, con una media inferiore a quella nazionale di circa il 25 per cento. Di questi ultimi 227 sono risultati stranieri e 8 minori.

PRESIDENTE
Parliamo di minori stranieri? Le faccio questa domanda perché nella nostra Commissione è presente un gruppo di lavoro che si interessa specificamente di questo tema.

CALÌ
Sicuramente tra gli otto minori c’è anche qualche straniero, ma non so dirle con esattezza quanti siano i minori stranieri. Posso comunque far avere alla Commissione il dato specifico. Dalle successive verifiche è emerso che: sono tutti cittadini italiani – settore artigianato – dei quali 6 al di sotto di 14 anni.
Per quanto riguarda i recuperi contributivi e le sanzioni comminate nella Regione Marche nel 2011, possiamo dire che l’attività del Nucleo e dell’organizzazione territoriale dell’Arma nelle Marche ha permesso di recuperare evasioni contributive per oltre 520.000 euro. I nuclei delle Marche hanno, inoltre, effettivamente riscosso un importo di quasi 2 milioni di euro di sanzioni, importo realmente pagato ed entrato nelle casse dell’erario, in quanto riscontrabile dai modelli F24, che di volta in volta vengono portati in visione dagli stessi contravventori direttamente agli uffici dei Nuclei dei Carabinieri Ispettorato del lavoro a comprova dell’ottemperanza al pagamento.
Passerei ora al tema specifico degli infortuni sul lavoro e alle eventuali osservazioni sul fenomeno. Preliminarmente si rappresenta che il fenomeno è stato analizzato considerando le segnalazioni inoltrate nel 2011 al Comando Carabinieri Tutela del lavoro dai Comandi dei reparti territoriali dell’Arma dei Carabinieri della Regione Marche, relative agli infortuni sul lavoro mortali o agli eventi verificatisi in attività lavorativa con feriti riportanti lesioni guaribili oltre il 40º giorno.
Tale metodologia comporta ovviamente una discrasia tra i dati dell’Arma e quelli dell’INAIL, che sono più completi.
La totalità delle segnalazioni trasmesse dai Comandi territoriali dell’Arma della Regione Marche nel corso del 2011, hanno evidenziato 13 infortuni, di cui 10 mortali.

PRESIDENTE
Potrebbe specificare meglio questo dato?

CALÌ
Presidente, i 13 incidenti segnalati sono riferiti ovviamente solamente a quelli mortali (10 casi) e a quelli che hanno comportato una invalidità che va oltre i 40 giorni.

PRESIDENTE
A quale periodo fa riferimento?

CALÌ
Da gennaio a ottobre.

PRESIDENTE
Stiamo parlando dell’intera Regione? Questi sono dati che avete rilevato voi?

CALÌ
Sì, Presidente. Sono i dati dell’Arma, per i quali procediamo noi. Nel 2011, pur ponendo particolare attenzione all’attività di vigilanza connessa alla sicurezza, salute e dignità delle maestranze, strettamente correlata all’estensione del lavoro irregolare, non è stato possibile assicurare un numero congruo di ispezioni tecniche a causa della carenza di personale specializzato. Le risultanze dell’attività di vigilanza nella Regione Marche nel 2011, in questo particolare settore, hanno dato i seguenti esiti: 15 ispezioni complessive; 36 prescrizioni (ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo n. 758 del 1994); una sospensione di attività, operata ai sensi dell’articolo 36-bis della legge n. 248 del 2006 nonché dell’articolo 14 del decreto legislativo n. 81 del 2008, avendo scoperto lavoratori in nero in percentuale superiore al 20 per cento; ammende contestate per un importo superiore a 42.000 euro.
L’entrata in vigore del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81, se da un lato ha rappresentato un grande ausilio per gli ispettori del lavoro nella vigilanza tecnica, dall’altro ha risentito di un periodo di necessaria comprensione della novella legislativa. Infatti, per quanto il Testo unico rappresenti la raccolta ed abrogazione o sostituzione delle numerose normative di settore sino a quel momento esistenti, molti aspetti hanno destato perplessità nell’operatore e sono stati risolti con l’applicazione sul campo in un tempo relativamente breve. Con le modifiche del decreto legislativo del 3 agosto 2009, n. 106, il Testo unico è stato in parte implementato.
In tema di sicurezza sui luoghi di lavoro e relativa attività di vigilanza tecnica, più che in altri ambiti è necessaria, oltre ad una profonda conoscenza della materia e ad un’esperienza che si consolida solo sul campo e con il tempo, una costante attività di aggiornamento professionale. Per questa ragione il Comando Carabinieri per la Tutela del lavoro ha già organizzato negli anni passati corsi di formazione ed aggiornamento del personale ispettivo dell’Arma. Da due anni, questo tipo di corsi è stato reso possibile, nonostante la congiuntura economica che ha colpito anche l’organizzazione ministeriale, grazie a protocolli d’intesa con i comitati paritetici territoriali (CPT). Sulla scorta dell’esperienza della capitale, anche con altri comitati paritetici territoriali (Salerno, Catania, Palermo, Frosinone e tutte le Province della Regione Toscana) si è di recente sottoscritto un protocollo d’intesa per la formazione dei Carabinieri ispettori del lavoro di quelle Province. Per il prossimo anno sono previsti accordi anche con i comitati provinciali della Regione Marche, per la formazione tecnica del personale dei nuclei ispettivi.
Analizzando in dettaglio gli esiti dell’attività operativa 2011 della Regione Marche, si evidenzia che tra le violazioni contestate nel settore della sicurezza (in totale 34) le più ricorrenti hanno riguardato: 17 omissioni di regole di prevenzione per i lavori nelle costruzioni in quota, ossia la violazione del regolare montaggio dei ponteggi; 11 omissioni nell’uso dei dispositivi di protezione individuale, ovvero di altre protezioni e precauzioni; cinque altri tipi di omissioni legate alla prevenzione degli infortuni, come la formazione ed istruzione del personale dipendente; un’omessa osservanza delle norme di igiene e salubrità dei luoghi di lavoro. Inoltre, l’attività ispettiva ha permesso ai Carabinieri ispettori del lavoro di constatare gli aspetti di maggior criticità nei cantieri ispezionati. Essi possono essere così riassunti: esecuzione di attività simultanee, ma incompatibili; impreparazione professionale dei lavoratori addetti; omessa adozione o utilizzo delle precauzioni e delle protezioni obbligatorie (i cosiddetti dispositivi di protezione individuale); inadeguatezza dei piani di sicurezza e coordinamento; carenza di misure tecniche e procedurali; impianti elettrici non conformi alle direttive CEI (Comitato elettrotecnico italiano); scorretto uso delle previste attrezzature, tali da sovresporre gli operai a rischi da precipitazione, ossia cadute dall’alto, che costituisce poi la principale causa degli infortuni nelle attività di costruzione e manutenzione.
Sulla base delle esperienze pratiche acquisite nel corso degli anni, si segnala la necessità di sensibilizzazione e cultura della sicurezza. Si ritiene fondamentale la sensibilizzazione verso il fenomeno degli infortuni sul lavoro, affinché si giunga ad una maggiore diffusione della cultura della sicurezza sia tra i datori di lavoro sia tra gli stessi lavoratori. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali di recente ha promosso anche alcune campagne pubblicitarie. C’è poi l’obbligo di trasmissione preventiva dei piani di sicurezza e coordinamento.
Nel contesto dell’azione ispettiva si è avuto modo di rilevare che la redazione del piano di sicurezza e coordinamento, già previsto dal decreto legislativo n. 494 del 1996, oggi abrogato con il Testo unico (decreto legislativo n. 81 del 2008, che lo regolamenta all’articolo 100), il più delle volte si riduce ad un mero adempimento formale, svuotandolo di quei contenuti sostanziali necessari ad assicurare la sicurezza sui luoghi di lavoro. Per questo motivo, sarebbe opportuno che i piani di sicurezza relativi ad opere la cui durata presunta sia superiore a 1.000 uomini/giorno, debbano essere obbligatoriamente trasmessi almeno 30 giorni prima della data di inizio dei lavori indicata nella notifica preliminare, al comitato paritetico territoriale per la prevenzione infortuni, l’igiene e l’ambiente di lavoro competente per la Provincia (organismo paritetico di cui all’articolo 20 del decreto legislativo n. 626 del 1994, oggi regolamentato dagli articoli 2 e 51 del Testo unico), il quale ne valuta l’idoneità o l’eventuale necessaria modifica. Il comitato, nell’espletamento di tale funzione, potrebbe avvalersi anche dell’organo di controllo in materia, che può identificarsi nel personale del Comando Carabinieri per la Tutela del lavoro.
I criteri guida per il controllo del piano di sicurezza e coordinamento sono relazionati alla durata, alla complessità ed all’ubicazione dell’opera, alle interferenze ambientali e ad ogni altro elemento costituente fattore di amplificazione del rischio. Qualora il soggetto interessato, nei 30 giorni successivi all’invio del piano, non riceva alcuna comunicazione da parte del comitato paritetico territoriale, può dare inizio ai lavori avvalendosi del principio del silenzio-assenso.
Una maggiore responsabilizzazione dei datori di lavoro sarebbe possibile attraverso: una maggiore qualificazione che preveda un corso di formazione sulla sicurezza di almeno 32 ore (solo 16 ore per i datori di lavoro che hanno già espletato il corso di 16 ore attualmente previsto), con obbligo di aggiornamento ogni 5 anni; ulteriori strumenti di incentivo economico per chi cura la formazione, sulla stessa linea della riduzione dei premi INAL disposta dal Testo unico per chi è in regola con il DURC (dichiarazione unica di regolarità contributiva); la creazione di una sorta di «patente a punti» del datore di lavoro per gli infortuni e le malattie sul proprio cantiere, che costituirebbe da un lato un forte deterrente alle violazioni delle norme sulla prevenzione degli infortuni, dall’altro incentiverebbe gli investimenti in sicurezza. Per i datori di lavoro più volte risultati inadempienti si potrebbe prevedere la non applicazione dei benefici di cui alla legge n. 758 del 1994 (riduzione ad un quarto dell’importo dell’ammenda).
La certificazione della qualifica dei lavoratori garantirebbe la presenza di operatori conoscitori della cantieristica e quindi maggiormente preparati contro i rischi di infortunio. Tale certificazione diviene ancor più impellente se si considera il massiccio utilizzo di lavoratori interinali i quali spesso vengono inviati presso aziende, perlopiù di natura artigianale, senza neppure che sia stato prospettato loro il rischio specifico dell’attività che si apprestano ad affrontare. Al riguardo, il legislatore ha previsto dal 24 febbraio 2008 l’obbligatorietà di un corso di 14 ore per gli installatori di ponteggi.

PRESIDENTE
La ringrazio per l’ampia ed esauriente relazione. In riferimento alla criminalità organizzata, ci sono interferenze o sono fenomeni abbastanza contenuti?

CALÌ
Sono abbastanza contenuti. Diciamo che noi teniamo comunque la guardia alta perché crediamo che, soprattutto zone come queste, che possiamo ritenere isole felici, sono proprio quelle da attenzionare maggiormente perché sono le più pericolose per quanto concerne l’attività di riciclaggio.

PRESIDENTE
Non ho dubbi, generale. Do ora la parola all’ingegner Alocci.

ALOCCI
Buongiorno a tutti, sono il direttore regionale dei Vigili del fuoco.
La Direzione regionale svolge un’attività di coordinamento e di indirizzo dei Comandi provinciali, cui spettano i compiti istituzionali del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, ovvero il soccorso tecnico urgente. In questo si inquadrano anche gli interventi che facciamo quando purtroppo accadono infortuni sul lavoro. L’altro compito istituzionale riguarda la prevenzione incendi, recentemente rinnovata per una maggiore semplificazione con l’ultimo decreto del Presidente della Repubblica, il n. 151 del 1º agosto 2011, che snellisce questa attività per favorire l’utenza e la cittadinanza, pur mantenendo inalterati i livelli di sicurezza richiesti.
L’azione che si è svolta da parte della Direzione regionale Marche, e che ha trovato un terreno fertile in questo territorio, è un lavoro di sinergia con gli altri enti. Mi riferisco in particolare alle iniziative – differenziate per Province – cui la Direzione regionale e i Comandi hanno sempre partecipato, in particolare la Provincia di Pesaro-Urbino, dove ogni anno organizziamo una giornata provinciale per la sicurezza sul lavoro. Ho portato la brochure, che mostra il logo di tutti gli enti che hanno partecipato, dando un senso dell’importanza di questa manifestazione: dall’Associazione nazionale per i mutilati e gli invalidi sul lavoro, che rappresenta tutti coloro che hanno subito infortuni, alle strutture sanitarie, agli enti locali, alle università, alla Regione, al Corpo nazionale dei Vigili del fuoco. Queste giornate, che hanno visto momenti di formazione alternarsi a momenti di teatro, coinvolgendo gli studenti dei vari ordini, costituiscono un esempio importante. Lo abbiamo fatto e continueremo a farlo. Da questo scaturiscono anche altre attività. Mi riferisco in particolare all’attività di esercitazione che abbiamo fatto soprattutto sulle grandi opere infrastrutturali attualmente in corso su questo territorio (per esempio, in galleria nel quadrilatero stradale Marche-Umbria); esercitazioni che hanno lo scopo primario di verificare eventuali criticità su cui intervenire, e soprattutto di testare il grado di conoscenza del personale.

PRESIDENTE
Ci sono realtà a rischio incendio?

ALOCCI
Sì. In particolare, noi portiamo il nostro contributo e la nostra professionalità in relazione al rischio antincendio. Su tale materia insistono delle direttive recentemente emanate dal nostro dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, che vedono il prefetto fare un’opera di raccordo. A queste direttive, che sono recentissime, seguiranno quelle del capo del corpo e già ho dato al prefetto di Ancona l’ampia e totale disponibilità da parte della Direzione regionale.

PRESIDENTE
Cosa può dirci con riferimento all’attività di verifica?

ALOCCI
Facciamo attività di verifica a campione, compatibilmente con quelle che sono – purtroppo – le realtà. Dato il discorso del soccorso tecnico urgente (ossia della capacità di assicurare un soccorso a tutta la cittadinanza 24 ore su 24), svolgiamo tale attività soprattutto quando siamo chiamati direttamente, anche dagli altri enti, a partecipare a degli interventi congiunti. In relazione a questa attività, cui lei, signor Presidente, faceva riferimento, sarà proprio il prefetto a mettere sullo stesso tavolo tutti i soggetti. Noi parteciperemo, con la nostra professionalità, in materia di antincendio, sulla base anche del decreto legislativo n. 81, che è stato prima richiamato dal comandante.
La nota cui facevo riferimento, indirizzata ai signori prefetti della Repubblica dal nostro dipartimento, a firma del capo del dipartimento ha proprio questa connotazione: essa richiama l’attenzione su alcuni aspetti di particolare rilievo per l’amministrazione dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, che coinvolgono – ne do lettura perché ritengo sia un passo importante – «le competenze istituzionali generali delle prefetture, uffici territoriali del Governo, in primo luogo di quelle dei capoluoghi di Regione e delle Direzioni regionali dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, nonché quelli dei Comandi provinciali dei Vigili del fuoco direttamente interessati alla corretta applicazione della normativa in questione. I prefetti dei capoluoghi di Regione, d’intesa con i prefetti delle altre Province, dovranno assumere preliminarmente i necessari contatti regionali con i competenti comitati regionali di coordinamento, di cui all’articolo 7 del decreto legislativo n. 81, al fine di definire, anche attraverso il forte coinvolgimento dei direttori regionali,» di cui ho già dato assicurazione al prefetto, «le linee generali di collaborazione da porre in essere per il necessario coordinamento delle attività di vigilanza e controllo in materia antincendio sui luoghi di lavoro, attribuita alla competenza esclusiva del Ministero dell’interno, con le corrispondenti attività degli altri soggetti istituzionali interessati». Noi facciamo parte del comitato regionale di coordinamento in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro e partecipiamo alle riunioni.

PRESIDENTE
D’altronde voi siete citati dalla norma.

ALOCCI
Sì, assolutamente.

PRESIDENTE
C’era questo problema un po’ particolare nel vostro settore, che aveva bisogno di una migliore regolamentazione, che fortunatamente sta arrivando.

ALOCCI
Sì, certo.

PRESIDENTE
Lei mi da atto di ciò ?

ALOCCI
Si, cogliamo questo aspetto.
Sulla base della mia esperienza, ho trovato un terreno molto positivo nella Regione Marche: ci sono coinvolgimento e attenzione da parte di tutte le strutture territoriali. Ho appena visto il direttore regionale dell’INAIL, con cui stiamo lavorando su un aspetto che è stato prima citato, relativamente agli incidente in itinere. Abbiamo inoltre attivato un gruppo di lavoro con le strutture sanitarie, l’INAIL e noi, proprio per realizzare un protocollo di intesa con la polizia stradale su questa problematica. Il numero degli incidenti stradali che coinvolgono persone che stanno andando al lavoro è veramente alto e necessita di una particolare attività che, secondo il contributo che abbiamo portato su quel tavolo, deve partire da azioni di formazione.

PRESIDENTE
Su questo fronte la polizia stradale ci potrà fornire sicuramente degli elementi. Credo, però, che il discorso fondamentale sia anche quello dello stato di pericolosità delle strade, qualora esso esista. Al di là del rispetto delle norme che il codice stradale ci impone, bisogna capire se, con il contributo della polizia stradale, ci sono delle azioni da svolgere, in base anche alla frequenza degli incidenti. Indubbiamente ci saranno delle particolarità che producono questi effetti.

ALOCCI
Lei, signor Presidente, coglie un aspetto importantissimo, esaminato nella prima riunione del gruppo di lavoro, anche con la partecipazione dell’ANAS, che gestisce le strade, e delle altre Province.

PRESIDENTE
Prima dell’inizio di questo incontro riflettevo sul fatto che non si convocano proprio coloro che gestiscono le strade, pur essendo probabilmente i soggetti più interessati sotto questo punto di vista.

ALOCCI
Lei, signor Presidente, ha colto un aspetto importante. Prima di arrivare qui raccoglievo, come in ogni momento, gli interventi di soccorso dei Vigili del fuoco sul territorio delle Marche. Questa mattina si è registrato un numero veramente alto di incidenti stradali in ragione della pioggia che è caduta. In Provincia di Macerata un incidente ha coinvolto due mezzi pesanti e c’è poi da considerare l’autostrada. Quindi, oltre alla fondamentale azione di manutenzione e di cura delle infrastrutture stradali, occorre un’educazione. Il personale intervenuto mi ha comunicato che molti degli incidenti sono dovuti all’alta velocità e al fondo reso scivoloso dalla pioggia.

PRESIDENTE
C’è però un dato effettivamente anomalo, perché, su 26 morti che si sono registrate, solo 10-11 sono avvenute in cantiere; le altre sono su strada (sia in itinere sia rispetto a chi lavora su strada).

ALOCCI
Tra l’altro, si faceva prima riferimento al dato ufficiale. Noi ci rapportiamo ai dati ufficiali dell’INAIL, perché i nostri interventi di soccorso tecnico urgente vengono classificati quando il dato è evidente come infortunio sul lavoro, ma molti possono rientrare nella casistica del soccorso alla persona e solo dopo diventano infortuni sul lavoro.
Ad esempio, qualche giorno fa un intervento ha riguardato una signora che tagliava un albero nella sua proprietà ed è deceduta. Si è quindi trattato di soccorso alla persona, ma bisogna sapere se la persona coinvolta è un dipendente di un’impresa piuttosto che il proprietario. Noi, quindi, configuriamo il soccorso tecnico e, solo quando siamo sicuri, lo andiamo ad identificare come infortunio sul lavoro. Ad ogni modo, ci rapportiamo sempre ai dati ufficiali stilati dall’INAIL.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per il contributo che ci avete offerto.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali

Intervengono il rappresentante della segreteria regionale della CGIL Marche, dottor Roberto Ghiselli, il rappresentante della segreteria regionale della CISL Marche, dottor Antonio Bori, il segretario aggiunto della UIL Marche, dottor Riccardo Morbidelli, il segretario regionale della UGL Marche, dottor Enzo Talacchia, e il vice segretario regionale della CONFSAL Marche, avvocato Paola Martano.

PRESIDENTE
Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro presenza odierna, voglio specificare in premessa il motivo della presenza della Commissione parlamentare di inchiesta sul territorio, che non riguarda specifici fenomeni o fatti che si sono determinati, bensì un’analisi che stiamo facendo del territorio nazionale, Regione per Regione, anche con riferimento alle norme legate al cosiddetto Testo unico. Il nostro obiettivo è infatti quello di comprendere, anche attraverso tutti i soggetti che partecipano all’attività di contrasto nei confronti degli infortuni e che operano per la salubrità nei posti di lavoro, se ci sono delle problematicità e cosa si sta facendo. Vorremmo delineare un quadro della situazione che possa essere utile ad ottenere una visione specifica della Regione in cui operiamo, le Marche, anche in un rapporto più generale con le altre Regioni italiane, atteso che, come sapete, su questo tema insiste una legislazione di tipo concorrente. Vorremmo quindi capire esattamente quello che lo Stato e le Regioni fanno, così da meglio cogliere il fenomeno e indirizzare iniziative atte a contrastare questi dati, che, sia pure in riduzione in alcuni casi e in altri meno, ci tengono allarmati. Infatti, ci troviamo ancora di fronte a fenomeni di ampia portata, non solo sul fronte degli infortuni, ma anche – e soprattutto – in crescita sul fronte delle malattie professionali (spesso, infatti, si parla di infortuni, ma non di malattie professionali). Questo è l’obiettivo della nostra visita ad Ancona. Vi siamo grati per le riflessioni di cui ci renderete partecipi.

GHISELLI
Vi ringrazio per l’invito e per l’iniziativa che avete assunto, che riteniamo molto opportuna, in quanto è importante focalizzare l’attenzione sui temi della sicurezza nei luoghi di lavoro. Essi costituiscono uno tra i più rilevanti problemi che dobbiamo affrontare e tentare di ridurre.
La situazione delle Marche può essere definita in evoluzione, con alcuni dati sicuramente positivi, ma con il fondo del problema che rimane inalterato. Negli ultimi anni, infatti, il fenomeno infortunistico nella Regione ha vissuto – fortunatamente – una fase di rallentamento. Anche i dati più recenti – mi riferisco a quelli degli anni 2010 e 2009 – fanno registrare un calo degli infortuni maggiore rispetto alla media nazionale. Questo calo va letto in rapporto alle ore lavorate e – quindi –, essendoci la crisi, la proporzione non è così immediata. Sta di fatto che qualche anno fa le Marche si trovavano al secondo posto a livello nazionale, mentre oggi si attestano al nono posto. C’è stato quindi un miglioramento, anche se il nono posto significa che siamo ancora una Regione in cui il fenomeno è decisamente forte, soprattutto in alcuni settori, quali l’edilizia, l’agricoltura e il metalmeccanico.
È invece in crescita il fenomeno delle malattie professionali, rispetto al quale gli approfondimenti che abbiamo fatto attestano l’esistenza di un fattore di criticità e morbosità. È però altrettanto importante il fatto che le malattie vengano oggi denunciate più che in passato. C’è quindi un lavoro di informazione fondamentale che stiamo conducendo per far emergere un fenomeno che in passato era in gran parte sotterraneo e occultato. Questo dato, che di per sé è negativo, nasconde però anche il fatto che una certa cultura della sicurezza porta le persone a rivolgersi a sindacati, patronati e uffici dell’INAIL per denunciare situazioni che molto spesso erano considerate malattie ordinarie e quant’altro. In questo quadro, essendo la nostra una Regione di piccole e piccolissime imprese (soprattutto manifatturiere), è evidente che il problema rimane.
Con l’approvazione del Testo unico, nella Regione si è dato impulso ad un lavoro di cooperazione e di concertazione che anche negli anni precedenti aveva visto degli stati di avanzamento. Diamo un giudizio positivo sul rapporto che i sindacati CGIL, CISL e UIL hanno saputo costruire con la Regione Marche, con l’INAIL e, in certi casi, anche con le associazioni delle imprese. Dico che ciò è avvenuto solo in certi casi perché con alcune associazioni delle imprese abbiamo costruito dei luoghi di azione più diretti – penso ai settori dell’artigianato e dell’edilizia, anche industriale –, mentre con altre controparti abbiamo avuto qualche difficoltà in più, a cominciare dal rapporto con le strutture industriali.
Si tratta quindi di un lavoro che è cresciuto in termini di collaborazione. In particolare, il comitato regionale di coordinamento, costituito ai sensi del decreto legislativo n. 81, ha svolto fino ad oggi un’attività di programmazione e di coordinamento che giudichiamo complessivamente adeguata.
Abbiamo costituito poi presso l’INAIL un comitato misto tra noi e gli enti bilaterali dell’artigianato e la Confapi (Confederazione italiana della piccola e media industria privata), che allo stesso modo produce una serie di attività e le sostiene. Si tratta soprattutto di attività di formazione rivolte agli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza): nella Regione abbiamo oggi circa 800 RLS coinvolti in questa attività di formazione, che vede la collaborazione di INAIL, Regione Marche e di tutte le parti sociali.
Stiamo inoltre portando avanti con la Regione Emilia-Romagna un progetto che si chiama «Impresa sicura» allo scopo di produrre materiale informativo e formativo per le imprese ed i lavoratori del comparto artigianato. Anche da questo punto di vista possiamo contare su una collaborazione diretta ed indiretta da parte della Regione e dell’INAIL.
Siamo stati i primi nelle Marche a sottoscrivere, proprio il 28 novembre scorso, l’accordo attuativo dell’accordo nazionale sugli RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali) dell’artigianato, sulla base del quale avvieremo ora una fondamentale attività di rafforzamento del ruolo di queste figure, che sono molto importanti nelle imprese di piccole dimensioni.

PRESIDENTE
Questo progetto coinvolge soltanto Confartigianato?

GHISELLI
No, tutte le quattro associazioni dell’artigianato, vale a dire Confartigianato, CNA, CASA e CLAAI. Da questo punto di vista siamo invece un po’ più in ritardo con le altre associazioni, sia a livello nazionale che locale: a livello nazionale, ad esempio, non sono stati ancora siglati accordi di questo tipo con Confindustria e, pur essendo stati fatti con Confapi, devono essere ancora riportati sul territorio.
Possiamo dire che abbiamo una situazione un po’ a macchia di leopardo, ma ci stiamo comunque muovendo, nonostante non troviamo sempre interlocutori adeguatamente attenti. In particolare, a parte l’entità del fenomeno infortunistico, che comunque rimane, stiamo incontrando delle difficoltà, che in parte derivano dalla situazione nazionale, in parte da quella locale. Non sta decollando, ad esempio, la rappresentanza territoriale per le piccole imprese al di fuori dell’artigianato e dell’edilizia, nonostante il Testo unico lo preveda, anche con una forma di sostegno finanziario per queste attività.

PRESIDENTE
Questo è grave.

GHISELLI
Dunque, al di fuori dei settori che ho prima ricordato, abbiamo una grossa difficoltà a garantire un minimo di presenza in tutte le piccole aziende, in cui non è presente il RLS. Questo discorso va comunque portato avanti, ma ciò dipende dall’attivazione a livello centrale dei canali finanziari, dai versamenti all’INAIL e dagli accordi quadro che consentono di operare in questa direzione.
Un altro problema rilevante, che riguarda il rapporto con l’INAIL nazionale, è il fatto che, malgrado il Consiglio di indirizzo e vigilanza (CIV) dell’INAIL abbia dato disposizione di fornire ai territori l’elenco dei RLS eletti nelle imprese e comunicati all’INAIL, attualmente non disponiamo ancora di questi dati, e non soltanto noi come sindacati, ma neanche l’INAIL regionale e la Regione. Questa banca dati, però, è fondamentale e la legge stessa la prevede, posto che lo spirito della norma è proprio quello di avere una serie di dati che possano essere poi gestiti per sviluppare tutte le attività di formazione ed informazione che servono per far crescere la consapevolezza e la cultura della sicurezza. È ovvio che, fino a quando questi dati rimangono nel cassetto dell’INAIL nazionale, non servono assolutamente a nulla. Si tratta di migliaia di nomi: si parla di 18.000 nomi per la nostra Regione – anche se a me sembrano un po’ troppi – ma fossero anche 9.000 o 10.000, sono sicuramente molti di più di quelli che riusciamo a contattare attualmente.
Ci teniamo a dire che, se si potesse intervenire su questo aspetto, che fa riferimento alle competenze nazionali dell’INAIL, sarebbe molto importante e questa non è solo una richiesta delle organizzazioni sindacali, ma di tutti gli attori che agiscono sul territorio, a partire dall’INAIL regionale.

PRESIDENTE
Qual è la risposta ufficiale dell’INAIL?

MORBIDELLI
Non c’è risposta, o in molti casi si fa riferimento alla privacy.

GHISELLI
Sì, spesso si fa riferimento al discorso della privacy, ma credo che sia un problema aggirabile nel momento in cui l’utilizzo di questi dati è legato alle finalità previste dalla legge.

PRESIDENTE
Si tratta tra l’altro di soggetti esposti.

GHISELLI
Esattamente. Vorrei accennare ora ad alcuni aspetti legati più specificamente alla realtà locale, più o meno riconducibili all’attuazione del decreto legislativo n. 81, ma sono comunque problemi che stiamo vivendo, per cui riteniamo di doverli richiamare in questa occasione.
Da un lato, c’è quello cui accennavo anche prima, vale a dire il fatto che non con tutte le associazioni siamo riusciti a costruire un sistema partecipato, per cui registriamo con alcune controparti notevoli ritardi, che ci mettono sicuramente in difficoltà.
Altri aspetti riguardano, invece, l’utilizzo delle risorse recuperate attraverso le sanzioni amministrative alle imprese, che sia la legge nazionale che quella regionale prevedono debbano essere reinvestite nell’attività di prevenzione. Fino ad ora così non è stato: soltanto in qualche caso eccezionale nella Regione Marche (penso, ad esempio, ad alcuni servizi di prevenzione) si è saputo gestire adeguatamente queste risorse, molte delle quali sono finite nel «calderone» generale dei bilanci della sanità della Regione e ciò rappresenta per noi un grosso problema.
Abbiamo sollecitato da qualche tempo la Regione a blindare le risorse e a finalizzarle nella giusta direzione: qualche passo in avanti è stato fatto di recente, ma il problema rimane. C’è una certa timidezza e difficoltà; sappiamo che ci sono problemi complessivi di tagli ai trasferimenti alle Regioni sulla sanità, che non aiutano certamente l’attività di prevenzione, perché poi abbiamo problemi di organico insufficiente anche nei servizi di prevenzione a livello di ASUR (azienda sanitaria unica regionale), che non sono sicuramente di poco conto.
L’altro aspetto – e mi avvio davvero a concludere – riguarda la straordinarietà delle grandi opere nella nostra Regione, che poi di fatto può diventare anche un’ordinarietà: penso, in particolare, al «Quadrilatero» e alla terza corsia dell’autostrada A14. In questo caso specifico, per la verità, noi siamo partiti bene con un accordo quadro firmato tra sindacati e Regione, in cui si prevedeva tutta una serie di azioni per il rafforzamento delle strutture adibite alla sorveglianza e all’attuazione delle convenzioni fatte con le imprese per il pronto intervento. Buona parte di queste cose sono rimaste però poi sulla carta, in particolare nella zona di Camerino, dove si sono verificati infortuni mortali sul lavoro e dove non si è fatta ancora una convenzione con il general contractor che gestisce tutta l’opera per garantire un servizio di ambulanza dedicato; non c’è stato neppure il rafforzamento della struttura locale dei servizi di prevenzione, con l’assunzione a tempo indeterminato delle persone che vanno assunte. Una situazione analoga si sta vivendo adesso con la terza corsia, che si sta gestendo nello stesso identico modo, per cui i problemi sono speculari.
In questo caso, comunque, il problema è prevalentemente locale, ma ve lo comunichiamo perché fa parte del tema.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, dottor Ghiselli, ma questa mattina è stata manifestata un’ampia disponibilità da parte dei rappresentanti della Regione su questo tema; questo almeno è quanto ci è stato riferito e, nell’ambito di questo nostro confronto, siamo ben felici di fornirvi informazioni che vi possono riguardare.
Se c’è qualcosa da definire, quella di oggi potrebbe essere magari anche l’occasione per sollecitare un intervento, considerato che questa mattina c’è stata l’assunzione di un impegno in questo senso da parte della Regione.

GHISELLI
Signor Presidente, lei avrà sicuramente notato che anche dalla nostra descrizione delle vicende appare questa contraddizione perché, se da un lato esprimiamo un giudizio positivo sull’atteggiamento tenuto in certi contesti, sia dalla Regione che dall’INAIL, dall’altro troviamo invece dei colli di bottiglia: quando parliamo di Regione non ci riferiamo ad un’entità, ma a diverse articolazioni, con alcune delle quali riusciamo a dialogare, con altre c’è qualche difficoltà in più e incontriamo degli ostacoli, soprattutto laddove sono in ballo risorse, finanziamenti e budget.
Sul piano del coordinamento delle attività ci sono dirigenti regionali con cui abbiamo un’ottima collaborazione e con i quali stiamo lavorando, facendo cose che siamo convinti siano da questo punto di vista tra le migliori in Italia; poi ci sono però dei colli di bottiglia, di fronte ai quali, nonostante la disponibilità manifestata a parole, abbiamo incontrato difficoltà e ritardi.
Dunque, signor Presidente, i rappresentanti della Regione le avranno anche detto che stanno lavorando su questo, ma è un po’ come il discorso del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto: per noi è mezzo vuoto, perché si è fatto ancora poco.

BORI
Signor Presidente, sono Antonio Bori, della segreteria regionale CISL Marche. Vorrei aggiungere soltanto due o tre questioni a quelle già evidenziate dal collega che mi ha preceduto.
Com’è stato detto, la situazione è in evoluzione e dei passi in avanti si stanno facendo: uno di questi è rappresentato sicuramente dall’accordo sull’artigianato che abbiamo concluso qualche giorno fa, che sostanzialmente dà struttura agli organismi di intervento per quanto riguarda il comparto sicurezza.
Il secondo dato che vorrei richiamare è il grande investimento che è stato fatto nella Regione Marche attraverso i fondi interprofessionali. Più della metà delle risorse spese in questa Regione, ad esempio, da Fondimpresa (che è il fondo interprofessionale gestito in maniera bilaterale da organizzazioni sindacali e datoriali, che si occupa della formazione continua dei lavoratori in produzione) è stato impiegato per la formazione continua dei lavoratori sulla sicurezza, cioè per costruire una cultura della sicurezza: parliamo di risorse ingenti, mi pare si tratti di 18 milioni di euro, comunque, se volete, trasmetterò poi alla Commissione il dato esatto. Si tratta di interventi che riguardano l’universo dei lavoratori dipendenti di una data azienda, e non soltanto il responsabile per la sicurezza. È un fatto importante e su questa strada stiamo andando avanti.
L’ultima questione riguarda le criticità. Per quanto attiene al settore delle grandi opere – come diceva poco fa il collega – è ovvio che noi incontriamo difficoltà. Le maggiori criticità riguardano il versante del decentramento produttivo nei settori dell’edilizia e della cantieristica, dove non riusciamo ad incrociare i lavoratori per difficoltà, perché il decentramento è frantumato e le imprese sono polverizzate: di fronte a questo mondo che sfugge, dove non c’è spesso presenza sindacale e c’è anche poca presenza «istituzionale», finisce probabilmente per avere più valore un’attività di carattere ispettivo che preventivo.

MORBIDELLI
Signor Presidente, sono Riccardo Morbidelli, segretario aggiunto della UIL Marche.
Il quadro che è stato definito dai colleghi per quanto riguarda i rapporti è sicuramente esatto e puntuale, ma, se ho ben capito, la vostra è una Commissione che si occupa di verificare l’attività di contrasto rispetto agli infortuni sul lavoro. Senza troppi giri di parole credo che, al di là dei buoni rapporti, del work in progress, quello che realmente manca è proprio un’azione di contrasto condotta metodologicamente sul territorio.
A partire dalle vicende che hanno portato alla nascita del decreto legislativo n. 626 del 1994 in Italia, dalla Commissione Smuraglia in poi, si è sempre parlato di cultura della sicurezza – concetto sul quale siamo tutti d’accordo – anche se è venuto a mancare il supporto delle istituzioni dello Stato, che non hanno spesso giocato il ruolo cui sono chiamate.
I servizi di prevenzione e protezione della ASL sono entrati in campo senza mezzi, senza uomini, senza risorse e, in alcuni casi, anche senza competenze, perché la legge, dalla sera alla mattina, ha attribuito loro delle competenze su cui poi i servizi si sono strutturati. A distanza di oltre 15 anni, siamo ancora al 50 per cento del livello di dotazione organica ritenuto minimale per svolgere a pieno i compiti assegnati, con alcuni dipendenti pubblici che operano in condizioni di eccezionale senso di abnegazione, ma con altri che operano in altro modo.
Quindi, nelle ex 13 ASL marchigiane la situazione è di grandi luci ma anche di coni d’ombra rispetto ad un accavallamento di funzioni tra chi, come un funzionario di polizia giudiziaria, risponde al magistrato ma non al dirigente. Abbiamo impiegato 15 anni per ottenere i primi dati numerici sulle ispezioni che vengono fatte, che ci sono pervenuti solo lo scorso anno, e stiamo facendo una grande fatica per conoscere i dati relativi all’anno 2010. Eppure, chiediamo solo di sapere che c’è una legge che prevede che qualcuno, ogni tanto, qualche volta, magari per caso, si reca in un posto di lavoro a verificare se quella legge è applicata. Il fatto è che, a mio avviso, finché c’è la sensazione che la normativa non è presa sul serio da tutti, è chiaro che ognuno fa come gli pare. Questo è un rischio concreto e diffuso nelle Marche, dove c’è un tessuto di piccole, piccolissime e medie imprese, che seguono l’eroe negativo di chi fa concorrenza, che, pur non applicando la normativa, non viene sanzionato.
Abbiamo chiesto più volte che il servizio di prevenzione e protezione della Regione comunichi periodicamente, senza dati, il numero degli accessi, dei contrasti e delle eventuali sanzioni fatte, nel rispetto della privacy.
Un ulteriore aspetto riguarda il Testo unico del decreto legislativo n. 81, che si basa sulla formazione e sull’informazione; c’è un baricentro che si sposta rispetto al decreto legislativo n. 626 su una serie di soggetti. Ora, è assurdo che non si riesca ad avere dall’INAIL i nominativi dei RLS, compito, questo, per cui l’INAIL è stato preposto. Nell’ultimo convegno che abbiamo tenuto insieme a Regione, sindacati e INAIL, ci sono stati comunicati 18.000 rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Ebbene, se li sommiamo agli altri che abbiamo, che non hanno eletto, qualcosa non quadra: non ci sono le aziende. Non ci si può nascondere dietro la privacy perché quello che chiediamo è un dato: l’INAIL è stato preposto a raccogliere i nominativi affinché la legge fosse applicata e questi soggetti avessero la necessaria formazione per espletare i propri compiti. D’altra parte, Regione, sindacati, associazioni ed enti bilaterali non dispongono di questo dato, ragion per cui viviamo tra due numeri, quelli che abbiamo raccolto noi attraverso gli enti bilaterali, e i numeri dell’INAIL, che danno un totale che non esiste. È veramente ridicolo che l’INAIL si nasconda dietro una norma che gli ha conferito un compito. Nessuno ha poi precisato come dovesse gestire questi dati; una lacuna che compete alle istituzioni colmare perché l’INAIL sappia che quegli elenchi non devono essere messi negli archivi a marcire ma devono servire proprio per mettere in campo azioni di contrasto o di formazione, e quindi di prevenzione.

PRESIDENTE
Ci attiveremo su questo fronte relativo ai RLS per capire il motivo per il quale non si riescano ad avere questi dati.

MORBIDELLI
Abbiamo interessato anche le nostre organizzazioni nazionali rispetto a questo fatto. L’unica risposta è che non c’è risposta dall’INAIL.

PRESIDENTE
Speriamo di ottenerla, allora. Nella peggiore delle ipotesi, oltre a voi, neanche noi avremo una risposta.

TALACCHIA
Signor Presidente, non voglio essere una voce fuori dal coro, ma credo che faremmo un buon lavoro nei vostri confronti – vi ringrazio per questa audizione – qualora riuscissimo ad esplicitare concretamente la realtà senza troppi giri di parole o fraintesi.
Registro nel mondo del lavoro marchigiano grosse preoccupazioni. Se è vero che si sono espletate le procedure di rito con la firma dei vari protocolli, la cultura della sicurezza nelle aziende non è ancora una realtà concreta. Il dato emblematico è che gli stessi enti locali, deputati a rilasciare certificazioni ai fini della sicurezza, sono latitanti. Vorrei fare un esempio pratico: la legge regionale n. 45 del 1990, che regola il trasporto pubblico locale, impone alla Provincia e ai Comuni, relativamente al servizio urbano ed extraurbano, il rilascio di certificazioni ai fini della sicurezza (decreto del presidente della Repubblica n. 753 del 1980). Come sindacato, formalmente per iscritto, e verbalmente, abbiamo sollecitato da anni la produzione di questi documenti. Ad oggi non sono stati rilasciati, ragion per cui il dubbio e il rammarico è che neanche gli enti locali accolgano appieno le norme, sia regionali sia quelle contenute nel decreto legislativo n. 81.
Voglio fare un altro tipo di ragionamento, che a mio avviso incide negativamente sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Tutti registriamo un netto calo dei livelli occupazionali, il che è preoccupante, ma, ragionandoci sopra, è ancora più preoccupante.

PRESIDENTE
Fermo restando che stiamo ragionando su dati, che quindi hanno il limite di essere tali, per quanto riguarda gli occupati ISTAT, registriamo un incremento. Poi se si tratta di cassa integrazione o ore effettive lavorate è un altro discorso. Addirittura, il dato che abbiamo registra un aumento dell’1,5 per cento, passando da 646.991 occupati nel 2006 a 656.644.

BORI
Non sono solo dipendenti.

PRESIDENTE
Sono occupati in senso globale.

TALACCHIA
Vede, Presidente, abbiamo dato seguito alle procedure di rito, ma poi bisogna anche saper leggere i numeri. I dati che lei ha citato non li smentisce nessuno ma nella mia realtà, per esempio, il gruppo Merloni ha 3.500 persone in cassa integrazione, come Fincantieri e tante altre realtà. Il problema è che molto spesso i miei colleghi si prestano a lavori fuori dai canali ufficiali, quello che normalmente si chiama lavoro in nero, una realtà nella quale è ovvio che manca totalmente l’attenzione alla sicurezza nei luoghi di lavoro.

PRESIDENTE
Quando dice «i miei colleghi» a chi si riferisce?

TALACCHIA
Ai lavoratori, come lo sono anch’io. Io sono qui a rappresentare i lavoratori, e sono onorato di questo. Proprio in virtù di questa diminuzione ufficiosa degli occupati, considerando anche i cassaintegrati, molto spesso, per potere raggiungere le somme necessarie a tirare avanti la famiglia, queste persone si prestano a lavori in nero, così come accade in altre realtà. In effetti, se è vero che quello dei lavoratori extracomunitari è un fenomeno abbastanza contenuto nelle Marche, per esempio nelle realtà del Meridione la situazione è sotto gli occhi di tutti.
Presidente, si parla molto di formazione e informazione ma è necessario farla correttamente, perché il segnale che passa all’interno delle aziende è che il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza si assume responsabilità grandissime, tanto da metterlo in difficoltà nel ricoprire quel ruolo. Non è vero. Dovremmo dire la verità: il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è un organo di garanzia, che ha l’obbligo di segnalare e denunciare eventuali inadempienze o presunte tali agli organi ispettivi, e questo è verificabile in qualsiasi momento, perciò dobbiamo dare informazioni giuste. A tal proposito – lo dico con cognizione di causa perché sono un rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, quindi lo vivo quotidianamente – a fronte della stesura del documento di valutazione dei rischi, mi sono permesso di fare relazioni ad alcune aziende con osservazioni di merito. Ebbene, tutte queste osservazioni, fatte da un RLS, non hanno avuto alcuno spazio nella redazione di quel documento. Allora, preso atto di ciò, ci si rivolge alle ASL di competenza, affinché con il loro potere modifichino queste anomalie. Questo fa sì che molte aziende si trincerano dietro alla Commissione che risponde a questi interpelli – così vengono chiamati – e passano mesi senza che la situazione possa trovare risoluzione. Molti dei miei colleghi continuano ad operare in condizioni preoccupanti, e questo perché il documento di valutazione dei rischi non è redatto correttamente.
Voi mi insegnate che, recependo l’accordo-quadro europeo sullo stress lavoro-correlato del 2004, da qualche mese le aziende avevano l’obbligo di verificare se quel prestatore di lavoro era assoggettato o meno a quel tipo di danno. Vi assicuro che ad oggi nelle aziende che seguo la revisione del documento di valutazione dei rischi, con l’inserimento di quel potenziale danno, non è fatta. È pertanto necessario che la legge dia indicazioni precise in tal senso, alla luce delle grossissime difficoltà nel dare seguito alle norme legislative da parte dei privati, ma – lo riconfermo – anche da parte degli enti locali. Questo è preoccupante perché, al di là delle belle parole piacevoli, al di là della qualità del contenuto della norma, che è pregevole, se non riusciremo a trasformare tutto in fatti concreti, avremo solo scritto un bel libro, che rischia di rimanere il libro dei sogni. La nostra preoccupazione c’è tutta.

PRESIDENTE
Non avete ricevuto risposte dagli organi preposti?

TALACCHIA
Le faccio un esempio emblematico, Presidente. Abbiamo fatto un esposto alla ASL relativo alla questione disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 303 del 1956, recepito dal decreto legislativo n. 626 del 1994, completamente trasfuso nel Testo unico relativo alla sicurezza sul lavoro, il decreto legislativo n. 81 del 2008. La ASL fa un primo sopralluogo e utilizza il potere prescrittorio; dopo ulteriori sopralluoghi, la questione non è risolta. L’azienda interpella l’apposita Commissione ministeriale: passeranno mesi in attesa che tale Commissione arrivi ad una risposta.
La situazione ristagna e la ASL tuttora non ha dato cenni di riscontro all’esposto fatto dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Mi domando che cosa altro può fare il mondo del lavoro se non denunciare a chi preposto affinché verifichi la bontà o meno dell’operato delle aziende.

MARTANO
Buongiorno a tutti, sono il vice segretario regionale della CONFSAL. Vorrei aggiungere un tassello al quadro generale tracciato dai colleghi, che come organizzazione sindacale condivido. Vorrei in particolare fissare l’attenzione sui dati del rapporto INAIL riguardante l’incremento degli incidenti sul lavoro nell’ambito delle scuole. Basta infatti leggere il rapporto delle Marche in particolare, per riscontrare un incremento del 31 per cento degli incidenti sul lavoro proprio nelle scuole, a fronte di un incremento del 17 per cento in ambito sanitario. Questa mattina vorrei focalizzare l’attenzione su questo settore pubblico particolare, purtroppo spesso sottovalutato, per una questione di incongruenza tra le norme che riguardano la sicurezza e le norme che invece vengono emanate nell’ambito del Ministero della pubblica istruzione. Per precisare questa mia affermazione, faccio riferimento in particolare al decreto ministeriale del 26 agosto del 1992 che, al punto 5.0, fissa il massimo affollamento ipotizzabile nelle aule in 26 persone, di cui 25 studenti e un insegnante.
Le ultime normative – in particolare le ultimissime riguardanti la scuola – prevedono oggi un tetto massimo di alunni per classe, nella scuola secondaria di primo e secondo grado, pari a 30 alunni, in violazione – chiaramente – del decreto sulla sicurezza. Siffatta violazione comporta la decadenza della validità dei certificati di agibilità e del certificato di prevenzione degli incendi nelle scuole.
Passo ora al dato regionale, partendo dal rapporto nazionale sulla sicurezza, la qualità e il confort degli edifici scolastici nelle Marche. Nelle Marche solamente il 53,6 per cento delle scuole è in possesso del certificato di agibilità statica degli edifici; il 56 per cento ha un certificato valido sugli infortuni sul lavoro; il 46 per cento un certificato di agibilità igienico-sanitaria. Addirittura, solo il 31 per cento delle scuole è in possesso del certificato sulle norme antincendio. Possiamo affermare che nella Regione le istituzione scolastiche sono tra i luoghi di lavoro più pericolosi: 383 scuole necessitano di interventi urgenti sulla sicurezza e la programmazione, in base alle competenze dei vari enti (Comuni e Province, a seconda della tipologia di scuola), è prevista solo per 42 scuole su 383, che versano in una situazione di forte difficoltà.
La nostra è una delle poche Regioni in possesso dell’anagrafe sull’edilizia scolastica. L’iniziativa, pur pregevole, è però di poca efficacia, visto che l’anagrafe è aggiornata al 2006. Oltretutto i dati dell’anagrafe non sono facilmente fruibili: essi non sono pubblicati su un sito e per ottenerli è necessario motivare la richiesta dell’informazione riguardo allo stato della sicurezza degli edifici. L’organizzazione sindacale ritiene quindi necessaria una sollecitazione agli enti locali – in particolare alla Regione –, affinché vengano fatti tutti gli investimenti possibili, o – meglio – che tutti i fondi disponibili siano utilizzati. Ricordo che sussiste, peraltro, un doppio livello di intervento: un intervento per la manutenzione ordinaria e uno per la manutenzione straordinaria. Bisognerebbe prevedere a livello nazionale la possibilità per le scuole di operare interventi di manutenzione ordinaria direttamente (senza cioè dover passare attraverso gli enti locali, che sono i Comuni o le Province, a seconda della titolarità della competenza stabilita dal grado della scuola). A livello regionale sarebbe importante sollecitare un adeguamento dei dati in possesso dell’anagrafe che, pur se non esattamente coincidente con l’anno in corso, non abbia dei tempi così lunghi. Questa frammentazione di competenze tra Comuni, Province e Regioni porta infatti ad una difficoltà di raccolta dei dati. La preoccupazione è chiaramente quella di dare effettività alle tutele in materia di sicurezza. La scuola va pensata, non solamente come un luogo che possa arrecare difficoltà ai lavoratori (ossia docenti e personale ATA), ma dove anche lo studente è un soggetto che ha necessità di sicurezza.
Vorrei sottolineare un altro elemento. All’apparenza le Marche sono una di quelle Regioni in cui il rapporto tra alunni e classe è ottimale: mediamente si registrano 23 alunni per classe. Questo rapporto, però, non è reale, in quanto vi è una vasta parte di territorio montano dove gli alunni per classe sono ridotti a 10 o 12. Sulla costa si registrano invece situazioni paradossali, anche con 33 alunni per classe negli istituti professionali e con la presenza di tre portatori di handicap. A livello di sicurezza questa situazione è estremamente grave, anche perché le aule non sono fornite di porte antipanico e non tutte le scuole hanno le scale per l’uscita di sicurezza (penso soprattutto alle scuole che si trovano all’interno di vecchi edifici). Si tratta di situazioni di oggettiva difficoltà, anche in considerazione del fatto che le Marche sono un territorio sismico.
Noi chiediamo alla Commissione di evidenziare queste difficoltà dello stato di sicurezza delle scuole, alla luce di due elementi: il rapporto redatto dall’INAIL, che evidenzia un incremento degli incidenti del 31 per cento, mentre tutti gli altri settori sono in decremento e rispettano gli standard nazionali e il rapporto nazionale sulla sicurezza e sulla qualità degli edifici scolastici.

PRESIDENTE
Relativamente alla quota del 31 per cento, è possibile sapere la tipologia degli infortuni?

MARTANO
Gli incidenti riguardano 385 docenti e 3.033 ragazzi.

PRESIDENTE
Mi riferisco alla tipologia di infortunio.

MARTANO
Si tratta di infortuni all’interno della classe: cadute, oppure infortuni in palestra e nei laboratori. Tali tipologie di infortunio sono legate all’impossibilità del rispetto di norme riguardanti gli spazi fisici disponibili. La normativa nazionale prevede una cubatura area pro capite di 1,80 metri per insegnante. In una classe di 30 ragazzi lo spazio per i banchi è stretto e anche la semplice spinta può comportare una frattura: si cade, si sbatte su un banco e il braccio si rompe. Oltre alla violazione della norma, sussiste un problema di carenza di spazio fisico. La questione da sottolineare è il contrasto tra le norme sulla sicurezza e quelle per far quadrare i conti (ossia con la previsione dell’aumento del numero degli alunni per classe).
A tal proposito, posso farvi avere dei dati. Prima il numero minimo per costituire una classe nella scuola dell’infanzia era pari a 15 bambini: oggi vi è invece necessità di 18 bambini. Nella scuola secondaria di secondo grado, dove maggiore è il numero di incidenti, prima il numero minimo era di 20 alunni, mentre adesso è di 27. Dal momento che le classi sono progettate per contenere al massimo 25 alunni più un’insegnante, in moltissimi casi si realizza una violazione delle norme sulla sicurezza, soprattutto nella scuola secondaria di secondo grado, ma anche in quella elementare. Bisogna fare un’analisi di dettaglio del territorio, perché un numero elevato di alunni per classe è presente soprattutto sulla costa. Di conseguenza, il dato medio della Regione non è indicativo.

PRESIDENTE
Come in genere avviene per tutti i dati medi. È interessante avere informazioni su questi infortuni.

MARTANO
Posso approfondirli ulteriormente.

PRESIDENTE
A cosa è rapportato l’aumento del 31 per cento? Bisogna capire di cosa stiamo parlando, perché un aumento del 100 per cento a volte si realizza perché, in una data realtà, un giorno c’è un morto e il giorno dopo ce ne sono due.

MARTANO
Il dato dei ragazzi che hanno subito incidenti è pari a 3.033, mentre i docenti interessati sono 385, di cui 322 donne e 63 uomini.

PRESIDENTE
Certo, perché sono di più le donne che operano nelle scuole. Ma si tratta di infortuni rilevanti? Le sarei grato se ci potesse far avere i dati.

MARTANO
Certo, provo a fornirle i dati. Oltretutto, non tutti gli infortuni vengono denunciati, perché magari alcuni sono di piccola entità. Ad ogni modo, il tema può costituire oggetto di approfondimento.

PRESIDENTE
Cerchiamo di capire la portata del fenomeno.

MARTANO
In realtà la vera questione è quella del contrasto tra le norme sulla sicurezza e quelle sull’organizzazione e sulla distribuzione degli alunni nelle classi. Si tratta di una questione insanabile.

PRESIDENTE
Certo, l’ho colta bene perché la mia professione è quella di insegnante. So di cosa sta parlando. Ad ogni modo, ci saranno senz’altro utili i dati che ci farà pervenire sulla tipologia di infortuni.

MARTANO
Tornando al tema del contrasto tra norme, l’inosservanza nelle scuole delle disposizioni sulla sicurezza comporta la decadenza della validità dei certificati di agibilità e di prevenzione degli incendi.

PRESIDENTE
Cercheremo anche noi di dare un contributo alla soluzione del problema, pur ribadendo l’utilità di ricevere i dati in suo possesso per una valutazione puntuale delle condizioni in cui versano le strutture pubbliche alle quali faceva riferimento.

MARTANO
Sarà mia premura cercare di fornire i dati di dettaglio.

PRESIDENTE
La ringrazio, professoressa Martano.
Do quindi ora la parola al dottor Bori, componente della segreteria regionale CISL delle Marche.

BORI
Accogliendo l’invito ad essere concreto, mi limito a dire che l’accordo sull’artigianato si sostanzia in un’attività che, per l’anno 2012, mette in cantiere 1.500 visite in aziende da parte dei nostri rappresentanti territoriali, che sono 15. Verrà fatta una visita e redatta una relazione, che noi valuteremo nell’organismo paritetico regionale, condividendolo con le controparti. Siamo quindi in presenza di un’attività strutturata. Sarebbe un risultato eccezionale se riuscissimo a svolgere in tutti i settori il lavoro che facciamo nel settore dell’artigianato.

PRESIDENTE
Per quanto possibile, cercheremo di sollecitare. Del resto, abbiamo solamente poteri di indagine e non di gestione. Però chiaramente l’indagine va riverberata, altrimenti sarebbe inutile.
Vi ringrazio tutti per il contributo che ci avete offerto.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, artigiane e agricole

Intervengono il delegato per la sicurezza sul lavoro, territorio e ambiente della Confindustria Marche, dottor Sergio Ciavaglia, il responsabile della sicurezza sul lavoro della CNA Marche, dottor Marco Bilei, il responsabile dell’area lavoro della Confartigianato Marche, dottor Marco Pantaleoni, il presidente della Confagricoltura Marche, dottor Giancarlo Ceccaroni Cambi Voglia, il presidente della Coldiretti Marche, dottor Giannalberto Luzi, accompagnato dal direttore della medesima associazione, dottor Costante Arosio.

PRESIDENTE
È ora prevista l’audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, artigiane e agricole, con la quale concludiamo i nostri lavori questa mattina qui ad Ancona. Sono presenti il delegato per la sicurezza sul lavoro, territorio e ambiente della Confindustria Marche, dottor Sergio Ciavaglia, il responsabile della sicurezza sul lavoro della CNA Marche, dottor Marco Bilei, il responsabile area lavoro della Confartigianato Marche, dottor Marco Pantaleoni, il presidente della Confagricoltura Marche, dottor Giancarlo Ceccaroni Cambi Voglia, il presidente della Coldiretti Marche, dottor Giannalberto Luzi, accompagnato dal direttore della medesima associazione, dottor Costante Arosio. A tutti do il benvenuto.
La nostra presenza qui oggi non è fortunatamente motivata da specifici accadimenti, ma dalla volontà di acquisire direttamente sul territorio gli elementi utili per una maggiore conoscenza delle modalità con le quali ha trovato attuazione il Testo unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, attraverso un confronto con i soggetti che in vario modo operano per il contrasto al fenomeno degli infortuni.
Vi invito dunque a fornirci elementi di riflessione al riguardo, evidenziando eventualmente anche problematiche in ordine alla complessità o alla non adeguatezza della normativa, dal momento che il nostro vuole essere un confronto aperto con tutti quei soggetti direttamente coinvolti nell’attuazione di queste norme, in modo da riuscire poi come Parlamento ad intervenire.

CECCARONI CAMBI VOGLIA
Buongiorno, signor Presidente, sono Giancarlo Ceccaroni Cambi Voglia, presidente della Confagricoltura Marche.
Il problema della sicurezza è molto sentito nelle nostre aziende, stando a cuore, non solo al legislatore, ma anche al datore di lavoro e all’imprenditore. Conosciamo la normativa di riferimento, che va certamente applicata, anche se non è sempre facile.
Per quanto riguarda specificamente il discorso dell’agricoltura, nelle aziende esistono trattori nuovi e trattori vecchi, anche se il discorso dell’adeguamento dei macchinari non è sempre di agevole realizzazione sul piano pratico, oltre al fatto che comporta spese non indifferenti, come ho potuto constatare personalmente quando ho cercate di riorganizzare la mia azienda. Ad esempio, un trattore vecchio non sempre va rottamato, perché può essere utile in azienda.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, ma questo è un punto chiave su cui ci terrei a fare un chiarimento.
Noi abbiamo consultazioni permanenti e costanti con l’INAIL, al cui interno è stato ormai integrato l’ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro), che ha studiato una serie di misure per rendere i trattori – anche quelli vecchi – meno pericolosi, con costi molto contenuti, compresi tra i 1.000 e i 2.000 euro in media, per cui c’è la possibilità di realizzare un adeguamento con costi abbastanza contenuti. Questi, almeno, sono i dati che ci sono stati forniti in occasione di un’audizione dagli esperti dell’ISPESL.
L’INAIL ha indetto poi un bando per circa 60 milioni di euro, rivolto agli agricoltori e alle aziende agricole, per poter mettere in sicurezza questi mezzi. L’INAIL non è riuscita però ad assegnare i soldi che erano stati stanziati e riteniamo che ciò sia da imputare, tra l’altro, al rispetto della regola del de minimis. A questo proposito, ci tengo a precisare che ci stiamo attivando a livello comunitario per fare in modo che le somme destinate alla sicurezza dei lavoratori non vengano inserite nel tetto del de minimis, perché non si può parlare certamente di concorrenza sleale.
Lei comunque ha toccato un argomento dietro il quale ci sono anni di lavoro, per cui bisogna che anche da questo punto di vista in qualche modo le associazioni ci aiutino.
Non solo. C’è un’altra importante questione legata sempre all’impiego dei trattori: è mai possibile che i trattori debbano essere guidati senza patentino ed a qualsiasi età, dai 12 agli 85 anni?
Da questo punto di vista voi ci dovete dare una mano. Noi non vogliamo appesantire burocraticamente un settore che è già in affanno a causa di tante politiche del passato – di un sessantennio, direi –, ma non possiamo certamente rimanere inermi ed inerti di fronte ad una media di 150 morti all’anno in agricoltura, la stragrande maggioranza delle quali dovuta al ribaltamento di trattori.
Su questo tema, che ci ha visto impegnati come Commissione in molte audizioni per cercare di capire alcuni meccanismi, dobbiamo intervenire. Dobbiamo inquadrare il fenomeno e in questo chiediamo alle associazioni di aiutarci.

CECCARONI CAMBI VOGLIA
La ringrazio per il chiarimento, oltre che per la notizia dei fondi che l’INAIL avrebbe messo a bando e che non conoscevo.
Il problema per la verità esiste. È facile dire che il trattore va cambiato, ma non è che l’agricoltura goda di una situazione economica tale da consentire agli agricoltori di cambiare i trattori continuamente, per cui spesso il trattore va tenuto per tutto il tempo in cui ciò sia possibile.
Bisogna comunque approfittare di certe occasioni – come quella alla quale lei ha fatto riferimento e che io non conoscevo – in modo da poter adeguare anche il trattore di una certa età senza spendere follie.

PRESIDENTE
A quanto ci risulta, a livello nazionale l’età media dei nostri trattori è di oltre 40 anni.

CECCARONI CAMBI VOGLIA
Mi pare troppo, non è possibile. I dati che noi abbiamo non sono questi.

PRESIDENTE
Ovviamente ci saranno trattori che hanno sessant’anni e altri che ne avranno 20, ma quello che voglio dire è che in molti casi i trattori che abbiamo sono vecchi. Probabilmente sarà anche un eccesso il dato che ci è stato riferito per cui l’età media dei nostri trattori sarebbe di 40 anni, ma è sicuro che ci sono trattori che ne hanno anche 50!

LUZI
Nelle Marche non è cosi!

CECCARONI CAMBI VOGLIA
Io che ho diversi trattori in azienda posso dirle che il più vecchio è degli anni ’70, ma 40 anni come media mi sembrano davvero troppi!

LUZI
Signor Presidente, sono Giannalberto Luzi, presidente della Coldiretti Marche.
Ringraziando la Commissione per l’invito, vorrei partire innanzitutto da un dato che ci fa piacere, vale a dire dal fatto che gli infortuni in agricoltura sono fortemente diminuiti, soprattutto nella Regione Marche, dove si sono più che dimezzati. Se il motivo di questa contrazione è casuale o se essa sia piuttosto da ricondurre al fatto che, vista la situazione, la gente ha deciso di lavorare meno, non lo so; in ogni caso, a parte le battute, i dati dell’ultimo anno segnano una fortissima riduzione, sia degli infortuni per così dire «ordinari», che di quelli mortali.
Per quanto riguarda poi il discorso che lei faceva prima, Presidente, circa la necessità di prevedere dei patentini per la guida dei trattori, siamo assolutamente d’accordo sul fatto che i trattori non possano essere guidati da ragazzini. Si tratta di una questione di responsabilità, in primo luogo spesso proprio dei genitori: è evidente che certi trattori vanno guidati come minimo dai 18 anni in su.
Quanto poi al fatto che spesso alla guida dei trattori ci sono persone di età avanzata, il problema è legato, un po’ all’invecchiamento della categoria, purtroppo, e un po’ anche al sistema pensionistico, che costringe i nostri genitori e i nostri nonni a lavorare fino a quando non muoiono: infatti, chi vive in campagna e percepisce 400-450 euro al mese di pensione, non dico che è costretto, ma è comunque invogliato a salire su un trattore vicino ad un figlio o ad un nipote. Giustamente è un problema che non riguarda direttamente voi, ma lo voglio comunque mettere sul tappeto.
C’è poi un altro aspetto penalizzante che non bisogna dimenticare quando si parla di agricoltura; mi riferisco al fatto che la nostra attività si svolge a cielo aperto. Fermo restando che la prevenzione degli infortuni – anche dei più piccoli – deve diventare indubbiamente un modus vivendi, permettetemi però di dire che, dal punto di vista della prevenzione, un conto è lavorare tra quattro mura, un conto è lavorare in mezzo ad un campo.
Lei giustamente, signor Presidente, ha fatto riferimento al ribaltamento di trattori, che molto spesso, però, non coinvolge trattori vecchi: a tale riguardo, se si facesse un’indagine sugli infortuni accaduti, ci si accorgerebbe che la maggior parte non è dovuta al ribaltamento di trattori vecchi, ma di trattori nuovi.

PRESIDENTE
Il mio discorso non riguarda solo l’età del trattore, ma la presenza o meno della protezione anti-ribaltamento.

LUZI
Per la verità i trattori senza protezione non dovrebbero neppure esistere.

PRESIDENTE
Però esistono.

LUZI
Bisogna allora lavorare perché ciò non accada; lavoriamo sulla rottamazione e sull’adeguamento dei macchinari, perché questo è un punto fermo.
Tornando poi al discorso delle difficoltà, il trattore spesso non si ribalta per incuria, ma perché, quando il lavoratore meno se lo aspetta, pesta sopra un sasso o prende una buca sulla terra: questo sicuramente non deve accadere, ma resta comunque il fatto che, a mio avviso, anche dal punto di vista normativo, in agricoltura sotto certi profili si dovrebbe contemplare una semplificazione, perché molte volte registriamo delle posizioni «estremiste» che diventa poi difficile far rispettare in mezzo alla campagna, dove noi lavoriamo.
Da 12 anni sono Presidente della Coldiretti Marche e penso di conoscere bene la situazione dei lavoratori del comparto agricoltura in questa Regione, a partire proprio dalla mia azienda, considerato che il mio vero mestiere è la conduzione di un’azienda agricola in provincia di Pesaro.
Il parco macchine regionale è stato molto rinnovato, anche se ci sono ancora trattori molto vecchi che però sono fermi nei garage. Il problema riguarda i trattori cingolati, che sono la causa di molti infortuni. Infatti, al contrario che nei gommati, la maggiore parte dei cingolati, anche se ha la protezione, non ha la cabina. Badate, non è una stupidaggine. Un trattore gommato che ha la cabina per provocare un incidente mortale dovrebbe fare un disastro; un trattore cingolato che ha la sola protezione basta che finisca in un fossetto per ribaltarsi su se stesso. Bisogna quindi anzitutto cercare di limitare il più possibile l’uso di trattori cingolati, anche perché dobbiamo fare capire ai nostri agricoltori che è diventato antieconomico lavorare sopra questi mezzi, oltre al fatto che comportano tempi lunghissimi. D’altra parte, semmai volessimo lavorare sui trattori a cingoli, dobbiamo incentivare il più possibile la previsione della cabina, cominciando dai nuovi.
Visito spesso le fiere: nel 99 per cento dei casi su questi trattori non è prevista la cabina, ragion per cui va fatta un’opera di sensibilizzazione dei costruttori sul fatto che le norme antinfortunistiche devono riguardare la previsione della cabina anche nei trattori a cingoli. D’altra parte, considerando i costi più elevati dei trattori cingolati con la cabina, è bene comprare qualche trattore gommato in più con il guadagno di tutti.

CECCARONI
Presidente, vorrei solo dire che concordo con quanto ha detto il presidente Luzi.

BILEI
Signor Presidente, la CNA si occupa di imprese artigiane, microimprese e piccole imprese. Negli ultimi anni l’atteggiamento verso la sicurezza di queste imprese è cresciuto molto, parallelamente alla crescita esponenziale della normativa di provenienza comunitaria, che il nostro Paese a nostro avviso ha applicato più o meno bene. Nelle imprese questa coscienza, volenti o nolenti, è cresciuta.
Nelle Marche abbiamo un buon sistema, come emerge anche dai dati, fatto di relazioni tra imprese e istituzioni (INAIL e Regione), fermo restando che ovviamente tutto si può migliorare. Se guardiamo alle statistiche di alcuni anni fa – non credo però che fossero esattamente lo specchio della realtà – rispetto ad una graduatoria che vedeva l’Umbria al primo posto per indice di frequenza infortunistica (tuttora è così) e le Marche al secondo, ad oggi ci attestiamo al settimo posto; la Campania è ultima. Devo dire che quella statistica non mi convinceva appieno, ma partendo da quella situazione, in cui ci siamo trovati diversi anni fa, lavorando come un sistema piuttosto unito e interconnesso, oggi abbiamo migliorato di molto la nostra posizione. Non è solo un fatto formale: di passi avanti ne abbiamo fatti diversi.
In vista di questa audizione sono andato a rivedere i dati, dai quali emerge che gli infortuni mortali sono diminuiti. Il primo settore coinvolto è l’edilizia – evidentemente si tratta di un mestiere pericoloso di per sé – ma c’è da dire, senza però adagiarci su questo dato, che la maggior parte degli infortuni (16 su 26) è causata da incidenti stradali, i cosiddetti infortuni in itinere, come li chiama l’INAIL.

PRESIDENTE
In itinere e da lavoro.

BILEI
A me verrebbe da dire: sistemiamo le strade. Le Marche sono una Regione che è cresciuta molto sul piano produttivo e industriale, negli anni Ottanta in particolare; una crescita che ha confermato anche negli anni seguenti. Qualsiasi piccolo Comune marchigiano ha la sua zona artigianale e industriale; c’è una realtà produttiva molto vivace. Dall’altra parte, il tessuto viario è rimasto probabilmente lo stesso; come sanno benissimo i parlamentari marchigiani, facciamo una gran fatica a renderlo attuale rispetto alle esigenze di questa Regione. Non voglio minimizzare l’aspetto infortuni ma i numeri sono questi.
Come avranno avuto modo di dire anche le organizzazioni sindacali, abbiamo un sistema molto intrecciato con le rappresentanze dei lavoratori. Nell’artigianato il sistema sicurezza è fatto di strutture, che sono i comitati paritetici, costituite bilateralmente anche dalle rappresentanze sindacali, che vigilano e svolgono una serie di azioni: dalla prevenzione alla formazione sul tema della sicurezza. Tra l’altro, abbiamo anche eccellenze nazionali insieme all’INAIL e alla Regione, strumenti informatici e cartacei. Il nostro sistema è piuttosto avanzato: pensiamo di essere, da questo punto di vista, una delle Regioni italiane in cui questo sistema funziona maggiormente.
Le imprese artigiane hanno a che fare con una normativa molto complessa per le dimensioni di impresa, ragion per cui la maggior parte di esse è costretta a rivolgersi ad un consulente esterno, e la sicurezza a volte finisce per essere molta carta, produzione di documenti, magari replicati con l’aiuto di fotocopiatrici e computer, ma in concreto poco utile. Tuttavia, ci sono altri aspetti da evidenziare in modo positivo: il livello di adesione alla sorveglianza sanitaria tramite le visite mediche obbligatorie è altissimo nelle Marche. Non dico che in altre Regioni non sia così ma da noi le visite mediche si fanno, anche perché siamo convinti del fatto che è meglio la prevenzione che la repressione. C’è una attività di controllo molto seria, in collaborazione con le ASL e con gli ispettorati di controllo per quanto riguarda la parte edile. Le piccole imprese soprattutto hanno questo problema, in una situazione di nuova difficoltà economica nella quale ci troviamo ormai da un paio d’anni: è necessario sforzarsi di convincerle che la sicurezza non è un lusso, non un spreco. È un compito che cerchiamo di assolvere, però le norme devono essere comprensibili, agili, efficienti, perché l’impresa non sempre le coglie.

PRESIDENTE
È proprio per questa ragione che all’inizio dicevo che quella odierna è un’occasione di incontro, anche per recepire i vostri pareri da operatori rispetto a talune norme, per capire se avete difficoltà, se ritenete ci sia necessità di semplificazione. Noi per esempio stiamo cercando di fare anche un monitoraggio da questo punto di vista in riferimento al Testo unico, che è un testo complesso, ampio, corposo. Del resto, costituisce un convegno rispetto a tutto ciò che, a 360 gradi, è necessario o perlomeno abbiamo ritenuto opportuno servisse. Questo non significa che non ci si possa ancora lavorare, intanto per attuarlo completamente, perché ad oggi non lo è – ci sono una serie di decreti da attuare – ma, anche laddove ci dovessero essere elementi che possono produrre segmentazione o addirittura un’eccessiva burocratizzazione, ben vengano indicazioni specifiche da parte vostra.

BILEI
Se lo ritenete opportuno possiamo produrle anche in una fase successiva.

PRESIDENTE
Certamente ci saranno utili.

BILEI
Il Testo unico ha avuto un parto piuttosto laborioso al quale le associazioni di rappresentanza, sindacato e datori di lavoro hanno preso parte. Tra l’altro, essendo frutto di un’attività intrapresa dal precedente Governo, e ripresa dalla maggioranza che nel frattempo era succeduta, si tratta di un lavoro molto complesso in cui abbiamo già fatto la nostra parte, fermo restando che si può ancora migliorare.
Un altro aspetto importante riguarda la formazione. Il decreto mette in campo un obbligo formativo molto ampio per tutti i soggetti coinvolti: lavoratori, datori di lavoro. Su questo fronte penso si possa ancora fare moltissimo, in particolare sulla formazione dei lavoratori, per cui si è fatto poco. Anche il rapporto della Regione Marche, che è triennale – l’ultimo risale allo scorso anno –, è un’indagine piuttosto vasta che individuava questo come uno dei punti critici. Abbiamo fatto la formazione ai datori di lavoro, al medico, a tutti i responsabili previsti dal decreto n. 81, ma il lavoratore è rimasto un po’ sullo sfondo. Dobbiamo coinvolgerlo: questo è sicuramente un punto critico sul quale stiamo cominciando a lavorare con grande fatica. D’altra parte, la formazione va fatta in orario di lavoro e questo comporta che imprese di piccole dimensioni, magari con uno o due dipendenti, nei giorni di formazione sono costrette a chiudere. Questa è la difficoltà reale.

PRESIDENTE
È pur vero che si dovrebbero agevolare i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, come voi avete fatto. Eppure, non tutte le organizzazioni li hanno.

BILEI
Noi nelle Marche ci siamo dati da fare; è un sistema che non opera alla perfezione però sta cominciando a funzionare.

PRESIDENTE
È un messaggio per gli altri.

PANTALEONI
Sono il responsabile dell’area lavoro della Confartigianato. È superfluo dire che tutto ciò che è stato detto formalmente è condivisibile e condiviso. Mi permetto esclusivamente di fare qualche ulteriore valutazione rispetto a talune questioni. Anzitutto, registro una positività rispetto a quello che effettivamente stiamo facendo nelle Marche, e i cui risultati sono tangibili e verificabili. Mi riferisco al rapporto bilaterale che abbiamo con il sindacato, come veniva accennato in precedenza. Quindi, accordi, contratti e protocolli che noi facciamo, non soltanto sulla questione specifica degli RLST. Una decina di giorni fa abbiamo sottoscritto – per primi in Italia – un accordo attuativo regionale su una procedura del rappresentante territoriale, cosa che esisteva già nelle Marche, ma presentava una differenziazione tra le varie Province, nel senso che non era obiettivamente omogenea. Ad esempio, nella Provincia di Pesaro l’efficacia dell’apertura dell’organismo paritetico attuava una propedeuticità anche alla conoscenza e all’applicazione della sicurezza sul lavoro, rispetto ad altre Province dove invece questo non accadeva. L’obiettivo è chiaramente quello di una maggiore diffusione, anche se, come vi sarà sicuramente già stato detto, nella nostra Regione il numero degli infortuni sul lavoro è diminuito.

PRESIDENTE
Mi scusi, ma, non certo per interrompere il vostro idillio, desidero fornirvi un dato abbastanza grave che ci ha fatto avere l’INAIL: con riferimento ai periodi gennaio-novembre del 2010 e gennaio-novembre del 2011, si è passati da 23 a 39 infortuni mortali. Nonostante alcuni di questi siano ancora da definire, si tratta di un numero enorme. Se dovesse essere confermato, vi sarebbe un aumento delle morti dell’80 per cento. L’INAIL ci ha comunicato di dover ancora definire se sono tutti incidenti: ad ogni modo, avendone già iscritti 14 casi su 14, ritengo che saranno molto pochi quelli che non saranno ritenuti incidenti. È un brutto segnale.

PANTALEONI
Sappiamo perfettamente che tutte le volte che discutiamo e prendiamo in mano l’argomento di una morte sul lavoro, la questione è tragica. Abbiamo sempre detto che formalmente dovremmo, non solo azzerare, ma addirittura arrivare a situazioni che ottimizzino il tutto.
La questione è che, rispetto a questo tema, la maggior parte degli incidenti avviene su strada, per lavoro o in itinere (molti nel settore dell’edilizia). Il tentativo che i rappresentanti delle organizzazioni delle associazioni artigiane hanno fatto negli ultimi anni e stanno facendo, sicuramente continuerà ad essere fatto. Da questo punto di vista i risultati sono positivi. Oltre alla bilateralità (ossia datori di lavoro e sindacato), c’è anche la trilateralità o anche qualcosa in più, nel senso che insieme all’INAIL e alla Regione, facciamo protocolli, partecipiamo ai comitati e cerchiamo di fornire indirizzi e indicazioni su tutto ciò che può essere veicolato. Faccio riferimento a quanto detto prima dal presidente della Confagricoltura Marche. Da noi si registra il contrario: l’anno scorso le risorse del bando INAIL, pari a 60 milioni di euro, sono andate esaurite in 20 minuti con il cosiddetto click day. Il nuovo bando, che stanzia 150 milioni di euro, è fortunatamente suddiviso per Regioni e presenta – quindi – operatività, anche applicative, diverse. Speriamo che questo ci dia qualche possibilità in più . Si trattava di finanziamenti per attività propedeutiche per adeguamento e per azioni. Il fatto che tutti i fondi messi a disposizione dall’INAIL si siano esauriti nel giro di 20 minuti significa che sono all’ordine del giorno progetti o fatti veri (ricordo, infatti, che le domande dovevano essere fatte sulla base di azioni già intraprese).
Chiudo raccogliendo l’invito che ci è stato rivolto ad avanzare indicazioni operative sulle difficoltà. Le richieste che gli imprenditori ci fanno sono tante, ma fondamentalmente due. Quanto alla prima, l’imprenditore ci dice: se la mia impresa fa parte di un sistema bilaterale o trilaterale (o comunque di un sistema che è attivo per quanto riguarda il monitoraggio, anche all’interno degli organismi paritetici, dove sono presenti, non soltanto le parti datoriali, ma anche sindacali, con la partecipazione dell’INAIL), magari si dovrebbe cercare di avere anche maggiore attenzione a questioni burocratiche che vengono richiamate dalle ASL, gli organismi deputati alle visite e ai controlli effettivi. Ogni volta che inizia un’attività, infatti, l’impresa edile deve presentare anticipatamente il piano operativo di sicurezza (POS), fornendo tutta una serie di documentazioni relative al cantiere che apre, con diverse valutazioni. Va poi considerato il documento unico di regolarità contributiva (DURC), che deve essere rilasciato per poter essere attuato dall’ente appaltante, che è sempre pubblico. Cerchiamo, quindi, di sburocratizzare e semplificare questa operatività, evitando di appesantire eccessivamente gli espletamenti relativi alla sicurezza sul lavoro, rispetto ad un’operatività che si vorrebbe applicata sul campo, ma che poi magari non ha un riscontro reale per l’obbligo che le aziende hanno di presentare una serie di documentazioni cartacee in ottemperanza del decreto n. 81 o di altri decreti in materia di appalti pubblici. Di fatto, pur cercando di adeguarsi, l’impresa si scontra con numerose difficoltà burocratiche.

PRESIDENTE
Siamo molto aperti su questo aspetto, però vogliamo proposte concrete da voi. Noi siamo disponibili ad accoglierle e a verificarle. Il rischio, infatti, è di fare le Olimpiadi del contrasto alle burocrazie, senza che però nessuno ci dica quale passaggio vuole eliminare per ridurre l’eccessiva burocrazia e appesantimento. Vi saremmo grati se voleste farci pervenire una nota scritta, che i nostri uffici potranno studiare per poi dare una risposta. Non dobbiamo correre il rischio di avvitarci sulle questioni. Cerchiamo tutti insieme, quindi, di capire quali passaggi si possono eliminare. Da parte nostra, noi saremo impegnati nel fare ciò.

PANTALEONI
Certamente.

PANTALEONI
Circa un anno fa la Confartigianato produsse a livello nazionale un volantino in tema di edilizia (se necessario, sarà mia cura farvelo avere). Si era calcolato che, in occasione dell’apertura di un cantiere, ogni impresa edile aveva esattamente 56 adempimenti burocratici e cartacei cui adempiere.

PRESIDENTE
Chiariamoci.
Non si tratta di stabilire se gli adempimenti debbano essere 38 invece di 56: bisogna capire se quei 56 sono funzionali alla garanzia della sicurezza. In teoria, infatti, gli adempimenti potrebbero anche essere 122. Dobbiamo approcciare il problema con questa filosofia, riducendo al massimo gli adempimenti laddove dovessero essere ripetitivi o addirittura inutili, ma senza pubblicizzarne un numero enorme – come quello riportato nel volantino – perché nell’immaginario collettivo esso si traduce in mera burocrazia. Non c’è solo il problema della burocrazia: bisogna studiare nel dettaglio e capire, perché magari si rischia che, invece di 52, ne occorrano 58. Dobbiamo contrastare una realtà che registra la maggior parte delle morti e degli infortuni nel settore dell’edilizia. Non possiamo abbassare il livello di guardia. Ripeto: siamo ben felici di intervenire laddove vi siano adempimenti ripetitivi – e addirittura odiosi –, così da facilitare la vita dell’imprenditore, ma evitiamo target pubblicitari, come volantini e quant’altro.

PANTALEONI
Non diamo target pubblicitari. La nostra organizzazione è stata promotrice in Parlamento di una proposta di legge per la patente per l’ammissione alla professione edile (che non è una patente a punti). Si tratta – lo ripeto – di una patente per l’accesso alla professione. Fino ad oggi, infatti, chiunque arriva in camera di commercio e si iscrive, può, dal giorno dopo, iniziare a fare l’edile. Nella nostra proposta l’ammissione a tale mestiere viene equiparata a quella prevista per estetiste e parrucchieri.

PRESIDENTE
Sono al corrente di questa proposta di legge, che purtroppo, dopo essere stata approvata alla Camera, è ora arenata al Senato. Essa non ha ancora avuto esito definitivo: si trova attualmente in Commissione ambiente, perché ci sono problemi che non si riesce a risolvere. Ad ogni modo, questa è comunque l’occasione per valutarla.
La ringrazio, dottor Pantaleoni, per il contributo che ci ha offerto. Do ora la parola al dottor Ciavaglia per Confindustria Marche.

CIAVAGLIA
Signor Presidente, la ringrazio per l’opportunità che ci date quest’oggi. Noi abbiamo preparato una piccola nota, che vi consegno, la quale riporta alcuni dati di cui si è già parlato a sufficienza nel corso dell’audizione.
Desidero anzitutto illustrarvi le iniziative che stiamo assumendo per garantire l’applicabilità del decreto legislativo n. 81, quanto meno per la specifica BS OHSAS 18001 e per l’articolo 30 avente efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle società di cui al decreto legislativo n. 231 del 2001. Con l’INAIL abbiamo realizzato un pacchetto software tale da consentire alle piccole e medie imprese – noi non siamo solamente grande impresa, ma, anzi, siamo tante medie e piccole imprese – di approcciare in prima battuta un sistema UNI-INAIL, così da gestire in modo sistematico la sicurezza sul lavoro, che sia anche premiante. Stiamo assumendo le stesse iniziative anche per quanto riguarda il decreto legislativo n. 231, il quale talvolta mette le imprese in crisi in termini di responsabilità amministrativa. Stiamo lavorando insieme all’INAIL e credo che si potrebbe valutare, non so in quali termini e modi, la possibilità di fornire un riconoscimento alle imprese virtuose che abbiano affrontato i percorsi legati alle specifiche BS OHSAS 18001 (certificabili) e alle linee guida UNI-INAIL (non certificabili) e ottenuto dei risultati, integrati magari con il decreto legislativo n. 231. Credo, infatti, che un minimo di riconoscimento debba essere dato all’impresa che approccia questo percorso, il quale richiede energie, sia personali che finanziarie (questo ragionamento non vale solo per le imprese, ma per qualsiasi tipo di associazione). Non dico che tale imprese non debbano essere verificate dagli enti di controllo – ci mancherebbe altro –, però ci dovrebbe essere un rapporto di fiducia con chi è certificato e ha fatto un percorso virtuoso, ottenendo dei risultati.
Apro una breve parentesi. Anni fa abbiamo iniziato un analogo percorso virtuoso per le norme ISO 14001. Nel nostro sito Confindustria è presente il progetto «Ecomarche», grazie al quale, nel tempo, centinaia di imprese sono state indotte a certificarsi ISO 14001 o EMAS. Credo possa essere interessante riuscire ad avere un approccio diverso, in termini di riconoscimento, nei confronti delle imprese che hanno affrontato questa avventura, che è un bel viaggio e richiede molte energie.
Per quanto riguarda il decreto legislativo n. 81, personalmente mi hanno lasciato molto stupito alcuni passaggi. Se me lo consente, desidero entrare nello specifico. Quando parliamo di movimentazione manuale dei carichi, occorre ricordare che il legislatore ha citato testualmente delle norme ISO, che sono specifiche per il calcolo di tale movimentazione.
Queste norme – al di là del prezzo di acquisto estremamente interessante – richiedono che l’imprenditore le conosca e si sforzi di applicarle. Le garantisco, infatti, che gli enti di controllo utilizzano quelle norme, che non sono disponibili su Internet, come lei ben sa, ma sono acquistabili a qualche centinaio di euro.
Personalmente sono convinto che il decreto legislativo n. 81 del 2008 sia figlio dei decreti del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, n. 164 del 1956 e n. 303 del 1956, cioè di una legislazione storica esistente nel nostro Paese; poi sono arrivate le ROA (radiazioni ottiche artificiali) e altri rischi da valutare.
Credo però che potrebbe essere estremamente utile per l’imprenditore se si riuscisse a trovare delle soluzioni che gli consentano, non dico di fare da solo certe verifiche, ma di poterle fare quantomeno con l’ausilio di consulenti, e comunque in modo abbastanza semplice perché, quando ci spostiamo sul piano della normativa tecnica, qualche problema viene fuori e questa è una delle criticità poste dal decreto legislativo n. 81 da quando è stato varato. Ben vengano allora gli allegati nn. 4 e 5, che hanno comunque mantenuto la struttura del DPR n. 547 del 1955, dando però indicazioni su quanto bisognava fare; quando però poi si va nello specifico, le imprese incontrano inevitabilmente qualche problema.
Sarebbe quindi importante riuscire ad indicare quantomeno delle linee guida o delle norme di buona tecnica tali da consentire comunque anche alle medie imprese di adeguarsi. Bisogna infatti considerare che la grande impresa solitamente non ha problemi e, se è vero che la media qualche problema lo ha, ma lo risolve, tante piccole imprese nostre associate non sono invece spesso in grado di trovare una soluzione.

PRESIDENTE
Ma sono proprio le associazioni imprenditoriali che devono risolvere questi problemi. Voi rappresentate importanti realtà associative e credo che tra i vari compiti che avete ci siano anche questi.

CIAVAGLIA
Quello che noi possiamo fare è definire delle linee guida, che devono però poi essere validate da qualcuno, ad esempio dall’INAIL.

PRESIDENTE
Questa può essere un’ipotesi.
Convengo certamente con lei sulle difficoltà che sono destinate ad incontrare le piccole imprese. Capisco quello che lei dice ed ha ragione, ma forse come associazioni imprenditoriali potreste tentare di intervenire nella direzione indicata.
C’è poi anche la questione delle competenze che, se vogliamo, riguarda indirettamente il discorso che lei ha fatto, ma che comunque ci sta dentro, ed è quello della formazione dei formatori. Chi sono questi soggetti?
Su questo tema è stato istituito un apposito tavolo presso il Ministero, ma non è stata ancora individuata una soluzione.
Quello che noi stiamo cercando di fare, allora, è di dare a queste figure una specificità dal punto di vista scientifico e stiamo conducendo ricerche ed audizioni per riuscire a definirla: vorrei chiarire che non è nostra intenzione istituire un nuovo albo professionale, ma quantomeno assicurare a chi si rivolge a questi soggetti che essi effettivamente abbiano le capacità per essere tali.
La domanda principe è come viene formato il formatore, visto che per altre figure professionali è previsto uno specifico iter formativo: come nasce il formatore, cioè chi lo forma?

CIAVAGLIA
Al nostro interno ci stiamo già muovendo in questa direzione, cercando in qualche modo di fare verifiche per i nostri associati.

PRESIDENTE
Si tratta di un problema enorme, perché alla fine bisogna garantire le aziende, cioè gli operatori.
Lo stesso discorso vale anche per i piani di sicurezza aziendali. Se si considera che, come voi ben sapete, l’orientamento in caso di infortunio è ormai quello di considerare comunque coinvolto il datore di lavoro, bisogna però capire se il datore di lavoro è stato «superficiale», o se si è affidato invece a qualcuno per un piano di sicurezza e per poter sviluppare una serie di attività di prevenzione e queste non sono state poste in essere in modo corretto.
Dobbiamo lavorare quindi molto su questo aspetto.

CIAVAGLIA
Ben vengano iniziative in questo senso, signor Presidente, perché sarebbe sicuramente interessante se fosse individuata la via maestra per garantire all’imprenditore che il supporto del quale si serve è valido.

PRESIDENTE
Se infatti un imprenditore fa tutto ciò che è in suo potere, si affida poi ad un consulente e succede qualcosa, l’imprenditore comunque è responsabile; il fatto che si sia delegato qualcuno non esclude la responsabilità. C’è una giurisprudenza che mi sembra stia andando molto chiaramente in questa direzione.

CIAVAGLIA
Un ultimo punto riguarda la necessità di riuscire a trovare il modo per avere lo stesso tipo di gestione del controllo sul territorio regionale, non provinciale, procedendo cioè ad un’uniformazione delle verifiche ispettive: so bene che è qualcosa di abbastanza complesso e difficile, ma credo che siamo tutti d’accordo sul fatto che dovremmo cercare di omogeneizzare le modalità di verifica.

PRESIDENTE
Per la verità voi avete già una sede in cui far sentire questa esigenza di omogeneità: sto parlando del coordinamento regionale.

CIAVAGLIA
Lo stiamo già facendo. La mia riflessione voleva essere soltanto un modo per rafforzare il messaggio perché, se si riuscisse ad uniformare le modalità di controllo, si potrebbe garantire un’applicazione molto più profonda del decreto legislativo n. 81: il nostro obiettivo è quello di ridurre il più possibile il fenomeno degli incidenti sul lavoro – che non credo si riuscirà mai ad eliminare – e, in modo particolare oggi, le malattie professionali, che ci rendiamo conto stanno ormai aumentando in modo abnorme.

PRESIDENTE
In realtà, a questo proposito, c’è un discorso aperto con l’INAIL, perché bisogna capire se non sia il caso che talune malattie vengano tabellate una volta per tutte, ricorrendo da anni ed essendo ormai conclamate.
Ringraziamo i nostri interlocutori per il contributo offerto ai nostri lavori.