Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 aprile 2013, n. 9770 - Patologia dipendente da causa di servizio: danno biologico e danno morale


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FEDERICO ROSELLI - Presidente -
Dott. PAOLO STILE - Rel. Consigliere -
Dott. MAURA LA TERZA - Consigliere -
Dott. GIOVANNI AMOROSO - Consigliere -
Dott. GIOVANNI MAMMONE - Consigliere -

ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso 11638-2008 proposto da:

..., elettivamente domiciliato in ROMA via ..., presso lo studio dell'avvocato ..., rappresentato e difeso dall'avvocato ... giusta delega in atti;
- ricorrente -

contro

... S.P.A. (già ... S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ... INT. 14, presso lo studio dell'avvocato ... che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ... e ..., giusta delega in
atti;
- controricorrente -avverso la sentenza n. 1365/2007 della CORTE D'APPELLO di CATANZARO, depositata il 25/07/2007 R.G.N. 1140/03;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2013 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;
udito l'Avvocato ...;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

Fatto


Con ricorso al Tribunale di Castrovillari ... dipendente con mansioni di cassiere dal 1 settembre 1977 all'ottobre 1995 della ... successivamente incorporata dalla ... e quindi dalla ..., (nei riguardi delle quali società incorporanti il ricorrente aveva riassunto la causa), chiedeva la condanna della datrice di lavoro al risarcimento del danno biologico, del danno patrimoniale, del danno morale e di quello da perdita di chances e per spese mediche future, danni complessivamente quantificati in £. 1.138.978.000, oltre interessi e rivalutazione dal 31/10/1992, causatigli dalla patologia , riconosciuta con sentenza, passata in giudicato, del Pretore di Trebisacce del 29/4/1997, come dipendente da causa di servizio.
Il Tribunale accoglieva parzialmente il ricorso, condannando la ... al pagamento, in favore del ... "della somma di €. 38.935,00 a titolo di risarcimento del danno biologico, oltre interessi compensativi in misura legale secondo indici ISTAT da ciascuna annualità e per il periodo di indisponibilità, con decorrenza dal 31/10/1992 sino alla data dell'effettivo pagamento della somma di €. 50.000,00 indicata nell'ordinanza ex art. 423 c.p.c. emessa in corso di causa, che revocava in quanto di entità superiore al dovuto; rigettava ogni altra domanda e compensava le spese tra le parti".
Proponeva appello alla decisione il ..., chiedendo la parziale riforma della stessa con accoglimento integrale di tutte le domande proposte col ricorso introduttivo.
Si costituiva la ... S.p.A. resistendo al gravame e chiedendone la reiezione; proponeva, a sua volta, appello incidentale con cui chiedeva il rigetto della domanda di risarcimento del danno biologico o la riduzione dell'importo a tale titolo liquidato dal Tribunale nella misura quanto meno del 50%.

Con sentenza del 29/3-25/7/2007, l'adita Corte d'appello di Catanzaro rigettava entrambi gli appelli.
A sostegno della decisione osservava che correttamente il Tribunale, premesso che il Pretore di Trebisacce con la sentenza del 29/4/1997, passata in giudicato, aveva riconosciuto al ricorrente la patologia quale dipendente da causa di servizio, stimando la perdita della integrità fisica derivatane nella misura del 25% del totale, rigettava la richiesta di liquidazione di ulteriori danni (patrimoniale, morale, da perdita di chances e per spese mediche) in quanto non trovavano fondamento nella sentenza citata né potevano essere automaticamente riconosciute; e quantificava nella somma di €. 38.935,00 il danno biologico riconosciuto nella sentenza del Pretore di Trebisacce, condannando la datrice di lavoro al pagamento della detta somma con interessi e rivalutazione secondo quanto sopra detto.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre con otto motivi.
Resiste S.p.A. (già S.p.A.) con controricorso.

 

Diritto

 

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia (valutazione ed applicazione della sentenza del Pretore della Sezione Distaccata di Trebisacce del 29.4.1997) ex art. 360 n. 5 c.px.".
In particolare, il ricorrente censura la sentenza della Corte d'appello per avere limitato i danni da risarcire a quelli derivanti dalla lesione del diritto alla salute (cd. danno biologico), con esclusione di ogni ulteriore danno (patrimoniale, morale, per perdita di chances e per spese mediche future). A suo dire, la Corte dì appello (e prima ancora, il Tribunale di CastroviIlari) non avrebbe correttamente applicato la sentenza del Pretore di Trebisacce, passata in giudicato.

Il motivo è infondato.

E' principio consolidato che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, denunciatale con ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. L'art. 360 n. 5 c.p.c, infatti, non conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale, e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l'apprezzamento dei fatti" (Cass. 5.6.2007, n. 13082; conformi: Cass. 28.3.2007, n. 7579: Cass. 26 giugno 2007, n. 14767; Cass. 9 gennaio 2007, n. 144).
Nella specie, la Corte di Appello di Catanzaro ha osservato che "la sentenza del Pretore di Trebisacce ha limitato chiaramente i danni da risarcire a quelli derivanti dalla lesione del diritto alla salute, cd danno biologico, ed ha escluso ogni altro danno risarcibile. Ciò emergeva senza possibilità di diversa interpretazione da quanto affermato dal Pretore nella sentenza con riferimento all'oggetto del ricorso, "volto a conseguire dalla datrice di lavoro ... il risarcimento del danno da lesione del diritto alla salute (cd. danno biologico), subito nello svolgimento della prestazione in un ambiente di lavoro asserito come non idoneo...". A ciò andava aggiunto l'ulteriore riferimento al solo danno biologico come danno che va "oltre la menomazione della capacità lavorativa ..."; ed ancora la formulazione del dispositivo, ove "si parla soltanto di menomazione della integrità fisica e di dipendenza della patologia da causa di servizio, e non si parla di alcun altro tipo di danno".
Nessuna valenza, soggiunge il Giudice a quo, poteva avere il plurale "danni", usato più volte nella sentenza, atteso che anche per una singola tipologia di danno si parla correntemente di "danni"; né la citazione di alcune sentenze di merito contenenti riferimenti al danno morale e a quello biologico, poiché è evidente che la citazione è stata riportata per intero, ma il riferimento si intendeva limitato all'oggetto del giudizio" (pag. 3).
Nessun vizio di omessa, insufficiente e contradditoria motivazione è, pertanto, ravvisabile nell'iter argomentativo adottato dalla Corte di Appello di Catanzaro, tanto più che la pronuncia si pone in linea con l'orientamento di questa Corte in materia, secondo cui il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile "esistenziale", e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti (Cass. n. 20292/2012).
Le considerazioni che precedono assorbono gli ulteriori motivi sollevati dal ricorrente (ed in particolare, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto ed il settimo motivo), con i quali il ... lamenta la nullità della sentenza della Corte di Catanzaro per asserita "violazione dell'art. 2909 c.c." in quanto i giudici non si sarebbero "uniformati alla decisione intervenuta sul rapporto pregiudiziale'' (secondo motivo), per "omessa pronunzia" sulle richieste di liquidazione dei danni patrimoniali (terzo motivo), morali (quarto motivo), da perdita di chance e spese mediche future (quinto motivo), e per "insufficiente motivazione sulle richieste istruttorie", dirette a provare "le varie voci di danni (patrimoniale, morale, perdita di chance)" (settimo motivo).
Con riferimento al settimo motivo, il ricorrente omette peraltro di trascrivere le richieste istruttorie avanzate nel ricorso introduttivo, in violazione del principio secondo cui "qualora il ricorrente per cassazione lamenti la mancata ammissione, da parte del giudice del merito, delle prove dedotte, il motivo di ricorso è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza ove lo stesso non indichi in quale atto del giudizio di appello abbia chiesto l'ammissione di dette prova e non riporti, altresì, nel ricorso, il contenuto delle prove dedotte" (Cass. 7 settembre 2007, n. 18888).
Con il sesto motivo, il ricorso lamenta la "nullità della sentenza per insufficiente motivazione sulla liquidazione del danno biologico ed omessa pronuncia sull'appello proposto ex art. 360, n. 4 e 5 c.p.c.".
Anche questo motivo è privo di fondamento se si considera che con specifico riferimento alla liquidazione del danno biologico, la Corte territoriale ha rilevato anzitutto che la sentenza di primo grado aveva quantificato "nella somma di € 38.935,00 il danno biologico riconosciuto nella sentenza del Pretore di Trebisacce, condannando la datrice di lavoro al pagamento della detta somma con interessi e rivalutazione secondo quanto sopra detto".
Ha aggiunto come la quantificazione del danno biologico fosse pienamente condivisibile, considerando che il "punto di invalidità" era stato liquidato in €. 1.557,4, già rivalutato alla data della sentenza (5/6/2003 ), e, quindi, devalutato alla data del 29/4/1997, alla quale deve essere fatta risalire l'insorgenza della patologia, ammonta a circa €. 1.000,00, somma da ritenere certamente entro l'ambito delle usuali liquidazioni del punto di invalidità.
Peraltro, la richiesta di prova testimoniale era stata respinta correttamente dal Tribunale perché irrilevante per essere volta a provare la sussistenza del danno biologico, atteso che il danno era stato già riconosciuto dal Pretore di Trebisacce, e ininfluente per essere volta a provare la sussistenza di altri voci di danno, perché escluse già dalla sentenza ora detta.
Privo di fondamento è anche l'ottavo motivo, con cui il ricorrente denuncia nullità della sentenza per insufficiente motivazione in ordine alla disposta compensazione delle spese e violazione dell'art. 92 c.p.c.
Invero, la compensazione delle spese, giustificata dalla reciproca soccombenza determinata dal rigetto sia dell'appello principale che di quello incidentale, costituisce idonea motivazione di tale statuizione.
Per quanto precede il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in € 50,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Roma, 12 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2013