Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Lunedì 11 giugno 2012

Audizioni svolte presso la prefettura di Milano

Presidenza del presidente TOFANI

 

Audizione del prefetto di Milano
Audizione dell’assessore alla sanità della Regione Lombardia
Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano e del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia
Audizione del direttore regionale dei Vigili del fuoco, del direttore regionale dell’INAIL, del direttore regionale del lavoro, del comandante del gruppo dei Carabinieri per la tutela del lavoro della Regione Lombardia
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali
Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane


Audizione del prefetto di Milano

Interviene il prefetto di Milano, dottor Gian Valerio Lombardi, accompagnato dal vice prefetto aggiunto, dottor Gianfranco Parente.

PRESIDENTE
Buongiorno, diamo inizio ai lavori della Commissione. Desidero ringraziare il signor prefetto della collaborazione, dell’accoglienza e di ogni supporto messoci a disposizione per poter svolgere al meglio la nostra attività odierna.
Le riconfermiamo i motivi della nostra presenza, che le sono già noti, legati all’esigenza di conoscere meglio le modalità con cui le normative che riguardano la salute e la sicurezza sul lavoro sono state eseguite, applicate ed interpretate sul territorio. Poi vedremo anche, in modo particolare con la Regione, se vi sono degli elementi duali, considerato che questa materia è concorrente con quella statale. Stiamo visitando tutte le Regioni d’Italia proprio per ottenere un quadro più generale della situazione. Quindi non c’è un motivo specifico per cui siamo qui a Milano, se non quello di capire e di cogliere in che modo questo Testo unico delle norme in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro così definito (il decreto legislativo n. 81 del 2008) è stato calato sul territorio e, in riferimento alle competenze specifiche della Regione in questo campo, in che modo esso venga valutato ed attuato, al fine di comprendere se e come il processo stia andando avanti.

LOMBARDI
Signor Presidente, abbiamo preparato degli elementi per fornire un quadro della situazione nel territorio di nostra competenza.
In Provincia di Milano, negli ultimi anni, abbiamo registrato un trend decrescente per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro, credo anche grazie al rafforzamento dei controlli diretti alla prevenzione e al contrasto del fenomeno, che abbiamo cercato di realizzare in maniera coordinata con tutti gli enti preposti sul territorio. Nel 2011, secondo i dati comunicati dall’INAIL, sono stati denunciati nella Provincia di Milano 40.075 infortuni sul lavoro, di cui 31 con esito mortale. Rispetto all’anno precedente, cioè al 2010, abbiamo registrato una diminuzione degli infortuni pari al 21,5 per cento, con un decremento dei decessi pari ad oltre la metà, cioè al 53,9 per cento. I dati degli infortuni distinti per appartenenza di genere mostrano che le vittime degli infortuni sul lavoro sono prevalentemente maschi, sebbene si denoti un decremento del fenomeno rispetto al 2010. Le donne fanno registrare un lieve incremento degli infortuni pari a circa l’1 per cento, in gran parte giustificabile con l’aumento del tasso di occupazione femminile. Ciò nonostante, i dati segnalano la persistenza del fenomeno e rendono necessaria un’ulteriore intensificazione delle attività di prevenzione, attraverso un incremento delle iniziative di formazione dei lavoratori e delle imprese, per favorire una cultura della sicurezza, un controllo maggiore sulla corretta applicazione delle norme di settore e un rafforzamento del coordinamento delle azioni di tutti i soggetti istituzionali e sociali competenti. Tale esigenza è maggiormente avvertita soprattutto con riguardo al contesto della crisi economica in cui versano i diversi settori produttivi e che potrebbe determinare, in vista di una riduzione dei costi di lavoro, una minore attenzione al rispetto delle norme per la tutela della sicurezza dei lavoratori, con conseguenze rilevanti anche sul piano della tutela della concorrenza.
Diversi sono i settori in cui si verificano gli infortuni. Il settore dell’industria e del commercio, quindi il manifatturiero, evidenzia anch’esso un decremento degli infortuni sul lavoro nel corso del 2011, confermando tra l’altro il trend degli anni precedenti. Il settore che ha fatto registrare il maggior numero di denunce di infortuni è quello relativo alla lavorazione dei metalli (1.491 denunce e 3 casi di esito mortale nel 2011), seguito dal settore alimentare (1.178 denunce e 1 caso di esito mortale) e da quello meccanico (1.051 denunce e 2 casi di esito mortale). In coda, come numero di infortuni, si pone l’industria di lavorazione dei derivati del petrolio, con 22 denunce. Riguardo al comparto del commercio si conferma la diminuzione del numero di infortuni, già evidenziato negli anni precedenti, con 4.644 denunce e 2 casi di esito mortale.
C’è poi il settore dell’edilizia, che in verità in Provincia di Milano conosce una crisi particolarmente significativa, con un forte calo degli investimenti e con una riduzione significativa dell’occupazione (meno 2 per cento circa). Diminuendo l’occupazione, ovviamente si è assistito anche ad una rilevante diminuzione degli infortuni sul lavoro denunciati, soprattutto per quanto riguarda il dato dei lavoratori stranieri. Nel 2011 sono state presentate all’INAIL nella Provincia di Milano 3.103 denunce di infortunio, con 9 casi di esito mortale. Il settore rimane comunque quello con il maggior numero di denunce per infortuni sul lavoro, rendendo pertanto necessaria una maggiore attenzione delle istituzioni nella fase dei controlli, per assicurare il rispetto della normativa di settore. Per poter contrastare il fenomeno degli infortuni sul lavoro la prefettura è stata molto attiva, soprattutto per quanto riguarda la condivisione e la stesura di diversi protocolli. Il 22 febbraio 2012 è stato firmato in prefettura il protocollo d’intesa per la regolarità e la sicurezza del lavoro nel settore delle costruzioni, cui hanno preso parte la Provincia e il Comune di Milano, la direzione territoriale del lavoro, le ASL provinciali, l’ALER di Milano, la Camera di commercio industria e artigianato, l’ANCI Lombardia e naturalmente le organizzazioni sindacali dei lavoratori edili. Il protocollo che abbiamo sottoscritto per il contrasto del lavoro irregolare e il rafforzamento della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro rappresenta in realtà un aggiornamento di un documento precedente, che era stato sottoscritto l’11 dicembre 2003. Il nuovo documento tiene conto, senza sostituirli, di diversi accordi stilati nel 2008 ed in altre date sempre con la Provincia e il Comune di Milano, ASSIMPREDIL e le organizzazioni sindacali. Con questo documento abbiamo delineato alcune procedure per rendere maggiormente efficace il controllo sull’idoneità tecnica delle imprese che assumono ed eseguono i lavori nel settore della costruzione. Le amministrazioni pubbliche firmatarie assumono l’impegno, qualora committenti, di affidare gli appalti pubblici d’opera e di privilegiare, quale criterio di aggiudicazione, se la natura dei lavori lo consente, il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Le amministrazioni pubbliche firmatarie si sono inoltre impegnate ad inserire nei bandi di gara la facoltà di escludere quelle ditte per le quali il prefetto dovesse segnalare pregressi impieghi di manodopera irregolare ovvero il ricorso a forme illegittime di intermediazione di manodopera, come comunicati alla prefettura dalla direzione provinciale del lavoro.

PRESIDENTE
Quello degli appalti è un tema che stiamo particolarmente approfondendo, perché è uno dei punti più delicati. Spesso nei processi di subappalto, verticali o orizzontali, si celano dei problemi, anzitutto per quanto riguarda le procedure; mi riferisco al metodo con cui si fa l’appalto. Nel momento in cui lei mi parla di offerta economicamente più vantaggiosa, questo per noi è un motivo di interesse positivo. Chiaramente c’è un contrasto al metodo del massimo ribasso, per gli effetti che esso può determinare. Sarebbe interessante sapere, però, se si è tentato di creare un’unica stazione appaltante, ad esempio per Provincia. Noi non possiamo eliminare il massimo ribasso, per i motivi che dicevamo anche stamani quando ci siamo incontrati, cioè per la presenza di norme europee che in qualche modo debbono garantire la libera concorrenza. Noi incontriamo delle difficoltà e non ci possiamo permettere, come Parlamento, di eliminare la procedura del massimo ribasso. Non è questo il luogo per un commento di questo tipo; si tratta tuttavia di un fatto grave, che ci rappresenta anche la notevole cessione di sovranità che abbiamo concesso. Sarebbe pertanto auspicabile se le prefetture, in modo particolare, si orientassero verso la creazione di un’unica stazione appaltante, riducendo così il numero delle stazioni appaltanti, per una serie di motivi. Soprattutto i Comuni più piccoli incontrano infatti delle problematicità e spesso non sono pronti e preparati. La gara al massimo ribasso è la più semplice dal punto di vista delle procedure e, in qualche modo, è quella con cui pilatescamente si risolve il problema.

LOMBARDI
E semplicisticamente.

PRESIDENTE
Dicendo «pilatescamente» forse sono andato oltre, perché Pilato determinò – almeno per chi ci crede, ed io ci credo – gli eventi che poi la storia ci ha narrato. Quindi credo che noi dovremmo fare uno sforzo – lo chiedo a lei, signor prefetto, come mi sono permesso di chiederlo agli altri prefetti che, come Commissione, abbiamo avuto il piacere di incontrare – per svolgere un ruolo tale da poter veicolare questa esigenza della massima riduzione possibile delle stazioni appaltanti, ai fini di una maggiore qualità dei soggetti che le gestiscono, con la speranza di andare verso le offerte economicamente più vantaggiose. Questo è uno dei punti ai quali, insieme agli altri argomenti di cui le parlavo, noi teniamo molto, nell’ambito di queste visite che stiamo facendo in tutte le Regioni d’Italia.

LOMBARDI
Signor Presidente, potrei dirle che noi ci siamo mossi in questa direzione, perché abbiamo proposto a tutti i Comuni della Provincia l’adesione alla stazione unica appaltante (SUA) e stiamo ricevendo risposte abbastanza corpose. Penso che già almeno una ventina di stazioni uniche appaltanti – si tratta di un dato in progress – i Comuni le abbiano recepite. Su questo fronte sono d’accordo con lei: penso che ci si possa muovere anche per ottenere delle procedure standard, con criteri oggettivamente unificati. Questo è un dato molto positivo, che noi abbiamo promosso anche in vista di un altro nostro interesse: il contrasto all’infiltrazione mafiosa nelle aziende. Anche in considerazione dell’Expo 2015, abbiamo messo in campo una struttura che fa capo a una sezione specializzata dell’osservatorio delle grandi opere a Milano, presieduta dal prefetto e che cerca di prevenire, soprattutto nella fascia dei subappalti, il tentativo di infiltrazione. Per i grandi appalti la situazione è diversa, perché è molto più difficile che in gare di evidenza pubblica, anche a livello europeo, ci possano essere delle controindicazioni. La filiera purtroppo subisce delle contaminazioni nella parte finale, soprattutto nel settore del movimento terra, demolizioni, noleggio di ponteggi, noli a caldo e a freddo, che sono le attività di maggiore interesse per la criminalità organizzata, specialmente calabrese. La stazione unica appaltante è utile sotto questa finalità, ma anche, come lei ha sottolineato, per tenere sotto controllo il fenomeno degli infortuni sul lavoro.

PRESIDENTE
Essenzialmente il problema riguarda i fenomeni malavitosi che trovano facile possibilità di inserimento e, per quel che riguarda le competenze di questa Commissione, la presenza di lavoro nero. Quando ci si trova di fronte ad una serie di subappalti e segmenti di subappalti verticali, se si parte già con meccanismi di massimo ribasso è evidente il rischio che i risparmi ricadano sulla sicurezza sul lavoro e sulla non regolarità del personale che opera.
Dottor Lombardi, la ringraziamo per la sua sensibilità. Le saremmo grati se ci facesse avere degli aggiornamenti sull’evoluzione della situazione. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione dell’assessore alla sanità della Regione Lombardia

Interviene l’assessore alla sanità della Regione Lombardia, dottor Luciano Bresciani.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca ora l’audizione dell’assessore alla sanità della Regione, dottor Luciano Bresciani, che ringraziamo per la presenza e la partecipazione ai lavori odierni. La Commissione che ho il piacere e l’onore di presiedere è oggi in Lombardia non a causa di particolari eventi verificatisi in questa Regione, ma per capire e monitorare il recepimento sul territorio delle normative che fanno capo al Testo unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, tenendo conto del ruolo che hanno le Regioni in una materia di legislazione concorrente, con particolare riferimento al comitato regionale di coordinamento. Vorremmo sapere qual è lo stato dell’opera ed avere elementi di riflessione da parte vostra sul tema.

BRESCIANI
Signor Presidente, la materia è complessa, pertanto preferisco articolarla leggendo un documento che ho preparato. Consegnerò poi la mia relazione alla Commissione.
Il tema oggetto dell’audizione, la tutela della salute dei lavoratori, ha avuto nell’ultimo decennio una grande considerazione da parte della Regione Lombardia sia sotto il profilo dell’investimento di risorse e dell’operatività, sia nell’impegno a rinnovare i principi e le strategie utili al governo di questa materia, in sintonia con quanto avvenuto In Italia e nel resto d’Europa.
In ambito nazionale, il riferimento è stato l’impianto del decreto legislativo del 9 aprile 2008, n. 81, e la sua applicazione puntuale sul territorio lombardo. A livello regionale, si è altresì attentamente guardato al percorso metodologico tracciato dalla Strategia comunitaria per la sicurezza e la salute sul lavoro 2007-2012 (Barcellona, 3 giugno 2010). Si è condiviso e assunto senza riserve il principio guida di tali strategie: una buona salute sul luogo di lavoro consente di migliorare tanto la sanità pubblica in generale, quanto la produttività e la competitività delle imprese.
Si presenta un bilancio di questa operatività diviso in due parti: nella prima parte, sulla base del quadro dei rischi e dei danni presenti nei luoghi di lavoro lombardi, si illustreranno gli obiettivi della pianificazione per la sicurezza sul lavoro contenuti nei piani regionali 2008-2010 (delibera della giunta regionale VIII/6918 del 2 aprile 2008), e 2011-2013 (delibera della giunta regionale IX/1821 dell’8 giugno 2011), esperienze entrambe di valida integrazione dei sistemi e soggetti istituzionali, imprenditoriali e sindacali dei lavoratori, centrate sulla responsabilizzazione delle imprese e sulla complementare vigilanza e promozione da parte del sistema pubblico.
Nella seconda parte sarà presentato un bilancio delle attività del comitato regionale di coordinamento e delle commissioni provinciali (a cui lei, signor Presidente, ha accennato), in attuazione dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 626 del 1994 (ora articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008), operativi senza soluzione di continuità dal 1997 sino ad oggi. Si rendiconterà inoltre l’attività di vigilanza diretta a sanzionare i fenomeni di grave irregolarità, anch’essa impostata nella Regione Lombardia con una logica integrata e con un approccio sostanziale e non burocratico.
Per quanto riguarda il quadro dei rischi e gli obiettivi della pianificazione, il contesto è dettagliatamente descritto nel piano regionale della prevenzione 2011-2012, al quale si rimanda per un’analisi approfondita degli indicatori demografici e del contesto socioeconomico, ambientale e strutturale, presenti in Lombardia con riferimento ai luoghi di lavoro.
L’aspettativa della pianificazione regionale è che si pervenga a risultati concreti entro il 2013, in linea con quanto voluto dall’Europa e dai piani nazionali, riducendo effettivamente del 15 per cento il tasso complessivo d’incidenza degli infortuni sul lavoro denunciati (rispetto ai dati INAIL del 2009) e del 10 per cento del numero assoluto degli infortuni mortali. Tali obiettivi sono fissati come regole di sistema nell’ambito delle valutazioni di raggiungimento di risultato dei direttori generali, a cui corrisponde un premio economico in caso di conseguimento dei risultati.
Si intende dunque contenere concretamente il numero degli eventi negativi di questa Regione, costituiti, sulla base dei dati INAIL del 2010, da circa 133.000 infortuni sul lavoro e 3.200 malattie professionali denunciati ogni anno, in un contesto produttivo di circa 4.300.000 occupati. Va subito evidenziato che i dati infortunistici complessivi della Regione Lombardia negli ultimi anni (consegnerò anche gli allegati alla documentazione, specificando che in questo caso mi riferisco all’allegato 1) si confermano favorevoli: vi è una riduzione dell’11 per cento, rispetto ai dati degli anni 2008-2011, da circa 149.020 a 133.020 infortuni.
Dal confronto con l’Italia la Regione Lombardia si colloca a livelli inferiori sia per la frequenza complessiva di infortuni che per gli esiti generati dai medesimi. L’analisi degli infortuni mortali, condotta sulla base delle informazioni che hanno alimentato il registro regionale nel periodo 2006-2010, evidenzia una continua contrazione, decisa nel primo biennio (intorno al meno 37 per cento), lieve nel periodo 2008-2009 (meno 1,5 per cento), e più marcata nell’ultimo anno (meno 8,4 per cento).
I dati relativi alle malattie professionali (allegato 2), suddivisi in dati delle segnalazioni ricevute dalle ASL relativamente agli anni 2008-2010 e dati delle malattie denunciate e riconosciute dall’INAIL, rilevano che nel 2010 prosegue il trend di incremento delle segnalazioni di denunce delle malattie professionali, risultato pari al 13,2 per cento nel confronto con il 2009, e pari al 20,5 per cento rispetto al 2007. Quindi vi è stato un miglioramento nella conoscenza dell’acquisizione dei dati causata da una maggiore sensibilizzazione. L’obiettivo previsto nella pianificazione regionale, il contenimento delle malattie professionali – seppure il risultato passa attraverso l’adozione di iniziative favorenti l’emersione delle stesse –, risulta pertanto anch’esso raggiunto. Le attività svolte dal registro mesoteliomi (allegato 3) riguardano la raccolta e valutazione dei casi e incidenti negli anni 2006-2010.
Il secondo aspetto che ritengo utile riferire concerne quanto realizzato in materia di sinergia ed integrazione programmatica interistituzionale e con il partenariato economico e sociale lombardo. Con i piani di sicurezza sono stati riuniti tutti gli attori del sistema. È prassi che i nostri piani vengano sempre condivisi da tutti gli stakeholder del sistema regionale lombardo. Sono quindi stati riuniti tutti gli attori del sistema della prevenzione in una cabina di regia attraverso incontri regolarmente svolti con cadenza trimestrale. Sono state curate azioni sinergiche con la direzione generale del lavoro, con la direzione regionale INAIL, con gli tutti enti istituzionali, con le parti sociali, i datori e i sindacati.
Sono stati attivati importanti strumenti di integrazione degli archivi informativi per definire il quadro dei rischi e dei danni, la programmazione coordinata e il monitoraggio delle attività derivate. Cito i più importanti: il servizio online per l’invio, obbligatorio a norma di legge, delle notifiche di avvio del cantiere (ex articolo 99 del decreto legislativo n. 81 del 2008). L’adozione della modalità telematica è il risultato di una stretta collaborazione con la direzione generale del lavoro, con l’emanazione contestuale di decreti da parte del direttore generale della sanità e del direttore regionale del lavoro. Il servizio, che in questo momento è unico in Italia, ha semplificato l’adempimento degli obblighi posti a carico dei cittadini committenti, che direttamente o indirettamente, attraverso un professionista, inviano e aggiornano la comunicazione non più attraverso la posta ordinaria o la consegna a mano degli uffici della pubblica amministrazione, ma online, contestualmente all’ASL, alla direzione territoriale del lavoro e ai Comuni competenti, ricevendone un’unica registrazione con un’unica modalità.
In Lombardia il sistema, a regime dal 1º gennaio 2010, alimenta l’anagrafe aggiornata dei cantieri presenti sul territorio lombardo. Ad oggi ne sono registrati circa 150.000, rendendo immediatamente fruibili le informazioni agli organi di vigilanza territorialmente competenti, con conseguente aumento di efficienza dei compiti istituzionali. Tale sistema è stato presentato al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di sicurezza e salute sul lavoro (articolo 5 del legislativo n. 81 del 2008) ed apprezzato tanto da essere inserito quale strumento fondante di una programmazione che supera la prospettiva dell’intervento congiunto tra operatori ed enti diversi, consentendo interventi autonomi ed indipendenti, ma inseriti in una medesima pianificazione nell’atto di indirizzo del comitato di prossima adozione da parte della Conferenza Stato-Regioni.
Altresì, è stato apprezzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali non solo per i contenuti tecnici (il Ministero sta realizzando sul modello lombardo un sistema telematico che sarà reso disponibile a tutte le Regioni che non ne dispongono), ma in particolare per l’elevato grado di sinergia programmatoria tra due diversi enti, Regione e direzione regionale del lavoro, con eguali compiti di vigilanza.
Il sistema informativo denominato IMPRESA, che è acronimo di «Informazione, monitoraggio, prevenzione sanitaria» è lo strumento realizzato con lo scopo di condividere tra operatori delle ASL e altri enti del sistema regionale di prevenzione sia l’anagrafe delle strutture soggette all’attività di vigilanza (imprese, aziende, strutture sanitarie e socio sanitarie, scuole e cantieri) sia i controlli su di esse effettuati. Esso permette di collegare le imprese al cantiere e le ispezioni effettuate dall’ASL.
La prossima confluenza in esso di controlli effettuati dalle direzioni territoriali del lavoro, nonché dalle visite effettuate dagli organismi paritetici territoriali per l’edilizia, cui si assegna un ruolo partecipativo concreto, consentirà, nella logica di una unica pianificazione lombarda dell’attività di vigilanza, di aumentare la copertura dei controlli a tutela del lavoratore.
È stato realizzato, sempre attraverso una stretta collaborazione tra i tecnici informatici della Regione e della direzione regionale del lavoro, il modulo inserimento controlli (chiamato MIC), strumento finalizzato alla rilevazione e al caricamento dei controlli nei cantieri condotti a cura delle direzioni territoriali del lavoro.
Sul piano pratico, il settore delle costruzioni, ad alto grado di incidenza e gravità di infortunio, è terreno su cui si attua il coordinamento operativo delle azioni di controllo, sia repressive che assistenziali, grazie all’avanzato grado di collaborazione tra la direzione generale della sanità, la direzione regionale del lavoro per la Lombardia, ANCE Lombardia, Feneal-UIL Lombardia, Filca-CISL Lombardia e Filea-CGIL Lombardia.
Nell’area di intervento nei cantieri, il tradizionale dualismo tra l’azienda sanitaria locale e la DPL viene superato in favore di una misura dell’azione di controllo più ampia di quella proposta dai modelli di coordinamento indicati dal decreto legislativo n. 81 del 2008.
La convergenza di patrimoni informativi di ASL, DPL e casse edili all’interno di un’unica banca dati, definita IMPRESA, diventa espressione della parità d’intenti e di azione tra istituzioni e parti sociali nel contrastare il fenomeno di irregolarità e di violazione delle norme in materia di sicurezza dei luoghi di lavoro, nello stesso spirito di convergenza nell’attività di vigilanza, ma nel rispetto dell’autonomia e del ruolo di ciascuna istituzione (quindi indipendenti ma interdipendenti per il progetto).
Ai fini di coordinamento dei controlli ispettivi del settore edile sono stati approvati i protocolli di intesa con l’Istituto nazionale della previdenza sociale della Lombardia e con il Comando dei Carabinieri per la tutela del lavoro per l’accesso all’anagrafica dei cantieri notificati.
Con l’INAIL Lombardia, la direzione generale della sanità è impegnata nella realizzazione del sistema informativo, atto a garantire l’invio on line, da parte di tutti i medici ospedalieri di medicina generale, dei certificati medici di infortunio all’ente assicuratore.
In questo modo si garantirà alle ASL la disponibilità senza ritardo delle informazioni relative al verificarsi di un infortunio sul lavoro, rendendo efficiente ed efficace l’intervento in vigilanza, e all’INAIL, contestualmente, immediata fruibilità, ad implementazione dell’archivio degli infortuni lombardi.
Con riferimento ad Expo 2015, è stata costituita la piattaforma informatica SIGEXPO, che assicura la gestione di tutti i dati relativi alle imprese presenti nel cantiere Expo 2015, sia in fase di definizione e autorizzazione dei lavori che nella successiva fase di esecuzione.
Ancora sui lavori, i progetti sono stati condotti insieme al coordinamento regionale secondo l’articolo 7, con il contributo di tutti gli enti e parti sociali impegnati nel garantire la tutela della salute del lavoratori in un contesto produttivo (i cantieri per la realizzazione dell’Expo 2015) in cui la Lombardia sarà sotto gli occhi di tutti.
Sulle linee guida per la sicurezza dei comparti, l’ultimo aspetto riguarda le azioni tese a conoscere e ad affrontare i rischi concretizzatisi negli ultimi tre anni. Ventisette sono i provvedimenti regionali, linee guida (che allego) di buone pratiche e di indirizzo operativo per tipologia del contesto, elaborate nell’ambito di laboratori, cui partecipano rappresentanti degli enti, istituzioni e parti sociali, approvati nell’ufficio operativo, decretati e pubblicati a fruizione di tutte le aziende virtuose.
Questi strumenti individuano e promuovono soluzioni tecnologiche, organizzative e procedurali, concretamente attuabili e in grado di ridurre al minimo i rischi lavorativi; strumenti condivisi dai diversi interlocutori impegnati per obiettivi di tutela.
Per quanto riguarda il comitato regionale di coordinamento, ex articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, in qualità di assessore alla sanità della Regione Lombardia e presidente del comitato regionale di coordinamento, ex articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, rendiconto ora sull’attività di questo organismo di coordinamento e su tutti gli altri livelli previsti dal disegno organizzativo complessivo adottato in Regione Lombardia per materie (ufficio operativo regionale, nuclei operativi integrati, organismi provinciali).
La Regione Lombardia, con la delibera di giunta del 1997 in attuazione (troverete le specifiche numeriche) dell’articolo 27 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e del decreto legislativo n. 81 del 2008 ha istituito il comitato regionale di coordinamento, seguito da un secondo provvedimento del 1998 di istituzione delle commissioni provinciali quali articolazioni territoriali del comitato regionale.
In ottemperanza al DPCM del 21 dicembre 2007, articolo 1, comma 2, che ha perfezionato la composizione del comitato regionale di coordinamento e regolato l’attività del comitato regionale e delle sue articolazioni territoriali organizzative, con delibera di Giunta regionale del 20 maggio 2009, è stata aggiornata la partecipazione degli enti, istituzioni e parti sociali al comitato regionale, adottando il relativo regolamento.
Per una concreta misurazione degli effetti derivati dalle strategie perseguite e per la valutazione del raggiungimento degli obiettivi previsti, sono state affidate al comitato le funzioni previste dal DPCM del 21 dicembre del 2007. In particolar modo, Presidente, sono state effettuate complessivamente, dal 31 marzo 2008 sino ad oggi, 16 riunioni del comitato (esattamente quattro all’anno).
Esse sono tese all’ascolto delle criticità espresse dal livello provinciale per un loro positivo superamento e alla valorizzazione delle esperienze locali che si realizzano in coerenza agli indirizzi emanati dal livello delle pianificazione regionale. Continua, quindi ad accrescersi e ad essere più efficace il livello di conoscenza.
Accanto a questa istanza di coordinamento è stata avviata, con piano regionale per la sicurezza e la salute sul lavoro per il 2008-2010 del 2 aprile 2008, e confermato dal successivo piano di processo e di progresso del 2011-2013, che porta la data dell’8 giugno 2011, anche la cabina di regia con funzione di monitoraggio, analisi e verifica dei risultati raggiunti della pianificazione regionale.
Abbiamo misurato anche quali siano i vantaggi di un’azione in relazione al risultato che si vuole ottenere. Abbiamo misurato il guadagno che ci dà un’azione nei confronti dell’obiettivo da raggiungere in termini numerici. Vi è una pubblicazione ad hoc, che non ho allegato ma che eventualmente, se vi interessa, possiamo offrirvi.
La cabina di regia, operando in sinergia con il comitato, rappresenta, a norma di regolamento, l’attuazione dell’ufficio operativo indicato dal DPCM del 21 dicembre del 2007, assolvendone i compiti. Anche l’ufficio operativo si riunisce trimestralmente e, da maggio ad oggi, sono state effettuate 10 riunioni. Alla luce degli atti citati in allegato, si riferiscono sinteticamente altri dati descrittivi di attività di questa istanza di coordinamento.
Nell’ultimo anno di operatività del comitato, Presidente, sono stati inoltre avviati i nuclei operativi integrati, con la finalità di realizzare attività di controllo mirate a specifici obiettivi di tutela del lavoratore, secondo modalità coordinate e talvolta congiunte con le nostre aziende sanitarie locali e le direzioni territoriali del lavoro. Le nostre aziende sanitarie locali sono, per loro definizione, provinciali, ad eccezione del Comune di Milano, la cui estensione è talmente ampia che le aziende sanitarie non possono avere la connotazione di provinciali.
In particolare, a partire dalla nota a firma congiunta del direttore generale della sanità e del direttore regionale del lavoro, per la Lombardia sono state discusse, definite e monitorate attività di vigilanza congiunta in aree individuate prioritarie, in coerenza con gli indirizzi trasmessi dal Ministero del lavoro.
In particolare, si richiamano ambienti confinati sospetti di inquinamento. A partire dalla circolare n. 42 del 2010 del Ministero del lavoro, l’attività congiunta tra ufficiali di polizia giudiziaria delle ASL e ispettori delle direzioni territoriali del lavoro è stata programmata e realizzata nei settori a priorità di rischio quali il vitivinicolo, quello della raccolta e trattamento di rifiuti non pericolosi, il commercio all’ingrosso dei carburanti e il comparto della produzione e distribuzione del calore e del freddo.
Il numero dei sopralluoghi in ambienti sospetti di inquinamento realizzati e i provvedimenti sanzionatori dispositivi adottati sono stati, nel 2011, pari a 65, di cui 43 in forma congiunta, 25 provvedimenti prescrittivi e 5 atti dispositivi.
Un altro punto riguarda i cantieri per la rimozione di amianto. A fronte delle segnalazioni pervenute dalle aziende sanitarie locali circa la presenza nei cantieri per la rimozione dell’amianto di lavoratori autonomi sotto le direttive di una impresa appaltatrice privi del patentino regionale di coordinatore e addetto, nonché dell’iscrizione all’albo nazionale di gestori ambientali, sono stati oggetto di definizione specifiche linee per la conduzione di interventi coordinati.
Sui rischi psico-sociali, a partire dall’indicazione del Ministero del lavoro, il comitato ha deciso di dedicare risorse, avvalendosi del contributo dello specifico laboratorio dedicato al tema stress lavoro correlato e alla valutazione del materiale informativo trasmesso dal livello ministeriale, al fine di declinare i contenuti in relazione alla specificità dei bisogni delle aziende lombarde.
Quanto alla campagna 2011 di vigilanza nei cantieri, le campagne annuali di vigilanza nei cantieri vengono presentate nel comitato regionale, ma organizzate a livello provinciale per una opportuna declinazione operativa coordinata così come vuole la regola. Sono stati attivati i percorsi formativi dedicati per sostenere il miglioramento e l’innalzamento del livello delle conoscenze e competenze in materia di salute e sicurezza dei luoghi di lavoro, ai sensi del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Sulle dotazioni di sicurezza, è previsto il finanziamento a sportello, configurato come un voucher e destinato alle imprese lombarde con un numero di occupati fino a quarantanove per la frequenza dei percorsi formativi previsti. L’avviso di bando, a cura della direzione generale occupazione e politica del lavoro, è stato pubblicato sul nostro bollettino regionale il 12 aprile 2012. Evento formativo rivolto ai dirigenti, o loro delegati, degli istituti scolastici, statali o paritari, localizzati in Lombardia, si prefigge di raggiungere gli obiettivi, di promuovere l’inserimento nei curricula scolastici della materia salute e sicurezza e di facilitare l’inserimento, in ogni attività scolastica, di specifici percorsi formativi, interdisciplinari alle diverse materie scolastiche volte a favorire la conoscenza delle tematiche della salute e della sicurezza.
L’ultimo punto riguarda gli organismi provinciali, istituiti il 6 agosto 1998, quali articolazioni del comitato regionale. Essi realizzano degli incontri periodici, normalmente a frequenza trimestrale. In essi vengono declinate e ratificate, con riferimento al territorio di competenza, le scelte programmatiche assunte a livello regionale.
A ulteriore sostegno del ruolo di coordinamento, la programmazione triennale dei controlli in capo alle aziende sanitarie locali viene assunta solo previo confronto nell’ambito del comitato provinciale, secondo l’articolo 7 (obiettivo dei direttori generali, regole 2011 e 2012, per il raggiungimento dei risultati e relativo premio di produzione).
Per quanto riguarda il quadro dei dati – poi avrete modo di leggere con calma i documenti – gli elementi principali sono i seguenti. Gli infortuni denunciati dall’INAIL sono in progressivo decremento, come avevo accennato. La variazione della frequenza percentuale sull’anno precedente (2007 rispetto al 2006) è –2,3 per cento.

PRESIDENTE
Questi dati li abbiamo già, ce li ha dati l’INAIL.

BRESCIANI
Allora non aggiungo altro; volevo solo mettere in evidenza alcuni punti, di cui però siete già a conoscenza.

PRESIDENTE
La ringraziamo per questa relazione, che mi sembra abbia colto in modo diretto lo spirito della legge n. 123 del 2007 e del decreto legislativo n. 81 del 2008. Abbiamo ascoltato con piacere e con attenzione che tutte le procedure previste sia dal decreto legislativo n. 81 che dal DPCM del 21 dicembre 2007 sono state poste in essere, perché in effetti la riforma cala sul territorio grazie al ruolo e al coordinamento svolto dalle Regioni. Mi sembra sia stato ampiamente attuato quanto previsto sia dal DPCM che dagli articoli del decreto legislativo n. 81, in modo particolare dall’articolo 7, al quale lei ha fatto giustamente riferimento. Prendiamo atto con piacere di questa organizzazione e di questa articolazione, perché non sempre le cose stanno in questa maniera; noi siamo anche preoccupati da questo punto di vista.
C’è un’unica cosa che non ho ascoltato da lei, forse perché la considerava implicita nei suoi ragionamenti o perché io non l’ho sentita. Mi sembra infatti che manchi il rapporto con il Ministero del lavoro e con il Ministero della salute. In quel DPCM cui facevamo prima riferimento veniva chiesta una relazione annuale. Mi sembra che voi, nel senso più lato delle Regioni italiane, privilegiate il percorso del tavolo Stato-Regioni con il Ministero del lavoro e con il Ministero della salute. Mi permetterei però di suggerire, se lei me lo consente, che forse sarebbe cosa buona ed importante, a prescindere da questo tavolo multiplo, inviare una relazione annuale di quello che si fa come Regione Lombardia sia al Ministero della salute che al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, atteso che, da quanto lei ci diceva, voi siete particolarmente avanti dal punto di vista organizzativo, soprattutto per quanto riguarda il sistema informativo (visto che quello nazionale tarda ad arrivare). Voi potreste essere pertanto un ottimo interlocutore per il Governo e, più specificamente, per questi due Ministeri. È un suggerimento che mi permetto di dare e che potrebbe essere utile non tanto e non solo per voi, ma anche e soprattutto per gli altri.

BRESCIANI
La ringrazio per la sua osservazione, signor Presidente. Si tratta di un aspetto tecnico che davo per acquisito. Oltre al lavoro che svolgiamo qui sul territorio, noi siamo in continuo contatto con i Ministeri di cui lei ha riferito. Comunque effettuerò delle verifiche, nel caso in cui non fosse così (ma mi sembra molto improbabile). Ci sono dei provvedimenti, che ho citato e che poi saranno portati in Conferenza Stato-Regioni, che sono stati apprezzati sia dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia, credo, anche dal Ministero della salute. Siamo in contatto continuo, in quanto la nostra attività è fondamentalmente orientata al rispetto dei piani di prevenzione, che investono il 5,1 per cento del nostro finanziamento regionale.

PRESIDENTE
Quindi voi avete raggiunto questo tanto agognato 5 per cento globale di prevenzione.

BRESCIANI
Sì, siamo sul 5,1, perché spingiamo un po’ appena possiamo, in quest’ambito. Abbiamo una quantità rilevantissima di imprese nel nostro sistema e, di conseguenza, dobbiamo essere molto attenti, perché basta una piccola disattenzione e le cifre si ingigantiscono immediatamente. Invece è confortante verificare una continua riduzione, dal momento che ci siamo posti come obiettivo una riduzione del 15 e del 10 per cento per quanto riguarda gli esiti non opportuni nell’ambito degli ambienti di lavoro. Comunque, anche se sarà mia cura verificarlo, penso che il contatto sia continuo.

PRESIDENTE
Più che il contatto, è importante questa relazione annuale, che fra l’altro è un elemento di dialogo ufficiale tra la Regione e il Governo (poi ce ne saranno altri mille di incontri e di possibilità di dialogo). Credo che avere questo elemento coronerebbe, nell’attuazione totale, quanto previsto dalla legge n. 123 e dal decreto legislativo n. 81.

BRESCIANI
Io politicamente ho sempre dato queste indicazioni. Devo verificare se tecnicamente siano state eseguite, ma penso che lo siano state.

PRESIDENTE
La ringraziamo per il suo contributo, assessore Bresciani. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano e del procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia

Intervengono il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano, dottor Manlio Minale, e il procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia, dottor Sandro Raimondi.

PRESIDENTE
Buongiorno e grazie per aver accolto l’invito della Commissione. Oggi siamo qui come Commissione d’inchiesta del Senato della Repubblica non perché vi siano particolari fatti o eventi che hanno determinato questa esigenza, ma essenzialmente perché stiamo svolgendo un monitoraggio in tutte le Regioni italiane, anzitutto per confrontarci con le autorità sul territorio e poi per cercare di comprendere come il cosiddetto testo unico sia stato recepito sul territorio. Per quanto riguarda le vostre specifiche competenze, vorremmo sapere in che modo vi siete organizzati da un punto di vista operativo, anche perché, come sapete, c’è tutto un dibattito che vi riguarda come magistratura. C’è in qualche modo la tendenza ad immaginare una procura nazionale. C’è chi sostiene questo aspetto e chi sostiene che forse sarebbe più opportuno invece un raccordo nelle singole procure generali, per avere una maggiore vicinanza al territorio e, nello stesso tempo, una specialità di impegno da parte di soggetti che curano in modo particolare questi eventi, instaurando un contatto più diretto con i propri collaboratori, che si troveranno e si trovano sulla scena dell’infortunio, quindi nella descrizione dello stesso e nell’operatività. Questi sono essenzialmente i motivi per i quali siamo qui, disposti con grande favore ad ascoltarvi e a ricevere da voi delle indicazioni che potranno esserci utili.

MINALE
Signor Presidente, ricordo che si è già svolta un’audizione nel 2009 su questo tema, proprio da parte della Commissione d’inchiesta. Inizierò con il fornire qualche dato, che necessita di una premessa. Gli infortuni sul lavoro, mortali o no, sono iscritti sotto il titolo dell’omicidio colposo, ai sensi degli articoli 589 e 590 del codice penale. Ancora oggi, il sistema informatico delle procure (si tratta di un sistema approvato dal Ministero) non distingue tra il primo e il secondo comma. Il secondo comma statisticamente non riusciamo a coglierlo, perché non c’è una casella specifica per distinguere gli omicidi colposi per infortunio sul lavoro da quelli per incidente stradale (rientrano entrambi nel secondo comma). Quindi le statistiche sono attendibili, ma sono interne; le singole procure, anche su nostra indicazione, registrano specificamente gli omicidi colposi da infortunio sul lavoro, anche se il dato statistico non lo rende.
Fatta questa premessa, devo dire che la procura di Milano, che è quella maggiormente gravata, presenta il seguente andamento: nel 2007 ci sono stati 28 casi, nel 2008 ce ne sono stati 23, nel 2009 ce ne sono stati 9, nel 2010 ce ne sono stati 13 e nel 2011 ancora 13. C’è stata quindi una sostanziale diminuzione, con un picco molto significativo nel 2009, che è da riferire quasi esclusivamente all’attività dell’ispettorato del lavoro, che soffriva di una carenza di organico negli anni precedenti e che fu riequilibrato nel 2009, con un aumento considerevole delle ispezioni, delle prescrizioni e quindi delle notizie di reato. Quindi noi riteniamo che il risultato molto buono del 2009 sia da riportarsi all’attività dell’ispettorato del lavoro. Questo permetterà ad ognuno di noi di svolgere delle considerazioni sull’essenzialità in questo campo delle ispezioni, cioè della presenza dell’ispettorato come avamposto, sia sul piano della prevenzione che sul piano della repressione. Negli anni successivi, 2010 e 2011, il dato si è stabilizzato, anche se l’ispettorato del lavoro ancora oggi non ha ripristinato il numero delle presenze degli ispettori del 2009. Questo è il dato di Milano, piuttosto confortante, anche se vi sono stati comunque 13 casi mortali.
Per quanto riguarda invece il distretto, cioè la parte della Lombardia che dipende dalla Corte d’appello di Milano, tra il Ticino e l’Adda, i dati, ovviamente assai ridotti, sono tutti in diminuzione, con l’eccezione di Lecco e di Lodi, dove si registra un aumento. A Lecco vi sono stati 3 casi nel 2009, 3 casi nel 2010 e 5 nel 2011; a Lodi vi sono stati 1 caso nel 2009, 3 nel 2010 e 4 nel 2011. Si tratta di piccole realtà, quindi questi dati sono significativi, se li raffrontiamo con i dati di Milano. Tutte le altre procure mostrano invece una tendenza in diminuzione, sia per quanto riguarda l’articolo 589 che per quanto riguarda le lesioni colpose, ovviamente con cifre molto più elevate. Questo è il dato statistico sull’aspetto degli infortuni mortali.
Per quanto riguarda poi l’applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 – un ottimo provvedimento, che ha fornito alle procure uno strumento completo, sia sotto l’aspetto della prevenzione che sotto quello della repressione – abbiamo dei dati che, per quello che possono valere, indicano dei numeri piuttosto elevati. Per esempio, nella procura di Milano i sopravvenuti sono oltre 2.000 ogni anno; lo stesso accade nelle altre procure, in proporzione. Questo è indice – lo sottolineo ancora una volta – dell’ottimo lavoro svolto dall’ispettorato, perché noi siamo alimentati dalle ispezioni che vengono condotte dall’ispettorato. Sul punto devo dire che la procura di Milano e le altre procure, su nostra indicazione e recependo un’indicazione del Consiglio superiore della magistratura, hanno cercato di strutturare il proprio lavoro in gruppi di lavoro e in dipartimenti, in modo da avere, su questa materia, dei sostituti che si occupano quasi esclusivamente di questi aspetti. Ciò ha comportato dei protocolli con l’ispettorato del lavoro, con le ASL e con le polizie locali; i dati che ho riferito ci confortano sul buon esito di queste modalità di intervento, basate su una sinergia tra le procure, l’ispettorato del lavoro, le ASL (importantissime per l’aspetto della sanità) e la polizia locale. Sotto questo aspetto, era stata prevista la creazione di un sistema informatico nazionale di prevenzione presso l’INAIL, che per noi sarebbe di estrema utilità, ma forse non è ancora operativo. A Milano e in qualche altra procura si sopperisce in maniera artigianale con annotazioni interne che hanno permesso – mi riferisco ai dati 2009-2010 – di individuare alcuni cantieri nei quali si verificavano con maggiore frequenza infortuni sul lavoro.

PRESIDENTE
Signor procuratore, la interrompo solo per dire che il sistema informatico che, come ha giustamente ricordato, non è ancora operativo, sembrerebbe essere stato licenziato da questo tavolo complesso e composito a cui si è fatto riferimento. Quindi dovremmo averlo quanto prima.
L’assessore regionale alla sanità, che abbiamo già avuto modo di sentire, ci ha parlato di un sistema regionale informativo. Voi siete collegati con tale sistema?

MINALE
Sì, noi lo alimentiamo. Prima parlavo di una soluzione che ho definito artigianale e interna, che ha già permesso di individuare alcuni cantieri da sottoporre a maggiori controlli. Il sistema informatico sarebbe uno strumento molto utile.
Per quanto riguarda il quadro generale, si è rilevato che, soprattutto nel campo delle lesioni colpose (infortuni non mortali), un’alta percentuale riguarda i lavoratori extracomunitari. Non saprei dire le ragioni di tale fenomeno: se dipende da una proporzione interna tra i lavoratori o da una cattiva conoscenza della lingua italiana o da una mancanza di formazione in questo campo. Ma, ripeto, il dato è che le lesioni colpose sono un numero piuttosto significativo e riguardano prevalentemente i soggetti extracomunitari.
Per quanto riguarda l’intervento repressivo, nelle procure è stato attuato il decreto legislativo n. 231 del 2001 circa la responsabilità degli enti, perché proprio il Testo unico n. 81 del 2008 ha esteso al reato di omicidio colposo da infortuni sul lavoro la possibilità di perseguire in via amministrativa anche la responsabilità degli enti. Ciò è molto importante e vi sono alcuni procedimenti che hanno ottenuto indirettamente degli ottimi risultati, perché in detti procedimenti sono state applicate anche le misure interdittive, previste fino a tre o sei mesi se non ricordo male, che hanno poi indotto il datore di lavoro a rientrare nei parametri indicati dagli ispettori, tanto che abbiamo dovuto chiedere la revoca delle misure stesse. Si tratta di un passo molto importante, perché la responsabilità amministrativa e soprattutto la misura interdittiva sono strumenti per ottenere celermente la realizzazione e il ripristino delle condizioni di sicurezza nei cantieri.
Inoltre, per quanto riguarda la tutela della salute, premesso che la normativa è la stessa e che anche tale aspetto finisce con il rientrare nella disciplina prevista dagli articoli 589 e 590 del codice penale (a parte i reati specifici), sono in corso due procedimenti importanti concernenti lavoratori che hanno operato a contatto con l’amianto: vi è un dibattimento a Voghera, molto importante per il numero delle vittime e delle parti lese, e un’indagine a Pavia egualmente significativa. Altri procedimenti sono in corso a Milano. I casi di Voghera e Pavia sono i più significativi perché lì si effettuavano lavorazioni che utilizzavano l’amianto. Non si tratta quindi della semplice presenza di amianto: nello stabilimento di Voghera, ad esempio, si realizzavano lavorazioni con l’amianto.

PRESIDENTE
Parliamo di lavorazione per smaltimento o di lavorazione con l’amianto?

MINALE
Lavorazioni per la realizzazione di manufatti di amianto. Quello di Voghera era uno stabilimento destinato a produrre manufatti realizzati con amianto e con la polvere di amianto.

PRESIDENTE
A quando risale?

MINALE
Al dibattimento di primo grado.

PRESIDENTE
Quindi non è stato tenuto presente il divieto di adoperare l’amianto e la polvere di amianto, che ormai risale a vent’anni fa?

MINALE
I fatti risalgono a tempo fa, ma l’indagine è approdata adesso al dibattimento.
Queste sono considerazioni di ordine generale. Ricordo che nel nostro precedente incontro si parlò anche degli infortuni in itinere.

PRESIDENTE
Un aspetto da sottolineare a proposito degli infortuni in itinere, al di là della problematica che è chiara e specifica, è quello della necessità di formare i soggetti che effettuano i rilievi in modo che, in caso di infortuni in itinere o di infortuni in mobilità durante le ore di lavoro, non li considerino, come spesso accade, incidenti automobilistici. La Commissione si permise di mandare una nota a tale riguardo.

MINALE
Mi scusi se la interrompo. Su questo posso rassicurarla perché tale raccomandazione nacque proprio all’esito di quell’audizione. Normalmente interviene il sostituto e si fa in modo che si ricavino tutti i dati utili per ricostruire il fatto come infortunio sul lavoro.
Ovviamente, salvo casi specifici di lavoratori che usano mezzi dell’amministrazione o della ditta per spostamenti, a volte si tratta di veri e propri infortuni in itinere. Ma i casi specifici sono trattati con l’attenzione alla quale lei ha fatto riferimento. È difficile che un infortunio in itinere venga interpretato come un incidente stradale. Penso di poterlo escludere.

RAIMONDI
Signor Presidente, sono Sandro Raimondi, procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Brescia, e coordino dall’inizio di quest’anno i magistrati che si occupano di tutti i procedimenti relativi agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. A tale proposito, ho fatto preparare dalla mia cancelleria delle statistiche che tengono conto sia di tutte le iscrizioni dei procedimenti sia dei fascicoli esauriti con la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli imprenditori, a partire dal 1998-1999 ad oggi. Mi sono fatto anche rilasciare dei documenti dalla ASL di Brescia e devo dire che i dati in nostro possesso sono estremamente positivi (se si può usare questo termine quando si tratta di infortuni sul lavoro), perché gli infortuni gravi segnalati nel 2005 erano 2.466, mentre nel 2010 sono scesi a 1.266, registrando quindi un dimezzamento degli infortuni gravi.
Nel 2011 gli infortuni sono risaliti a 1.405 a causa di un problema che intendo sottolineare e portare alla loro conoscenza: mi riferisco al fatto che ormai i lavori pesanti, come è noto, non vengono più svolti dagli italiani, ma dalla manodopera straniera. Brescia ha una particolarità: il rapporto tra i cittadini di nazionalità italiana e gli stranieri è estremamente preoccupante, nel senso che il Comune di Brescia comprende 180.000 abitanti e ben 40-50.000 sono individui di colore o di nazionalità differenti da quella italiana. Tali soggetti sono disposti ad accettare lavori in acciaierie e fonderie, dove ormai abbiamo il 60 per cento di manodopera straniera, e mal recepiscono per un’incomprensione strutturale di lingua le direttive di sicurezza che vengono impartite.
Come dicevo, si tratta di un aspetto molto preoccupante perché abbiamo constatato che, con il crescere della manovalanza di nazionalità straniera, sono aumentati gli infortuni gravi. Il lavoro fatto in via preventiva da parte del personale della ASL e dell’ispettorato del lavoro è efficace ed efficiente. Tra i tanti dati che porterò alla loro conoscenza vi sono i seguenti: nel 2011 l’attività di vigilanza ha comportato l’emissione di 810 verbali di ispezione e 790 emissioni di pagamento, con un introito di circa 1,4 milioni di euro e sanzioni amministrative di pari importanza. Il problema più importante è quello di fare integrare la manovalanza straniera, che spesso accetta condizioni di paga differenti o in nero con violazione di ulteriore normativa, ma vi è anche il problema dell’incapacità da parte dell’imprenditore di comunicare le nozioni in materia di sicurezza.
Personalmente, ho lavorato 29 anni a Milano e da due anni sono procuratore aggiunto a Brescia, quindi porto con me un po’ di cultura assimilata quando ero alle dipendenze del dottor Manlio Minale, che era procuratore capo prima di essere procuratore generale. Ho elaborato un protocollo di indagine sugli infortuni sul lavoro, sulla normativa antinfortunistica e sulle malattie professionali e l’ho inviato a tutti gli organismi competenti, perché spesso avevamo riscontrato non tanto delle leggerezze quanto delle comunicazioni, notizie di reato (che sono ciò che interessa il mio ufficio), che portavano in sede dibattimentale all’assoluzione degli imprenditori. Mentre gli aspetti amministrativi venivano risolti ed acclarati in sede di ispezioni amministrative, in sede dibattimentale la frequenza delle assoluzioni era un dato più allarmante e preoccupante, almeno da ciò che mi riferivano i sostituti. Pertanto ho fatto un protocollo, che chiedo di poter produrre, riguardante soprattutto gli accertamenti sullo stato dei luoghi avvalendosi dell’uso dell’informatica e di tutta la tecnologia a disposizione, ribadendo la necessità di fare filmati, di escutere le persone nell’immediatezza del fatto stando attenti a che non vengano contattati dall’imprenditore o dai parenti dell’imprenditore. La realtà bresciana è particolare: pur essendo una città di provincia è inserita in un ambito economico mondiale, quindi c’è un interesse speculativo da parte della classe imprenditoriale a non rispettare le normative.
L’acquisizione documentale, il fatto di usare provvedimenti cautelari, i sequestri dei cantieri dovranno essere incentivati ed elaborati in modo diverso. Anche in tema di malattie professionali non si dovranno creare carte inutili: laddove i nessi di causa tra i sintomi riportati e i luoghi di lavoro del lavoratore ammalato non sono così evidenti, si eviti di aprire un procedimento visto che il numero dei procedimenti di questo tipo è abbastanza rilevante.
Sono assolutamente d’accordo con il procuratore generale di Milano sull’importanza dell’applicazione del decreto legislativo n. 231 del 2001. È una scommessa veramente importante saper far funzionare questo tipo di normativa. Sapete benissimo, signor Presidente, signori della Commissione, che le normative devono essere metabolizzate prima di essere impegnate ed articolate in sede processuale. Dopo dieci anni di vita del decreto legislativo n. 231 del 2001, possiamo dire che i magistrati stanno imparando ad applicarne i contenuti. Soprattutto in tema di antinfortunistica, la scommessa cautelare di interdire la gestione dell’impresa da parte dell’imprenditore inadempiente è assolutamente vincente e in questo senso dovranno essere implementati i nostri sforzi.
Ho fatto acquisire varie statistiche e un CD-ROM sul rapporto delle malattie sul lavoro nel decennio 1998-2007. Sono tutti dati statistici che porto alla loro conoscenza e chiedo di poterli consegnare alla Commissione.
Per quanto riguarda l’amianto, abbiamo delle indagini in corso per verificare gli effetti delle malattie professionali. Si tratta però di indagini appena iniziate.

PRESIDENTE
La ringraziamo, dottor Raimondi. Le chiedo cortesemente un chiarimento su un primo dato. Lei ha posto la Provincia di Brescia in un quadro che a noi è noto per le attività che si svolgono su tale territorio. È molto interessante l’inquadramento che ha fatto lei. Citando il De Rita, userei l’aggettivo «glocale», che unisce due parole: globale e locale. Vi è un’economia internazionale legata a processi con mentalità di livello provinciale, se ho capito bene.
Abbiamo acquisito con soddisfazione che la Regione Lombardia, da quando è intervenuto il decreto legislativo n. 81 del 2008, ma già prima con il decreto del Presidente della Repubblica n. 127 del 2007 che ha dato luogo al coordinamento regionale, è attiva nei ruoli che le norme hanno conferito alle Regioni, soprattutto nel coordinamento di tale attività.
Sarebbe importante se potesse avere lei dei rapporti, dal momento che ritengo del tutto inutile una triangolazione, essendo voi presenti sul territorio.
Ciò sarebbe importante per verificare, laddove l’ufficio operativo, in qualche modo, orienta le attività di questo comitato di coordinamento regionale e prevede anche particolare attenzione per ambiti territoriali e anche per ambiti provinciali, se non si possa realizzare un progetto operativo integrato per poter fare in modo di dare le doverose risposte.
L’impennata di infortuni sicuramente non è legata all’aumento di ore lavorate perché, anche se sappiamo che vi sono realtà che hanno retto meglio alla crisi, è difficile immaginare che vi sia una esponenzialità di ore lavorate così come vi è stata una esponenzialità di infortuni. Sarebbe perciò interessante, se lei lo ritiene opportuno, farsi carico di questo collegamento, perché il coordinamento regionale, che è spalmato sul territorio, ha tra l’altro questa specificità, così come il legislatore ha voluto dargli.
In effetti, per coniugare la dualità in questa materia tra Stato e Regioni, in qualche modo le Regioni sono state chiamate a questo compito di coordinamento sul territorio. E non è un coordinamento statico, ma dinamico, perché le Regioni debbono analizzare, con piani generali ma anche con piani specifici integrati per le singole realtà territoriali, quelle iniziative e quelle azioni in modo che le circostanze, come in questo caso lei in modo molto corretto ha esposto e denunciato, si possano in qualche modo capire e, quindi, contenere gli effetti che le stesse determinano.
Se poi è un problema di lingua, della necessità di tenere dei corsi di formazione o di fare dei volantini nella lingua madre di questi lavoratori, potremmo rientrare in un dato normale, nel senso che l’esponenzialità da lei riportata non è fisiologica.
La invito a farlo, se lo ritiene opportuno, anche perché io ho avuto il piacere di conoscere (dal momento che non lo conoscevo ancora) l’assessore regionale, che mi è sembrata una persona di grande disponibilità. Soprattutto, la Regione Lombardia ha colto in pieno lo spirito del legislatore del 2007 e del 2008. E poi ci farà sapere, se lo ritiene opportuno, come stanno andando le cose, perché anche noi siamo interessati a comprendere questo fenomeno, anche laddove si impenna l’infortunio, che è anche un infortunio grave. In genere, infatti, questi luoghi di lavoro producono infortuni anche gravi. Ribadendo che siamo quindi molto interessati a conoscere gli sviluppi di questa vicenda, ringraziamo ancora gli auditi per la loro partecipazione.
Dichiaro così conclusa l’audizione.

Audizione del direttore regionale dei Vigili del fuoco, del direttore regionale dell’INAIL, del direttore regionale del lavoro, del comandante del gruppo dei Carabinieri per la tutela del lavoro della Regione Lombardia

Intervengono il direttore regionale dei Vigili del fuoco della Lombardia, ingegner Antonio Monaco, il direttore regionale dell’INAIL, dottor Aniello Spina, accompagnato dal direttore dell’ufficio attività istituzionali, dottor Gianmarco Mancini, il direttore regionale del lavoro, dottor Antonio Marcianò, e il comandante del gruppo dei Carabinieri per la tutela del lavoro della Regione Lombardia, tenente colonnello Filippo Scibelli, accompagnato dal comandante del nucleo per la tutela del lavoro di Milano, luogotenente Paolo Silvestri.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca ora l’audizione del direttore regionale dei Vigili del fuoco della Lombardia, ingegner Antonio Monaco, del direttore regionale dell’INAIL, dottor Aniello Spina, accompagnato dal direttore dell’ufficio attività istituzionali, dottor Gianmarco Mancini, del direttore regionale del lavoro, dottor Antonio Marcianò, e del comandante del gruppo dei Carabinieri per la tutela del lavoro della Regione Lombardia, tenente colonnello Filippo Scibelli, accompagnato dal comandante del nucleo per la tutela del lavoro di Milano, luogotenente Paolo Silvestri.
Brevemente, prima di lasciare la parola agli auditi, ci sembra opportuno dare questo elemento ufficiale. La Commissione sta svolgendo una indagine in tutte le Regioni italiane per avere, intanto, un confronto diretto con le istituzioni sul territorio, ma anche per capire lo stato di attuazione delle nuove normative in materia di salute e sicurezza sul lavoro (per intenderci, facciamo riferimento al cosiddetto Testo unico) e per vedere in che modo, in particolare le attività di coordinamento che fanno capo alla Regione, svolgano, insieme con tutti gli altri soggetti che fanno parte di questo coordinamento, una attività sinergica, onde evitare fenomeni, che spesso pure accadono, di sovrapposizione oppure di non comunicazione e di non comunicabilità tra soggetti istituzionali che, in qualche modo, si interessano sia pure con competenze e specificità diverse, di questo tema.
Per motivi di lavoro, che sono nobili, anche perché il Nord Italia è scosso dal terremoto, sappiamo che l’ingegner Monaco deve andare via. Pertanto, gli do subito la parola.

MONACO
Presidente, come certamente la Commissione già saprà (se ha già svolto audizioni di questo tipo in altre Regioni deve aver sentito altri colleghi), la vigilanza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco viene espletata in diversi modi: in via ordinaria, per la specifica attività dei singoli comandi provinciali dei Vigili del fuoco, per quanto riguarda le attività soggette ai controlli di prevenzione incendi, riportate fino all’anno scorso nell’allegato del decreto ministeriale del 16 febbraio 1982 e, successivamente, dal 7 ottobre 2011, nell’allegato I del DPR n. 151, che è il nuovo regolamento sulla prevenzione incendi.
Questo è il primo punto. Il secondo punto consiste nell’attività svolta in coordinamento con gli altri enti, i cui esponenti sono qui presenti a questo tavolo, con la partecipazione al comitato di coordinamento regionale ex articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che è presieduto dalla Regione Lombardia, che coordina l’attività attraverso una apposita cabina di regia, come la stessa Regione l’ha definita. In ambito provinciale, siamo presenti in tutti i comitati di coordinamento, sempre ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008.
Durante gli interventi di soccorso, quelli che normalmente facciamo sul territorio, svolgiamo controlli mirati in particolar modo alla verifica dei presidi antincendio e successivi controlli, rivolti soprattutto alle attività produttive, nel momento in cui la squadra che interviene o le squadre che intervengono dovessero riscontrare delle inadempienze dal punto di vista della sicurezza e della prevenzione incendi.
Inoltre interveniamo attraverso il comitato tecnico regionale che si occupa di tutte le attività a rischio di incidente rilevante, che in Regione Lombardia sono molto numerose in quanto è la Regione che ospita il maggior numero di attività di cui all’articolo 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999, e attraverso le ispezioni SGS che svolgiamo, comandate dal Ministero dell’ambiente, in via ordinaria attraverso gli input che ci dà il nostro dipartimento per quanto riguarda i controlli a campione e le singole attività produttive e, in via straordinaria, a seguito di esposti e/o di segnalazioni da parte delle procure dei tribunali competenti per territorio.
Proprio per questi esposti o per queste deleghe d’indagine da parte delle procure, noi svolgiamo dei controlli anche sulle attività che non sono soggette a prevenzione incendi. Per fare un esempio, in Provincia di Milano siamo andati anche nei bar sopra i Navigli, insieme agli altri organismi di controllo, per verificare se le condizioni di sicurezza antincendio fossero quelle che dovevano essere; abbiamo anche erogato sanzioni per la mancanza di presidi tipo estintori per lo spegnimento dei piccoli incendi. Su input del dipartimento, negli anni 2010-2011 abbiamo effettuato complessivamente circa 700 controlli (poi, se permette, le lascerò direttamente questa relazione), svolti principalmente negli ospedali, nelle attività turistiche e alberghiere, nelle fonderie, nelle attività commerciali con superficie superiore a 400 metri quadrati, negli stabilimenti di produzione di mobili e di tessuti, nelle attività metalmeccaniche e nei locali di pubblico spettacolo.
Come controlli su attività soggette a procedimenti di prevenzione incendi, ai sensi del decreto ministeriale 16 febbraio 1982 (ora sostituito dall’allegato I del decreto del Presidente della Repubblica n. 151 del 2011), nel 2010 abbiamo svolto 2.607 controlli (parliamo solo di attività produttive, lasciando perdere tutte le attività civili), mentre nel 2011 abbiamo svolto 2.637 controlli. Con le procure abbiamo effettuato complessivamente circa 75 interventi e, per quanto riguarda le attività a rischio di incidente rilevante, abbiamo svolto complessivamente 56 ispezioni sul sistema di gestione della sicurezza (il cosiddetto SGS) ed abbiamo trattato 36 istruttorie quinquennali. In seguito a questa attività abbiamo sanzionato, in totale, 184 attività nel 2010 e 169 nel 2011 attraverso gli strumenti del decreto legislativo n. 758 del 1994; mentre su deleghe delle varie procure o in seguito ad esposti abbiamo erogato 72 sanzioni.
Quali sono le principali violazioni che abbiamo riscontrato? In primo luogo, vi sono le mancanze relative agli adempimenti di prevenzione incendi (distanze di sicurezza e misure gestionali varie). Alcune volte, ai sensi dell’articolo 64 del decreto legislativo n. 81, abbiamo riscontrato mancanze relative all’allegato IV, in particolar modo per quanto riguarda i requisiti del luogo di lavoro. Alcune volte abbiamo sanzionato la mancata valutazione del rischio o la mancata designazione dell’RSPP (responsabile del servizio di prevenzione e protezione); infine, abbiamo sanzionato la mancata formazione del personale addetto alla lotta antincendio. Questi sono più o meno i numeri, abbastanza precisi, che riguardano la nostra attività in Lombardia negli ultimi due anni (2010 e 2011). Lei sa certamente che l’allegato I del DPR n. 151 del 2011, dal punto di vista dei controlli e della prevenzione incendi, suddivide le attività in tre grandi categorie, indicate come A, B e C. Con A si intendono le attività più semplici, con B quelle mediamente complesse e con C quelle più complesse. Ci sono dei procedimenti diversi, legati alla prevenzione incendi, per queste tre tipologie di attività. Per le A, ad esempio, si può avviare l’attività solo con la presentazione della segnalazione certificata di inizio attività, per le B con la presentazione del progetto al comando e con la segnalazione certificata di inizio attività, mentre per le C è obbligatoria non solo la presentazione del progetto al comando, ma anche il sopralluogo del comando; per le attività di tipo A e di tipo B il sopralluogo viene fatto invece a campione. Perché è stata fatta una scelta di questo genere? In primo luogo, per andare incontro alle esigenze della pubblica amministrazione, che chiedeva una semplificazione dei procedimenti amministrativi; in secondo luogo, per poter concentrare i funzionari del Corpo nazionale sulle attività che si ritengono più pericolose dal punto di vista degli incendi (tra queste ci sono certamente le attività produttive) e quindi per poter rivolgere la maggior parte dei controlli direttamente su queste attività. Abbiamo cominciato da gennaio del 2012; per le attività di tipo B effettueremo dei controlli a campione a sorteggio, mentre per le attività di tipo C effettueremo tutti i controlli richiesti dalla normativa.

PRESIDENTE
La ringrazio per la sua esposizione, ingegner Monaco, e per il quadro di interventi nell’ambito delle specificità che vi competono. Vorremmo sapere se vi state impegnando in modo particolare e se state rivolgendo particolare attenzione a settori produttivi o ad ambiti territoriali specifici, attraverso l’attività di coordinamento regionale e provinciale, oppure se vi è un’attività di coordinamento dinamica, che vi consente di assumere le iniziative più opportune in base alle diverse situazioni.

MONACO
Diciamo che c’è una attività dinamica che dipende molto dalle varie tipologie di controllo presenti sul territorio. Oltre alle indicazioni che ci vengono fornite dal comitato regionale di coordinamento, poi nell’ambito dei singoli...

PRESIDENTE
Ma voi fate parte del comitato.

MONACO
Certo, noi facciamo parte del comitato regionale di coordinamento, nell’ambito del quale assumiamo insieme delle decisioni. Anche sul territorio provinciale facciamo lo stesso discorso, per la verifica di quelle attività che si ritengono più pericolose e più numerose sul territorio. Lei sa meglio di me, infatti, che ogni territorio è caratterizzato da molteplici attività comuni, ma anche da molte attività che si differenziano. Ad esempio Como, con i suoi stabilimenti tessili, è certamente diversa dalla Provincia di Lecco, con i suoi stabilimenti metalmeccanici. Inoltre, anche su input del capo del Corpo, in base all’ultima circolare che è arrivata, nel momento in cui gli altri colleghi vanno dentro i cantieri partecipiamo anche noi alle ispezioni, proprio per verificare se sono osservate le condizioni di sicurezza antincendio, che poi sono quelle che alla fine vengono valutate di meno nel piano di sicurezza del cantiere.

SPINA
Signor Presidente, da quanto ho sentito avete già visitato altre Regioni, quindi penso che i miei colleghi avranno già rappresentato a tutti voi la specificità dell’INAIL. Io credo – è una mia particolarità – che ci sia una convinzione di fondo, cioè che l’INAIL abbia delle particolari specificità per quanto riguarda l’attività repressiva; ci confondono con coloro che veramente hanno delle competenze in merito, come la direzione regionale del lavoro o le ASL. Noi facciamo parte della cabina di regia della Regione Lombardia e quindi sicuramente diamo tutto il nostro apporto, sulla base delle forze che abbiamo. Noi abbiamo in totale 70 ispettori, i quali, divisi tra tutte le Province (perché non sono tutti allocati a Milano), in ragione del loro numero partecipano alle varie attività che vengono individuate sia sui territori, sia in base alle particolari attività che interessano, a seconda dei casi. Normalmente, dando il nostro contributo positivo alla cabina di regia, l’attività che più ci riguarda da vicino, oltre alla collaborazione, è quella di seguire l’andamento infortunistico, con le azioni che mettiamo in campo per quello che riguarda soprattutto la prevenzione, piuttosto che la repressione, perché noi – come ripeto – non abbiamo delle particolari capacità repressive, anche perché la norma non ce lo consente.
È quindi evidente che dobbiamo muoverci sempre in sintonia e in simbiosi con i colleghi che hanno questi poteri forti, cioè con i colleghi della DPL per quanto riguarda l’edilizia e con le ASL sia per la storia che per le capacità e le conoscenze che essi hanno e che noi non abbiamo. Se dovessimo arrivare ad avere queste specificità e queste competenze, anche con le poche forze che abbiamo a disposizione, sicuramente potremmo essere più efficaci.
La sensazione generale, al di là delle considerazioni che tutti possono fare sul numero degli occupati, sulla crisi e quant’altro, è che in Lombardia e a Milano in particolare vi sia una discesa dell’andamento infortunistico. Per cui io dico che, rapportando questo dato al numero degli occupati, può sorgere il legittimo sospetto che tutto dipenda dal fatto che non ci sono più tanti lavoratori impegnati e tante ore di straordinario e che c’è tanta cassa integrazione. Sicuramente questo incide; c’è però anche un altro discorso.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, signor direttore. Prima di avere l’opportunità di ascoltare i vostri commenti e le vostre indicazioni, abbiamo sentito il procuratore Minale della Corte d’appello di Milano e il procuratore Raimondi della Corte d’appello di Brescia, che ci hanno posto un problema molto interessante, che l’INAIL potrebbe già cominciare a raccogliere. Nel trend della diminuzione degli infortuni, anche di quelli gravi, i dati che l’INAIL ci ha fornito su Brescia indicano comunque un contenimento degli infortuni o per lo meno che il dato è stabile; il valore indicativo del 2011, non ancora confermato, indicherebbe 17.313 infortuni contro 18.590 (dunque anche in questo caso c’è un trend in diminuzione). Però su Brescia forse sarà il caso di svolgere un momento di riflessione, se ne avete la possibilità (noi la vedremmo con grande interesse); mi riferisco ovviamente anche agli altri presenti. Sarebbe forse il caso di verificare come mai c’è un aumento degli infortuni significativo per quanto riguarda le persone straniere. Abbiamo anche una documentazione su questo punto, che ci è stata consegnata dal procuratore Raimondi. Dai dati dell’INAIL non emerge questo fatto. Quindi è necessario forse un colloquio, un approfondimento o un incontro con il procuratore Raimondi; mi rivolgo anche a lei, signor colonnello. Mi sembra che il procuratore abbia parlato di oltre 2.000 casi di infortunio in più in riferimento all’anno scorso. Sembrerebbe, dalle notizie della procura, che tali infortuni siano essenzialmente legati al fatto che ci sono persone che non conoscono o non capiscono bene la nostra lingua. Secondo la procura, questa è un’ipotesi che ci farebbe capire il motivo di questa impennata di infortuni. Raccomando questo dato alla vostra attenzione. Mi è sembrato giusto dirlo, perché l’INAIL, anche in questo caso, è interessata in primo piano, anche perché l’INAIL ha i propri ispettori. Non avete la «pistola»...

SPINA
È in linea con quanto dicevo prima.

PRESIDENTE
Lo dico metaforicamente: non avete la pistola, ma neanche andate disarmati.

SPINA
Non ci sentiamo assolutamente così deboli. Sottolineavo solamente che forse, avendo qualche specificità in più, potremmo essere più efficaci. Ma non siamo disarmati e siamo tenuti nella dovuta considerazione.
Prendo sicuramente nota di ciò che ha dichiarato il procuratore e di quello che mi sta suggerendo lei, ma voglio sottolineare che noi lavoriamo molto di più sulla prevenzione che non sulla repressione. Se su quest’ultima ci sono gli aspetti che lamentavo, sulla prima siamo più forti, nel senso che siamo stati dotati degli strumenti per poter operare. Quando parlo di strumenti, mi riferisco anche agli uomini, perché abbiamo grandi esperti.
Approfitterò senz’altro della disponibilità del dottor Raimondi, visto che avevo intenzione di incontrarlo, perché non avevo questa notizia e la verificherò d’intesa con loro. D’altra parte, c’è un elemento che ci lascia molto perplessi e che abbiamo già sollevato anche a Milano; con il procuratore generale abbiamo organizzato anche convegni ed incontri a proposito dell’articolo 61 del decreto legislativo n. 81 del 2008, ossia l’obbligo da parte della procura di segnalare gli infortuni gravi o le azioni che mettono in campo per accertare le responsabilità dei datori di lavoro inadempienti. Questo dovere da parte dei procuratori non sempre viene adempiuto e le segnalazioni sono sempre pochissime. Quando facciamo le azioni di rivalsa e si chiedono migliaia e migliaia di euro, se venissimo aiutati in considerazione di questa nostra attività, porteremmo più di un soggetto a riflettere su questi temi. Invece noi, non dico che dobbiamo andare ad elemosinare perché non voglio fare la vittima, ma pur avendo fatto un accordo con la procura di Brescia, ancora non riusciamo ad avere le segnalazioni per tempo in modo da intraprendere le azioni che ho descritto.
In Lombardia per quanto riguarda i progetti ISI, i finanziamenti alle imprese, sono stati stanziati 35 milioni di euro. So che i datori di lavoro stanno aspettando che arrivi il tanto atteso click day, che per noi sarà il 28 giugno, e stanno sollecitando affinché si faccia presto perché le aziende hanno bisogno di sostegno. In particolare, nella parte bassa della Lombardia i finanziamenti sono molti attesi perché potrebbero aiutare le imprese a restare in piedi e l’economia a ripartire.
Sono queste le attività che vogliamo mettere in campo, proseguendo la collaborazione con gli altri istituti per tutto ciò che concerne la parte repressiva.

MARCIANÒ
Signor Presidente, in assenza di domande specifiche vorrei tracciare un quadro generale che potrebbe essere di vostro interesse, evidenziando qualche luce e qualche ombra. È sicuramente positiva la collaborazione e la cooperazione che esiste in Lombardia, rispetto alla panoramica nazionale, tra le istituzioni preposte alla vigilanza in materia di lavoro sui vari fronti. Da questo punto di vista vorrei citare anzitutto gli istituti previdenziali, l’INAIL, l’INPS (anche se non si occupa di materia prevenzionale), il sistema delle ASL che fa capo alla Regione Lombardia.
Il Ministero del lavoro ha una collaborazione pluriennale molto forte con la Regione Lombardia, che si articola a livello generale con il coordinamento e con l’emanazione di atti congiunti a firma del sottoscritto e del direttore generale della sanità della Regione Lombardia su varie tematiche di interesse degli operatori. Uno dei risultati più evidenti e concreti di tale collaborazione è il sistema delle comunicazioni dei cantieri: comunicazioni preventive obbligatorie per legge che in Lombardia vengono fatte per via telematica e giungono congiuntamente agli organi della Regione e a quelli del Ministero del lavoro consentendo interventi tempestivi per la vigilanza sui cantieri. Questo è un esempio del tipo di collaborazione che abbiamo con la Regione a livello di sistema.
C’è poi la collaborazione sul territorio con le ASL: i nostri ispettori del lavoro spesso svolgono accertamenti e sopralluoghi congiunti con i colleghi delle ASL. Ciò consente sia una maggiore incisività dell’intervento e una maggiore copertura territoriale, sia la possibilità di omogeneizzare prassi ispettive e modalità di applicazione della normativa, che non possono essere differenti a seconda dell’organo che svolge l’ispezione.
Qualche aspetto critico da citare riguarda il profilo del funzionamento istituzionale. Mi limiterò a parlare del Ministero del lavoro, che in Lombardia è storicamente e gravemente sottodotato a livello di risorse umane, finanziarie e strumentali. Si tratta di un Ministero povero nel suo complesso e tali carenze si rivelano particolarmente perniciose dove c’è maggiore bisogno e maggiore richiesta sociale di interventi e di presenza dello Stato.
Abbiamo calcolato in maniera molto approssimativa che il fabbisogno di forza ispettiva in Lombardia, per garantire almeno una visita ispettiva al 5 per cento delle unità produttive nell’arco di un anno, è di circa 600 ispettori, mentre ne abbiamo a disposizione meno della metà. Questo significa dilatare i tempi intercorrenti tra un’ispezione e l’altra e far sì che molti contesti non vengano mai visitati; significa anche consentire che si crei talvolta un senso di impunità da parte di quegli imprenditori che, pur rappresentando una minoranza dell’imprenditoria lombarda, ritengono di poter tranquillamente evadere la normativa sul lavoro in generale e quella sulla sicurezza in particolare. Come sapete, gli organi del Ministero del lavoro operano sul piano della prevenzione e della sicurezza del lavoro in alcuni specifici settori, e non a 360 gradi, quali la cantieristica, i contesti ferroviari e l’uso dell’energia nucleare (le radiazioni ionizzanti).

PRESIDENTE
Riprendo la sua considerazione sulla carenza delle vostre risorse umane. Negli anni ci si è impegnati a fornire nuovo personale, ma i 600 o più nuovi ispettori messi in campo in tutta Italia con vari step pare che non siano sufficienti a colmare le esigenze alle quali lei ha fatto riferimento. Intanto vorremmo sapere da lei quanti ispettori amministrativi avete rispetto al numero degli ispettori tecnici: è una situazione che andrebbe chiarita, perché spesso c’è un rapporto troppo sperequato. Il legislatore, nel definire il decreto legislativo n. 81 del 2008 e il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che ha affidato alla Regione il coordinamento, ha voluto mettere in sinergia tutti i soggetti che operano in tale ambito.

MARCIANÒ
Ci stavo arrivando.

PRESIDENTE
Noi abbiamo avuto modo di verificare la situazione esistente in Francia, Germania e Regno Unito, Nazioni a noi molto vicine e simili, ed abbiamo constatato che all’estero non è che vi sia un enorme numero di ispettori; piuttosto hanno delle strutture diverse dalle nostre, ma non mi dilungherò in proposito. Noi siamo ben messi. Ad esempio, calcoliamo nel numero degli infortuni sul lavoro anche quelli in itinere e in altre Paesi questo non sempre avviene. Si tenga conto che in Italia gli infortuni in itinere sono il 35-40 per cento del dato complessivo, e tendono in alcune Regioni (ad esempio, la Lombardia stando ai dati INAIL) ad aumentare o a restare stabili rispetto alla percentuale degli infortuni sul lavoro nell’attività vera e propria.
Credo che bisognerebbe mettere insieme le varie forze. Sono convinto che a livello centrale ci sia bisogno di aggiungere un tassello che adesso manca, ma è una mia opinione e quindi non la propongo in questa circostanza. Però, sul territorio, lo sforzo e la convergenza dei legislatori dell’epoca portò a dare importanza a questa necessità di coordinamento e, infatti, lei ha competenze duali con la ASL.
Il punto, quindi, è capire chi mettere insieme e come muoversi. Voi avete l’opportunità della presenza del nucleo dei Carabinieri, che per noi è importante, e non solo per i pochi militari che sono sul territorio. In genere sono tre o quattro per Provincia. Non so quanti siano qui ma, più o meno, il dato è quello. Quindi, in questo caso, si tratta di un certo numero di militari. Ma esiste una rete. Dietro quei tre o quattro militari, infatti, c’è l’Arma dei Carabinieri, che ha una capillarità straordinaria.
Quindi, se noi ci mettessimo meglio in moto in questo senso, verosimilmente copriremmo e capiremmo meglio come affrontare taluni problemi. Io vi prego sentitamente di valutare tale questione, anche perché è difficile mettere un vigile urbano a ogni semaforo.

MARCIANÒ
Ma io mi auguro che ciò non avvenga mai. Io stavo facendo, Presidente, un ragionamento analogo a quello che fa lei. Dato questo fabbisogno, che è numerico e teorico, noi sappiamo, e non da oggi, che non possiamo chiedere ulteriori sforzi alle finanze pubbliche e all’apparato politico. Quindi, dobbiamo agire sul piano della razionalizzazione dei coordinamenti.
I coordinamenti devono avvenire nell’ambito di competenze valide secondo gli obiettivi che abbiamo e non devono essere coordinamenti generici e indifferenziati. Anzitutto, io torno al punto di partenza, quello del tavolo regionale e preciso che noi abbiamo un tavolo regionale di coordinamento, quello derivante dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che è presieduto dalla Regione.
In parallelo, presso la direzione regionale del lavoro, vi è un altro tavolo (che, se vogliamo, è un po’ speculare), che riguarda la globalità della vigilanza in materia di lavoro, che vede seduti sia le istituzioni competenti, inclusa anche la Regione, sia le forze sociali e le parti sociali, e che riguarda tutto il resto del mondo del lavoro (cioè l’aspetto dei rapporti di lavoro, del lavoro nero, del sommerso, delle evasioni contributive). Questi due mondo lavorano, o dovrebbero lavorare, insieme.
Come ho sottolineato più volte negli incontri, sempre utili, con la Regione, noi dobbiamo insistere su un maggiore coordinamento, non solo a livello politico, di individuazione di obiettivi generali, ma poi di programmazione e organizzazione della vigilanza sul territorio.
L’unico modo che abbiamo per migliorare, infatti, è quello di ottimizzare le scarsissime risorse di cui disponiamo singolarmente, per farle lavorare in sinergia. Questo avviene localmente e va fatto in maniera più sistematica e senza perdere pressione, nel percorso delle tubature, su attività che, magari, non sono fondamentali e strategiche. Meno burocrazia, meno carta, più attività e più operatività sul territorio.
A questo proposito, devo anche dire che noi abbiamo delle unità ispettive che operano, nella quotidianità, in condizioni piuttosto difficili. In sostanza, per spostarsi sul territorio per fare le ispezioni, ci si avvale della disponibilità volontaria degli ispettori, che mettono a disposizione il loro personale mezzo di trasporto, oltretutto con rimborsi che sono inferiori ai costi del mezzo stesso.
Ora, questo non è un modo serio per fare vigilanza. C’è una frattura fra quello che è l’obiettivo e quelli che sono i mezzi messi a disposizione. Riferisco anche questo dato con la massima serenità, perché ovviamente un aspetto del genere non viene vissuto in maniera irresponsabile. La vigilanza va comunque avanti, ma teniamo conto anche di questo.
Presidente, lei citava gli ispettori e i sistemi di vigilanza di altri Paesi europei. Ebbene, per quanto ne so io, questi sono efficaci, mediamente abbastanza più efficaci anche dei nostri, ma sono all’insegna dell’estrema semplicità, anche per quanto riguarda le modalità ispettive e l’emanazione dei provvedimenti conseguenti all’ispezione. Sono strumenti molto agili, molto pratici, meno imbrigliati da aspetti giuridici che, talvolta, sono ridondanti, più sul tecnico che giuridico. E questo è detto da un giurisperito, da chi ha sempre chiesto di avere più laureati in giurisprudenza anche nell’ispezione del lavoro.
Da questo, però, non dobbiamo arrivare all’eccesso di avere dei fini ricamatori del diritto, anziché degli operatori che vanno sui luoghi di lavoro, individuano i fattori di criticità ed operano in termini molto pratici.
Lei mi chiedeva dei numeri. L’ultimo dato sulla forza ispettiva lombarda delle direzioni territoriali del lavoro riferisce che la forza ispettiva in concreto impiegabile (e qui farò un’altra piccola parentesi) ammonta a 208 ispettori in attività di vigilanza; 37 unità in vigilanza sono di tipo tecnico, destinate particolarmente alla vigilanza cosiddetta tecnica prevenzionale.
Sono numeri modesti, che sarebbero notevolmente più robusti se una parte cospicua degli ispettori del lavoro non dovessero necessariamente essere destinati a compiti non ispettivi, perché altrimenti gli uffici non vanno avanti. Abbiamo necessità di avere dei funzionari per l’ufficio legale che è consequenziale e necessario all’attività ispettiva.
Se non c’è la parte legale, infatti, l’accertamento ispettivo non trova poi il suo naturale sbocco nell’applicazione della sanzione e nell’eventuale contenzioso giudiziario, che è sempre cospicuo. Abbiamo bisogno di altri tipi di servizi, che svolgiamo attraverso gli ispettori del lavoro, perché non ci sono quasi più funzionari di altro profilo idoneo, legale o amministrativo. Sono forse problematiche banali, che però incidono sui risultati finali.

PRESIDENTE
Purtroppo non sono problematiche banali. Comunque, direttore, se ritiene di fare delle proposte, noi siamo molto attenti all’aspetto della deregulation, purché non crei danni all’aspetto che ci prefiggiamo, che è quello di prevenire ma anche quello di sanzionare.
Noi le saremmo grati se ci desse delle indicazioni, anche non adesso, perché poi, alla fine, la norma va sempre tarata sul fronte e le norme vanno verificate. Se ha delle indicazioni da darci, anche per poter modificare e migliorare la norma, rientra nel nostro ruolo valutarle. Adesso noi siamo attenti, perché magari, a gamba tesa, arriva una norma per creare problemi, senza che i colleghi che l’hanno scritta se ne rendano conto. Pertanto, cerchiamo di monitorare anche questo aspetto.

MARCIANÒ
Presidente, con il massimo rispetto, io potrei risponderle che sono stanco di avanzare proposte, perché è da 30 anni che le faccio. Io continuo a farle, perché è mio dovere e piacere continuare a fare proposte, se vi è questa disponibilità da parte vostra.

PRESIDENTE
Dottor Marcianò, naturalmente sta a lei valutare. Noi comunque la ringraziamo per il suo contributo ai nostri lavori.

SCIBELLI
Presidente, sono il tenente colonnello Filippo Scibelli, comandante del gruppo dei Carabinieri per la tutela del lavoro della Regione Lombardia, che ha competenza reale su tutto il Nord Italia, escluso il Trentino-Alto Adige e le Province autonome, che hanno norme particolari.
Per quanto riguarda l’attività operativa del personale dei nuclei ispettorati del lavoro che sono inquadrati nelle direzioni territoriali del lavoro, tranne qui a Milano, dove la composizione prevede 12 persone, sono tutti formati da tre uomini. Quindi, la nostra unica limitazione è l’organico esiguo.
Operando nelle direzioni territoriali del lavoro si opera fianco a fianco con gli altri ispettori delle direzioni provinciali. Anche noi abbiamo ispettori ordinari e tecnici e stiamo cercando di incrementare il numero degli ispettori tecnici con corsi nei centri CPT a livello provinciale, in forza di una convenzione che il nostro comando ha sottoscritto a livello nazionale. Questo sempre nell’intento di avere maggiori qualifiche e possibilità di intervento.
Per quanto riguarda la Lombardia, come diceva il direttore Spina, la situazione è pressoché costante. Se mi consente, Presidente, per quanto concerne Brescia, avendo prestato io servizio a Brescia per 10 anni, posso dire che il problema è nel particolare tipo d’industria lì esistente. Vi è infatti un settore siderurgico piuttosto pesante, dove vengono impiegati ultimamente soltanto lavoratori extracomunitari, perché non si trovano più italiani che vadano a lavorare lì. Il problema non riguarda tanto la lingua, che questi immigrati conoscono, quanto il dover imparare il tipo di manualità necessaria a quella produzione così pesante.

PRESIDENTE
Quindi è un discorso di formazione.

SCIBELLI
Esatto, Presidente, è assolutamente così. A mio avviso, è essenzialmente un problema di formazione, come si evince anche dalle statistiche. Noi otteniamo le notizie sugli incidenti sul lavoro dai comandi territoriali, che sono i primi ad intervenire e poi, successivamente, avvisano le aziende sanitarie locali. Da queste statistiche, si evince che Brescia presenta un elevato numero di incidenti proprio in quel particolare settore.

PRESIDENTE
Questo dovrebbe, in qualche modo, incoraggiarci ad operare in tal senso, perché così il coordinamento provinciale, al quale tutti abbiamo fatto riferimento, diventa un luogo dove si stabiliscono obiettivi prioritari, se è vero (così come io debbo ritenere che sia, vista la fonte da cui abbiamo appreso questo dato), che vi è un incremento proprio per queste specificità alle quali anche lei, colonnello, faceva riferimento.
Vi sono delle attività, in special modo nelle fonderie, dove non ci sono più (o ve ne sono pochi) lavoratori italiani, ma sono tutti stranieri. Ma se il discorso non riguarda la lingua, allora dobbiamo fare attività di formazione. E qui la Regione può esserci utile, così come anche l’INAIL, perché anche l’INAIL ha delle possibilità e delle disponibilità a sostegno della prevenzione. Come diceva prima giustamente il direttore regionale, noi apprezziamo in tutta Italia il lavoro che l’INAIL sta facendo.
Quindi, se alla prossima riunione del coordinamento regionale riterrete di porre questo tema, probabilmente lì troverete anche, dandole voi stesse a confronto con gli altri, delle risposte.
E allora la politica va chiamata, anche perché se su questo tema c’è concorrenza tra lo Stato e le Regioni, cioè sulla salute e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro, sulla formazione professionale non c’è concorrenza, perché è competenza esclusiva delle Regioni. Questi possono essere, magari, elementi che ci diamo in questo incontro.
Con l’assessore regionale alla sanità, che ha la delega di presiedere il coordinamento, noi abbiamo con piacere, non saputo (perché disponevamo già di dati di questo tipo), ma avuto la conferma del fatto che la Regione Lombardia ha superato il 5 per cento del budget per la prevenzione in generale, riguardante un assessorato come la sanità (che non sfugge a nessuno essere un assessorato enorme e, soprattutto, dotato di molte disponibilità e competenze). La Lombardia, cioè, ha superato ciò che non si è riuscito a fare con Governi diversi e con Ministri diversi.
Io ho vissuto personalmente questa vicenda, quando, nei piani triennali sanitari di finanziamento che lo Stato dà alle Regioni, noi non riuscimmo ad inserire l’obbligo del 5 per cento per la prevenzione (intesa come tutta la prevenzione). E noi ipotizzavamo che una parte di questo finanziamento (ad esempio, almeno un 2 per cento) potesse andare proprio per la prevenzione di infortuni e malattie professionali. Dato che la Lombardia ha raggiunto questo obiettivo (tanto che ci è stato detto che si è all’1,5 per cento) non dovrebbero esserci problemi. È nostro dovere fare in modo che si riducano gli infortuni e i fatti dolorosi sul lavoro. Se questi lavoratori non sono formati, è necessario che in qualche modo li formiamo. Anche questo dato può essere oggetto, da parte vostra, di riflessione.
Noi conosciamo il lavoro che voi svolgete. Quando io facevo riferimento all’Arma dei Carabinieri, a prescindere dalle 40 unità del nucleo specifico, per quello che ci interessa in questo incontro, voi avete una rete di conoscenza, di informazioni, di fatti che, in qualche modo, fanno anche da supporto a tutto il resto. Spesso, infatti il lavoro irregolare è anche foriero di altre problematiche e, quindi, vi è un quadro più generale intorno a tale questione.
Questa mattina, ad introduzione dei lavori, ci siamo soffermati con il signor prefetto sugli appalti, un problema serissimo nei prossimi anni in Lombardia (penso ad esempio ad Expo 2015). È necessario cercare di contenere il massimo ribasso e di puntare ad una stazione unica appaltante; spesso nei subappalti si annidano non solo problemi legati alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro, ma anche attività malavitose, che si inseriscono e penetrano. Si tratta del resto di fenomeni che purtroppo conosciamo e contrastiamo; voi, in modo particolare, siete in prima linea. Alla fine tutto si mette insieme; ecco il motivo per il quale è necessaria una maggiore collaborazione. La nostra venuta sul territorio serve anche a questo, a capire il polso della situazione. Noi abbiamo contatti continui con i vostri referenti nazionali; però avere anche dei contatti sul territorio a nostro avviso è importante, perché si va sul luogo dove si esplicitano l’iniziativa e l’azione e quindi vengono fuori anche le problematiche. Noi ci premureremo anche di inviare una lettera al Presidente della Regione su questo aspetto, perché si è trattato di una denuncia forte. Non possiamo avere 2.000 infortuni in più solo perché questi signori non parlano la lingua o non sono formati.

SCIBELLI
Tra l’altro, ci sono degli istituti tecnici i cui allievi vengono assunti dalle ditte ancor prima che finiscano il ciclo di studi, proprio per riuscire a portare in ditta personale specializzato. Ritengo pertanto che si tratti di un argomento che si possa tranquillamente affrontare e risolvere da questo punto di vista.

SPADONI URBANI
Questo vuol dire che in Lombardia c’è molta necessità di manodopera, se non si finisce neanche di farli alfabetizzare bene in italiano. Mi sembra che normalmente, quando uno straniero arriva in Italia, per ottenere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro debba fare anche un corso di italiano. La legge prevede che debba imparare l’italiano. Ora, che non sia formato può anche essere possibile, ma che non comprenda perché non capisce l’italiano in Lombardia ce lo aspettavamo di meno.

SCIBELLI
Io ho fatto un discorso tecnico, non mi riferivo alla lingua.

SPADONI URBANI
È il procuratore che ce l’ha detto poco fa.

SCIBELLI
Raramente abbiamo trovato lavoratori extracomunitari che non parlassero l’italiano. Nella maggior parte dei casi, lo imparano ancor prima di arrivare in Italia.

SPADONI URBANI
Guardando il dato degli infortuni nel suo complesso, vedo che a Brescia dal 2006 al 2010 sono diminuiti del 26 per cento. Quindi non pare che si possa parlare di un picco o almeno così mi è sembrato di capire.
Vorrei chiedere inoltre al direttore regionale del lavoro se il DURC, dalla sua entrata in vigore, ha dato un contributo in termini di prevenzione e di repressione. Secondo lei è uno strumento valido?

MARCIANÒ
Il DURC è un deterrente relativo, perché va a fotografare la situazione risultante nell’ufficialità dalle banche dati degli istituti previdenziali ed eventualmente anche delle casse edili degli enti bilaterali; ma ovviamente non ci rappresenta la realtà fattuale. Esso è senz’altro uno strumento importante nella fase preventiva. Quando si fa l’appalto, ad esempio, giustamente deve esserci il DURC. Anche noi, quando diamo l’appalto di 10.000 euro per fare le pulizie nel nostro ufficio, dobbiamo acquisire il DURC. Esso è quindi un requisito di serietà basilare. C’è poi una realtà fattuale, se ci spostiamo sui luoghi di lavoro, che può essere completamente diversa. È come dire che le comunicazioni obbligatorie al collocamento ci danno una garanzia; ci danno la garanzia di quello che c’è scritto, però poi non sappiamo se sul posto di lavoro ci sono, oltre ai dieci lavoratori comunicati regolarmente al collocamento, altri cinque che sono in nero. Questo possiamo verificarlo solo attraverso l’ispezione del lavoro, che deve essere naturalmente programmata su obiettivi adeguati per massimizzare il risultato. Non è che si fanno ispezioni a tappeto a casaccio; si va in base a certi criteri per scoprire certi elementi. Il DURC è uno di quegli elementi documentali che l’ispettore del lavoro acquisisce a priori prima di andare a fare l’ispezione, insieme ad altri elementi.

SPADONI URBANI
Quindi può essere utile per la prevenzione?

MARCIANÒ
Sì, è utile, però non è la chiave di soluzione, neanche delle evasioni contributive.

PRESIDENTE
Vorrei dire questo, per capirci, altrimenti qui siamo veramente in una specie di mondo incomprensibile. È chiaro che il DURC non può risolvere tutto; però è necessario. E diciamolo allora, perché con le mezze parole non risolviamo i problemi. Senza DURC è peggio o no? Il DURC fornisce talune garanzie di partenza.

MARCIANÒ
Le ho risposto esattamente in questi termini.

PRESIDENTE
No, ha detto che non risolve. Ma, scusi, è chiaro che non può risolvere; però è un elemento di correttezza e di partenza.

SPADONI URBANI
E di burocratizzazione di tutto.

PRESIDENTE
Ma non è burocratizzazione. È la messa in chiaro delle persone che lavorano, perché un’azienda deve essere a posto rispetto ai propri dipendenti. Se poi nel cantiere ne fa entrare altri dieci che sono in nero...
Vi ringrazio per la vostra collaborazione e per il contributo fornito ai lavori della Commissione. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali

Intervengono il segretario regionale della CGIL Lombardia, signor Ferdinando Di Lauro, il segretario regionale CISL Lombardia, signora Paola Gilardoni, e il segretario regionale della UIL Lombardia, signor Claudio Mor.

PRESIDENTE
L’obiettivo di questa nostra presenza è legato ad un’indagine che stiamo svolgendo come Commissione sull’attuazione del Testo unico e, in modo particolare, sulle attività di coordinamento in capo alla Regione. Noi vorremmo sapere da tutti i soggetti e da tutti gli attori istituzionali, in questo caso dalle forze sociali, che voi rappresentate, com’è la situazione e se vi sono delle riflessioni da fare o delle opportunità per migliorare la situazione stessa. È una forma di presenza sul territorio, la nostra, per non avere solamente rapporti con i vostri referenti a livello nazionale; in questo modo, forse riusciamo a capire meglio le situazioni locali. Questo è il motivo della nostra presenza oggi in Lombardia.

DI LAURO
Signor Presidente, sono Ferdinando Di Lauro e rappresento la CGIL Lombardia, dipartimento salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Ringraziamo anzitutto la Commissione e il presidente Tofani per questo invito ed apprezziamo il fatto che si voglia avere una testimonianza più vicina al territorio; questo è sempre molto apprezzabile. In attesa di questa audizione, abbiamo svolto una riflessione, che adesso esporrò e che parte dalla seguente considerazione. In Regione Lombardia abbiamo un piano triennale, così come credo avvenga in tutte le altre Regioni, che definisce alcuni orientamenti di carattere generale in materia di salute e sicurezza. Abbiamo poi i cosiddetti laboratori, che sono, all’interno del piano triennale, dei luoghi di confronto di natura non negoziale, ma di rapporto tra il mondo della ricerca, quello sanitario, quello delle parti sociali e quant’altro, e che hanno il compito di riprendere il filo delle cose che si fanno o che si dovrebbero fare e che producono spesso delle linee d’indirizzo o comunque dei suggerimenti rispetto alle buone pratiche o alle «pratiche attendibili» (così come stiamo cercando di ridefinirle, per evitare equivoci sulle buone pratiche), in modo tale che i datori di lavoro, le imprese e naturalmente i lavoratori riescano ad averne beneficio per quanto riguarda il rapporto con i rischi connessi con l’attività lavorativa. Ci muoviamo quindi all’interno di questo contesto. Noi facciamo parte di questi laboratori e mettiamo a disposizione le nostre competenze. C’è però da considerare il fatto che, nonostante vi sia questo buon impegno da parte della Regione Lombardia, con un atteggiamento e una conduzione che potremmo definire ordinari rispetto a quelle che sono le partite in gioco, in Lombardia dobbiamo registrare annualmente un andamento degli infortuni, soprattutto mortali, che non tende a diminuire. Abbiamo chiuso lo scorso anno con 62 morti sul lavoro, se non vado errato; questi almeno sono quelli dichiarati all’interno del registro regionale, perché la Regione Lombardia tiene questo macabro conto in un registro regionale e ce ne dà comunicazione ogni qual volta avviene un altro incidente mortale.

PRESIDENTE
Le chiedo scusa, signor Di Lauro, perché forse i dati non coincidono. Lei parla di casi mortali nel 2011?

DI LAURO
Sì.

PRESIDENTE
A noi risultano 120 casi mortali nel 2011, di cui 89 in occasione di lavoro; forse voi fate questo distinguo.

DI LAURO
Noi ci riferiamo al registro regionale infortuni; questo è il dato ufficiale di cui disponiamo.

PRESIDENTE
Il nostro è il dato dell’INAIL.

DI LAURO
Noi disponiamo unicamente di quel dato di cui le dicevo, anche perché le altre fonti, pur non essendoci precluse, sono comunque di difficile accesso.

PRESIDENTE
L’INAIL però dovrebbe fornirvi i suoi dati, non è così?

DI LAURO
Con l’INAIL abbiamo difficoltà ad avere dei dati di merito. L’INAIL comunque ci offre i suoi dati l’anno successivo. Credo che entro giugno di quest’anno l’INAIL ci offrirà il rapporto annuale sul 2011, quindi un dato che comunque arriva in ritardo. Il dato cui noi facciamo riferimento è invece quello fornito dalla Regione Lombardia sulla base delle segnalazioni che arrivano dalle ASL, laddove sono avvenuti degli incidenti. Per quanto riguarda gli incidenti mortali nel 2011, sul registro della Regione Lombardia ne sono registrati 62. Mi attesto a questo. Prendiamo atto del fatto che c’è un altro dato, sul quale rifletteremo, anche insieme alla Regione Lombardia.

PRESIDENTE
Il dato dell’INAIL è ufficioso. Lei ha giustamente ricordato che nel mese di luglio sarà comunicato il dato ufficiale. Però siamo comunque intorno a quella cifra.

DI LAURO
La registrazione che noi abbiamo è riferita alla metà di dicembre del 2011. Si tratta di dati diversi; comunque valuteremo questo aspetto e valuteremo anche lo strumento. Spesso e volentieri noi abbiamo segnalato alla Regione Lombardia alcuni aspetti di criticità rispetto a questo dato; nel corso del mio ragionamento e della mia riflessione ci sarei poi arrivato. Noi abbiamo segnalato alla Regione il fatto che da questo registro, con una probabilità altissima, mancano tutte le morti in itinere che non vengono di fatto registrate. Secondo noi, manca anche il dato delle morti a causa di infortuni non dichiarati. Per una serie di ragioni legate a timori o a condizioni particolari di lavoro, riteniamo che qualche volta i lavoratori possano essere indotti a non denunciare l’infortunio, e siccome la morte può verificarsi anche successivamente all’infortunio, questi dati non vengono registrati. Noi questo l’abbiamo fatto presente nel luogo istituzionale del confronto, nella cabina di regia che si convoca periodicamente, ma il dato ufficiale rimane legato al registro degli infortuni di cui la Regione ci dà nota ogni qualvolta avviene un incidente.
In data odierna siamo già arrivati a 25 morti sul lavoro nel 2012, secondo il dato fornitoci dalla Regione Lombardia. Calcolando una triste media, ciò vuol dire che si sono verificate cinque morti al mese. Se l’andamento fosse questo fino alla fine dell’anno, non avremmo una riduzione degli infortuni mortali nei luoghi di lavoro. Tutto ciò va sottolineato alla luce del fatto che, vista la crisi economica e la conseguente riduzione dell’attività produttiva, ci si sarebbe attesi, almeno in termini statistici, una riduzione degli infortuni. Il collegamento che abbiamo ipotizzato non c’è stato, visto che il numero di morti è, sempre sulla base del suddetto registro, più o meno invariato. Lo stillicidio delle morti continua ad esserci e non si riscontra nessuna riduzione nei fatti. Stiamo quindi sollecitando la Regione a mettere in atto tutti gli strumenti che possano determinare una riduzione degli incidenti mortali e degli infortuni suscettibili di provocare l’inabilità.
Ci preme anche sottolineare l’aspetto che riguarda le cosiddette malattie professionali, che sono sempre da includere nell’ampio «contenitore» degli infortuni. Se con gli incidenti e gli infortuni mortali il lavoratore è vittima immediata del lavoro, spesso la malattia professionale è più subdola ed interviene nel tempo.
Non so quanto tempo abbiamo ancora a disposizione per la nostra esposizione, signor Presidente.

PRESIDENTE
Valuti lei stesso. Se ritiene opportuno sottolineare qualche punto o proporci qualcosa, ci riferisca pure.

DI LAURO
Vorrei fare un’ulteriore riflessione sulla questione delle morti. Nei luoghi di lavoro registriamo ad esempio un numero di morti tendenzialmente crescente tra i lavoratori stranieri. Potremmo dilungarci sulle possibili cause di questo trend crescente, ma credo che non sia questa la sede per farlo.

PRESIDENTE
Un dato che desidero rappresentarvi a nome della Commissione ci è stato comunicato dal dottor Sandro Raimondi, procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Brescia: non vi sarebbero degli aumenti di infortuni in assoluto, ma aumenti significativi per quanto riguarda gli stranieri, soprattutto quelli che lavorano nelle fonderie o impiegati in lavori che gli italiani non svolgono più. Ne abbiamo parlato anche con altri auditi questa mattina, e penso che potrebbe essere un argomento da trattare in sede di coordinamento regionale, per impostare un’azione a tale proposito, considerato che il fenomeno sembrerebbe legato non tanto o non solo alla scarsa conoscenza della nostra lingua quanto a un’esigenza di formazione professionale. Questo degli incidenti che colpiscono maggiormente i lavoratori stranieri potrebbe essere un argomento sul quale intraprendere qualche iniziativa più mirata.

DI LAURO
Quello della formazione professionale è un dato rilevante, perché spesso si tratta di lavoratori reclutati in modo non consono alle molte attività di natura pesante, faticosa e pericolosa. Come ricordava anche lei, signor Presidente, troviamo tali lavoratori nelle fonderie, nelle costruzioni o in attività che comportano un livello di rischio molto alto, connaturato all’attività produttiva.
A questo dato va sommato il fatto che secondo noi esiste un serio problema di cultura generale in tema di prevenzione; parlare di superficialità o di disattenzione, come spesso accade, non ci sembra il modo più adatto per descrivere il fenomeno. Esiste un problema serio di cultura della prevenzione e di rapporto tra il datore di lavoro e i soggetti preposti alla sicurezza, a partire dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS). Noi abbiamo un rapporto diretto con gli RLS e registriamo spesso che a una nomina formale non consegue un’agibilità vera di tale figura all’interno dell’impresa, perché viene a mancare l’elemento di condivisione da parte dell’imprenditore; c’è una mancanza di visione culturale da parte dell’imprenditore che determina l’incapacità di investire in termini di prevenzione e sicurezza e fa venir meno la possibilità di parlarne. Questo è il dato scioccante a volte di fronte al quale ci troviamo.
I settori maggiormente colpiti sono quello delle costruzioni, dell’industria e dell’agricoltura nella nostra Regione. Si immagina erroneamente che in Lombardia non ci sia agricoltura, ma il dato dei morti per infortuni in tale settore è significativo. In tema di agricoltura abbiamo avanzato una proposta concreta alla Regione, perché riteniamo che, visto che gli incidenti avvengono sempre con le stesse dinamiche ossia per schiacciamento in seguito all’utilizzo maldestro del trattore, vi sia un problema di messa a norma dello strumento di lavoro. Basterebbero – e l’abbiamo suggerito alla Regione – pochi investimenti: in termini informativi e formativi per quanto riguarda gli agricoltori ed incentivi alla rottamazione o alla messa a norma degli strumenti di lavoro. Purtroppo, non abbiamo ricevuto nessun tipo di risposta concreta.
Vi sono inoltre due aspetti che spesso non vengono considerati rilevanti all’interno della valutazione del rischio, ma che secondo noi stanno diventando sempre più preoccupanti. Vi abbiamo già posto attenzione e lo faremo ancora nella cabina di regia che si riunirà il prossimo 20 giugno in Regione. Il primo aspetto riguarda lo stress lavoro correlato. Spesso questo fattore di rischio è molto subdolo perché non riguarda un pallet che cade addosso al lavoratore, tanto per fare un esempio, ma è dovuto ad un’attività lavorativa in cui viene richiesto un impegno orario molto prolungato o ad una cattiva organizzazione del lavoro. Si tratta di un aspetto preoccupante che credo debba interessare tutti i soggetti preposti, perché là dove c’è una cattiva organizzazione del lavoro c’è sicuramente molto stress lavoro correlato.
Occorre quindi che su questo tema ci sia un’attenzione di carattere informativo e formativo di natura capillare. Non basta l’adempimento burocratico; non basta aggiornare il documento di valutazione dei rischi alla nuova normativa che riguarda lo stress lavoro correlato, bisogna investire su una diversa sensibilità.
Tutto ciò è ancora più importante se pensiamo che in questa Regione il 92 per cento delle imprese ha dimensioni piccole. Siamo di fronte ad imprenditori che al massimo hanno uno, due o tre collaboratori, quindi l’attenzione non viene rivolta ad ottenere la migliore organizzazione e a prevenire i rischi, ma a come produrre per sopravvivere. Lo stress lavoro correlato è un fattore subdolo che va affrontato e preso di petto con una campagna di carattere informativo e formativo.
L’altro aspetto da sottolineare riguarda non solo i lavoratori, ma la salute generale di questa Regione (e non solo), ossia la presenza di amianto nei luoghi di lavoro. Su tale questione si tace del tutto, e quando se ne parla, si tende semplicemente a spostarlo in là nel tempo, perché probabilmente c’è la convinzione da parte delle amministrazioni che la problematica è molto complicata. Noi riteniamo, e l’abbiamo già fatto presente, che occorre muoversi per tempo. Sulla scia di ciò che ci ha insegnato il processo di Casale e per ciò che si sostiene nel dispositivo che ha condannato i proprietari dell’impresa coinvolta, riteniamo che nella nostra Regione, a partire dall’Oltrepò Pavese fino ad arrivare alle zone in cui sono presenti la Breda, la Marelli, la Pirelli, la Falck, occorra fare investimenti sulla sorveglianza sanitaria, perché ci sono state esposizioni a questo materiale e – lo dichiariamo con cognizione di causa – ce ne possono essere di nuove. Occorre informare e formare soprattutto i livelli territoriali, perché è lì che va posta l’attenzione su tali aspetti; vanno allarmate, così come stiamo facendo, anche le associazioni datoriali.
Noi troviamo ancora vaste categorie, a partire dai bonificatori, che in questo momento si stanno occupando della rimozione dell’amianto, fino ad arrivare ai conduttori di caldaie, agli antennisti. Semplicemente, le linee metropolitane non sono ancora del tutto bonificate dall’amianto.

PRESIDENTE
Questo è un argomento considerevole. L’amianto è ancora dappertutto. Questo è grave.

DI LAURO
Sì, Presidente, e questo è un altro aspetto sul quale volevamo porre l’attenzione.

GILARDONI
Presidente, a nome di CISL Lombardia, vi ringrazio per la convocazione a questa audizione. Sperando di non ripetere cose già dette, eviterò alcuni degli approfondimenti e farò invece delle precisazioni.
La prima questione è che noi ci troviamo, essendo ormai nel 2012, nello sviluppo del piano triennale per la sicurezza 2011-2013, sottoscritto proprio da tutte le parti, non solo da quelle istituzionali, ma anche da quelle sociali, a maggio dell’anno scorso.
Non è una novità che il piano triennale che si sta sviluppando sia un perfezionamento di un percorso già avviato. Dal piano nazionale per la prevenzione si passa al piano regionale per la prevenzione e, dentro il piano regionale per la prevenzione, ogni tre anni, a livello lombardo, definiamo obiettivi e modalità di sviluppo e raggiungimento.
Negli obiettivi che ci siamo prefissati nel piano dell’anno scorso, avevamo indicato il mantenimento del trend di riduzione degli infortuni, che era stato del 10 per cento, del 2009 sul 2008, e di circa il 14 per cento, del 2009 sul 2006. La parte più complessa era che ci eravamo prefissati di assicurare un sistema di controllo delle imprese e delle attività produttive sul territorio lombardo di almeno il 5 per cento sul territorio regionale, sapendo che abbiamo un tasso di parcellizzazione e frammentazione del sistema produttivo elevato: il 98 per cento delle aziende in Lombardia, infatti, è sotto i 10 dipendenti.
Ciò significa costruire un sistema che si prefigge anche l’obiettivo della prevenzione, oltre che del controllo, ma fortemente integrato e sostenuto da tutte le parti sociali che rappresentano il sistema produttivo (sia le imprese che le rappresentanze dei lavoratori). È solo in questo modo, infatti, che si riesce a fare effettivamente prevenzione in una realtà così complessa.
Il sistema di cui siamo parte integrante, rispetto allo sviluppo di questo piano, si compone di due modelli: sia il coordinamento a livello regionale, ex articolo 7 del decreto legislativo n. 81 del 2008 (che opera in stretta correlazione con i coordinamenti a livello provinciale) sia la cabina di regia.
C’è un altro gruppo di lavoro, che fa sintesi e, in alcuni casi, in realtà anticipa i lavori del comitato regionale ex articolo 7, del quale fanno parte le parti sociali, noi e la Regione. Questa cabina di regia, come il comitato regionale di cui all’articolo 7, si convoca ogni tre mesi. Questo dà modo di monitorare il tasso infortunistico, l’andamento degli infortuni, ma anche di validare quelle linee guida, buone prassi, schemi di valutazione che, nell’ambito dei laboratori, vengono organizzati in relazione ai rischi specifici e ai rischi emergenti di cui si parlava prima.
Sono sistemi di confronto sia su buone prassi sia alla ricerca di soluzioni e indicazioni opportune da applicare sul piano regionale al tessuto produttivo, onde ridurre l’esposizione a rischi, e al piano del processo organizzativo e produttivo.
Nonostante i sistemi messi in atto, noi vediamo sì una riduzione parziale del tasso di infortuni mortali, ma bisogna fare una precisazione quanto ai dati di cui si parlava. Noi siamo in possesso dei dati del registro regionale, perché sono quelli presenti sul sito della Regione Lombardia e che ci vengono forniti. Mensilmente, sul sito della Regione Lombardia, questi dati vengono aggiornati e forniti a tutto il sistema. I dati che mancano sono quelli degli infortuni in itinere, che vengono recuperati e inviati dalle ASL.
I dati dell’INAIL, invece, vengono forniti nel mese di luglio rispetto all’anno precedente. Questo differimento di informazioni dati è un elemento che complica e rende complessa l’analisi del monitoraggio, la comparazione e anche gli interventi di prevenzione. Questo è un elemento che abbiamo già sollevato e anche esposto all’INAIL, ma con questo dato di realtà noi dobbiamo fare i conti.
In ogni caso, i dati in nostro possesso, ad oggi, sono quelli degli infortuni mortali registrati in Regione Lombardia per il 2011 e per i primi cinque mesi del 2012. Si conferma un trend in riduzione complessiva, ma è un dato che va comparato con le unità di lavoro, e quindi non può darsi come valore assoluto.

PRESIDENTE
Se mi consente, il dato non va comparato solo con le unità di lavoro ma anche con le ore lavorate.

GILARDONI
È vero, Presidente, ed anche questo è un altro elemento che manca, anche se probabilmente è in possesso di qualcuno. Io ho provato a fare qualche elaborazione con le unità di lavoro, ed è comunque un dato interessante.
Sui numeri degli infortuni mortali in Lombardia, nel 2011, in base ai dati parziali, gli infortuni mortali si confermano a 58 rispetto ai 62 del 2010 e ai 64 del 2009. C’è quindi un leggerissimo trend di riduzione, che va però comparato con unità produttive e ore di lavoro.
Quello che abbiamo valutato con attenzione, anche nell’ambito della cabina di regia, è stato il dato rispetto ai settori, perché il settore agricoltura è incrementato del 25 per cento tra il 2010 e il 2011 e il settore delle costruzioni del 36 per cento tra il 2010 e il 2011, nonostante la specifica difficoltà di mantenere i livelli di attività e di produttività degli anni pregressi.
Altro dato interessante è che, mentre si riducono gli infortuni mortali per i lavoratori standard, aumentano invece, in incidenza, gli infortuni mortali per i lavoratori atipici, non standard, e, in modo particolare, per gli autonomi senza dipendenti (cioè i datori di lavoro senza alcun collaboratore), per i rapporti da lavoro atipici e anche per i soci di cooperative.
Anche questo, quindi, è un dato che ci fa dire che, forse, vi è la necessità di rafforzare un intervento di prevenzione anche in quei settori dove, anche come sindacato, facciamo fatica ad essere presenti. Nonostante il trend di riduzione degli infortuni nel suo complesso, rispetto al 2010 (ma, in questo caso, anche al 2011), confermo che invece l’incidenza dei lavoratori stranieri aumenta. In base al dato di cui disponiamo, in modo particolare alcuni territori, a Milano, Brescia, Bergamo e Pavia, c’è un aumento della loro incidenza.
Sul dato infortunistico nel suo complesso, tra il 2009 e il 2010, non possiamo parlare di riduzione in termini assoluti. Ho provato però a fare una comparazione con i dati occupazionali, Provincia per Provincia e nell’ambito complessivo regionale, e si conferma la stessa percentuale di frequenza.
Da questa lettura ricaviamo sicuramente che il tema della garanzia e della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro non può, in un momento di difficoltà economica, vedere ridotti i livelli di attenzione. Sicuramente in questo momento nell’agenda dei lavori di tutte le parti vi è la necessità di garantire i livelli occupazionali e il lavoro. La preoccupazione, però, è anche come si lavora e quali siano le condizioni di lavoro.
Torna, quindi, il tema dell’organizzazione del lavoro, e su questo fronte bisogna lavorare con prevenzione, attraverso un investimento sia in termini di educazione che in termini di formazione.
Prendendo a riferimento l’accordo tra Stato e Regioni del 21 dicembre dell’anno scorso in tema di formazione obbligatoria dei lavoratori, in Regione Lombardia abbiamo convenuto e condiviso, con le parti datoriali e le istituzioni, a partire dai contenuti di quel provvedimento, di provare a trovare le modalità per una migliore declinazione, nel nostro territorio lombardo, proprio a partire dal fatto che le realtà produttive sono significative e sono diffuse anche con numeri di limitata entità in termini di dati di presenza occupazionale nel settore e nelle aziende.
Su questo punto vi è quindi la necessità, a nostro avviso, di rafforzare le relazioni con le parti datoriali, perché una convergenza di interessi e una convergenza di modalità di intervento concorrono a realizzare interventi a garanzia della salute e della sicurezza che non siano solo osservanti delle norme di legge, ma si assumano l’obiettivo condiviso di promuovere il benessere dei lavoratori nelle aziende.
Sul tema delle malattie professionali, noi abbiamo il problema, prima di ridurle, di farle emergere. Il problema significativo, infatti, è l’emersione delle malattie professionali, un dato che ha ancora necessità d’investimento.
Da questo punto di vista, è necessario, a nostro avviso, un raccordo ancora più forte tra medici di base, medici competenti e unità di medicina del lavoro delle aziende ospedaliere tramite percorsi di interazione e anche di costruzione di progettualità su alcune malattie specifiche.

PRESIDENTE
Questo è davvero un tema di straordinaria delicatezza e importanza. Per il ruolo che avete nel coordinamento, e dato che le attività dei medici sono di completa competenza della Regione, sarebbe opportuno, come in alcune parti si sta facendo, fare della formazione (senza però offendere nessuno, perché tutti noi abbiamo bisogno di formazione), soprattutto per il medico di famiglia.
Io ve ne sarei grato, perché voi avete una sede importante dove poter porre questo tema e dove esigere anche la risposta, considerata la competenza esclusiva della Regione.

DI LAURO
Presidente, desidero si metta a verbale che ho omesso di sottolineare questo aspetto, che condivido.

GILARDONI
Tra l’altro, Presidente, su questo tema stiamo lavorando anche come patronato per intercettare tutte quelle patologie che magari in modo iniziale non si evidenziano come correlate al problema del lavoro ma che lo diventano nel tempo.
Pertanto, un sistema veramente integrato con tutti i soggetti può costituire un percorso.

PRESIDENTE
Il medico di famiglia diventa il punto centrale.

GILARDONI
Sempre sul tema delicato dell’amianto noi abbiamo, rispetto alla realizzazione completa di un piano di sorveglianza sanitaria, la difficoltà rappresentata dall’incrocio dei dati.
Noi sappiamo che il problema riguarda, in modo particolare, gli ex esposti; e i picchi, legati alle patologie che si evidenzieranno ed emergeranno, si mostreranno nei prossimi anni, cioè dal 2015 al 2020.
Vi è la necessità di sostenere il sistema del controllo sanitario attraverso un recupero e un invio di comunicazione a tutti coloro che sono stati esposti nell’ambito del processo produttivo e nell’ambito lavorativo per tentare di prevenire ulteriormente la malattia o l’aggravio di malattia.
Questi dati sono in possesso dell’INAIL e non delle ASL.

PRESIDENTE
Chiedo scusa, ma anche questo si può fare nel coordinamento, per un motivo semplice. Anzitutto al coordinamento partecipa anche l’INAIL, come soggetto attivo a tutti gli effetti. Non so se qui c’è un osservatorio su questi temi; credo però che si potrebbe proporre un osservatorio, perché alla fine bisogna pure che in qualche luogo si sintetizzino questi dati.

GILARDONI
Credo che non sia un problema di luogo, in questo caso.

PRESIDENTE
Glielo dico come esperienza non mia; mi sembra tuttavia un’ottima esperienza. Questo lavoro in Piemonte lo sta facendo una procura; questa procura tra l’altro fa anche ricerca scientifica per le strutture sanitarie. Le sto parlando del dottor Guariniello. Si tratta di un problema serissimo; come lei correttamente ha detto, i picchi forse li avremo nel 2020. Se non c’è già un osservatorio, come Regione e come attività sanitaria, questa potrebbe essere un’iniziativa del coordinamento. In questo modo avremmo degli elementi per poterlo seguire con attenzione.

GILARDONI
La difficoltà è la messa a disposizione dei dati per agevolare e sostenere il percorso di sorveglianza sanitaria tra le istituzioni.

PRESIDENTE
Stiamo dicendo la stessa cosa, signora Gilardoni; solo che stiamo cercando di concretizzare dove realizzare questo osservatorio, anche per evitare che lo faccia la procura, non perché siamo contrari, ma perché forse è meglio che lo faccia l’assessorato. Comunque, se ci sono ulteriori elementi da comunicare, potete inviarceli; questo non è un incontro esaustivo, ma è l’inizio di una collaborazione, laddove si ritenga opportuno avviarla. Noi vi invieremo delle risposte e quindi si instaurerà un rapporto.

GILARDONI
L’ultima questione riguarda il tema dell’Expo. Su questo tema abbiamo in campo un tavolo di confronto con INAIL, cui partecipano, oltre alla società Expo 2015 SpA, anche le associazioni di categoria. Abbiamo firmato un protocollo un anno fa, con l’obiettivo principale della riduzione del tasso infortunistico e dell’azzeramento degli infortuni mortali per tutto il percorso di realizzazione dell’evento, dalla fase di rimozione delle interferenze alla realizzazione della struttura, alla gestione dell’evento e, infine, alla sua rimozione complessiva. Tale obiettivo è collegato ad un sistema di premialità; l’intenzione era quella di trovare un meccanismo per innalzare i livelli di sicurezza. Dall’altra parte, le imprese che avessero accettato di adeguare il modello organizzativo e di assumere provvedimenti per innalzare i livelli di sicurezza (compresa la formazione) avrebbero potuto accedere ad un sistema premiale ulteriore rispetto a quello previsto. Siamo però nella condizione in cui, ad oggi, il provvedimento normativo che dovrebbe consentire questo ulteriore accesso e che dovrebbe consentire di valorizzare in modo premiale un’assunzione di responsabilità non è ancora stato assunto. Questo è un elemento che rischia di rendere deficitario un percorso in cui tutte le parti hanno lavorato per una piena condivisione.

MOR
Signor Presidente, ringrazio la Commissione per questa audizione e per questo primo confronto che ha luogo qui in Lombardia per verificare lo stato di salute della nostra Regione in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro. Proverò anch’io a non ripetere quanto già detto dai colleghi, anche perché siamo tutti impegnati sullo stesso fronte e dunque siamo all’interno di questa sorta di cabina di regia, che poi fa un po’ da collante per tutte le iniziative che si svolgono sul nostro territorio lombardo. Credo però che ci sia purtroppo ancora una forte carenza di informazione e di formazione. Direi anzi che probabilmente l’informazione e la formazione oggi sono appannaggio di pochi. Chi riceve questa informazione? Purtroppo nel nostro territorio abbiamo ancora importanti settori o comparti dove questa informazione fa fatica ad arrivare, per molteplici motivi. Ne individuo uno prima di tutto. In questo Paese è caduto un tabù rispetto alle banche e rispetto alla possibilità di rivedere i conti; vi sono invece ancora delle resistenze quando proviamo a costruire alcuni elementi insieme all’INAIL, con cui abbiamo un ottimo rapporto.
Il decreto legislativo n. 81 ha fortunatamente previsto che in ogni luogo di lavoro ci debba essere un rappresentante della sicurezza, che può essere aziendale, territoriale o di sito. A fronte di questo, ci scontriamo ancora oggi con la non possibilità di avere dei dati. Noi abbiamo interpellato anche l’INAIL, per capire quali dati hanno loro e quali sono le aziende che oggi hanno la rappresentanza aziendale, per provare a fare un’opera di sensibilizzazione e di informazione rispetto a tutte quelle imprese che oggi non hanno né un rappresentante aziendale, né un rappresentante territoriale. Se da una parte ci sono comparti, come l’artigianato, l’edilizia e il commercio, in cui, attraverso la pariteticità, ci si raggiunge, dall’altra ci sono dei comparti che – ahimè – rimangono esclusi. Questi, spesso e volentieri, sono i comparti e le imprese nei quali riscontriamo poi esserci una forte carenza di prevenzione e quindi di informazione e formazione. Visto che voi siete un’autorevole Commissione, credo che sarebbe opportuno verificare se è possibile avanzare un’istanza a livello governativo al fine di ottenere questa sorta di collaborazione tra gli organismi paritetici e l’INAIL, anche rispetto a questi dati che capisco bene che possano essere dei dati sensibili, ma che spesso e volentieri sono di grande utilità per riuscire in quell’opera di sensibilizzazione che tutti noi vorremmo realizzare. Mi riferisco ad un’opera di vera prevenzione, al fine di avere una vera cultura della sicurezza, che – ahimè – ancora oggi, nonostante i dati possano sembrare positivi ad una prima lettura, quando c’è comunque anche un solo infortunio mortale, indicano chiaramente che qualcosa è mancato. Quindi è evidente che c’è molto da fare.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, signor Mor. Questa è anche un’occasione per riferire quello che facciamo. Noi ci stiamo non solo interessando a questo tema, ma ce ne stiamo interessando anche con determinazione. Questi elenchi non si riescono a trovare e ad avere. Allora voi giustamente – e non solo voi qui in Lombardia, ma anche i vostri colleghi di altre parti d’Italia – ci dite che conoscete il rappresentante per la sicurezza nei luoghi dove c’è il sindacato, ma che non lo conoscete nei luoghi dove il sindacato non c’è; per non parlare poi del rappresentante territoriale, anche per dare delle tutele a questo rappresentante territoriale. Noi abbiamo aperto un confronto – chiamiamolo in questo modo, così c’è il bon ton – con lo stesso Ministro del lavoro e delle politiche sociali e con l’INAIL, che si sono impegnati a trovare delle soluzioni nei tempi più brevi possibili. Noi ce lo auguriamo, ma faremo comunque delle pressioni, perché sappiamo che è una cosa veramente incomprensibile.

MOR
Mi fa piacere sapere che questa Commissione si è mossa in tempo per cercare di risolvere un fatto che anch’io ritengo incomprensibile, cioè che non tutti riescono a ricevere la giusta informazione, anche attraverso un semplice comunicato, grazie alla quale l’impresa e i lavoratori sono messi a conoscenza delle norme in vigore e delle possibilità a loro disposizione. Questo è un territorio in cui è forte la microimpresa; ci sono aziende di dimensioni piccole, che spesso fanno anche fatica a ricevere le risorse per poter poi intervenire. Però spesso e volentieri non sanno neanche che c’è la possibilità, attraverso l’INAIL o altri enti, di accedere a dei bandi o a dei fondi per mettere in sicurezza la propria azienda. Quindi rischiano di restare al di fuori di un sistema che invece dovrebbe poter integrare tutti all’interno di questa società. Il mio intervento era principalmente volto a mettervi a conoscenza di questo fatto. Ovviamente prenderemo buona nota di quello che ci avete suggerito; mi riferisco al fatto che ancora oggi c’è una grossa difficoltà nel far emergere le malattie professionali. Probabilmente riuscire a fare una buona formazione ed informazione dei medici di base potrebbe essere di aiuto, affinché ci sia l’emersione di questa difficoltà.
Lei, signor Presidente, prima citava un territorio che – ahimè – io conosco benissimo, visto che provengo dal territorio di Brescia, il quale sconta una grossa presenza nel manifatturiero e ovviamente una grossa presenza delle aziende che lei citava prima (fonderie, piccole acciaierie, galvanica). Si tratta di settori in cui spesso e volentieri la manodopera è straniera, perché i nostri hanno abbandonato quelle tipologie di lavoro, e dove si riscontrano parecchie difficoltà a far sì che si porti al loro interno una cultura della prevenzione e della sicurezza. Questo è sicuramente un elemento che a noi è ben presente. Stiamo cercando di portare all’interno di queste aziende una visione diversa rispetto alla cultura della prevenzione. Le cito l’esempio, che probabilmente avrete visto anche voi sul tavolo, di un’azienda di trattamenti termici nella quale è stato raggiunto un importante accordo sindacale su una videosorveglianza, cioè sulla possibilità di effettuare un monitoraggio, attraverso un confronto e una ricerca scientifica condotta dall’Università di Brescia, coinvolgendo le ASL territoriali, le aziende e i lavoratori. Tale ricerca ha fatto emergere una modalità diversa per poter avere un approccio in termini formativi; una volta che sono state visionate le immagini, queste hanno creato un dibattito e una discussione all’interno dell’azienda su come si potevano utilizzare quelle immagini per far vedere quali sono i comportamenti corretti e quali sono quelli non corretti, per cercare di migliorare anche in termini formativi. La formazione infatti non sempre raggiunge l’obiettivo che ci siamo prefissati. Quando parliamo di formazione trasversale, si sa cosa si vuol dire; ma quando poi si va nello specifico, è evidente che anche poter utilizzare delle immagini di supporto aiuta a far comprendere che, anche se non c’è stato un incidente, c’era la possibilità che quello che è successo comportasse un rischio elevato.
Credo che questo sia un modus operandi, anche attraverso la contrattazione aziendale o territoriale, per cercare il giusto coinvolgimento tra le imprese e i lavoratori e per far sì di accrescere la cultura della prevenzione e della sicurezza. È evidente che questo deve essere il messaggio: la cultura della prevenzione e della sicurezza viene prima di tutto. Quell’accordo aveva secondo me un evidente aspetto positivo: non poteva essere utilizzato come strumento dell’azienda per irrogare sanzioni, ma poteva solamente essere utilizzato nei processi formativi, per riuscire a far comprendere quello che succede all’interno di un’azienda come quella, che si occupa di trattamenti termici. Possiamo dire che si tratta di una piccola ThyssenKrupp, all’interno della quale è stato condotto questo tipo di esperienza scientifica, per cercare di mettere in risalto quelle che potrebbero essere le eventuali preoccupazioni. Credo pertanto che l’innovazione debba essere un altro strumento che può essere utilizzato, senza dogmi e senza avere paura; deve essere uno strumento utile per riuscire a confrontarsi e per riuscire a risolvere quella che ancora oggi è una forte carenza di informazione e di formazione.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per il contributo fornito ai lavori della Commissione. Dichiaro conclusa l’audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali, agricole e artigiane

Intervengono il responsabile area salute e sicurezza sul lavoro dell’Associazione industriale lombarda (Assolombarda), dottoressa Maria Rosaria Spagnuolo, il coordinatore relazioni industriali di Confapindustria, dottor Aldo Messadaglia, il responsabile relazioni industriali, formazione e sicurezza dell’ANCE Lombardia, avvocato Daniela Privitera, accompagnato dal responsabile edilizia, territorio e lavori pubblici, dottor Andrea Pastori, il responsabile rapporti istituzionali della Confcommercio, dottor Corrado Mosele, accompagnato dal responsabile welfare, dottor Gianbattista Guzzetti, e dal funzionario per i rapporti istituzionali, dottor Federico Mestroni, il direttore operativo dell’Unione regionale camere di commercio, industria, artigianato, e agricoltura, dottor Enzo Rodeschini, il responsabile relazioni sindacali della Federazione regionale delle associazioni artigiane, dottor Pasquale Maiocco, il responsabile ambiente e sicurezza della CNA Lombardia, dottor Paolo Panciroli, il responsabile settore ambiente e sicurezza della Confartigianato-FRAL, avvocato Rosalba Lorenzon, il vice direttore della Federazione regionale coltivatori diretti, dottor Marco Castellani, il direttore regionale della Confagricoltura, dottor Umberto Bertolasi, il funzionario della Confederazione italiana agricoltori (CIA) Lombardia, dottoressa Loredana Oldani, il responsabile sviluppo sostenibile della Confindustria Lombardia, dottor Aldo Vignati, il responsabile legislazione della Lega regionale cooperative, dottor Dario Vedani, il vice presidente dell’Assimpredil Ance, dottor Luca Botta, accompagnato dal funzionario, architetto Alfonso Cioffi.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca altresì l’audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali. Ringrazio per la presenza il responsabile area salute e sicurezza sul lavoro dell’Associazione industriale lombarda (Assolombarda), dottoressa Maria Rosaria Spagnuolo, il coordinatore relazioni industriali di Confapindustria, dottor Aldo Messadaglia, il responsabile relazioni industriali, formazione e sicurezza dell’ANCE Lombardia, avvocato Daniela Privitera, accompagnata dal responsabile edilizia, territorio e lavori pubblici, dottor Andrea Pastori, il responsabile rapporti istituzionali della Confcommercio, dottor Corrado Mosele, accompagnato dal responsabile welfare, dottor Gianbattista Guzzetti, e dal funzionario per i rapporti istituzionali, dottor Federico Mestroni, il direttore operativo dell’Unione regionale camere di commercio, industria, artigianato, e agricoltura, dottor Enzo Rodeschini, il responsabile relazioni sindacali della Federazione regionale delle associazioni artigiane, dottor Pasquale Maiocco, il responsabile ambiente e sicurezza della CNA Lombardia, dottor Paolo Panciroli, il responsabile settore ambiente e sicurezza della Confartigianato-FRAL, avvocato Rosalba Lorenzon, il vice direttore della Federazione regionale coltivatori diretti, dottor Marco Castellani, il direttore regionale della Confagricoltura, dottor Umberto Bertolasi, il funzionario della Confederazione italiana agricoltori (CIA) Lombardia, dottoressa Loredana Oldani, il responsabile sviluppo sostenibile della Confindustria Lombardia, dottor Aldo Vignati, il responsabile legislazione della Lega regionale cooperative, dottor Dario Vedani, il vice presidente dell’Assimpredil ANCE, dottor Luca Botta, accompagnato dal funzionario, architetto Alfonso Cioffi.
La nostra presenza a Milano non è legata a fatti specifici verificatisi nella Regione Lombardia, ma ad un’indagine che stiamo portando a termine in tutte le Regioni italiane al fine di comprendere, a quattro anni di distanza dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008, come è stato attuato e quali dinamiche ha creato, visto che ogni normativa va sempre confrontata con gli effetti della sua applicazione.
Vorremmo anche capire se emerge la necessità di dedicare particolare attenzione ad alcuni passaggi e conoscere l’attività che la vostra Regione sta svolgendo – e debbo dire che ci sembra che la stia svolgendo con grande attenzione – in riferimento alla delega che il legislatore ha voluto riconoscere alle Regioni a proposito del coordinamento regionale, il riverbero organizzativo sui territori provinciali e le mission in relazione a specifiche problematiche.
Desideriamo altresì comprendere se ci sono elementi da migliorare, da aggiungere, da modificare o da comprimere. Per noi è particolarmente interessante confrontarci non solo con i dirigenti nazionali delle vostre associazioni, ma anche avere rapporti più diretti sul territorio con quelle istituzioni che possono offrirci elementi di maggiore conoscenza.

VIGNATI
Signor Presidente, sono Aldo Vignati di Confindustria Lombardia. Ringrazio lei e i senatori per l’invito, che ci dà modo di rappresentarvi la realtà lombarda. C’è una premessa doverosa da fare: qualsiasi infortunio costituisce sempre un dramma, pertanto gli indicatori statistici positivi della nostra Regione non ci soddisfano ancora, perché ogni caso è comunque una sconfitta per tutti.
Noi, come Confindustria Lombardia, abbiamo dedicato parecchie risorse al tema degli infortuni, soprattutto sul versante della formazione: con le nostre associazioni, anche in tempi di crisi, abbiamo formato più di 11.000 persone, fra dirigenti e lavoratori. Abbiamo avviato iniziative sinergiche con il sindacato e ci stiamo impegnando nell’ambito di Fondimpresa. Il nostro sforzo è esteso a tutto il territorio regionale, ma occorre anche considerare che ci sono specifiche realtà che hanno progettualità proprie, anche se coordinate con il sistema.

SPAGNUOLO
Signor Presidente, mi collego a ciò che ha dichiarato il collega Vignati. Noi abbiamo puntato molto sulle attività di formazione a tutti i livelli, coinvolgendo quindi i lavoratori, i rappresentanti dei lavoratori, i responsabili del servizio, gli imprenditori. Insieme abbiamo svolto e svolgiamo intense attività anche con il sindacato. Nell’area milanese ci sono stati diversi accordi, soprattutto con il sindacato, sulla materia della formazione e non solo, anche per dare attuazione ad alcuni passaggi e principi previsti nel decreto legislativo n. 81 del 2008.
Riprendo l’introduzione che lei, signor Presidente, ha svolto rispetto al contesto regionale. In tale contesto siamo presenti in tutti i gruppi di lavoro attivati dalla Regione Lombardia, che è molto attenta e dinamica da questo punto di vista, operando attraverso laboratori e gruppi di lavoro specifici e tematici. Di fatto li presidiamo tutti e condividiamo anche l’obiettivo di realizzare, dove è possibile, dei documenti operativi che possano aiutare meglio l’applicazione dei provvedimenti e delle disposizioni nazionali.
Abbiamo riscontrato, almeno in questi ultimi tempi, qualche problema anche a livello nazionale. L’elaborazione delle norme a livello nazionale e la loro traduzione attraverso la Conferenza Stato-Regioni in provvedimenti specifici che vengano declinati sul territorio risulta un po’ laboriosa, nel senso che i principi che partono con connotazioni di semplicità e di applicabilità poi li ritroviamo molto appesantiti: si tende a voler dimostrare a tutti i costi ciò che si è fatto, con un carico di burocrazia francamente elevato in alcuni passaggi.
Cito semplicemente gli ultimi provvedimenti sugli accordi della formazione, che di fatto hanno in sé dei principi assolutamente condivisibili, che noi sposiamo e cerchiamo di applicare, ma che sono molto onerosi nella loro impostazione burocratica. Credo che questo potrebbe essere un primo elemento sul quale cercare di introdurre delle semplificazioni. Ciò a cui pensiamo non è eliminare disposizioni e provvedimenti, ma fare in modo che le disposizioni previste nel decreto legislativo n. 81 del 2008 possano essere applicate in modo chiaro e concreto. Ripeto, alcuni provvedimenti recenti non sono così facili da applicare.
Un altro esempio è il recente accordo sulle verifiche riguardanti le attrezzature di lavoro. È stato emanato l’anno scorso con l’obiettivo di semplificare l’annoso problema delle verifiche periodiche, ma a distanza di un anno vi sono soltanto 37 soggetti identificati, in aggiunta a quelli istituzionali (INAIL e ASL), per operare tutte le verifiche periodiche. Al di là del principio, che deve essere assolutamente salvaguardato, c’è qualcosa nel meccanismo di predisposizione delle norme e nell’esigenza di porre dei vincoli a tutela degli adempimenti che in realtà non funziona. Oggi abbiamo dei provvedimenti che non agevolano l’applicazione della norma: sono previsti dei soggetti che dovrebbero fare delle verifiche in aggiunta alle ASL e all’INAIL, ma sul territorio nazionale se ne contano ancora soltanto 37.

PRESIDENTE
A cosa si riferisce? Può essere più chiara?

SPAGNUOLO
Mi riferisco al provvedimento sulle verifiche delle attrezzature di lavoro. Il provvedimento emanato lo scorso anno definisce delle competenze riguardanti la verifica sulla messa in funzione delle attrezzature di lavoro. Le verifiche di avvio dell’impianto e i controlli periodici vengono svolti dall’INAIL e dall’ASL, ma vengono anche affidati a soggetti da individuare a seconda di determinate caratteristiche e requisiti; una volta individuati, tali soggetti verranno indicati sulla Gazzetta Ufficiale.
Tuttavia, dall’anno scorso ci sono state diverse proroghe e oggi questi soggetti che, da un punto di vista delle funzioni, dovrebbero affiancare l’INAIL e le ASL nelle attività di verifica periodica delle attrezzature sono solo 37. Probabilmente i requisiti posti sono eccessivi o inapplicabili. Se così fosse, varrebbe la pena di riflettere sul fatto che forse diventa inutile fare aperture per semplificare e agevolare determinati passaggi quando poi nel concreto non si riescono...

PRESIDENTE
Questa è una sua presunzione.

SPAGNUOLO
No, è una realtà. Potrà constatare, verificando il decreto, che vi sono 37 soggetti.

PRESIDENTE
Quando dico che è un sua presunzione mi riferisco all’effetto che si produce.

SPAGNUOLO
L’effetto prodotto è che oggi ci sono imprese ancora dubbiose su chi devono chiamare per procedere alle verifiche periodiche. Quindi laddove c’è la buona volontà, la ASL che si è attrezzata sul territorio interviene con i suoi funzionari. Ma questo assetto legislativo non è completo e non rende operativo quello che dovrebbe essere l’obiettivo primario del decreto dello scorso anno. E questo è solo un esempio.

PRESIDENTE
E la struttura pubblica?

SPAGNUOLO
La struttura pubblica non è in grado di fare tutte le verifiche. Si è ricorsi al provvedimento che le ho descritto proprio per aprire ai privati, qualificati secondo determinati requisiti, e dare un aiuto alla struttura pubblica. Ma se l’apertura ai privati porta, a distanza di un anno, all’individuazione di soltanto 37 soggetti sul territorio nazionale, ciò significa che c’è qualcosa che non funziona. Quindi vi sono due possibilità, la prima delle quali è eliminare del tutto l’apertura ai privati. Così facendo si saprebbe con certezza che ci si dovrebbe rivolgere soltanto ai soggetti pubblici, che tra l’altro sono ridotti nel numero, solo due, perché l’ISPESL non c’è più ed è stata incorporata dall’INAIL.

PRESIDENTE
Ma perché lei mette tutte le cose insieme? L’ISPESL esiste ancora, anche se non è più autonoma perché è all’interno dell’INAIL. Se lei pone il problema in questa maniera, sembra che al buio tutti i gatti sono neri, per parafrasare una frase di un noto filosofo. L’ISPESL continua a fare il lavoro che stava svolgendo.

SPAGNUOLO
Certamente continua a farlo, ma il numero dei soggetti incaricati di fare le verifiche è minore di quello del passato. Allora il problema è questo e lo possiamo anche approfondire.

PRESIDENTE
Dobbiamo approfondirlo, perché stiamo parlando due lingue diverse.

SPAGNUOLO
Probabilmente sì.

PRESIDENTE
Se si tende a tagliare sempre l’erba al passaggio delle persone, non andiamo da nessuna parte. L’ISPESL lavora continuamente.

SPAGNUOLO
L’ISPESL lavora tanto e bene, e tutte le volte che organizziamo degli incontri nella nostra associazione i funzionari dell’ISPESL, oggi INAIL (quindi grazie anche alla collaborazione del dottor Spina), vengono coinvolti in tutti i nostri seminari. Questo non vuol dire che non ci sia un problema normativo: da tale punto di vista, il quadro delineato l’anno scorso non è ancora completo.

PRESIDENTE
Ci potrebbe mandare cortesemente una memoria scritta su questo punto?

SPAGNUOLO
Certamente, ma non ce n’è bisogno. Basta prendere e verificare il decreto.

PRESIDENTE
No, dottoressa Spagnuolo, la invito a inviarci una memoria sugli effetti, perché il decreto lo conosciamo. Lei deve inviarci gli effetti che il decreto ha creato secondo quanto da voi riscontrato in termini di esperienza quotidiana. Noi possiamo, infatti, rileggere il decreto, ma restare al punto di prima. Ecco a cosa servono questi incontri.
Sul piano pratico, il decreto sta sicuramente creando una serie di difficoltà o, comunque, non sta risolvendo quello che avrebbe dovuto risolvere.

SPAGNUOLO
Esatto, Presidente. Possiamo dire che il decreto non è risolutivo.

PRESIDENTE
Allora, dottoressa Spagnuolo, noi saremmo ben lieti di avere degli elementi di conoscenza, perché l’attività della Commissione serve anche a questo. Se ha ancora qualcosa da comunicarci, dottoressa Spagnuolo, potrà farlo attraverso una memoria scritta anche perché, altrimenti, non riusciremo ad ascoltare tutti gli auditi.
Inoltre, quando parliamo tutti insieme (lei, ma anche noi, ovviamente), cerchiamo di essere chiari, così da capirci anche meglio. Ad esempio, io avevo capito che lei considerava l’ISPESL come un istituto ormai non più esistente. Così, infatti, lo ha presentato, mentre invece l’ISPESL esiste.

SPAGNUOLO
Ma naturalmente l’ISPESL esiste, Presidente. Le sto appunto dicendo che, addirittura, esso è presente in tutti i nostri convegni.

PRESIDENTE
Sì, questo lo ha già detto, ma ha anche detto che l’ISPESL non esisteva più.

SPAGNUOLO
Presidente, le affermazioni fatte vanno però calate in quella che è la loro specificità; altrimenti, se vuole dare le sue interpretazioni, dia le sue interpretazioni.

PRESIDENTE
E nella sua specificità, l’ISPESL sta appunto continuando a lavorare.

SPAGNUOLO
Ma naturalmente l’ISPESL continua a lavorare: ci mancherebbe altro!

PRESIDENTE
Ed allora esiste!

SPAGNUOLO
Sono pochi, ma quei pochi che ci sono continuano a lavorare bene.

PRESIDENTE
Dottoressa Spagnuolo, come ho detto anche prima, il problema del poco c’è sempre. E non so se questo sia un nostro problema nazionale. Per esempio, relativamente agli ispettori, tutti dicono che ce ne sono pochi e, verosimilmente, saranno pochi. Noi abbiamo, però, una serie di soggetti che operano in questo settore che, se si lavorasse in sinergia, come mi sembra che avvenga in questa Regione (e di questo siamo tutti soddisfatti), non sarebbero più tanto pochi. Le altre nazioni europee, infatti, non hanno più ispettori di quanti ne abbiamo noi.
Bisogna entrare anche in questo meccanismo, e non dobbiamo posizionarci ogni volta sul polo negativo. E io dico ciò non per essere ottimisti, ma perché ci rendiamo conto di quanto sta accadendo. È un’eventualità che io non mi auguro, perché siamo tutte persone libere, ma, come dico sempre, se avessimo la necessità di avere un vigile urbano ad ogni semaforo, questo sarebbe molto complicato. Quindi, bisogna mettere insieme questi elementi.
Il legislatore ha voluto comporre, con la legge n. 123 del 2007 prima e con il decreto legislativo n. 81 del 2008 dopo, un quadro organico di norme che sicuramente saranno perfettibili (e si stanno predisponendo appunto altri provvedimenti per perfezionarle).
È comunque un quadro organico di norme, nel contesto del quale, in effetti, se le Regioni funzionano come funziona la Regione Lombardia (e, quindi, io convengo sulla positività di quanto abbiamo potuto vedere), noi potremo dare delle risposte, perché troveremo molte centinaia di persone.
E se queste si coordinano, eviteremo sovrapposizioni, magari anche accanimenti, e forse avremo anche un quadro più ampio e più sereno.
Il nostro obiettivo, che è quello di non avere neanche un infortunio, ci sta bene. Il caso vuole, però, che diventi difficile arrivare a non avere neanche un solo infortunio o una sola morte, anche se è un obiettivo al quale tutti tendiamo con interesse.

VEDANI
Presidente, intervengo solo per dire che abbiamo predisposto un documento congiunto, che consegniamo, insieme ai colleghi di ANCE.

BERTOLASI
Presidente, sono Umberto Bertolasi, direttore di Confagricoltura Lombardia, e intervengo in rappresentanza del presidente Bettoni.
Il settore agricolo, probabilmente insieme a quello dell’edilizia, era il settore nel quale la sicurezza sui luoghi di lavoro partiva da un livello di maggiore distanza rispetto all’obiettivo, che abbiamo sicuramente tutti, di tendere a una situazione dove questi eventi non accadano più.
In questi anni il lavoro svolto in Lombardia, nello specifico per il settore agricolo, è stato particolarmente consistente. Siamo partiti, nel 2001, da una situazione dove eravamo attestati all’incirca su 7.000 infortuni all’anno, per arrivare a una situazione, al 2009 e al 2010 (che è ulteriormente migliorata negli ultimi anni), dove gli infortuni sono scesi sotto il numero di 4.300.
Questo dato sicuramente attesta il percorso fatto a partire dal decreto legislativo n. 626 del 1994 in poi fino ad arrivare ad oggi, per dare, anche all’interno dell’agricoltura, una piena applicazione della normativa sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. A nostro modesto avviso, la normativa scontava, e sconta ancora oggi, un problema di inevitabile genericità di impostazione, nel senso che una norma di carattere nazionale, una norma quadro, ovviamente vale tanto per la grande industria quanto per la piccolissima attività.
Normalmente, il settore agricolo è caratterizzato da un numero molto elevato di attività, dove lavora direttamente anche il datore di lavoro, impiegando uno o due addetti (nel caso di attività zootecniche si tratta di persone stabilmente presenti in azienda) oppure un numero magari più consistente di lavoratori, presenti però in azienda a tempo determinato.
In questi anni l’agricoltura ha scontato la mancanza di uno strumento specifico che consentisse di meglio tarare alcune specificità e adempimenti per il settore agricolo. Il moltiplicarsi di figure (che possono andare dal responsabile del servizio di prevenzione e protezione al rappresentante dei lavoratori, all’addetto all’antincendio, al responsabile della medicina in azienda) in realtà particolarmente contenute quali quelle agricole rischia una rincorsa all’adempimento, più di carattere burocratico e formale, che non di natura sostanziale.
Sicuramente, nel contesto della sicurezza sul luogo di lavoro riveste un ruolo importantissimo la formazione. La nostra organizzazione, come anche le altre, da questo punto di vista ha svolto un grande lavoro d’investimento verso i datori di lavoro.
Oggi noi tendiamo ad avere un problema di stratificazione degli adempimenti riguardanti la formazione come, ad esempio, nel caso delle ultime norme, che prevedono una formazione specifica per tutti gli addetti all’utilizzo di macchine agricole. In tale contesto tendono addirittura a confondersi le figure che possono fare formazione con quelle che, invece, dovrebbero ricevere la somministrazione della formazione, perché l’operatore, dopo tre anni, potrebbe egli stesso svolgere verso altri suoi colleghi la formazione ma, allo stesso tempo, non è soggetto che ha ricevuto, inizialmente, questo tipo di attività.

PRESIDENTE
Signor Bertolasi, la interrompo per fare una comunicazione, perché mi sembra giusto che questa sia anche l’occasione per darci delle comunicazioni. Noi ci stiamo ponendo il problema, come è ovvio, dei formatori e della formazione dei formatori, perché questo è un problema complesso.
Del resto, come è a voi noto, esiste presso il Ministero del lavoro un tavolo di confronto e di partecipazione dei vari soggetti, che sono previsti e chiamati dallo stesso decreto legislativo n. 81 del 2008, per la redazione di queste norme secondarie. Voi sapete, infatti, che il decreto n. 81 del 2008 è ancora privo di una serie di norme secondarie (o di secondo livello, a seconda di come preferiate chiamarle) e che ancora non è attuato completamente.
Questo è un problema che lei, in qualche modo, richiamava e io l’ho interrotta appunto per dirle che ne siamo consapevoli e che stiamo cercando di fare pressione perché questi tavoli si snelliscano. Altrimenti, a quattro anni di distanza sono ancora pieni di documenti.

BERTOLASI
Presidente, riagganciandomi appunto a questo passaggio, riferisco che noi attendiamo le procedure semplificate, che appunto da questi tavoli stanno arrivando, come uno strumento che possa rendere più semplice l’applicazione della normativa e, soprattutto, focalizzare l’applicazione della norma sul risultato finale, che è appunto quello di preservare la salute e la sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro.
Noi incontriamo una certa difficoltà, anche perché in agricoltura, spesso e volentieri, vi è un enorme utilizzo di lavoratori avventizi non stabilmente presenti in azienda, che spesso provengono da Paesi extracomunitari e, quindi, con un approccio di natura culturale alla sicurezza molto lontano dal nostro sentire e dal nostro percepire.
Talvolta, quindi, si fa fatica ad avviare delle iniziative che possano rappresentare questi lavoratori, magari chi è presente in azienda per una campagna di raccolta che dura qualche giorno (e comunque non più di due o tre settimane), al fine di trovare un meccanismo che li integri, nel momento in cui fanno l’ingresso in azienda, in quelli che sono i meccanismi e gli adempimenti messi in essere dall’azienda stessa.

PRESIDENTE
Questo meccanismo è la formazione. Non ci sono altri meccanismi e, anche se il tempo è poco e ci sono i voucher, alla fine è la formazione quella che serve.

BERTOLASI
Presidente, desidero concludere con un passaggio, sottolineando l’importanza che, nell’applicazione della norma, non si tendano a compiere dei passi indietro rispetto a dei meccanismi, che sono stati già individuati, di attuazione semplificata della norma.
Faccio un esempio concreto. Uno dei primi problemi che l’agricoltura ha scontato, molto puntuale nell’applicazione del decreto legislativo n. 626 del 1994, è stato quello della presenza, all’interno dell’azienda, delle cisterne nelle quali era contenuto carburante (verosimilmente gasolio). Questi tipi di strutture, infatti, erano, in base a normative riguardanti la prevenzione degli incendi, soggette alla certificazione prevenzione incendi.
Sono state dunque individuate delle strutture con determinate caratteristiche, affinché per un piccolo serbatoio di gasolio (che normalmente non rappresenta un pericolo per la natura del carburante che viene in esso conservato) si potesse trovare una procedura semplificata se dotato di certe caratteristiche (quali il serbatoio di contenimento, la copertura e determinate capacità). Ci si ritrova oggi a dover riprendere alcune strutture comunque acquistate, perché necessarie di autorizzazione specifica.
Quindi, la mia è soprattutto una sottolineatura del merito, delle cause e delle motivazioni per cui, effettivamente, la gente subisce un infortunio in azienda. Lavorare su questi punti, come obiettivo prioritario, mi sembra l’aspetto più importante dell’attività.

PANCIROLI
Presidente, innanzitutto ringrazio la Commissione per l’invito. Sono Paolo Panciroli e oggi intervengo, oltre che in qualità di presidente di CNA Lombardia, anche a nome delle organizzazioni Confartigianato, CLAAI e Casartigiani. Abbiamo anche predisposto un documento, che lasciamo agli atti, e quindi cercherò di essere molto breve e sintetico rispetto ai punti che vado ad illustrare.
Da oltre 20 anni le nostre organizzazioni dedicano risorse umane ed economiche al miglioramento della prevenzione degli infortuni sul lavoro delle micro e piccole imprese. Questo avviene attraverso una serie di campagne mirate alla formazione, l’informazione e l’assistenza specializzata.
L’impegno prevenzionale posto in essere dalle nostre imprese è dimostrato dai dati, che indicano un bilancio in continua diminuzione, sia rispetto al numero degli infortuni in generale sia rispetto al numero degli infortuni mortali. I dati recentemente presentati dall’INAIL, riferiti al 2010, danno conto di questa indicazione e, all’interno di questo quadro, noi registriamo che nel 2010, in Lombardia, gli infortuni sul lavoro denunciati dalle imprese artigiane sono stati 15.500, in netto calo (di quasi un 10 per cento) rispetto all’anno precedente, con una costante diminuzione del fenomeno. E ciò rappresenta per le nostre imprese uno stimolo per proseguire nell’impegno intrapreso.
È un impegno che, come organizzazione di rappresentanza, noi garantiamo costantemente dentro quella rete degli attori della prevenzione che in Regione Lombardia, così com’è già stato citato, in virtù delle competenze e delle attribuzioni che sono assegnate dalla legislazione in termini di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività, da diversi anni ci vede protagonisti attivi. Il perimetro dentro il quale noi andiamo ad esercitare questa nostra collaborazione e condivisione è dato dal piano regionale 2011-2013 per la promozione della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, proposto dalla Regione Lombardia e condiviso e sottoscritto dalle istituzioni del partenariato sociale e datoriale. Lo abbiamo sottoscritto perché è un piano importante, che si propone di mantenere un trend di riduzione degli infortuni (anche a seguito delle esperienze positive condotte nel triennio 2008-2010), di contenere i tumori e le malattie professionali, di garantire il controllo in almeno il 5 per cento delle aziende lombarde, definendo e condividendo le strategie che sottendono il piano, dal punto di vista sia degli strumenti informativi (il sistema informativo regionale lombardo della prevenzione) che di quelli organizzativi (in questo caso il comitato regionale di coordinamento, le cabine di regia, i laboratori di approfondimento e i gruppi di studio). Questi sono ambiti importanti, all’interno dei quali i sistemi di rappresentanza esprimono considerazioni, consapevolezze e ricerca costante di determinare sinergia e collaborazione.
In questo contesto, alcuni temi ed ambiti, afferenti anche a diversi livelli istituzionali, meritano forse di essere più approfonditi. Per quanto ci riguarda, ciò che noi riteniamo non sia stato sufficientemente enfatizzato in Regione Lombardia (anche per causa nostra, evidentemente) è stato il ruolo potenzialmente grande assegnato agli organismi paritetici previsti dell’ex articolo 20 e oggi dall’articolo 51. Almeno per quanto riguarda il comparto dell’artigianato, il comitato paritetico regionale dell’artigianato e la sua rete di organismi paritetici territoriali avrebbero potuto interpretare di più e meglio una funzione importante. Quando ragioniamo dell’importanza dell’implementazione della rete dei soggetti a qualunque titolo impegnati nella prevenzione, noi immaginiamo – questa è una proposta che poi evidentemente avanzeremo alla Regione Lombardia – di arrivare ad una sorta di istituzionalizzazione del rapporto tra ente Governo e pariteticità, perché crediamo che dentro quell’ambito e dentro quel luogo si possano davvero realizzare politiche e misure di sostegno e di semplificazione importanti. In questo modo, pensiamo che la governance regionale rispetto al tema possa assumere un aspetto ancora più qualificante, in ragione di una necessità di definire sempre più delle relazioni ordinate con gli strumenti di cui le parti sociali (in questo caso la pariteticità) hanno inteso dotarsi. Da questo punto di vista, noi abbiamo un accordo interconfederale nazionale sulla sicurezza, siglato a settembre del 2011 da parti sociali ed organizzazioni artigiane, il quale, nel recepire le sfide poste dal decreto legislativo n. 81, ci consentirà comunque, anche a livello regionale, di tradurre in pratica e quindi di declinare a livello lombardo gli obiettivi previsti dall’accordo interconfederale.
L’altro aspetto significativo attiene al settore edile. Il comparto edilizio in Lombardia è uno dei settori più rischiosi. A noi risulta assolutamente importante che il tema venga governato e regolamentato a valle, attraverso la definizione di una legge organica di accesso alla professione nel settore edile. Sappiamo, perché l’abbiamo fortemente voluta e spinta, almeno come associazione dell’artigianato, che il suo iter parlamentare ha avuto un primo inizio al Senato; hanno cominciato a discuterla, dopodiché, ad oggi, non se ne sa più nulla, o comunque si è un po’ persa l’attenzione su di essa. Noi crediamo che questo oggi sia un elemento assolutamente importante da riprendere, perché è lì che si interviene. A partire da lì, poi, vengono da sole altre attenzioni, misure e iniziative.
Nel merito della formazione, non mi dilungo rispetto alle cose già dette. Pensiamo che sia fondamentale la definizione in tempi brevi, anche in via sperimentale, del libretto formativo nella versione per i lavoratori e le figure della prevenzione, che tenga conto di tutte le attività formative di addestramento effettuate nella vita lavorativa; ciò anche per evitare la duplicazione con il mai realizzato libretto informativo per i cittadini. Noi crediamo che in questa fase sia assolutamente necessario mettere in atto anche questo strumento, che consente al lavoratore di garantire in maniera certa ed univoca il suo processo e il suo percorso formativo realizzato all’interno delle aziende. Ciò consentirebbe, anche dal punto di vista personale e lavorativo del singolo soggetto, di avere uno strumento in più per valorizzare e qualificare la sua attività.

PRESIDENTE
Per quanto riguarda gli RLS c’è un problema, in coda a quello che diceva lei, perché noi stiamo cercando di premere sul Ministero del lavoro e sull’INAIL per avere i nominativi, perché purtroppo questo manca. Ciò crea dei problemi a chi vuole fare formazione seriamente e in modo corretto, come il dottor Panciroli ha appena detto. C’è un fronte comune su questo. Ultimamente abbiamo sentito il Ministro del lavoro su questo tema e c’è stato un incontro anche con l’INAIL. Noi ci auguriamo che tale nodo venga sciolto al più presto; esso è onestamente incomprensibile, con tutta la cautela e il rispetto delle nostre funzioni, però anche con la determinazione di capire le cose che non si capiscono (perché ci sono delle cose che non si capiscono). Noi stiamo cercando di fare del nostro meglio.

PRIVITERA
Signor Presidente, sono Daniela Privitera di ANCE Lombardia, l’associazione dei costruttori edili della Lombardia. Per entrare subito nel merito della giornata di oggi, accanto all’attività che è già stata descritta per quanto riguarda la partecipazione a tavoli regionali e quant’altro, il mio intervento vorrebbe essere più mirato a quello che è stato fatto come associazione e come mondo della bilateralità edile, proprio perché i nostri organismi paritetici ormai iniziano ad avere la loro storia, essendo stati costituiti da oltre mezzo secolo, i primi addirittura all’inizio del Novecento. Molto è stato fatto; per sintetizzare, possiamo suddividere l’attività in tre grandi macroaree. Per quanto riguarda l’area della consulenza on the job, direttamente in cantiere, possiamo vantare nel 2011 consulenza e monitoraggio, quindi visite in cantiere, per 8.000 cantieri visitati e oltre 17.000 sopralluoghi, effettuati da tecnici specializzati che vanno in cantiere ed aiutano le imprese a mettere in sicurezza il cantiere stesso. Ci sono poi dei poli di eccellenza in alcuni territori, come in quello milanese, in cui le imprese vengono supportate nella valutazione dei rischi e quindi vengono fatte delle rilevazioni strumentali per quanto riguarda il rumore, le vibrazioni, i calcoli di probabilità di fulminazione e quant’altro.
L’altra grande fetta di lavoro riguarda la formazione. Si tratta di una formazione che parte dalla pianificazione, quindi dal supporto alle imprese per pianificare la formazione che deve essere fatta in relazione alle mansioni svolte. Il contratto collettivo edile, già a partire dal 2008, ha voluto prevedere le cosiddette «16 ore prima»: tutti coloro che non sono mai entrati in cantiere, devono fare 16 ore di formazione per la sicurezza prima di entrare in cantiere. Parliamo poi di formazione di base, di formazione per le figure di sistema, di formazione per macchine ed attrezzature. Complessivamente, possiamo dire che nel 2011 sono stati formati dal nostro sistema paritetico 15.000 lavoratori; quindi l’impegno dell’associazione e della bilateralità edile in genere è molto forte sul versante della sicurezza.
Sempre nel mondo edile, in una logica di mutualità, vengono erogati ai lavoratori edili dei dispositivi di protezione individuale. Nel 2010, su una media di 95.000 lavoratori, sono stati distribuiti DPI per oltre 3 milioni di euro (stimati). C’è inoltre tutto il versante della progettualità: progetti di ricerca di buone pratiche o di formazione aggiuntiva per gestire il problema della lingua in cantiere (ormai il numero dei lavoratori stranieri in cantiere sta crescendo in modo molto significativo). E ancora, in una logica di premialità, si riconosce una sorta di marchio di eccellenza alle imprese che sono particolarmente virtuose. Vengono redatte e pubblicate collane editoriali, quindi materiale didattico, dispense multilingue e quant’altro. C’è una progettualità che guarda anche al futuro, con continui tavoli di confronto, anche con gli istituti secondari, proprio perché riteniamo che un diverso approccio in materia di salute e sicurezza, in grado di cambiare poi i comportamenti, debba partire dall’istruzione scolastica; quindi molta attività e molte risorse umane ed economiche vengono investite su questo versante. Questo per quanto riguarda quello che viene fatto, che è stato fatto e che è in cantiere.
Riteniamo opportuno parlare poi di un’esperienza tipicamente lombarda, che riguarda le notifiche preliminari. La Regione Lombardia, con l’aiuto delle parti sociali (quindi anche di ANCE Lombardia), è stata la prima ed unica Regione in Italia a prevedere un sistema di acquisizione informatizzato delle notifiche preliminari di avvio dei cantieri. Riteniamo che questo strumento, che ormai è stato implementato da circa un paio d’anni, ma che deve fare ancora molta strada, sia un primo passo in una logica di monitoraggio del territorio per coordinare gli enti preposti, anche e soprattutto attraverso un dialogo con le parti sociali. Quindi il sistema ANCE auspica che questo strumento possa essere esteso a tutto il resto del Paese, anche attraverso il sostegno e l’aiuto che le parti sociali possono dare. Cedo ora la parola al dottor Botta, che è il nostro rappresentante per quanto riguarda Assimpredil ANCE, la nostra struttura territoriale di Milano.

BOTTA
Signor Presidente, credo di essere forse l’unico imprenditore qui presente. Cercherò di raccontarvi brevemente cosa succede in questo periodo molto particolare sulla nostra pelle, attenendomi ovviamente all’oggetto di questa audizione. Viviamo un momento di mercato molto particolare; è inutile che lo dica, dal momento che la mattina sui giornali non facciamo altro che leggere cose di questo tipo. Nel nostro settore forse è ancora peggio, perché, riprendendo quanto già detto, abbiamo un sistema di qualificazione assolutamente insufficiente. Il nostro mercato è composto al 20 per cento da lavori pubblici e all’80 per cento da lavori privati. Il 20 per cento di lavori pubblici è retto dalle norme che sono partite dalla cosiddetta legge Merloni (legge n. 109 del 1994) e che poi si sono evolute (l’ultimo, se non ricordo male, è il decreto legislativo n. 163 del 2006). Nella qualificazione dei lavori pubblici purtroppo il sistema SOA, che è figlio del cosiddetto albo nazionale costruttori, non ha risolto molti problemi. Ma il peggio lo viviamo nei lavori privati. È una cosa che ho già detto quando ci siamo visti due anni e mezzo fa e mi scuso se mi ripeto. Quando io vado dal mio barbiere, quest’ultimo deve avere una qualifica professionale; se invece domattina io vado in via Meravigli alla Camera di commercio e dichiaro di essere un costruttore, nessuno mi chiede nulla. Prendono questa mia affermazione per vera e io da domani mattina, nel mercato privato, posso andare a fare quello che ritengo più opportuno.
È ovvio che il mio committente deve essere d’accordo, ma comunque questa è la verità. Questo ci pone dei problemi di concorrenza a volte anche sleale, perché ultimamente stiamo vivendo una serie di problemi, che vi enuncio con molta rapidità.
Apro una parentesi. Per quanto riguarda Expo 2015, abbiamo già firmato due protocolli di legalità, ma all’interno di un protocollo ci siamo occupati fortemente di sicurezza. Avrete sicuramente letto che il primo cantiere è stato subito oggetto di particolari problemi. Lo ricordo perché l’appalto è stato aggiudicato con il sistema del massimo ribasso, uno dei problemi del nostro settore. Nel momento in cui si concede a un nostro «collega» un ribasso di oltre il 40 per cento sui prezzi che l’ente appaltante ha messo in gara, due cose sono possibili: o l’ente appaltante era impazzito, oppure... Non vado oltre.
A questo punto ci si ritrova nel cantiere del personale assunto con contratti non edili. Si tratta di lavoratori regolarmente inquadrati, ma in vari settori: agricoltura, commercio, terziario. Di tutto. Questo perché il contratto dell’edilizia è il più oneroso in assoluto perché prevede, ad esempio, un trattamento della cassa integrazione guadagni del 5,2 per cento contro l’1,5-2 per cento negli altri settori. Come è stato opportunamente ricordato, abbiamo un sistema di bilateralità che funziona, ma è costoso.
Ci troviamo di fronte anche a un problema di distacco di lavoratori comunitari, nella fattispecie di lavoratori romeni. Non faccio nessun tipo di razzismo, ma riferisco solo ciò che troviamo nei cantieri, ossia 200 casi di questo genere. Si tratta di imprese con lavoratori romeni distaccati in Italia, ma in realtà residenti nelle vicinanze del cantiere, quindi a tutti gli effetti residenti in Italia con contratto romeno, con un non meglio identificato sistema infortunistico e di trattamento pensionistico, che non si riesce a controllare e a verificare. Ciò crea condizioni di concorrenza sleale nei confronti delle imprese che cercano di tutelare la manodopera locale, che è un altro problema non da poco.
Farò un’ultima considerazione. Nelle Province che rappresento (Milano, Monza-Brianza e Lodi) siamo tra i primissimi ad aver fatto un contratto integrativo provinciale. L’edilizia ha un contratto nazionale e prevede obbligatoriamente dei contratti territoriali. Credo di poter dire che, a parte gli aspetti economici, forse la parte preponderante del nostro contratto è quella relativa alla sicurezza. Cercheremo di premiare le imprese che dimostrano di avere una particolare attenzione alla sicurezza. Sarà introdotto il controllo degli accessi ai cantieri tramite i tornelli, come allo stadio. Verificheremo che ogni operaio che entra in cantiere abbia un regolare contratto, abbia fatto i corsi citati dalla dottoressa, i corsi sulla sicurezza e quant’altro. Credo che stiamo facendo tutto il possibile per prevenire il verificarsi di determinati fenomeni e non per subirli.

PRESIDENTE
A nome della Commissione vorrei fare alcune osservazioni sul tema del massimo ribasso, contenute tra l’altro nelle tre relazioni intermedie che abbiamo realizzato in questa legislatura. In esse c’è sempre un capitolo che riguarda il tema dei contratti di appalto. Purtroppo non riusciamo a sbloccare la situazione con l’Unione europea al fine di eliminare il massimo ribasso. Come sapete bene, ci viene contrapposta una libertà di fondo: la libera concorrenza.
Noi siamo orientati fortemente verso l’offerta economicamente più vantaggiosa, perché ci sembra la modalità più corretta. Questa mattina, il signor prefetto, che ha aperto questa serie di audizioni, ha fatto riferimento a un’iniziativa che a me sembra molto importante e che potrebbe essere incoraggiata. Io ho parlato della possibilità di creare un’unica stazione appaltante e il signor prefetto ha spiegato che si stanno aggregando più stazioni appaltanti per garantire intanto che non si ricorra al criterio del massimo ribasso. Come sapete, è molto più semplice e comodo adoperare il criterio del massimo ribasso, per numerosi motivi su cui non mi dilungo. Altre metodologie necessitano di una professionalità più complessa da parte della stazione appaltante.
Concludo dicendovi che in ogni parte d’Italia che abbiamo visitato abbiamo parlato di questo argomento rivolgendoci in primo luogo ai signori prefetti, perché potrebbero essere le autorità più vicine e adatte ad affrontare simili problematicità. Non esiste solo il problema del costo del lavoro, della concorrenza sleale e delle problematiche di contrasto agli infortuni; c’è anche la questione dei subappalti e dei sub-subappalti in verticale e in orizzontale, in cui si inserisce la malavita organizzata. Si tratta di problemi serissimi, ed è questo il motivo per cui pensiamo di affrontarli in primo luogo con i prefetti.
Credo che anche voi, come associazioni autorevoli, possiate dare il vostro contributo importante. Seguo l’ANCE da sempre per le sue iniziative, senza togliere nulla alle altre associazioni. Forse la seguo in modo particolare perché l’ANCE svolge un’attività molto effervescente di approfondimento. Credo che dovremmo batterci un po’ tutti su questo tema, e potremmo anche proporlo alla stessa Regione Lombardia, anche in riferimento all’Expo 2015. Questo ci aiuterebbe, altrimenti non riusciremo a superare l’ostacolo posto dall’Unione europea.
Lei parla di massimo ribasso al 40 per cento, ma il problema è anche l’appalto delle progettazioni, che arriva a punte di ribasso anche del 60-70 per cento. Mi chiedo come possa fare un professionista ad occuparsi di quei dettagli che sono propri della sua professione se si propone un ribasso del 60 per cento. C’è qualcosa che non va e che dobbiamo correggere, perché abbiamo l’Europa, amiamo l’Europa... e anche questa volta mi fermo qui.

GUZZETTI
Signor Presidente, sono Gianbattista Guzzetti in rappresentanza di Confcommercio Lombardia. La realizzazione sul territorio della normativa in materia di sicurezza del lavoro ha impegnato la nostra Confederazione già sotto il vigore della precedente normativa. In particolare, già nel 1996, è stato sottoscritto l’accordo interconfederale relativo alla regolamentazione della composizione, dell’attività e dei compiti dell’organismo paritetico nazionale e degli organismi provinciali. L’accordo concerne anche l’individuazione, le competenze e le prerogative dei rappresentanti per la sicurezza aziendali e territoriali.
Si tratta di un accordo, rispetto al quale è in corso la trattativa di rinnovo al fine di allinearlo alle previsioni del Testo unico, che ha consentito la nascita di un sistema diffuso sul territorio. Lo dimostra il fatto che in ogni Provincia le relative funzioni sono presidiate tramite la costituzione dell’organismo paritetico provinciale o per mezzo degli enti bilaterali.
Si noti peraltro che le suddette considerazioni vanno riferite non soltanto al settore del terziario, ma anche a quello dei pubblici esercizi, degli alberghi e delle agenzie di viaggio, e va altresì ricordata la costituzione di un organismo paritetico presso l’ente bilaterale regionale per il settore della panificazione.
Nel sistema contrattuale dei settori da noi rappresentati è stato costituito un rapporto molto stretto tra rappresentanti territoriali, ente bilaterale e organismo paritetico, in modo da coordinare al meglio l’attività formativa specifica dell’organismo paritetico con quella più generale dell’ente bilaterale. Sulla questione della formazione si soffermerà più approfonditamente un altro collega.
Sulla base di queste brevi premesse, riteniamo di dover portare alla vostra attenzione due tematiche di rilievo. La prima, ormai annosa in quanto più volte sollevata ma ancora aperta, riguarda l’ingente contributo che annualmente il settore terziario a livello nazionale versa all’INAIL in termini di premi. Gli ultimi dati parlano di un avanzo annuo, tra il totale dei premi versati e le prestazioni erogate dall’INAIL, di 900 milioni di euro. Si tratta di un importo considerevole che ci ha indotti da tempo a chiedere una rivisitazione del sistema tariffario che consenta alle imprese adeguati risparmi da reinvestire anche nell’ambito della salute, sicurezza e prevenzione.
La seconda questione attiene invece alla realizzazione di Expo 2015. Il 18 aprile 2011 è stato sottoscritto un protocollo tra l’INAIL e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, e la sottoscrizione si è svolta a diversi livelli: tanto a livello nazionale quanto locale. Con il protocollo furono approvate le linee guida per il progetto sicurezza e prevenzione Expo 2015, nel quale si prevedevano ingenti riduzioni tariffarie per le imprese che, impegnate sia nella fase preparatoria, prevalentemente l’edilizia, che in quella di gestione, quindi i servizi dell’evento, avessero predisposto e attuato piani formativi ed elementi organizzativi e di protezione individuale ulteriori rispetto agli standard previsti dalla legge.
In sede di cabina di regia, tenutasi nella prima settimana dello scorso maggio, è stato rappresentato il rischio che i fondi messi a disposizione della stessa INAIL per il progetto siano ora nell’esclusiva disponibilità del Governo e non più dell’INAIL.
Per di più, qualora tali fondi tornassero alla loro destinazione originaria, ossia alla riduzione delle tariffe, le beneficiarie delle agevolazioni sarebbero esclusivamente le imprese impegnate nella costruzione delle strutture che ospiteranno l’evento. Ci sembra doveroso segnalare tale vicenda affinché la Commissione parlamentare possa individuare gli strumenti per sensibilizzare il Governo verso una politica di impiego di risorse per garantire un più elevato grado di sicurezza a vantaggio sia di chi opera nella prima fase di preparazione dell’evento Expo, sia di chi opererà nella gestione del medesimo.

PRESIDENTE
Volevo segnalarle che di questo argomento già si è parlato, perché le organizzazioni sindacali hanno posto il tema e vedremo di capire meglio la situazione.

MOSELE
Signor Presidente, sono Corrado Mosele di Confcommercio Lombardia. Ho un po’ stravolto l’intervento che avevo preparato a causa degli spunti emersi nel frattempo. Farò quindi dei brevi cenni e mi riprometto di trasmettervi un più articolato testo scritto.
Per quanto riguarda la formazione, Confcommercio Lombardia ha consolidato da tempo la convinzione, e i dati ne danno atto, che c’è una stretta correlazione tra la riduzione degli infortuni e la formazione fatta ai lavoratori. Da quando è entrata in vigore il decreto legislativo n. 626 del 1994, la prima fatica è stata quella di far capire che nei percorsi di formazione obbligatoria l’obiettivo non è quello di ricevere l’attestato di partecipazione, ma una trasmissione di concetti e contenuti che si traducano in comportamenti che portino all’abbassamento del rischio.
Tale attività di fatto è stata svolta attraverso due canali principali, il primo dei quali è costituito dagli enti bilaterali. I nostri enti bilaterali sono operativi sul territorio dai primi anni Novanta, e dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 626 del 1994 hanno iniziato un’attività molto forte soprattutto sulle figure normate: in particolare RLS, addetti al primo soccorso e addetti antincendio, con le figure che stanno all’interno del mondo del lavoro. Il secondo canale è quello dei nostri fondi interprofessionali (Forte e Fondir, in modo particolare). Il fondo Forte già prevede nei suoi avvisi una quota fino al 60 per cento delle ore previste dal piano che possono essere dedicate alle attività della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Anche per quanto riguarda Fondir si sta pensando ad attività dedicate, visto l’esito della Conferenza Stato-Regioni che imporrà comunque, entro il gennaio prossimo, la formazione di tutto il personale, dirigenti compresi, all’interno delle imprese.
Vorrei qui testimoniare una sperimentazione che abbiamo fatto con le istituzioni, con gli organi di vigilanza e gli organi di prevenzione, sul settore della sicurezza alimentare, sperimentazione che si è spostata anche nel settore della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Circa cinque anni fa abbiamo iniziato un percorso (che poi abbiamo esteso) sul territorio di Milano formando tre docenti tutor in lingua araba, cinese e spagnola, per andare a formare e a portare poi in aula le persone sotto due aspetti. Il primo è che i concetti vengono trasferiti senza il rischio connesso alle traduzioni. Molto spesso le traduzioni sono ineccepibili dal punto di vista tecnico, ma non sempre i contenuti sono tradotti correttamente nel momento in cui devono essere applicati.
Il rischio e il pericolo che delle parole nella lingua araba vengano tradotti con dei sinonimi, non deve esistere nel momento in cui si spiega la normativa sulla sicurezza.
Questo ci ha permesso di creare, insieme a tutte le istituzioni un percorso formativo, sempre nella logica dell’italiano. Il percorso è sempre bilingue e il materiale è sempre prodotto nelle due lingue, anche perché, operando sul territorio italiano, ciò è giusto e doveroso per gli imprenditori, soprattutto per quelli che erano già imprenditori nel Paese di origine e che spesso portano con sé abitudini e modalità esecutive che non sono corrette nel nostro Paese.
Questo percorso che stiamo portando avanti ha avuto un buon riscontro, anche con tutte le istituzioni: in questo caso i consolati, che ci hanno dato una mano. Noi lo stiamo portando avanti e l’obiettivo è proprio quello di formare ed informare. È un percorso per noi estremamente importante perché esso apporta un beneficio diretto a chi lavora (quindi ai lavoratori e alle imprese), mentre l’insieme dei due elementi porta un beneficio alla società nel suo insieme.

CASTELLANI
Presidente, sono Marco Castellani, presidente della Federazione regionale coltivatori diretti. Io ringrazio lei e la Commissione per questa occasione di audizione su un tema così importante che a noi, come mondo agricolo, sta particolarmente a cuore.
Noi siamo infatti convinti che, oltre ad essere questo un tema chiaramente collegato alla sicurezza degli operatori e dei datori di lavoro (che nel nostro settore, come diceva prima il collega Bertolasi, operano direttamente in azienda), esso abbia delle valenze più generali.
Nel nostro settore, infatti, lavorare a diretto contatto con le risorse naturali e produrre prodotti agroalimentari significa anche lavorare per la sicurezza alimentare ed ambientale, che sono elementi di base della sicurezza della nostra società e della collettività.
Per non ritornare su quanto già evidenziato, e che condivido, volevo limitarmi ad evidenziare un fattore, che so essere già stato sollevato a livello nazionale dalle nostre organizzazioni, e da Coldiretti in particolare. Il tema è quello della accessibilità alle risorse che potrebbero e dovrebbero essere utilizzate per favorire il processo legato al tema della sicurezza.
Dico ciò per due motivi. In primo luogo, purtroppo, tutti sappiamo benissimo di operare in un momento molto particolare per il Paese, di grandi difficoltà economiche, le quali non interessano solo molti comparti del nostro settore. Pertanto, questo non è certo un intervento finalizzato a sostenere la necessità di facile accesso a risorse che sappiamo essere difficili da reperire. Per questo aspetto, però, sappiamo che ci sono delle risorse già previste da provvedimenti precedenti che, purtroppo, non sono ancora utilizzabili.
In particolare, lo scopo del mio intervento era quello di evidenziare il tema legato alla questione degli aiuti di Stato. Come si sa, infatti, nel nostro settore investire in termini di sicurezza (e in particolare sulle macchine) vuol dire affrontare investimenti di entità notevole. Purtroppo, il regime degli aiuti di Stato e la necessaria notifica a livello comunitario per importi superiori al de minimis determinano grandissimi problemi per le nostre imprese.
Sappiamo che c’è già attenzione su questo punto, anche in rapporto con l’INAIL. Il grande tema è quello di riuscire a costruire un nuovo regime giuridico che consenta di considerare questi investimenti finalizzati alla sicurezza come non rientranti nell’ambito degli aiuti di Stato, così da potere avere, da un lato, maggiore celerità e, dall’altro, maggiore efficienza per raggiungere questi obiettivi di interesse comune.
In conclusione, Presidente, sono questi gli aspetti che mi sentivo rapidamente di evidenziare.

PRESIDENTE
La ringrazio, dottor Castellani, perché lei ha anticipato che questo tema è all’attenzione di questa Commissione. Noi abbiamo avuto una serie di incontri con i funzionari dei nostri Ministeri, e vi sono stati confronti con la Commissione europea.
Noi dobbiamo comunque vincere questa battaglia, perché non può essere considerato come un aiuto qualsiasi finanziamento che sia in modo chiaro orientato al miglioramento della sicurezza sulle macchine. Ormai siamo arrivati al punto che, a livello del Governo italiano, noi siamo d’accordo. E anche questo accordo non è stato facile. E non è stato facile, non tanto a causa del Governo italiano, ma perché l’Esecutivo deve confrontarsi con la Commissione europea.
Quindi, noi abbiamo dovuto superare una serie di esami su un disegno di legge che abbiamo scritto. La Commissione proporrà questo disegno di legge (mi auguro nelle prossime settimane, perché il disegno di legge è pronto). Poi vedremo chi lo voterà e chi non lo voterà, perché è una situazione in cui ci sono stati fondi dell’INAIL che non sono stati completamente assorbiti per questo problema del de minimis. L’agricoltore, infatti, non sa che fare: se prendere un finanziamento (e quello sì che serve) per l’attività propria o se prendere un finanziamento che serve per la sicurezza sul lavoro.
Su questo punto noi stiamo conducendo una battaglia campale, perché abbiamo ragione di diritto, e non vogliamo fare una forzatura. Sostegni e contributi pubblici per migliorare la sicurezza non alterano il mercato. Questo è il principio, e sembra che stiamo riuscendo ad affermarlo.

OLDANI
Presidente, sono la dottoressa Oldani, presidente della Confederazione italiana agricoltori. Anche noi, come organizzazione, siamo impegnati da tempo sul tema della sicurezza delle aziende, affinché le aziende agricole lombarde siano dotate di misure di sicurezza.
Questo impegno si realizza mediante l’organizzazione di corsi per i datori di lavoro agricoli, i titolari delle aziende agricole e mediante l’aiuto, il sostegno e l’assistenza che viene dato alle aziende agricole in fase di individuazione e redazione del documento di prevenzione dei rischi.
Quello della sicurezza è un ambito di interesse prioritario per la Confederazione italiana agricoltori, e lo sarà anche prossimamente. Anzi, sempre maggiore è l’interesse e l’impegno che viene dedicato a questo ambito di intervento, perché riteniamo che ancora molto sia da fare per migliorare la cultura della sicurezza nelle aziende agricole.
Tuttavia, riteniamo anche che alcuni aspetti siano affrontati dal legislatore in modo che il peso che poi dovrà essere sostenuto dalle aziende agricole (che sono normalmente aziende di piccole dimensioni rispetto ad altri settori economici) sia troppo elevato e che, quindi, vengano vissuti tutti questi adempimenti con insofferenza.
Noi vorremmo evitare questo e vorremmo fare in modo che sempre di più l’approccio ai problemi della sicurezza sia un approccio reale e concreto, che effettivamente vi siano disposizioni che vadano a migliorare la sicurezza, senza che ciò implichi delle procedure amministrative e burocratiche che sono vissute con insofferenza.
Per questo, anche recentemente, il nostro presidente nazionale, Giuseppe Politi, ha inviato una lettera, che posso lasciarvi in copia, ai ministri competenti, per chiedere alcune semplificazioni riguardo questo ambito. In particolare, mi sembra sia stato già citato prima da Bertolasi che la nostra preoccupazione attualmente è relativa all’applicazione del DPR n. 501 del 2011, che prevede un iter autorizzativo (che riteniamo abbastanza inutile) anche per i piccoli depositi di carburante agricoli, che non sono mai stati fonte di problemi di sicurezza né di incendi. Non ci spieghiamo, quindi, perché vengano chiesti questi adempimenti.
Lo stesso discorso vale anche per questo patentino per l’uso dei trattori, che si sovrappone alla patente che gli agricoltori già devono avere. Non si capisce perché, oltre ad avere la patente, questi debbano conseguire anche il patentino. È lo stesso discorso che faceva lei prima sulla eventualità di dover mettere un vigile a ogni semaforo rosso. Allo stesso modo, qui diciamo all’agricoltore che deve avere la patente e poi, oltre alla patente, deve ottenere anche un’altra patente per dimostrare che abbia capito bene. Anche questi aspetti, quindi, sono vissuti con un po’ di insofferenza.
Presidente, io le consegno comunque questa lettera, che è stata inviata ai Ministeri competenti, e che riassume queste nostre richieste di semplificazione.

PRESIDENTE
Dottoressa Oldani, per quanto riguarda la questione del patentino, noi ci stiamo attivando al riguardo, ma non per mettere un vigile urbano a ogni semaforo. Intanto, il problema va definito, perché il punto non è che il patentino si sovrappone alla patente. Lei sa benissimo che per guidare un trattore su un terreno privato non serve nessuna patente. Il nostro problema riguarda chi non ha alcuna patente e non conosce la macchina con cui opera. Per esempio, noi abbiamo il problema dell’età dei conducenti. Non parliamo di chi ha la patente, ma parliamo di chi può, comunque, operare su un terreno privato, a 12 o a 13 anni o, con tutto il rispetto, a 80 anni.
Pertanto, noi vorremmo, in qualche modo, porre delle regole laddove non ci sono e, ovviamente, la patente sarà un elemento dirimente. Non è che qualcuno ha una patente che vale più di un’altra patente, ma è pur vero che questo è un settore dove si verificano circa 150 morti all’anno, su un totale di 980 decessi all’anno. E la maggior parte di queste morti avvengono per ribaltamento da trattore, o per imperizia e per non conoscenza, spesso in soggetti di età avanzata, che magari neanche fanno questo lavoro come lavoro primario, ma che il fine settimana tornano in campagna per dedicarsi a questa attività e, quindi, non hanno nessuna regola.
Concludo dicendo che qui bisogna assumersi delle responsabilità, che possono essere anche impopolari. Io comprendo, infatti, che ogni regola è impopolare. Bisogna, però, assumersi delle responsabilità. È possibile che macchine vecchie, che hanno anche 60 anni, non debbano subire una revisione? Peraltro l’ISPESL, di cui parlavamo all’inizio, che ci fornisce ancora importanti documenti e studi, ha fatto un studio molto importante sulle modifiche da adottare a costo bassissimo.

OLDANI
Presidente, è anche vero che un trattore utilizzato in un’azienda agricola deve rispondere a requisiti di sicurezza previsti dalla normativa.

PRESIDENTE
Dottoressa Oldani, ma noi stiamo parlando di trattori che hanno 50 o 60 anni e che, verosimilmente, se non si sono bloccati non conoscono neanche l’intervento del meccanico. E stiamo anche parlando di trattori di ultimissima generazione, per gestire i quali serve una conoscenza straordinaria. Io ho la patente, ma non saprei gestire quei trattori.
Più che di trattori, però, io parlo più in generale di macchine. Su questo noi ci stiamo ponendo dei problemi, ma non per mettere un ulteriore orpello, bensì per dare delle conoscenze alle persone che adoperano quelle macchine.

VEDANI
Signor Presidente, sono Dario Vedani della Lega delle cooperative. Poiché noi rappresentiamo tutti i tipi di attività, indirettamente anche quelle agricole, ci associamo sostanzialmente a quanto è stato fin qui detto. I tavoli sono spesso comuni, quindi sia con le organizzazioni sindacali che con le altre organizzazioni abbiamo sottoscritto parecchi protocolli relativi alla sicurezza in tutti i settori. L’unico settore che mi sento di evidenziare, perché proprio in Lombardia rappresenta una piaga molto più ampia in termini numerici rispetto alle altre Regioni, è quello del cosiddetto facchinaggio e della logistica in generale. In tale settore noi non siamo in grado di determinare, nemmeno quantitativamente, il fenomeno dell’infortunistica; esso sicuramente sfugge ai più. Due terzi delle cooperative che si sono costituite e che si costituiscono (la durata media di una cooperativa in Lombardia non è lunghissima) non appartengono a nessuna delle tre centrali cooperative di rappresentanza, per cui sfuggono al controllo diretto, perché attraverso le centrali cooperative si effettuano le revisioni biennali. Il Ministero delle attività produttive, che non ha personale e che quindi si basa ancora sul Ministero del lavoro per effettuare queste verifiche, non è in grado di farle. Per cui, oltre al fenomeno di evasione contributiva e di mancata applicazione delle tariffe contrattuali, c’è tutto un fenomeno che riguarda anche la sicurezza sul lavoro, perché quest’ultima ha un costo. Se si parla di assegnazione di appalti nel pubblico, è evidente che il pubblico ufficiale, cioè il funzionario che procede all’assegnazione, ha dei doveri rispetto al ribasso; egli quindi ha anche il dovere di verificare quali siano i costi della sicurezza. Nel privato, come già veniva evidenziato in qualche intervento precedente, è chiaro che il massimo ribasso gioca invece il ruolo del leone, soprattutto in questo settore di attività, cosiddetta «labour intensive», dove il costo è dato al 99 per cento dal costo del lavoro; per cui eliminare il più possibile i costi della sicurezza comporta dei vantaggi diretti, in una visione miope e non consona a quelle che sono le disposizioni di legge.
Può anche darsi che il numero degli ispettori in Lombardia sia costante rispetto al resto del mondo, non lo metto in dubbio; ma, probabilmente, la percezione della realtà e della legalità rispetto al resto dell’Europa è un tantino più bassa da parte di molti imprenditori. Questo fa sì che andrebbe in qualche modo incrementato l’utilizzo del personale che serve da deterrente rispetto a questi comportamenti. Abbiamo appreso, poco tempo fa, che una grande impresa di distribuzione logistica aveva una finta cooperativa che operava una parte delle attività di lavorazione di notte; ma nessuna di queste persone era stata sottoposta alla regolare visita per il lavoro notturno. Quindi c’è una concezione in cui la violazione della regola non è vissuta come un disvalore, ma come una cosa normale. E siccome questo tipo di mentalità ha fatto breccia nell’imprenditoria (senza voler fare di tutta l’erba un fascio, però queste sacche di irregolarità ci sono), probabilmente sarebbe utile, oltre all’incremento di un’azione di tipo repressivo, anche un incremento delle azioni positive di comunicazione volte alla garanzia e al rispetto della legalità su tutti i fronti.

PRESIDENTE
Vi ringraziamo per il vostro contributo in questa importante e conclusiva audizione. Dichiaro concluse le audizioni.


Fonte: Senato della Repubblica