Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 15 aprile 2013 n. 17125 - Macchinario e rimozione del dispositivo corona: assemblaggio e creazione di un nuovo macchinario non certificato


 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere -

Dott. CIAMPI Francesco Mari - Consigliere -

Dott. DOVERE Salvatore - rel. Consigliere -

Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

1) B.G., N. IL (Omissis);

2) B.S., N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 4826/2011 pronunciata dalla Corte di Appello di Milano;

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;

udite le conclusioni del P.G. Dott. Vito D'Ambrosio, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udite le conclusioni del difensore dei ricorrenti, avv. Aldo Turconi, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.


Fatto





1. Il (Omissis) il lavoratore C.E., dipendente della L. s.p.a. riportava lesioni personali gravi mentre operava alla macchina denominata "linea produzione pannello in continuo".

Secondo la ricostruzione dell'accaduto operata dal Tribunale di Como, sezione distaccata di Cantù, quando il C. aveva preso ad inserire la lamiera nella zona di imbocco dei rulli sovrapposti che lavoravano i pannelli, la sua mano destra era stata trascinata e quindi schiacciata tra i medesimi, in quanto distanti tra loro oltre quattro millimetri e quindi spaziati in modo da non evitare il trascinamento e lo schiacciamento delle mani dell'operatore. Ciò era potuto accadere perchè ulteriori due rulli, posti in posizione avanzata rispetto a quelli provocanti lo schiacciamento, e distanziati tra loro di un millimetro (c.d. dispositivo corona), erano stati smontati il giorno lavorativo precedente per essere avviati alla manutenzione.

Il fatto occorso al C. veniva addebitato a tutti i componenti del consiglio di amministrazione della società L. ed in particolare a B.G. e a B.S., rispettivamente Presidente e consigliere delegato, in quanto essi, nella qualità di datori di lavoro, non avevano dato disposizioni perchè i lavoratori si astenessero dal lavorare in mancanza del dispositivo corona o non avevano adottato altri accorgimenti per evitare che i dipendenti avvicinassero le mani alla zona pericolosa, ed altresì per non aver adeguatamente valutato il rischio derivante dall'uso della macchina in mancanza del dispositivo corona.

2. La Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza appena ricordata, mandava assolti tutti gli imputati, fuorchè B.G. e B.S., al riguardo dei quali veniva disatteso il rilievo difensivo che voleva la macchina del tutto conforme alla normativa di sicurezza sia perchè certificata dalla ditta costruttrice sia perchè fornita del dispositivo corona.

Secondo il giudice di seconde cure, infatti, seppure tanto la macchina originale che il dispositivo corona fossero conformi alle norme prevenzionistiche, l'assemblaggio delle due parti aveva prodotto una macchina nuova, che non era più la stessa certificata dal costruttore; i due rulli erano certamente organi lavoratori, secondo la nozione di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 68, e come tali da proteggere, segregare o munire di dispositivi di sicurezza; l'installazione del dispositivo corona aveva determinato un'abitudine all'utilizzo del macchinario secondo le modalità operative conseguenti alla presenza di tale dispositivo, sicchè l'asportazione dello stesso aveva ripristinato la situazione di potenziale rischio, non fronteggiato adeguatamente; l'eventuale disattenzione della vittima non era idonea ad interrompere il nesso causale tra la condotta colposa ascrivibile agli imputati e il sinistro; il fatto che i vertici aziendali non sapessero dell'intervento di manutenzione non valeva ad escluderne la responsabilità perchè essi avrebbero dovuto esercitare un'efficace verifica ed una diligente sorveglianza per il più rigoroso adeguamento, nel concreto esplicarsi dell'attività lavorativa, alle norme antinfortunistiche; il rischio era stato solo genericamente valutato, senza peraltro specificare le concrete cautele da adottare e senza valutare lo specifico rischio derivante dalla rimozione del dispositivo corona.


3. Ricorre per cassazione nell'interesse degli imputati, il difensore di fiducia avv. Aldo Turconi.

3.1. Con un primo motivo deduce violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e vizio motivazionale in ordine alla inidoneità della macchina ai fini della sicurezza e della salute.

Poichè la Corte distrettuale ha riconosciuto che il macchinario "originale" era conforme alla normativa prevenzionistica (in quanto i rulli, operando normalmente in folle non potevano considerarsi organi di trascinamento), e poichè l'infortunio si è verificato quando il dispositivo corona era stato tolto, si ritiene illogica e contraddittoria la dichiarazione di penale responsabilità dei ricorrenti.

3.2. Con un secondo motivo si deduce violazione dell'art. 42 cod. pen. e art. 192 cod. proc. pen. nonchè vizio motivazionale in ordine alla effettiva consapevolezza da parte del datore di lavoro dell'intervento di manutenzione.

Invero, rileva l'esponente, posto che è pacifico che il dispositivo era stato rimosso all'insaputa dei datori di lavoro, la Corte di Appello avrebbe dovuto mandare assolti i ricorrenti per carenza dell'elemento psicologico.

3.3. Con un terzo ed un quinto motivo si deduce violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e vizio motivazionale in ordine alla affermazione di responsabilità di B.S..

La Corte di Appello ha affermato che soggetto preposto alla sicurezza era nel caso concreto B.G.. Ciò nonostante ha confermato la condanna anche nei confronti di B.S., consigliere delegato con funzioni esclusivamente amministrative e commerciali, addebitandogli la ritenuta omessa valutazione del rischio laddove il relativo obbligo incombeva a B.G. quale datore di lavoro preposto alla sicurezza. A B.S. dovevano estendersi le valutazioni che hanno condotto la Corte di Appello a pronunciare l'assoluzione dei coimputati consiglieri di amministrazione.

3.4. Con un quarto motivo si deduce violazione dell'art. 192 cod. proc. pen. e vizio motivazionale in ordine alla valutazione del rischio.

La Corte di Appello ha omesso di considerare che è risultato provato mediante documentazione che era stato valutato il rischio meccanico sulla linea, rischio valutato come dovuto ad elementi in movimento;

che l'organo ispettivo aveva ravvisato elementi di responsabilità per la inidoneità della linea di produzione ma non per l'omessa valutazione; che il consulente tecnico della difesa ha asserito che il rischio era stato debitamente valutato.


 

Diritto




4. Il ricorso è infondato.

4.1. Il primo ed il quarto motivo di ricorso possono essere esaminati unitariamente. A tal riguardo va rilevato che il ricorrente non opera la corretta lettura della motivazione resa dalla Corte di Appello. Il fondamento del giudizio di responsabilità sta nel fatto che, essendo stato "costruito" un nuovo macchinario, attraverso l'installazione del dispositivo corona sulla macchina denominata "linea produzione pannello in continuo", il datore di lavoro avrebbe dovuto valutare i rischi derivanti dall'utilizzo di tale apparecchiatura; e quindi valutare anche i rischi derivanti dall'uso dello stessa in assenza del dispositivo corona, asportabile ad esempio per necessità manutentive. E' pacifico che tale valutazione non è stata compiuta;

quanto diversamente asserito dall'esponente non è sorretto dalla denuncia di un travisamento della prova, che avrebbe richiesto anche di garantire l'autosufficienza del ricorso (sul principio di autosufficienza cfr. Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008 - dep. 03/10/2008, Buzi, Rv. 241023). Pertanto, in ordine a tale punto, il ricorso si manifesta quale pretesa di veder affermata una ricostruzione del fatto alternativa a quella operata nei gradi di merito (come manifesta l'insistita invocazione alla violazione dell'art. 192 cod. proc. pen.). Ma ciò è precluso a questa Corte, perchè nel giudizio di legittimità va verificato che la motivazione resa dal decidente non sia affetta da vizi logici o da carenze e che non poggi sul travisamento della prova.

Secondo il giudizio della Corte di appello, una volta smontato il dispositivo corona, la macchina presentava rischi derivanti dalla distanza tra i rulli, che sono stati qualificati come organi in movimento con motivazione non censurabile in sede di legittimità (il fatto che operassero in folle non significa che non fossero "organi lavoratori" e che non vi fosse pericolo per il lavoratori, atteso lo spazio di quattro millimetri tra i rulli ed il fatto che essi operavano "normalmente", quindi non indefettibilmente, in folle). Il giudice di seconde cure ha spiegato perchè l'assemblaggio di apparecchiature originariamente (certificate) conformi alle norme prevenzionistiche abbia prodotto una condizione di pericolo nuova, che andava valutata e fronteggiata adeguatamente: ha infatti richiamato l'instaurarsi di abitudini lavorative conformate alla struttura del nuovo macchinario.


Peraltro, non coglie nel vero il ricorso quando ravvisa una illogicità motivazionale laddove la Corte di Appello ha affermato che la macchina originale era conforme alla normativa; l'assunto non è rispondente al contenuto della decisione. Invero, il dato testuale in parola va letto insieme alla enunciazione del rilievo difensivo, che segnalava che la macchina era stata certificata come conforme dalla ditta costruttrice. Di tale dato la Corte distrettuale ha confermato la veridicità. Ma è noto che la certificazione non esaurisce la valutazione di conformità della macchina, che va valutata in concreto, tant'è che il datore di lavoro utilizzatore risponde della violazione anche in presenza di certificazione, dovendo egli assicurare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati (tra le altre, Sez. 4, n. 37060 del 12/06/2008 - dep. 30/09/2008, Vigilardi e altro, Rv. 241020).

Risulta quindi infondato anche il quarto motivo di ricorso, in ordine alla valutazione del rischio, asserita come compiuta.

4.2. Quanto all'affermato ruolo datoriale di B.S., oggetto del terzo e quinto motivo, non risponde al vero che la Corte di Appello abbia escluso che questi fosse titolare di siffatto ruolo. La Corte distrettuale opera effettivamente un riferimento agli effetti della mancanza di rituale delega, asserendo che l'effetto è quello di veder gravare l'obbligo securitario "sul soggetto preposto alla sicurezza, nel caso concreto pacificamente individuabile di B. G.". Ma l'affermazione, che ben potrebbe essere anche frutto di un refuso, si accompagna subito dopo alla indicazione di B. G. e B.S. quali soggetti "formalmente individuabili come datori di lavori e soggetti gravati dalla posizione di garanzia in materia antinfortunistica".

E' opportuno rilevare che la sentenza di primo grado rammenta che "al tempo dell'infortunio... non era stata ancora adottata dal consiglio di amministrazione della L. s.p.a. la decisione di delegare a B.G. tutti i poteri in materia antinfortunistica, di igiene e sicurezza sul lavoro"; se ne è derivato che tutti gli imputati erano datori di lavoro. L'assoluzione dei coimputati in secondo grado è stata fondata sulla effettività e contenuto della delega conferita ai due amministratori, stante la non ingerenza degli altri consiglieri di amministrazione. Questi dati chiariscono il senso complessivo della motivazione della sentenza impugnata.

Peraltro, l'evocare l'esistenza di un "datore di lavoro delegato alla sicurezza" è del tutto incongruo, dal momento che il datore di lavoro è titolare a titolo originario degli obblighi securitari, taluni dei quali può delegare ad altri. Si comprende che l'affermazione vuole significare che, tra i diversi componenti del consiglio di amministrazione, B.G. avrebbe ricevuto una specifica delega; ma tanto, che come visto la Corte distrettuale ha escluso esser rispondente al vero, non fa che confermare la qualità di datore di lavoro dello stesso B.S..

4.3. Per ciò che concerne la consapevolezza del B. dell'intervento di manutenzione, il relativo motivo muove censure alla decisione impugnata per non aver essa considerato le specifiche circostanze che non permetterebbero di evocare, come fa la Corte di Appello, un generale obbligo di verifica e vigilanza dell'attività lavorativa come in concreto svolta, onde assicurare l'adeguamento alla normativa prevenzionistica. Tuttavia, l'aver identificato nella mancata elaborazione della valutazione dei rischi derivanti dalla costruzione del nuovo macchinario la condotta rimproverabile (anche) al ricorrente rende priva di rilievo ogni circostanza contingente di carattere non eccezionale, posto che la valutazione dei rischi ha appunto il compito di rilevare i rischi che possono essere individuati con la diligenza richiedibile al datore di lavoro e di individuare le misure, anche procedurali, idonee a fronteggiarli. La valutazione, quindi, avrebbe avuto ad oggetto anche i rischi connessi agli interventi di manutenzione del macchinario, prevedendo le misure appropriate, certamente prescindenti dalla conoscenza del datore di lavoro dell'effettuazione di ciascun singolo intervento.

5. Segue al rigetto del ricorso la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 15 aprile 2013