Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 1, 27 febbraio 2013, n. 9411 - Impianto destinato a prevenire disastri o infortuni sul lavoro: antincendio


 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. CAIAZZO Luigi Pietro - Consigliere -
Dott. ROMBOLA' Marcello - rel. Consigliere -
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -
Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza

 


sul ricorso proposto da: C.C. N. IL (Omissis); avverso la sentenza n. 968/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 04/11/2011; visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCELLO ROMBOLA';
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Volpe Giuseppe, che ha concluso per la declaratoria del ricorso.
udito, per le parti civili, Avv. Vespertino Piacentina, in sostituzione dell'avv. Rossetti Martiano (come da conclusioni scritte);
udito il difensore avv. Anselmo Fabio (accoglimento del ricorso).



Fatto

 


Con sentenza 6/11/07 il Tribunale di Ferrara assolveva, perchè il fatto non sussiste, F.F., C.C. e M. F., quali soci responsabili dello stabilimento della Orbit s.a.s. dove il (Omissis) si era verificato un incendio disastroso (separatamente giudicati V.S., D.R. e M.P.), dal reato contestato di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro di cui all'art. 437 c.p. (in (Omissis), data dell'incendio e dei disastri conseguenti), esclusa l'aggravante, pure contestata, del secondo comma della norma. L'incendio in questione aveva determinato il crollo parziale delle strutture murarie e del tetto dell'edificio e la conseguente dispersione nell'atmosfera delle sostanze tossiche (amianto) presenti nella copertura di eternit dello stesso. Ciò era stato determinato, secondo l'accusa, da un'eccessiva attività di accumulo di rifiuti effettuata (pur dopo la diffida a proseguire dell'amministrazione provinciale del 19/4/99) senza il certificato di prevenzione antincendi e di quanto necessario per ottenerlo, in particolare in assenza di un idoneo impianto antincendio e comunque con un impianto non funzionante.
Il primo giudice, dando atto dell'accertata origine dolosa (esterna) dell'incendio, escludeva di poterla addebitare in concorso, in base a meri sospetti, ai soci della Orbit, semmai interessati alla trasformazione dei rifiuti (il c.d. pulper proveniente dalle cartiere) in combustibile. Esclusa pertanto l'aggravante (ipotizzata per l'originaria contestazione colposa), il Tribunale accoglieva una recente giurisprudenza di merito (il caso del petrolchimico veneto trattato dalla CdA di VE) per cui il reato in questione richiedeva l'omesso collocamento di impianti, apparecchi o segnali, mentre nella specie si contestava l'assenza nel capannone di un idoneo impianto antincendio ovvero la presenza di un impianto antincendio non funzionante. Il giudicante escludeva il dolo richiesto per il reato in questione, ma anche il nesso di causalità tra la condotta e l'evento e, infine, la sussistenza stessa dell'omissione di cui all'art. 437, comma 1. Di qui l'assoluzione con la detta formula terminativa.
Con sentenza 4/11/11 la Corte di Appello di Bologna, invece, su gravame del PG e delle parti civili (Regione Emilia-Romagna e Comune di Vigarano Mainarda) perveniva, in riforma, alla dichiarazione di penale responsabilità dei tre imputati, condannandoli, previa concessione delle attenuanti generiche, equivalenti all'aggravante dell'art. 437 c.p., comma 2, alla pena (sospesa e senza menzione per F., sospesa C.) di anni 2 di reclusione ciascuno (interamente condonata per M.), con pronunce risarcitorie in solido a carco di tutti e tre.
Il giudice del gravame partiva dal supposto, ammesso dallo stesso Tribunale, che però non ne traeva le dovute conseguenze, che l'incendio era appunto addebitabile a una parziale adozione delle misure antincendio e ciò comportava un evidente addebito di responsabilità in proposito (tra i rifiuti stivati non solo il pulper, che si assumeva non infiammabile, ma anche materiale altamente infiammabile come carta e cartone, plastica varia e il combustibile proveniente dal materiale già lavorato). L'aggravante dell'incendio verificatosi era in re ipsa e del pari evidente il nesso di causalità tra le condotte omissive e l'evento.
Ricorreva per cassazione il solo C. a mezzo di difensore, deducendo: 1) violazione di legge in ordine all'interpretazione del termine "impianti destinati a prevenire disastri od infortuni sul lavoro" (laddove nel caso in esame l'incendio era stato dolosamente innescato, a stabilimento non operativo, da un'abbondante immissione di materiale infiammabile con almeno sei ore di tempo per diffondersi); 2) vizio di motivazione, travisamento della prova e violazione di legge laddove la Corte di appello aveva ritenuto lo specifico rischio di incendio a ragione dell'elevata infiammabilità del materiale stoccato (mentre la gran parte del materiale presente era pulper ovvero residui di cartiera mescolati ad acqua); 3) vizio di motivazione, travisamento della prova e violazione di legge laddove la Corte di appello aveva apoditticamente ritenuto il nesso di causalità tra le pretese carenze antincendio (di dislocazione e di funzionalità) e l'incendio medesimo, che si era rivelato di estrema intensità oltre che tardivamente contrastato dai vigili del fuoco; 4) vizio di motivazione sulla ritenuta (presunta) sussistenza di un danno ambientale e quindi sull'ammontare del danno medesimo.
Con memoria pervenuta il 28/1/13 la difesa delle parti civili, censurata la genericità del ricorso, ne contrastava singolarmente i motivi.
Alla pubblica udienza fissata per la discussione il PG chiedeva dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, la difesa delle parti civili concludeva in conformità. La difesa dell'imputato ne chiedeva l'accoglimento.

Diritto


Il ricorso è infondato.
E' manifestamente infondato nei primi due motivi, laddove sovrappone le proprie valutazioni a quelle correttamente e congruamente espresse dal giudice di merito nella sua motivazione: è per definizione un impianto destinato a prevenire disastri o infortuni sul lavoro (primo motivo) l'impianto antincendio di uno stabilimento industriale, impianto che nella specie è risultato del tutto inadeguato, per distribuzione ed efficienza, alla sua destinazione; è dimostrata nei fatti la infiammabilità, in tutto o in parte (secondo motivo), del materiale stoccato (o, per meglio dire, stipato fino ai soffitto del capannone), che con virulenza ha preso fuoco.
E' infondato nel terzo motivo: il ricorrente, nella denegata tesi, contesta il nesso di causalità tra la condotta omissiva dell'imputato (genericamente dolosa, consistente nella consapevolezza della propria omissione e nella rappresentazione del pericolo che ne deriva) e l'incendio, che si assume volutamente provocato dall'esterno da terzi ignoti e che per le sue caratteristiche, genetiche ed attuative, sarebbe divampato, distruttivo, nonostante qualsivoglia accorgimento di contrasto. L'assunto è astrattamente sostenibile limitatamente alla genesi dell'incendio e alla sua potenziale efficacia, se non fosse che, in concreto, la condotta dell'imputato è stata di tale macroscopico rilievo, omissivo (le carenze antincendio) e commissivo (l'accumulo abnorme di materiale in buona parte altamente infiammabile), da aumentare in modo straordinario l'entità dannosa dell'evento.
Quanto al danno (quarto motivo), ai fini dell'accordata provvisionale esso è sufficientemente provato in sè (anche nel suo profilo ambientale: la presenza di amianto nel tetto in eternit del capannone incendiato) dalle oggettive emergenze del processo e lo sarà, nel suo complessivo ammontare, nella competente sede civile.
Il reato è tuttavia prescritto. Contestato fino al 12/9/99 (data dell'incendio), il tempo ordinario di prescrizione (dodici anni e sei mesi con gli atti interruttivi) andava, a maturare il 12/3/12.
Calcolando la sospensione dal 17/3 al 5/10/05 in primo grado (pari a 6 mesi e 18 giorni) e quella dal 19/7 al 28/10/11 in secondo (pari a 3 mesi e 9 giorni) per complessivi 9 mesi e 27 giorni, il termine è decorso l'8/1/13 (anteriormente alla data odierna). La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio nei confronti del ricorrente C.C. perchè il reato è estinto per prescrizione. L'effetto estintivo - si osserva incidentalmente - non si estende agli altri due imputati non ricorrenti ( F.F. e M.F.), per i quali la sentenza della Corte di Appello di Bologna del 4/11/11 è passata in giudicato anteriormente (il 22/4/12 per entrambi).
Restano ferme (art. 578 c.p.p.) le statuizioni civili. Il C. va altresì condannato alla refusione delle spese sostenute in questo grado del giudizio dalle parti civili costituite e concludenti.



P.Q.M.


Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di C. C. perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili. Condanna il ricorrente a rifondere le spese sostenute in questo grado del giudizio dalle parti civili, Comune di Vigarano Mainarda e Regione Emilia-Romagna, che liquida in complessivi Euro 4.000 (quattromila), oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 27 febbraio 2013