- Datore di Lavoro
- Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione
- Delega di Funzione
Responsabilità di un datore di lavoro per omicidio colposo - Ricorso per la mancata considerazione della delega di funzioni al RSPP - La Corte afferma che il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità, sostenendo esservi stata una delega di funzioni a tal fine utile, per il solo fatto che abbia provveduto a designare il responsabile del servizio prevenzione e protezione, trattandosi di figura, questa, obbligatoriamente prescritta dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 8 per l'osservanza di quanto previsto dal successivo art. 9, ma non confondibile con quella,del tutto facoltativa ed eventuale,del dirigente delegato all'osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori - Sussiste.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetatino - Consigliere -
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da: SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente -
Dott. ZECCA Gaetatino - Consigliere -
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere -
Dott. BRICCHETTI Renato - Consigliere -
Dott. AMENDOLA Adelaide - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
1) B.B., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 25/10/2006 CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. NOVARESE FRANCESCO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. GALASSO Aurelio, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione.
Fatto
B.B. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Catania del 25 ottobre 2006, con la quale, in qualità di datore di lavoro, veniva condannato per il reato di omicidio colposo, aggravato dalla violazione delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, deducendo quali motivi l'omessa motivazione in tema di responsabilità, poichè le argomentazioni dell'appello non sono superate da quelle svolte nell'impugnata sentenza, giacchè non si è considerata la presenza di un responsabile della sicurezza, cui incombeva vigilare sull'osservanza delle norme in materia di sicurezza del lavoro, e non si è valutata la gravissima negligenza della vittima tale da escludere ogni nesso di causalità con altre condotte, in quanto, invece, di smontare la batteria dal camion e portarla in officina ove si trovava il carica batteria, ha operato al contrario, trasferendo detto strumento presso il mezzo senza che esistesse un idoneo cavo di collegamento per fornire energia elettrica a detto attrezzo.
Diritto
Le censure addotte sono, in parte inammissibili, perchè non consentite in sede di legittimità, in quanto attengono a differenti ricostruzioni delle risultanze probatorie ed ad allegazioni in fatto, ma non manifestamente infondate, giacchè l'impugnata sentenza è motivata in maniera fin troppo sintetica, sicchè occorre integrarla con la più elaborata pronuncia del primo giudice.
Infatti, secondo giurisprudenza costante di questa Corte (Cass. sez. 1, 4 febbraio 1994 n. 1309 rv. 197250 e Cass. sez. 3, 23 aprile 1994 n. 4700 rv.197497 cui adde Cass. sez. 3, 12 marzo 2002 n. 10163 rv. 221116), le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, ove i giudici di secondo grado abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal primo.
Ed invero, giurisprudenza uniforme (vedi Cass. sez. 4, 30 dicembre 2005 n. 47363 rv.233181 cui adde Cass. sez. 4, 31 marzo 2003 n. 14851, Morsa in Dir. prat. lav. 2002, 40), in materia di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità, sostenendo esservi stata una delega di funzioni a tal fine utile, per il solo fatto che abbia provveduto a designare il responsabile del servizio prevenzione e protezione, trattandosi di figura, questa, obbligatoriamente prescritta dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 8 per l'osservanza di quanto previsto dal successivo art. 9, ma non confondibile con quella,del tutto facoltativa ed eventuale,del dirigente delegato all'osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori.
Peraltro, la Corte di merito ha fatto esatta applicazione della costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 3, 7 ottobre 2004 n. 39268 rv. 230087), secondo cui in tema di individuazione delle responsabilità penali all'interno delle strutture complesse, ai fini della operatività della delega di funzioni occorre distinguere tra difetti strutturali e deficienze inerenti all'ordinario buon funzionamento della struttura aziendale, atteso che in relazione alle prime permane la responsabilità dei vertici aziendali, mentre per le seconde occorre distinguere fra quelle di carattere occasionale, soltanto per le quali non sussiste in ogni caso una riferibilità al soggetto apicale, e quelle permanenti, per le quali, ai fini della ascrivibilità al datore di lavoro, si richiede la prova della conoscenza o conoscibilità delle stesse da parte degli organi di vertice, indipendentemente dall'omessa allegazione da parte dello stesso ricorrente della presenza di un'impresa di considerevoli dimensioni e dall'assenza di ogni prova circa l'effettività della delega.
Infatti, un orientamento prevalente si basa sul principio di effettività, non disgiunto dalla considerazione della normazione organizzatoria e strutturale dell'ente, dell'intrasferibilità di alcuni obblighi e della sussistenza in capo al datore di lavoro, primario soggetto obbligato di un obbligo di diligenza ("culpa in vigilando vel in eligendo").
Infine, concludendo sul punto i poteri ed i doveri dei preposti si collocano ad un livello radicalmente diverso da quello dei poteri dei soggetti in posizione apicale nell'azienda e sono, in un certo senso, subordinati e limitati dal settore e dal luogo in cui esercitano le loro attività, sicchè il vertice della struttura piramidale è garante di tutti gli adempimenti legislativi, contrattuali o solo opportuni o necessari per attuare la disciplina della sicurezza e prevenzione degli incidenti per i lavoratori. I compiti meramente consultivi e non operativi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 (Cass. sez. 3, 23 maggio 2001 n. 20904, non massimata sul punto), e la mancanza di un'espressa sanzione circa gli inadempimenti dei suoi obblighi, risultanti dal citato D.Lgs., art. 9, assumono rilievo, ove tale "consulente" non assuma il ruolo di delegato con procura scritta dell'imprenditore in tutta la materia prevenzionale, nella fattispecie neppure allegata, e non esista alcuna ingerenza o posizione dominante del datore di lavoro (Cass. sez. 4, 31 marzo 2003 n. 14851 non massimata), ed un altro orientamento giurisprudenziale (Cass. 9 gennaio 2004 n. 1978 e Cass. sez. 4, 1 dicembre 2004 n. 46557), che si ispira ad una risalente pronuncia (Cass. sez. 4, 15 febbraio 1993 n. 1345 rv. 193034), rinviene profili di responsabilità, qualora esistano inadempimenti dei doveri di adeguata consulenza tecnica.
Con riferimento al secondo motivo, attinente al preteso comportamento negligente del lavoratore, pacifica giurisprudenza di questa Corte afferma che, ichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza del comportamento del lavoratore tale da presentare i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e da essere del tutto imprevedibile o inopinabile (Cass. sez. 4, 13 luglio 2000, Cirimbilli ed altro cui adde Cass. sez. 4, 1 dicembre 2004 n. 46557, Albrizzi, che la riferisce).
Si deve trattare, quindi, di un comportamento del lavoratore che sia o del tutto autonomo ed estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, fuori da ogni prevedibilità o rientrante in queste sue proprie, ma consistente in qualcosa di radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzagli e, quindi, prevedibili scelte del lavoratore (Cass. sez. 4, 5 luglio 2004, Grandi).
Peraltro, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento,quando questo sia da ricondurre all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento (cfr. fra tante Cass. sez. 4, 4 dicembre 2001, Fabbian cui adde Cass. sez. 4, 4 febbraio 2004, Calabrese citate in Cass. n. 46557 del 2004 cit.) come è avvenuto nella fattispecie.
Pertanto, solo l'inadeguata motivazione della Corte etnea non consente di ritenere manifestamente infondate le censure mosse, sicchè l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, non sussistendo alcuna ipotesi più favorevole.
Ed invero il delitto è stato commesso il (OMISSIS), i giudici di merito, nel condannare il ricorrente, hanno concesso le attenuanti generiche, ritenute, in motivazione e per implicito, dal primo giudice prevalenti sulla contestata aggravante, giacchè ha considerato una pena base di un anno, diminuita di un terzo ad otto mesi di reclusione, il termine prescrizionale massimo è di anni sette e mesi sei, sicchè la prescrizione sarebbe maturata il 15 dicembre 2005, se non si dovessero, comunque, considerare le cause di sospensione della prescrizione per rinvii del dibattimento su istanza del difensore o dell'imputato per impedimento di queste parti o per altri motivi non determinati da concessione di termini a difesa o da ragioni istruttorie (Cass. sez. un. 14 gennaio 2002 n. 1021 rv. 220509), per mesi quindici e giorni diciassette secondo l'esatto calcolo della sentenza di primo grado, onde la prescrizione è maturata definitivamente il 12 aprile 2007.
Ed invero, giurisprudenza uniforme (vedi Cass. sez. 4, 30 dicembre 2005 n. 47363 rv.233181 cui adde Cass. sez. 4, 31 marzo 2003 n. 14851, Morsa in Dir. prat. lav. 2002, 40), in materia di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità, sostenendo esservi stata una delega di funzioni a tal fine utile, per il solo fatto che abbia provveduto a designare il responsabile del servizio prevenzione e protezione, trattandosi di figura, questa, obbligatoriamente prescritta dal D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 8 per l'osservanza di quanto previsto dal successivo art. 9, ma non confondibile con quella,del tutto facoltativa ed eventuale,del dirigente delegato all'osservanza delle norme antinfortunistiche ed alla sicurezza dei lavoratori.
Peraltro, la Corte di merito ha fatto esatta applicazione della costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 3, 7 ottobre 2004 n. 39268 rv. 230087), secondo cui in tema di individuazione delle responsabilità penali all'interno delle strutture complesse, ai fini della operatività della delega di funzioni occorre distinguere tra difetti strutturali e deficienze inerenti all'ordinario buon funzionamento della struttura aziendale, atteso che in relazione alle prime permane la responsabilità dei vertici aziendali, mentre per le seconde occorre distinguere fra quelle di carattere occasionale, soltanto per le quali non sussiste in ogni caso una riferibilità al soggetto apicale, e quelle permanenti, per le quali, ai fini della ascrivibilità al datore di lavoro, si richiede la prova della conoscenza o conoscibilità delle stesse da parte degli organi di vertice, indipendentemente dall'omessa allegazione da parte dello stesso ricorrente della presenza di un'impresa di considerevoli dimensioni e dall'assenza di ogni prova circa l'effettività della delega.
Infatti, un orientamento prevalente si basa sul principio di effettività, non disgiunto dalla considerazione della normazione organizzatoria e strutturale dell'ente, dell'intrasferibilità di alcuni obblighi e della sussistenza in capo al datore di lavoro, primario soggetto obbligato di un obbligo di diligenza ("culpa in vigilando vel in eligendo").
Infine, concludendo sul punto i poteri ed i doveri dei preposti si collocano ad un livello radicalmente diverso da quello dei poteri dei soggetti in posizione apicale nell'azienda e sono, in un certo senso, subordinati e limitati dal settore e dal luogo in cui esercitano le loro attività, sicchè il vertice della struttura piramidale è garante di tutti gli adempimenti legislativi, contrattuali o solo opportuni o necessari per attuare la disciplina della sicurezza e prevenzione degli incidenti per i lavoratori. I compiti meramente consultivi e non operativi del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dei rischi, di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 8 (Cass. sez. 3, 23 maggio 2001 n. 20904, non massimata sul punto), e la mancanza di un'espressa sanzione circa gli inadempimenti dei suoi obblighi, risultanti dal citato D.Lgs., art. 9, assumono rilievo, ove tale "consulente" non assuma il ruolo di delegato con procura scritta dell'imprenditore in tutta la materia prevenzionale, nella fattispecie neppure allegata, e non esista alcuna ingerenza o posizione dominante del datore di lavoro (Cass. sez. 4, 31 marzo 2003 n. 14851 non massimata), ed un altro orientamento giurisprudenziale (Cass. 9 gennaio 2004 n. 1978 e Cass. sez. 4, 1 dicembre 2004 n. 46557), che si ispira ad una risalente pronuncia (Cass. sez. 4, 15 febbraio 1993 n. 1345 rv. 193034), rinviene profili di responsabilità, qualora esistano inadempimenti dei doveri di adeguata consulenza tecnica.
Con riferimento al secondo motivo, attinente al preteso comportamento negligente del lavoratore, pacifica giurisprudenza di questa Corte afferma che, ichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza del comportamento del lavoratore tale da presentare i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e da essere del tutto imprevedibile o inopinabile (Cass. sez. 4, 13 luglio 2000, Cirimbilli ed altro cui adde Cass. sez. 4, 1 dicembre 2004 n. 46557, Albrizzi, che la riferisce).
Si deve trattare, quindi, di un comportamento del lavoratore che sia o del tutto autonomo ed estraneo alle mansioni affidategli e, pertanto, fuori da ogni prevedibilità o rientrante in queste sue proprie, ma consistente in qualcosa di radicalmente ed ontologicamente lontano dalle ipotizzagli e, quindi, prevedibili scelte del lavoratore (Cass. sez. 4, 5 luglio 2004, Grandi).
Peraltro, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento,quando questo sia da ricondurre all'insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento (cfr. fra tante Cass. sez. 4, 4 dicembre 2001, Fabbian cui adde Cass. sez. 4, 4 febbraio 2004, Calabrese citate in Cass. n. 46557 del 2004 cit.) come è avvenuto nella fattispecie.
Pertanto, solo l'inadeguata motivazione della Corte etnea non consente di ritenere manifestamente infondate le censure mosse, sicchè l'impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione, non sussistendo alcuna ipotesi più favorevole.
Ed invero il delitto è stato commesso il (OMISSIS), i giudici di merito, nel condannare il ricorrente, hanno concesso le attenuanti generiche, ritenute, in motivazione e per implicito, dal primo giudice prevalenti sulla contestata aggravante, giacchè ha considerato una pena base di un anno, diminuita di un terzo ad otto mesi di reclusione, il termine prescrizionale massimo è di anni sette e mesi sei, sicchè la prescrizione sarebbe maturata il 15 dicembre 2005, se non si dovessero, comunque, considerare le cause di sospensione della prescrizione per rinvii del dibattimento su istanza del difensore o dell'imputato per impedimento di queste parti o per altri motivi non determinati da concessione di termini a difesa o da ragioni istruttorie (Cass. sez. un. 14 gennaio 2002 n. 1021 rv. 220509), per mesi quindici e giorni diciassette secondo l'esatto calcolo della sentenza di primo grado, onde la prescrizione è maturata definitivamente il 12 aprile 2007.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 23 gennaio 2008